Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 28 febbraio 2011)
Sommario
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Emergenza Mediterraneo: attenti
a giocare con le cifre pag. 2
o
1° marzo – Colora di
giallo Milano pag. 3
o
Rifugiati – Notte al
gelo per i somali pag. 4
o
Giurisprudenza –
Immigrati illegali: sentenza del Consiglio di Stato pag. 5
o
Lavoro –
L’immigrazione per lavoro: evoluzione e prospettive pag. 6
o
Lavoro - Flussi: ecco il resto delle quote pag. 7
o
Click – Day –
Forlani: “quasi il 70% delle domande sono per lavoro domestico” pag. 8
o
Società – Mezzo
milione di famiglie miste pag. 8
o
Società – “Mandiamoli
a casa”: i 10 peggiori luoghi comuni sugli immigrati pag. 9
o Foreign Press
– The unstoppable flow pag. 10
o
Prensa Extranjera – Tres
preguntas sobre la revoluciòn àrabe pag. 11
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 305
Dipartimento
Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 3 marzo 2011, ore 11.
Parlamentino CNEL
Presentazione del rapporto
Ocse- Sopemi 2010: “International Migration Outlook”
(Angela Scalzo)
Roma, 3 marzo 2011, ore 10, Thon
Hotel Bruxelles
CES Round tables project: “What price the tomatoes?
(Giuseppe Casucci)
Parma, 14 marzo 2011 – ore
20
China Blue: “il buono ed il
bello della delocalizzazione”
(Giuseppe Casucci)
Roma, 16 marzo 2011, ore 10
– sede nazionale Confindustria, via dell’Astronomia, sala P
Incontro Cgil, Cisl, UIL con
associazioni imprenditoriali su immigrazione
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 24 marzo 2011, ore 10.00
– sede Ambasciata Britannica in Roma
Conferenza Internazionale su
flussi migratori e politiche di integrazione
(Giuseppe Casucci)
Roma, 30 marzo 2011, ore 09.30
sede UIL Nazionale, sala Bruno Buozzi
Riunione Coordinamento
Nazionale Uil Immigrati
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci,
Angela Scalzo)
Di Claudia Da Conto,
Panorama.it
Fino a un
milione e mezzo di immigrati pronti a sbarcare in Europa dopo il collasso dei
regimi nordafricani. Facendo tappa proprio in Italia. La stima è di Frontex,
l’agenzia europea che si occupa del controllo delle frontiere esterne del
vecchio continente. Un’emergenza di fronte alla quale il ministro dell’Interno Roberto
Maroni ha già alzato le mani («Non reggeremo a lungo») insistendo con
Bruxelles affinché anche gli altri paesi della Ue facciano la loro parte, non
lasciando soli i Paesi europei del sud del Mediterraneo.
«Attenzione
però a non esagerare con le cifre - spiega Gian Carlo Blangiardo,
docente di Demografia alla Bicocca di Milano e membro della Fondazione Ismu.
«Se consideriamo solo la Libia, dove in tutto vivono 6,5 milioni di persone, è
poco plausibile pensare che 1 milione e mezzo di loro siano già pronte con la
barchetta a buttarsi in mare per arrivare da noi».
Considerando
invece l’intera striscia del Maghreb, invece?
Facciamo dei
calcoli: Libia 6,5 milioni di abitanti, Algeria 35, Egitto 84, Tunisia 10,5,
Marocco 32, siamo intorno a 170 milioni di persone. In questo caso è già più
plausibile anche se resto dell’idea che difficilmente 1 milione e mezzo di
persone siano davvero pronte a imbarcarsi. E’ sicuramente vero, invece, che
tutte queste persone, se non di più, siano in subbuglio e ciò per vari motivi,
anche semplicemente perché stanno cercando cibo o altri generi di prima
necessità.
Che
siano più o meno di un milione, chi sarà ad imbarcarsi?
Quelli che di
solito s’imbarcano e cioè giovani, prevalentemente maschi, per lo più in cerca
di un lavoro e di condizioni economiche migliori.
Niente
famiglie con donne e bambini?
E’ difficile,
piuttosto penso che ci sarà qualche rifugiato in più che teme per la propria
sopravvivenza e che rischia qualcosa sia che Gheddafi venga deposto, nel caso
dei suoi seguaci, sia che invece riesca a riprendere in mano il controllo della
situazione nel caso di suoi oppositori.
E
tutti gli africani sub sahariani bloccati? Loro non tenteranno di riprendere la
loro strada verso l’Europa approfittando della caduta del regime?
E’ possibile.
Gheddafi aveva costruito una sorta di diga dietro alla quale c’è sempre stato
un mondo enorme di giovani alla ricerca di un lavoro. Basti considerare che per
offrirne uno a tutti loro l’Africa sub sahariana dovrebbe essere in grado di
creare almeno 16 milioni di nuovi posti all’anno. Adesso questa diga si sta
sgretolando insieme a un regime che fino a questo momento aveva esercitato, e a
noi ci faceva cinicamente comodo, una forte dissuasione, a carattere molto
violento, su chi voleva partire.
Quindi
adesso partiranno…
Per evitarlo
bisognerebbe far capire a questa gente, con modalità persuasive e democratiche,
che è meglio che non lo facciano perché i paesi che vorrebbero raggiungere non
sono in grado di ricevere flussi di questa entità.
Chi
dovrebbe farglielo capire?
I nuovi
governi democratici che io mi auguro si instaurino nei paesi dove è divampata
la rivolta.
Professore,
l’emergenza è adesso e i tempi di formazione di nuovi governi democratici sono
troppo lunghi…
D’accordo, ma
questa è l’unica possibilità.
E il
ruolo dell’Europa?
L’Europa, in
quanto entità politicamente unita, dovrebbe sforzarsi di sostenere questi nuovi
governi anche attraverso aiuti economici chiedendo in cambio da parte loro un
serio impegno nel tenere sotto controllo la situazione.
Non è
quello che l’Italia, ad esempio, aveva già tentato di fare con la Libia?
Sì, ma un
conto è trattare con un dittatore che mira a tenere i propri partner sotto
ricatto, un altro farlo con governi seri e democratici.
Quanta
gente siamo in grado di accogliere in Italia o anche solo far transitare?
Guardi, in
Italia oggi ci sono 5 milioni e 300 mila stranieri, 10 anni fa si arrivava a 2
milioni, eppure, di fronte a questo incremento, non è stata la fine del mondo.
Certo che se arrivassero ora tutte insieme 1 milione e mezzo di persone lo
scenario diventerebbe fosco. C’è il rischio di un’ondata di violenza.
Non è
troppo pessimista?
Una cosa è
certa: in questo momento, per una questione di tempi, non saremmo assolutamente
in grado di assorbire questi numeri nemmeno nel giro di qualche mese.
1° Marzo
Primo Marzo 2011
La Rete delle
organizzazioni milanesi colora di giallo Milano
per difendere i
diritti degli immigrati!
Appuntamento
martedi 1 marzo, in Piazza Duca D’Aosta alle 18.00
Comunicato
Stampa - Il giallo è il nostro colore: questa la “parola d’ordine” della Rete
di sindacati, associazioni e comitati che si ritroveranno ancora, insieme ai
cittadini milanesi, in occasione della giornata del Primo Marzo 2011, per un
momento di festa e sensibilzzazione. Temi centrali saranno i diritti degli
immigrati, la crisi economica, il lavoro e la coesione sociale. Il ritrovo sarà
in Piazza Duca D’Aosta alle 18.00. Tutti colorati di giallo! “Siamo vecchi e
nuovi cittadini – si legge nei principi che hanno ispirato la giornata
del Primo Marzo e l’azione della Rete di organizzazioni milanesi -: italiani,
immigrati, seconde generazioni, siamo lavoratori, persone di ogni provenienza,
genere, fede, educazione e orientamento politico, accomunati dal rifiuto
dell'intolleranza e della chiusura che caratterizzano il presente della società
italiana. Vogliamo che l’Italia sia un paese accogliente, dove costruire una
civile convivenza fondata sulla non discriminazione, sul lavoro e sul rispetto
della dignità di tutte le persone che vi abitano”. La crisi economica ha
colpito duramente intere fasce della popolazione. Moltissime persone hanno
perso il lavoro, ma per i lavoratori immigrati la perdita del posto di lavoro
significa anche la perdita del permesso di soggiorno e della possibilità di
vivere legalmente alla luce del sole. Il meccanismo dei Decreti Flussi ha
dimostrato l’inefficacia delle attuali politiche in tema di immigrazione,
poiché non ha consentito un reale incontro tra domanda e offerta di lavoro e,
soprattutto non ha consentito l’emersione del lavoro irregolare, che l’economia
del Paese già impiega, lasciando spazio a possibili truffe. Coesione sociale e
una vita pacificata passano attraverso la possibilità concreta di costruire
progetti di vita e di integrazione, legati anche al rispetto dei tempi previsti
dalla legge per i ricongiungimenti familiari. Le organizzazioni della Rete chiedono
la cittadinanza italiana per chi nasce e cresce in Italia e il diritto di voto
amministrativo per gli immigrati regolari che lavorano, pagano le tasse e
contribuiscono allo sviluppo economico e alla tenuta sociale del Paese. Le
stesse Istituzioni dichiarano di avere risorse dedicate: tali risorse devono
essere indirizzate ad investimenti in politiche di integrazione a partire da
scuola, casa, salute e politiche sociali. Tra le richieste della rete vi è
anche: il recepimento della Direttiva 2009/52/CE, che prevede l’inasprimento
delle sanzioni a carico dei datori di lavoro che sfruttano la manodopera
irregolare; la richiesta che il permesso di sei mesi per ricerca di occupazione
cominci a decorrere alla fine del periodo di godimento delle indennità di disoccupazione
o di mobilità; un maggior uso delle politiche attive volte ad un loro
reinserimento occupazionale e tempo maggiore per cercare, legalmente, una nuova
occupazione per coloro che sono privi di ammortizzatori sociali; i rilascio dei
permessi di soggiorno entro venti giorni dalla richiesta, come prescritto dalla
Legge.
Acli Milano, Arci Milano, Cgil
Milano, Cisl Milano, Emergency Milano, Fillea Cgil Milano, Legambiente, Libera
Milano, No Razzismo Day, Primo Marzo, Uil Milano.
Rifugiati
I rifugiati somali sotto i portici di piazza
del Campidoglio
Roma, 27
febbraio 2011 - Si sono ritrovati stamani in piazza Indipendenza per poi
trasferirsi in piazza del Campidoglio, i circa 100 rifugiati politici somali
sgomberati ieri dall'ex ambasciata del loro Paese a Roma, dove venerdì una ragazza italiana è stata violentata.
Lo ha riferito la presidente dell'associazione delle donne somale in Italia,
Osman Lul, che sta seguendo da vicino le sorti del gruppo.
Le richieste
Per lo stupro
sono stati fermati tre somali, uno di questi è stato poi rilasciato. I
rifugiati, dopo lo sgombero dall'ex sede diplomatica, si sono riuniti in piazza
della Croce Rossa, nelle aiuole davanti al ministero dei Trasporti, nel centro
della capitale, con alcuni rappresentanti di associazioni di volontariato e di
movimenti legati ai centri sociali. Poi i disagi e il freddo hanno avuto la
meglio. "E' arrivata un'unità mobile della Croce Rossa per soccorrere
quelli che stavano male. Tra i rifugiati ci sono dei ragazzi diabetici",
ha raccontato Lul al telefono, spiegando che i rifugiati "hanno passato la
notte nei sotterranei della fermata metro di Barberini e se ne sono andati
quando la metropolitana ha aperto. Ieri sera - ha aggiunto Lul - la Protezione
civile gli ha portato delle coperte, ma non mangiano da 24-48 ore. Ora sembra
che abbiamo ottenuto una ventina di pasti dalla Caritas di Colle Oppio".
Secondo la presidentessa, "nessuno del Comune si è fatto vivo per dirci
dove andare". Un altro gruppo con coperte, giornali, zaini e sacchi a pelo
un gruppo di circa 50 somali, ha trascorso la notte in piazza Indipendenza. Tra
loro anche il giovane rilasciato in nottata. "Ho incontrato la ragazza
venerdì sera a Termini - ha spiegato il giovane, avvolto in una sciarpa - non
sono autorizzato a dire altro. Ho dato la mia versione alla polizia".
Indicato da tutti i connazionali che lo guardavano con diffidenza, il giovane
dalla corporatura robusta e con lunghe basette, ha lasciato piazza Indipendenza
da solo. Intanto, dopo aver lasciato piazza Indipendenza. Con trolley, coperte
e cuscini sono pronti a trascorrere la prossima notte davanti al Comune di
Roma. "Rimarremo qui finché Alemanno non ci riceverà e ci darà una
sistemazione adeguata - ha spiegato Shuckri Said, portavoce dell'associazione
Migrare - qui ci sono solo rifugiati politici, non criminali. Hanno diritto a
una sistemazione definitiva perché lo status giuridico è una scatola vuota e
chiediamo di riempirla". A raggiungere i somali in segno di solidarietà il
presidente dell'associazione "A buon diritto", Luigi Manconi, che in
passato aveva denunciato lo stato di abbandono dello stabile. Nel corso del
pomeriggio gli immigrati hanno incontrato il delegato alla sicurezza del
sindaco, Giorgio Ciardi. Al termine è arrivato l'annuncio che il Comune concede
ai rifugiati gli alloggi preparati per fronteggiare l'emergenza freddo.
"Ma deve intervenire il governo", ha detto Ciardi, spiegando che nei
confronti dei rifugiati il Comune non ha poteri. I circa 100 rifugiati, fino a
quando le temperature non saranno più miti, potranno dormire nelle strutture di
via Silicella 10 (Torre Maura), del sottopasso Eur-Fermi e in via di Torre
Branca (Appio Claudio). L'assessore Belviso. E l'assessore
alle Politiche sociali di Roma Capitale, Sveva Belviso ha rivolto un appello al
ministro dell'Interno Roberto Maroni. "Il circuito dell'accoglienza
capitolino è saturo - ha sottolineato l'assessore - Roma mette a disposizione
nelle 22 strutture di accoglienza per rifugiati, 1600 posti letto che
rappresentano il 50 per cento di quelli messi a disposizione dal Governo
nazionale e spende 7,5 milioni di euro del proprio bilancio, mentre sono oltre
1200 i richiedenti asilo in lista d'attesa. Roma non può essere lasciata da
sola a fronteggiare un'emergenza di questo tipo. Ci appelliamo al ministro
Maroni affinché venga emanato un decreto legge sui rifugiati, nella fattispecie
sul sistema dell'accoglienza, che stabilisca una volta per tutte competenze
specifiche e modalità con cui debba essere gestita questa problematica, che
vengano stanziati finanziamenti adeguati e che si agevolino le procedure previste
nei casi di persone che si fossero macchiate di reati gravi".
La portavoce dell'Unhcr. "Chiudere l'ex ambasciata somala
è stato un provvedimento necessario, ma è altrettanto necessario trovare una
sistemazione dignitosa per i circa cento somali completamente estranei allo
stupro avvenuto nella struttura e denunciato alla polizia dagli stessi somali
che hanno anche bloccato degli aggressori", ha detto la portavoce del
Consiglio della Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), Laura Boldrini. "E'
importante - ha aggiunto - fare chiarezza su quanto è avvenuto e perseguire gli
individui
che hanno commesso questo odioso reato ai danni della ragazza, ma al tempo
stesso non si può stigmatizzare un intero gruppo".
"I somali che si erano riparati nei locali dell'ex ambasciata, una
struttura abbandonata priva di servizi igienici, luce e acqua, sono tutti in
possesso di permesso di soggiorno per protezione internazionale", ha detto
Boldrini. "Erano in quel luogo per disperazione - ha continuato - non avendo
ricevuto alcun altra forma di accoglienza". "La scorsa notte, dopo la
chiusura dell'ex ambasciata - ha detto ancora la portavoce dell'Unhcr - si sono
dovuti, infatti, sistemare nelle scale di una stazione della
metropolitana". L'Unhcr ha esortato quindi il sindaco di Roma e le altre
autorità competenti"a trovare una soluzione che preveda la presa in carico
di queste persone e l'avvio di un percorso di integrazione che consenta loro di
diventare autosufficienti e quindi una risorsa a disposizione della comunità".
Reazioni. "Non posso credere che il sindaco di Roma abbia
deciso di abbandonare a se stesse cento persone perbene che hanno regolare
status di rifugiato e hanno denunciato l'episodio di violenza ai danni di una
ragazza", ha detto la responsabile del Forum Immigrazione del Pd
Livia Turco. "Ormai dovremmo aver imparato tutti, e anche a nostre spese -
ha detto la parlamentare - che non c'è sicurezza senza integrazione".
"Il terribile stupro avvenuto venerdì notte all'interno dello stabile,
sede dell'Ambasciata somala e proprietà dello Stato somalo, non ha nulla a che
fare, a nostro parere, con colpe immediate dell'amministrazione comunale
capitolina", ha aggiunto Angelo Masetti, portavoce del Forum Italia
Somalia per la pace e la ricostruzione, per il quale, "quanto avvenuto è
piuttosto lo specchio nel quale si riflette l'immagine di uno Stato italiano,
che ha fatto dell'ambiguità e dell'oblio la sostanza della sua politica estera
nei confronti della Somalia".
Giurisprudenza
Immigrati illegali, ora si può fare ricorso.
La nuova sentenza del Consiglio di
Stato.
Anche gli immigrati
irregolari condannati per non aver rispettato l'ordine d'espulsione dall'Italia
possono chiedere la regolarizzazione.
di VLADIMIRO POLCHI , www.repubblica.it
Roma, 26
febbraio 2011 - Si allargano le
maglie della sanatoria 2009: anche gli immigrati irregolari condannati per non
aver rispettato l'ordine d'espulsione dall'Italia possono ricorrere alla
regolarizzazione. L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha accolto,
infatti, il ricorso di un lavoratore straniero escluso dalla sanatoria per colf
e badanti. E' l'ennesima falla, che si apre nella linea dura imposta dal
Viminale.
Un passo indietro. La sanatoria varata nel 2009 dal governo
consentiva la regolarizzazione di colf e badanti, attraverso una dichiarazione
d'emersione, accompagnata al pagamento di 500 euro. Quante domande sono
arrivate? 294mila, dal primo al 30 settembre 2009. La procedura però non è
filata liscia. Come denunciato
da Repubblica 1, infatti, ogni questura ha interpretato a
modo sua la sanatoria. Nessun problema per tutti quegli immigrati con un
semplice decreto d'espulsione alle spalle. Le cose cambiano, invece, per quei
lavoratori extracomunitari espulsi, trovati di nuovo sul territorio italiano e
condannati per non aver appunto rispettato l'ordine d'allontanamento impartito
dal questore. Questi ultimi possono o no essere regolarizzati? Dipende da dove
si è presentata la domanda. Alcune questure hanno negato la sanatoria (come
quelle di Trieste, Rimini e Perugia), altre invece l'hanno consentita.
La circolare del Viminale. Una situazione a macchia di
leopardo, che ha indotto il ministero dell'Interno a chiarire ciò che prima
chiaro non era. Con la circolare spedita il 17 marzo 2010 a tutti i questori,
il capo della polizia Antonio Manganelli ha sposato la linea dura già adottata
da alcune questure: chi ha avuto una condanna per inottemperanza al
provvedimento d'espulsione non può perfezionare la procedura di
regolarizzazione. La fattispecie prevista nell'articolo 14, comma 5 ter, della
Bossi-Fini infatti prevede la reclusione da uno a quattro anni e quindi rientra
tra quei reati per i quali è proibita la regolarizzazione. La circolare di
Manganelli contempla anche delle eccezioni a questo divieto di sanatoria. Ma il
giro di vite rimane e chi - in buona fede - ha presentato domanda di regolarizzazione
di un immigrato espulso e condannato si vede così beffato.
Il Consiglio di Stato. A quasi un anno dalla circolare del
Viminale e dopo decine di ricorsi ai Tar, il 25 febbraio 2011 l'adunanza
plenaria del Consiglio di Stato ha accolto un appello cautelare di Cheikh Iba
Seck, la "cui domanda di emersione dal lavoro irregolare era stata
dichiarata inammissibile in ragione della condanna riportata da quest'ultimo
per essersi trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione
dell'ordine impartito dal questore".
Una questione complessa. L'adunanza plenaria del Consiglio di
Stato ha "preso atto della complessità della questione sottopostale e
della connesse difficoltà interpretative" e "ritiene che, tenuto
anche conto della natura cautelare del provvedimento appellato, sia necessario
attendere che l'esame dei profili di diritto sia affrontato nella rituale sede
di merito dinanzi al giudice di primo grado, cui la questione viene
rimessa". Tradotto: l'appello di Cheikh Iba Seck viene accolto, viene
sospesa la decisione di escluderlo dalla sanatoria e il caso viene rinviato al
Tar per l'esame di merito. Una vittoria, seppure parziale, per i chi si
considera "truffato" dalla sanatoria, che rimanda però ai vari Tar
per la risoluzione dei singoli casi.
Leggi la
sentenza del Consiglio di Stato
Lavoro
Ministero del Lavoro
L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e
prospettive
Malgrado la crisi, ancora in aumento
l’occupazione “etnica”
map/mcc/bra
(ASCA) - Roma, 23 febbraio - Con la crisi
in Italia e' aumentata l'occupazione degli immigrati. E' quanto emerge dal
rapporto ''L'immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive''
presentato oggi dal ministero del Lavoro. Nei cinque anni precedenti la crisi
economica (tra 2003 e 2008), si legge nella ricerca, quasi tutti i Paesi
europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto dell'occupazione. In
molti di essi tale crescita e' stata trainata dalla componente immigrata.
Irlanda, Spagna, Italia e Gran Bretagna registrano, in questo periodo, tassi di
variazione degli occupati stranieri superiori al 10%, a fronte di aumenti
complessivi tra l'1 e il 3%. La crisi economica ha interrotto questo processo
di crescita. Tra il 2008 e il 2010 gli occupati stranieri nell'Unione europea sono
diminuiti dello 0,8% contro una flessione complessiva del 2,4%. In Italia,
secondo i dati Istat, il bilancio nei due anni della crisi (2009 e 2010) indica
una perdita di 554 mila posti di lavoro (realizzata per più di due terzi nel
primo anno), ripartiti tra un calo degli occupati italiani pari a circa 863
mila unità (-4,0%) ed ad una crescita dell'occupazione immigrata di 309 mila
unità (+17,6%). A questo si aggiunge la diminuzione del tasso di occupazione,
l'incremento del tasso di disoccupazione e del numero di persone in cerca di
occupazione sia per gli italiani che per gli stranieri. Tra il 2008 e il 2010,
a fronte di un leggero calo della popolazione italiana dai 15 anni in su (-63
mila, -0,1%), si e' registrato un aumento significativo di quella straniera
(+626 mila, +24,4%). Tali dinamiche demografiche si riversano sull'occupazione
in modo diverso. Nel caso degli italiani alla diminuzione del numero di
occupati (-863 mila) si accompagna l'incremento dei disoccupati (+281 mila) e
degli inattivi (+519 mila). Nel caso degli stranieri l'aumento della
popolazione si riversa in ognuno dei tre aggregati: occupati (+309 mila),
disoccupati (+104 mila) e inattivi (+213 mila). Negli ultimi due anni, prosegue
il rapporto, il numero di disoccupati presenti in Italia e' passato da 1,7
milioni del 2008 ad oltre 2 milioni nel 2010. L'aumento ha riguardato per 281
mila unità la componente italiana e per 104 mila quella straniera, con un
variazione percentuale superiore al 60%, concentrato soprattutto nel primo anno
di crisi. Più contenuta, ma di ampiezza rilevante, la crescita della componete
italiana (+18,4%) che nel primo anno di crisi ha visto il 62,6% dei
licenziamenti. Senza ombra di dubbio sono i maschi i più colpiti dalla crisi.
Infatti l'incremento delle persone in cerca di occupazione e' pari al 34,6% tra
il 2008 e il 2010, contro l'11,6% registrato dalle femmine. Variazione
percentuale che si fa consistente tra gli stranieri: +101,5% e +37,9%
rispettivamente per maschi e femmine, contro il 28,7% e l'8,4% degli italiani.
All'incremento delle persone straniere in cerca di occupazione si affianca una
crescita consistente del tasso di disoccupazione. Sul fronte dell'utilizzo
degli ammortizzatori sociali, il 2009 e il 2010 si sono caratterizzati per la
crescita delle ore concesse di cassa integrazione guadagni superando anche i
valori raggiunti con la crisi del 1984 e del 1993. I lavoratori coinvolti sono
risultati circa 554 mila nel 2009 e 729 mila nel 2010 pari rispettivamente a
circa il 3 e il 4% dei lavoratori complessivi. Accanto alla cassa integrazione
si sono registrati incrementi considerevoli del numero di beneficiari
l'indennità di mobilità e di disoccupazione concesse a seguito del
licenziamento del lavoratore. I beneficiari stranieri dell'indennità di mobilità
nel 2009 si sono incrementati del 28,9% a fronte di una crescita complessiva
del 9,6% e della componente italiana dell'8,3%. Per quanto riguarda la
disoccupazione non agricola l'aumento dei percettori stranieri e' risultato del
65,4% nel caso di requisiti ordinari e del 3,3% per i requisiti ridotti. I
corrispondenti incrementi per gli italiani si sono attestati su tassi inferiori
e per i requisiti ridotti si e' osservata una diminuzione dei beneficiari.
Infine osservando la disoccupazione agricola, a fronte di una diminuzione dei
beneficiari italiani vi e' stato un incremento di quelli stranieri, del 16,8%
nel caso di requisiti ordinari e del 39,1% per quelli ridotti. Il Sistema
informatico delle Comunicazioni Obbligatorie (CO) contiene i dati raccolti in
maniera continuativa dai datori di lavoro. Sono dati di natura amministrativa e
riguardano l'universo dei rapporti di lavoro a carattere dipendente o
parasubordinato comunicati da tutte le unità produttive localizzate sul
territorio nazionale. Nel 2009 il sistema CO ha registrato un saldo modesto o negativo
per molte categorie. A spiegare la crescita occupazionale del 2009 sono
essenzialmente i settori del terziario a maggiore componente femminile:
alberghi e ristoranti, istruzione, sanità e no profit. Attualmente sono
disponibili i primi sei mesi del 2010, ma a causa della stagionalità dei dati
e' prematuro fare ipotesi sulla grandezza del saldo. Il 2010 si profila come un
anno di transizione in cui si stabilizzeranno i processi iniziati l'anno precedente,
con flebili segni di ripresa.
Scarica
una sintesi del rapporto
Flussi: ecco il
resto delle quote
Distribuiti tra le provincie
gli altri ingressi. Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige hanno
detto “no” Di Elvio
Pasca
Roma – 22 febbraio 2011
– Tutti gli ingressi autorizzati del decreto flussi sono ormai stati
divisi tra le province italiane. Gli sportelli Unici possono assegnarli, fino a
esaurimento, alle domande di assunzione presentate da aziende e famiglie.
All’inizio del mese, subito dopo i click day, la Direzione Immigrazione del
ministero del Lavoro aveva già distribuito una prima parte degli ingressi,
regolandosi in base al numero di domande presentate in ogni provincia. Nelle
scorse settimane ci sono state invece consultazioni sul territorio con
istituzioni locali e parti sociali, che hanno espresso il fabbisogno di
lavoratori stranieri. Ieri, in base a quelle indicazioni, sono stati distribuiti gli altri
ingressi.
Sulla nuova
distribuzione pesano alcune scelte, fatte a livello locale, di non chiedere
altri lavoratori stranieri, visto che ce ne sono già molti disoccupati. È il
caso delle province autonome di Trento e Bolzano, alle quali non sono stati
assegnati altri ingressi, così come del Veneto, che ne ha avuto poco più di
trecento, e del Friuli Venezia Giulia, che si è fermato a quota cento.
Il ministero
ha anche ribadito che nell’assegnazione degli ingressi non si potranno
privilegiare alcune categorie di lavoratori (ad esempio le badanti) rispetto ad
altri. La regola è sempre stessa: “procedere all’esame delle domande sulla base
dell’ordine cronologico di presentazione”.
Ecco gli ingressi assegnati
provincia per provincia
Qui invece trovate le quote distribuite precedentemente:
Nazionalità privilegiate
Lavoro domestico
Conversioni di permessi di
soggiorno
Click day, Natale
Forlani: “quasi il 70% delle 406 mila domande presentate hanno riguardato il
lavoro domestico”
Circa il 70%
delle domande presentate nell'ambito delle quote di lavoratori stranieri (circa
100 mila) hanno riguardato il lavoro domestico; prima di tutto colf (62%) e poi
badanti (8,6%). Lo ha riferito il direttore generale del ministero del lavoro e
delle politiche sociali Natale Forlani illustrando il bilancio del click day
che ha visto quasi 400 mila domande inoltrate.
Circa 320 mila domande hanno fatto riferimento alle comunita' privilegiate,
ossia quelle comunita' per le quali sono stati stipulati, o sono in corso
contatti in tal senso, accordi bilateriale specifici. Fra queste, in
particolare, spiccano le richieste per l'assistenza domestica.
Forlani ha sottolineato che diverse di queste domande sono presentate da datori
di lavoro stranieri: 'C'e' un'evidente domanda di ricongiunzione familiare o di
far arrivare qui conoscenti. E questo dovra' essere vagliato dagli uffici
preposti all'esame delle domande'. Il direttore generale ha inoltre annunciato
che e' intenzione del ministero arrivare a disporre di una rete di accordi con
i paesi del sud est asiatico (come India, Pakistan, Filippine, Sri Lanka e
Bagladesh) da cui provengono i due terzi dei lavoratori che aspirano ad entrare
in Italia per lavorare.
Società
Immigrati. Mezzo milione di famiglie miste
(http://immigrazione.aduc.it/)
L'Italia e' sempre piu' un variegato puzzle etnico: delle oltre due milioni di
famiglie con stranieri nel nostro paese, il 22,6 per cento, ossia circa mezzo
milione, sono famiglie "miste", frutto di un unione tra italiani e
immigrati. Lo rileva l'indagine Istat 'Le famiglie con stranieri: indicatori di
disagio economico' riferita al 2009. Alla fine del 2009, i cittadini stranieri
residenti in Italia sono poco piu' di 4 milioni e 235 mila, con una
distribuzione piuttosto disomogenea sul territorio (il 35 per cento nel
Nord-ovest, il 26,6 per cento nel Nord-est, il 25,3 per cento nel Centro e il
13,1 per cento nel Mezzogiorno). Le famiglie in cui e' presente almeno un
componente straniero ammontano invece a 2 milioni e 74 mila, l'8,3 per cento
del totale delle famiglie. Tra queste, il 22,6 per cento e' costituito da
famiglie miste, in cui sono presenti, cioe', sia italiani sia stranieri; data
l'alta quota di famiglie straniere composte da un solo individuo, tale
percentuale sale al 35,3 per cento se consideriamo le famiglie composte da
almeno due persone. Le condizioni di vita delle famiglie miste risultano essere
migliori rispetto a quelle delle famiglie di tutti stranieri, ma sicuramente
peggiori di quelle costituite solamente da cittadini italiani. Ad eccezione
delle famiglie con persona di riferimento di cittadinanza polacca (33 per cento
sul totale di famiglie, il 55 per cento se consideriamo soltanto le famiglie
con almeno due componenti), nessuna tra le 13 cittadinanze maggiormente presenti
nel nostro Paese presenta un'incidenza di famiglie miste superiore alla media
(22,6 per cento). Si tratta di un risultato dovuto al fatto che le famiglie con
stranieri provenienti dai paesi sviluppati sono caratterizzate da quote di
famiglie miste decisamente piu' elevate. Spicca, tuttavia, l'incidenza delle
famiglie miste tra quelle con persona di riferimento tunisina (22,4 per cento),
ucraina (22,3 per cento), moldava (19,1 per cento) e peruviana (18,3 per
cento). Meno diffuse, invece, le famiglie miste nelle comunita' asiatiche (6,9
per cento l'indiana, 8,8 per cento la cinese e 8,9 per cento la filippina), ma
anche in quella macedone (11,8 per cento) e marocchina (13,2 per cento).
(http://www.net1news.org)
– Roma, 22 febbraio 2011. C'è un libro e un docu-film intitolati "Mandiamoli
a casa" che ben raccontano i luoghi comuni sugli immigrati. False
convinzioni care soprattutto a una certa parte politica. Vediamo alcuni dogmi e
vediamo come siano tutti falsi.
1.
"Gli stranieri sono il 23%, troppi!"
Al 1° gennaio
2009 gli immigrati in Italia erano oltre 4,8 milioni, 500mila in più rispetto
al 2008, di cui i regolari sono 4,4 milioni. Rispetto al 2008, gli immigrati
irregolari diminuiscono del 30%. Rispetto alla popolazione italiana, la
presenza degli immigrati si situa tra il 5,8% dell’inizio 2008, al 6,5% del
2009, al 7,3% (stima) del 2010. (Fonti Ismu e dati Istat).
2. "Vengono
tutti qui!"
Percentuale
di stranieri nei Paesi UE (2008)
- EU27 6,2%
- EU25 6,6%
- EU15 8,9%
- Irlanda 12,6%
- Spagna 11,6%
- Austria 10,2%
- Germania 8,8%
- Gran Bretagna 6,6%
- Italia 5,8%
- Francia 5,7%
3. "Non
gli facciamo costruire le moschee, perché al loro paese non ci fanno costruire
le chiese"
Nei paesi
islamici sono presenti molte chiese cattoliche. Per esempio in Marocco i
cattolici sono circa 27 mila, pari a meno dello 0,1%, su una popolazione di
33.757.750 abitanti. Il Marocco ospita 3 cattedrali e 78 chiese. Senza contare
che la maggioranza degli stranieri è cristiana.
Religioni tra
gli stranieri:
- Musulmani
1.200.000
- Cattolici 860.000
- Altri cristiani 1.100.000
- Altre confessioni (induisti, buddisti, sikh) 200.000
- Atei 230.000
- Non dichiarati 80.000
4. "Vengono
qua e ci rubano il posto, lavorando in nero"
Gli immigrati
hanno lavori regolari. La quasi totalità di immigrati adulti con permesso di
soggiorno presenti in Italia sono iscritti all’Inps. I dati che si riferiscono
all’anno 2007 sono abbastanza eloquenti: gli assicurati stranieri sono
2.173.545, pari al 92% di tutta la popolazione straniera regolare censita. È
evidente che il lavoro nero sarà invece l’unica opzione per gli immigrati senza
permesso di soggiorno, in quanto la legge impedisce loro di essere assunti in
modo regolare, non avendo i documenti in regola. Anzi gli immigrati migliorano
la possibilità d’impiego degli italiani.
5. "Quelli
che vengono sono i peggiori!"
Non esiste un
aumento del tasso di criminalità legato all’immigrazione. I tassi di
criminalità, cioè il numero dei reati ascritti a stranieri sul totale della
popolazione straniera, non è molto dissimile da quello degli italiani: gli
italiani fanno segnare secondo dati del Ministero dell’Interno lo 0,7%, mentre
gli stranieri salgono al 3,8% (tra questi vengono conteggiati anche reati
legati alla immigrazione clandestina (false dichiarazioni sull’identità, ecc)
che sono la stragrande maggioranza dei reati commessi dai non italiani. Se si
considerano gli immigrati regolari il rapporto, infatti, scende all’1,4%.
6. "Meno
immigrati, meno criminali"
Si tratta
della frase pronunciata da Berlusconi (un luogo comune diventato premier) il 28
gennaio 2010. La popolazione straniera, nella condizione di migrante, è più
esposta della popolazione residente alle attività criminali. Ciò è un dato
confermato in tutti i Paesi europei. Parlare, però, di un’equazione tra
immigrazione e aumento della criminalità è errato e fuorviante.
7. "Vengono
qui e si fanno curare a nostre spese"
Per la verità
pagano le nostre pensioni. Gli immigrati pagano le tasse (e pochissimi le
evadono).
8. "Nelle
graduatorie per la casa sono favoriti gli stranieri"
Gli immigrati
non sono favoriti nei criteri. Il caso di Torino, nel link fonte, lo spiega
benissimo.
9. "Meno
male che c’è la Lega"
Il fallimento
delle “ronde di governo” è sotto gli occhi di tutti. Prima del decreto Maroni
c’erano 68 ronde (di cui 17 in Lombardia, 10 in Veneto, 5 in Piemonte, Liguria,
Emilia, Toscana), dopo il decreto solo 6 di queste hanno chiesto di essere
‘regolarizzate’ (2 a Roma, 1 a Milano, 1 a Treviso). Molta enfasi e poca
sostanza: quasi nulla.
10. "Gli
vogliono dare il voto perché votano tutti a sinistra"
Un’indagine
Ismu-Orim della Regione Lombardia precisa che gli stranieri voterebbero in modo
molto diverso. Alcuni, soprattutto i neocomunitari (Europa dell’Est),
voterebbero a destra, con percentuali bulgare (e non è una battuta). Si
distinguono per il voto a favore di forze conservatrici soprattutto i rumeni
(nel 64,2% dei casi voterebbero a destra). Così anche i cinesi (53,3%). A
sinistra guarda solo l'Africa.
Foreign Press
The unstoppable flow
In Greece and now Italy, illegal
immigration is straining the European Union
THE little red-tiled complex outside the Greek village
of Filakio is not much to look at. But stand next to the fence and arms start
to wave through the bars. “I am hungry!” shouts one voice. “No toilet!” adds
another. They cry out their nationalities—Algerians, Moroccans, Iranians.
The bellowing turns political. “Ce n’est pas la Grèce, c’est Guantánamo!”
claims one man. Another screams: “German, Hitler, Nazi! German dog!”. The
policemen hardly resemble vicious camp-guards. They do not try to stop a
stranger speaking to detainees being held for illegally crossing the border
from Turkey. But last month the European Court of Human Rights ruled that
conditions at Greek immigrant detention centres are so squalid as to breach the
ban on “torture or inhuman or degrading treatment”. Even before the ruling,
several countries had stopped sending asylum-seekers back to Greece under
“Dublin II”, a convention ruling that applications must be heard in the first
country of entry.
This humiliation is of Greece’s own making, but it
also reflects the pressure of numbers. In recent years Greece has become the
main illegal migration-route into the EU. Its border controls have been lax and
its asylum-processing system slow and questionable (the approval rate for
asylum applications is tiny compared with other EU countries). Hundreds of
thousands of foreigners are adrift in a semi-legal limbo, sleeping rough in
Athens or in ports from which they hope to get to Italy. Greek xenophobes are
beating up immigrants. Traditionally a country of emigrants, Greece is unready
for a mass influx. Like a river seeking the easiest path to the sea,
immigration that once flowed to Spain and Italy now courses to Greece. People
first crossed to Greek islands; now they prefer the border marked by the Evros
river. Nearby is the Turkish city of Edirne, the former Adrianople. Here in
1922 Ernest Hemingway recorded the flight of Greeks across the Evros during the
population swap with Turkey: “twenty miles of carts drawn by cows, bullocks and
muddy-flanked water buffalo, with exhausted, staggering men, women and
children, blankets over their heads, walking blindly along in the rain beside
their worldly goods.” Greek cavalry, he wrote, moved them on “like cow-punchers
driving steers”. These days the staggerers include Afghans, Iranians,
Pakistanis, Somalis, Congolese and Eritreans. And the cow-punchers are human
traffickers, pushing them into the river on flimsy dinghies or across fields of
sunflower and garlic. About 50 have drowned in the Evros; ten more have died in
the cold. This is one of the most militarised frontiers in Europe. Yet at its
most vulnerable stretch, a land section cutting across a bend in the river,
slipping into Greece takes no more than a stroll through farmers’ fields.
Greece wants to build a fence there. About 47,000 crossed the border last year.
“They do not have any documents,” says Colonel Georgios Salamagkas, police
chief in the town of Orestiada. “All the white people say they are from
Palestine. All the Africans say they are from Somalia. They know we cannot send
them back to those countries.” Most immigrants are trying to pass through
Greece to reach richer countries. They avoid Turkey’s border with Bulgaria, but
that would change if it were let into the EU’s Schengen passport-free zone. Greece’s
crisis is Europe’s problem. Frontex, the EU border agency, has deployed a
rapid-response team—including border guards, dog-handlers and
interpreters—to help. The flow has reduced, partly because the Turks are
co-operating. But no sooner has one gap tightened than another is reopening on
the Mediterranean. Some 5,000 immigrants, mostly young men, have arrived on the
Italian island of Lampedusa. Italy stroppily accuses the EU of doing too
little. Political oppression may push people to flee, but the end of
dictatorship in Tunisia has also lifted an obstacle. Events on Lampedusa must
alarm all EU countries about the popular revolts across the Middle East.
Two big European projects, the euro and Schengen, are
under severe strain in Greece. To work, they require mutual trust. But this has
been eroded, first by broken public finances and now by broken border controls.
Greece says harsh spending cuts make its immigration and asylum system harder to
fix. As with the sovereign-debt crisis, countries facing an immigration
emergency need help from the EU, in exchange for deep reforms. EU countries
need to align their asylum policies more closely so as to bridge the big
disparities between them. Some means of sharing the resettlement of refugees
makes sense. Southern countries want the option, in times of stress, to halt
the return of asylum-seekers to their first country of entry. Northerners fear
this might encourage southerners to export their problem. A painful compromise
might be tried: if Greece wants to suspend Dublin II, it should accept a
temporary suspension of Schengen and the return of border controls. Part of the
answer lies in co-operating with Europe’s neighbours, helping a free Tunisia to
re-establish border controls, say. Greece is under pressure because Turkey
allows visa-free entry for some of its neighbours. Turkey also maintains the
“geographical limitation” in the 1951 convention on refugees, restricting
asylum to Europeans only. If Turkey wants more influence in both the EU and the
Middle East, it should end this legal anomaly.
An effective asylum regime must be part of a more
sensible immigration policy, not least because an ageing Europe will in future
need more foreign workers. But refugees should not be confused with economic
migrants. As long as there is war and oppression, there must be sanctuary.
Greece’s prime minister, George Papandreou, should know this more than most:
under the Greek colonels, his family was given asylum in Sweden.
La primera y
más inmediata cae por su propio peso y es compuesta: ¿cuándo y quién será el
siguiente? Nos quedó claro que Egipto no era Túnez, ni Libia es Túnez o Egipto.
Pero que eso es una oleada nadie puede discutirlo. Las tres manzanas caídas del
árbol son todas distintas, pero todas tienen algo en común. Estaban maduras aunque
nadie supiera verlo o como mínimo decirlo. Con tres ya es una muestra que
permite enunciar la regla y ver luego si alguien más la cumple. Bahréin y Yemen
están en la senda. Marruecos y Argelia solo han dado síntomas elementales. Y a
nadie se le ocurre, todavía, que en los emiratos o en Arabia Saudí pueda
prender. Segunda pregunta, conectada con la primera: ¿cuándo nos afectará
directamente a nosotros? En ese nosotros estamos los ciudadanos españoles, pero
vale para otros. Italia ya se ha visto afectada con Libia; Francia, con Túnez;
Estados Unidos, con Egipto y Bahréin. La extensión a Marruecos nos afectaría y
de qué manera. Sabemos cómo han utilizado los sucesivos monarcas alauíes los
múltiples resortes que nos vinculan con nuestros vecinos del sur como válvulas
de descompresión cada vez que han tenido un problema interno. Arriba del todo
de la lista se hallan Ceuta y Melilla; pero a continuación está el Sáhara, la
inmigración, la seguridad, los marroquíes en España e, incluso, en el límite,
las Canarias.
No hay que
hacer alarmismo ni asustarse con la eventual proximidad de una revuelta en las
puertas de casa. Pero si queremos seguir haciéndonos preguntas inquietantes, y
esta es una época de preguntas inquietantes, la tercera que toca es la
siguiente: ¿quién va a llenar el vacío que dejan esos regímenes mineralizados
como losas funerarias? Sabemos que la naturaleza tiene horror al vacío. No se
trata únicamente de evitar que estos países su hundan en el caos y restaurar el
mínimo orden social para que siga funcionando la economía. Hay que mantener
suministros energéticos, preservar la libertad de circulación por el canal de
Suez y atender a los tratados y compromisos internacionales firmados.
Donde hay un
ejército fuerte no parece suscitar dudas que serán los militares quienes lo
harán, a riesgo de que se instalen definitivamente. Una segunda posibilidad es
que sea el islamismo político el que quiera aprovecharse. Tentaciones no le
faltarán, aunque por el momento haya optado por el camino de la discreción. Y
la tercera, finalmente, es que estos países consigan poner la locomotora de sus
revoluciones en los raíles de una transición democrática. Es lo que todos
deseamos, desde Israel y EE UU hasta toda Europa, aunque a veces no lo parezca
y se nos antoje lo más difícil. A tener en cuenta para nuestro comportamiento:
si han hecho solos su revolución, necesitarán toda la ayuda, dinero y sobre
todo visados de inmigración para hacer sus transiciones.