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Sentenza n.3151 del 14 dicembre 2011 Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

Esclusione dalla graduatoria costituita ai fini dell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica - cittadino comunitario

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia


(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1074 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:*****, rappresentata e difesa dall'avv. Gino Pandolfi, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Galleria Buenos Aires, 15

contro

Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv. Loredana Mattaliano, Maria Rita Surano, Antonella Fraschini, Ruggero Meroni, Irma Marinelli, Anna Maria Pavin, Donatella Silvia, Maria Sorrenti e Anna Tavano, domiciliato in Milano, Via Andreani, 10

per l'annullamento

del provvedimento adottato dal Comune di Milano, Direzione Centrale Casa Settore Assegnazione Alloggi di E.R.P., Servizio Assegnazione Alloggi e Controlli, Ufficio Bando, in data 17.1.2011, con notifica spedita a mezzo posta il 28.1.2011, ricevuta in data 4.2.2011 con cui è stato respinto il ricorso presentato dalla ricorrente diretto ad ottenere il riesame del provvedimento del 23 novembre 2011 di cancellazione dalla graduatoria valida per l'assegnazione di alloggio ERP, ai sensi del Regolamento Regionale n. 1/2004, nonché di ogni altro atto allo stesso preordinato e presupposto.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2011 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La ricorrente impugna il provvedimento con cui il Comune di Milano l’ha esclusa dalla graduatoria costituita ai fini dell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, per il quale ella aveva inoltrato domanda il 10 dicembre 2009.

La ricorrente, cittadina dell’Unione a partire dal 2007, afferma di essere giunta irregolarmente sul territorio nazionale nel dicembre del 2004 e di avervi prestato attività lavorativa da allora ad oggi. Sostiene, pertanto, di avere maturato i requisiti previsti dall’art. 28 della L.r. n. 27 del 2009, secondo cui “i richiedenti devono avere la residenza o svolgere attività lavorativa in Regione Lombardia da almeno cinque anni per il periodo immediatamente precedente alla data di presentazione della domanda”.

Viceversa, il Comune pretende di computare il solo periodo temporale successivo all’acquisizione della cittadinanza dell’Unione nel 2007, con la conseguenza che il quinquennio indicato dalla legge non sarebbe ancora trascorso, e comunque nega anche che vi sia prova di residenza ed attività lavorativa dal 2004 in avanti.

In sede cautelare, questo Tribunale ha ordinato il riesame della domanda, sulla base del principio per cui il periodo di radicamento in Italia, per quanto in condizioni di irregolarità, avrebbe dovuto essere assunto in considerazione integralmente, avendo la ricorrente in seguito acquisito la cittadinanza dell’Unione. Con un secondo provvedimento, impugnato con motivi aggiunti, il Comune ha confermato la propria precedente determinazione.

Il ricorso pone dunque due questioni distinte da affrontare: anzitutto, si tratta di stabilire se, una volta che lo straniero abbia acquisito un titolo che ne legittimi il soggiorno sul territorio nazionale, possa o meno essere valutato anche il pregresso periodo di irregolarità, ai fini dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Questo Tribunale ritiene che la risposta a tale quesito sia positiva.

La giurisprudenza costituzionale si è attestata da lungo tempo sul principio per il quale vi è un nucleo indisponibile di diritti, connessi al rispetto della dignità umana, il cui godimento va riconosciuto a tutti in condizioni di uguaglianza, ed in particolare anche allo straniero irregolarmente introdottosi nel territorio nazionale: tale asserzione è stata inizialmente svolta con riguardo al diritto alla salute (sentenza n. 252 del 2001), sicchè è ad oggi del tutto pacifico che l’accesso alle cure necessarie a preservare l’integrità psico-fisica non può venire negato allo straniero, basandosi sul difetto di un titolo che ne consenta il soggiorno.

In seguito, e in forma del tutto conseguente, essa è stata estesa all’intero complesso dei diritti fondamentali dell’uomo (sentenza n. 148 del 2008; da ultimo, sentenza n. 61 del 2011)), ove la persona si pone al centro dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 1 del 1969). Si è così potuto affermare che “i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani” (sentenza n. 245 del 2011, con riguardo al diritto di contrarre matrimonio; sentenza n. 249 del 2010).

Naturalmente, ciascuno di tali diritti ha un proprio nucleo originario ed incomprimibile (il cosiddetto contenuto essenziale), posto a protezione della persona umana, che non può venire denegato, ed un ulteriore contenuto, soggetto a bilanciamento con interessi costituzionali di pari livello.

Con riferimento al diritto costituzionale alla casa (art. 2 Cost., ora anche in rapporto all’art. 8 della CEDU), inevitabili condizionamenti discendono dalla limitatezza delle risorse disponibili, che impone al Legislatore la determinazione di criteri non manifestamente irragionevoli di esercizio delle potestà che vi sono connesse: tra questi, rientra senza dubbio l’apprezzamento di un legittimo e stabile collegamento con il territorio nazionale, in difetto del quale verrebbe meno la stessa esigenza primaria che l’abitazione assegnata consenta in loco il pieno e dignitoso sviluppo della persona. E’ perciò esente da dubbi di costituzionalità la normativa nazionale (art. 40, comma 6 del d.lgs. n. 286 del 1998) con cui si subordina l’accesso ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica al conseguimento di idoneo titolo di soggiorno in capo allo straniero. Parimenti, non si può negare al Legislatore la discrezionalità di determinare anche un periodo di effettivo radicamento presso la località ove insistono gli immobili richiesti, a condizione che esso non rechi una discriminazione basata sulla nazionalità: in questa direzione, la normativa lombarda (art, 28 della L.r. n. 27 del 2009) ha introdotto il criterio della residenza o dell’attività lavorativa quinquennale nella Regione, con riferimento non solo allo straniero, ma allo stesso cittadino italiano e dell’Unione.

Peraltro, né l’art. 40 del d.lgs. n. 286 del 1998, né l’art. 28 della L.r. n. 27 del 2009 esigono, con riferimento allo straniero, che tale periodo si sia svolto integralmente in stato di “regolarità”: tale interpretazione delle norme in questione è stata dunque assunta dal Comune di Milano, senza che essa abbia alcun aggancio nella lettera della legge.

Né aiuta la parte resistente il ricorso alla ragione giustificatrice dell’intervento normativo. Come si è appena precisato, non debbono venire confusi due profili del tutto distinti: da un lato, si è già riconosciuto la legittimità di scelte normative intese ad escludere lo straniero irregolare dal sistema di edilizia residenziale pubblica; dall’altro lato, una volta che lo stato di irregolarità sia stato superato, e che dunque allo straniero debba venire riconosciuto il legittimo e stabile radicamento sul territorio nazionale di cui si è già detto, egli non può che concorrere all’assegnazione dell’alloggio in condizioni di piena parità con il cittadino, ovvero sulla base del comune criterio della residenza o dell’attività lavorativa quinquennale in Regione. Criterio, giova ribadire, che non è affatto teso a separare lo straniero già irregolare rispetto al cittadino, ma invece ad assicurarsi della presenza dell’uno e dell’altro sul territorio lombardo per un periodo adeguato.

Sarebbe perciò del tutto incompatibile con una simile finalità ignorare il reale legame venutosi a creare tra lo straniero e la comunità regionale, in seguito al fatto che il primo vi ha effettivamente risieduto o lavorato, quale che ne fosse lo stato di fronte alla legge. Non solo: si tratterebbe di un’interpretazione contraria a Costituzione, posto che essa introdurrebbe una lesione del principio di uguaglianza nel godimento di un diritto costituzionale, sulla base di un elemento formale inconferente rispetto alle finalità della norma.

In conclusione, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui lo straniero, una volta che abbia conseguito un titolo che ne legittimi il soggiorno sul territorio nazionale, può computare utilmente il pregresso periodo di effettiva residenza o di effettivo esercizio di attività lavorativa in condizioni di irregolarità, ove esso rilevi ai fini dell’esercizio di un diritto costituzionale, ed in particolare del diritto alla casa.

Il Comune di Milano è tenuto, nell’esame della domanda della ricorrente, ad attenersi, senza margine di deroga, a tale principio.

Ciò detto, si tratta di valutare se sia adeguata l’istruttoria condotta dal Comune per verificare se la ricorrente abbia soggiornato o lavorato in Lombardia nei 5 anni anteriori alla domanda, ovvero dal dicembre del 2004.

La ricorrente, che afferma di possedere tale requisito, ha depositato una sentenza del Tribunale civile di Milano, che ne ha accertata la qualità di conduttrice di un immobile in Via ***, a partire dal settembre 2005. Nel contempo, ha dedotto di avere avviato attività lavorativa “in nero” fin dall’antecedente ingresso irregolare, indicandone specificamente datore e modalità.

A fronte di ciò, il Comune, nel provvedimento di conferma dell’esclusione dalla graduatoria, si è trincerato dietro l’insufficiente dato formale costituito dall’acquisizione della residenza anagrafica nel 2007, e, quanto all’attività lavorativa, si è limitato a constatare l’omissione di ogni dichiarazione concernente il reddito ed i contributi previdenziali, il che è del tutto ovvio alla luce del fatto che non vi era stata regolare assunzione. Si sarebbe dovuto, invece, compiere un’approfondita istruttoria sulle circostanze specificamente allegate dalla ricorrente, se del caso assumendo informazioni orali in merito.

Il ricorso principale e quello per motivi aggiunti sono dunque fondati, con riferimento al primo motivo, nella parte in cui si lamenta la violazione dell’art. 28 della L.r. n. 27 del 2009, e al secondo motivo, nella parte in cui si deduce difetto di istruttoria, con assorbimento delle ulteriori doglianze.

Per effetto di ciò, gli atti impugnati vanno annullati e il Comune riesaminerà la domanda, attenendosi ai principi enunciati nella presente sentenza.

Le spese sono compensate, essendo stato accordato all’istante il gratuito patrocinio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, cosi’ provvede:

accoglie il ricorso principale e il ricorso recante motivi aggiunti, e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2011
         
         

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/12/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Mercoledì, 14 Dicembre 2011

 
 
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