SENTENZA N. 25564 DEL 17/12/2010 - CORTE DI CASSAZIONE

 

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente

Dott. FELICETTI Francesco - rel. Consigliere

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso 12433/2006 proposto da:

B.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso l'avvocato CARDONI CESARE, rappresentata e difesa dall'avvocato CONTICELLI Guido, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

 

contro

BO.AN. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente, domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 77, presso l'avvocato PONTECORVO Edoardo, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALBERINI LUCIANO, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

 

avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositato il 01/12/2005;

 

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/11/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

 

udito, per la ricorrente, l'Avvocato GUIDO CONTICELLI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

 

udito, per la controricorrente, l'Avvocato EDOARDO PONTECORVO che ha chiesto il rigetto del ricorso;

 

adito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

1. Bo.An., coniuge divorziata di R.A., con ricorso 21 febbraio 2004 chiedeva al tribunale di Viterbo che le venisse attribuita una quota della pensione di reversibilit del marito, deceduto l'(OMISSIS), con il quale aveva contratto matrimonio consolare il (OMISSIS), trascritto nei registri dello stato civile italiano in data 23 aprile 1972. Esponeva che essa godeva di un assegno di divorzio, che il marito dopo il divorzio aveva contratto matrimonio con B.M. e che i rispettivi matrimoni erano durati ventisette e dodici anni. B.M. si costituiva contestando che la ripartizione della pensione andasse fatta con esclusivo riferimento alla durata dei rispettivi matrimoni, contestando comunque che il matrimonio con la Bo., celebrato con rito somalo nell'ambasciata di Somalia a Roma, fosse valido nell'ordinamento italiano prima della sua trascrizione. Deduceva che, quanto alla controparte, non dovesse tenersi conto del periodo successivo alla separazione personale, mentre doveva tenersi conto che essa deducente aveva iniziato a convivere con il marito gi prima del (OMISSIS), data del matrimonio. Il tribunale ripartiva la pensione in base alla durata dei rispettivi matrimoni, considerando valido a tal fine quello consolare sin dalla sua celebrazione. La B. proponeva reclamo, che la Corte d'appello rigettava con decreto 1 dicembre 2005, notificato in data 1 marzo 2006. Essa ha quindi proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato il 19 aprile 2006, formulando tre motivi. La Bo. resiste con controricorso notificato il 26 maggio 2006. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

1. Va pregiudizialmente rigettata l'eccezione d'inammissibilit del ricorso formulata dalla controricorrente, in relazione all'articolo 366 bis c.p.c., per la mancata formulazione dei quesiti, non essendo a norma del D.Lgs. n. 40 del 2006, articolo 27, detto articolo 366 bis, applicabile al ricorso in esame "ratione temporis", essendo stato il provvedimento impugnato depositato anteriormente all'entrata in vigore della norma su detta.

 

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'articolo unico della L. n. 523 del 1905 e del D.P.R. n. 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d). Si deduce al riguardo che la Corte d'appello ha ritenuto che data d'inizio del rapporto matrimoniale della Bo. con il R. debba considerarsi quella di celebrazione del matrimonio nell'ambasciata di Somalia, avvenuta il (OMISSIS)) e non quella della trascrizione, dovendosi considerare detto matrimonio come celebrato all'estero e valido in Italia a prescindere dalla sua trascrizione. La ricorrente critica tale affermazione, negando che la sede delle ambasciate possa essere equiparala al territorio dello Stato di appartenenza. Deduce che, comunque, l'articolo 6 della Convenzione dell'Aja del 1902 (ratificata con L. n. 523 del 1905) e il R.D. n. 524 del 1905, articolo 5, non consentono di attribuire alcuna efficacia a quel matrimonio, disponendo in particolare detta ultima norma che "sar riconosciuto dovunque come valido, quanto alla forma, il matrimonio celebrato davanti ad agente diplomatico o consolare, in conformit della sua legislazione, purch nessuna delle parti contraenti appartenga allo Stato dove il matrimonio fu contratto e purch questo Stato non vi si opponga". Il cittadino italiano, pertanto, non poteva contrarre valido matrimonio consolare in Italia e tale principio, enunciato nella normativa nazionale, doveva ritenersi valido anche se il matrimonio era stato celebrato dinanzi all'autorit consolare di uno Stato che non aveva aderito alla Convenzione. Attualmente, poi, a norma del D.P.R. n. 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d), il matrimonio celebrato dinanzi all'autorit consolare estera in Italia non neppure trascrivibile, se non celebrato tra due cittadini stranieri.

 

Il motivo va rigettato.

 

Va premesso che la normativa di riferimento indicata nel motivo per una parte (articolo 6 della Convenzione dell'Aja del 1902, riguardante la disciplina dei conflitti di leggi in materia matrimoniale, ratificata con L. n. 523 del 1905 e articolo 5 del R.D. n. 524 del 1905) attiene ad una Convenzione internazionale alla quale era estranea la Somalia, presso il cui consolato in Italia il matrimonio fu celebrato, con la conseguente sua inapplicabilit al caso di specie, regolando le Convenzioni internazionali e i relativi strumenti di ratifica unicamente i rapporti in essi menzionati con riferimento agli Stati che le abbiano sottoscritte. Per altra parte (D.P.R. n. 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d) non applicabile alla fattispecie "ratione temporis".

 

Ne deriva l'infondatezza dei profili relativi alla violazione di dette norme.

 

Quanto alla censura del provvedimento impugnato per avere la Corte d'appello affermato che il matrimonio celebrato nella sede di un'ambasciata estera in Italia deve essere considerato come celebrato nel territorio dello State al quale appartiene l'ambasciata, tale tesi, ricollegando la cosiddetta "extraterritorialit" delle ambasciate alla norma di diritto internazionale che riconosce l'inviolabilit della sede diplomatica dello Stato estero, non corrisponde all'orientamento attualmente prevalente, secondo il quale la "extraterritorialit" si sostanzia nell'obbligo dello Stato ospitante di garantire all'interno di essa l'espletamento, senza turbative e intromissioni, della missione diplomatica. Peraltro il profilo del motivo non comunque idoneo ad inficiare la validit del matrimonio, non considerando che, avendo i coniugi incontestatamente goduto per tutto il periodo della sua durata - dalla celebrazione fino al divorzio - di un possesso di stato conforme all'atto di celebrazione, detta validit non pu essere negata deducendosi, come viene fatto, un vizio di carattere formale (vedasi Cass. 9 giugno 2000, n. 7877), ostandovi il disposto dell'articolo 131 cod. civ., a norma del quale il possesso di stato conforme all'atto di matrimonio sana ogni difetto di forma sin dalla celebrazione del matrimonio.

 

3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, articolo 9, per avere la Corte d'appello ritenuto che la durata del matrimonio vada computata considerando come momento terminale la pronuncia del divorzio e non la comparizione dinanzi al presidente del tribunale nel procedimento di separazione, momento dal quale la convivenza matrimoniale s'interrompe.

 

Anche tale motivo infondato poich solo la pronuncia di divorzio pone fine al rapporto matrimoniale (da ultimo Cass. 10 maggio 2007, n. 10669).

 

4.1. Con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione della L. n. 898 del 1970, articolo 9, unitamente all'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'appello ritenuto non provate, la convivenza prematrimoniale della ricorrente, dopo avere rifiutato l'assunzione di sommarie informazioni al riguardo, ritualmente richieste in primo grado e in sede di reclamo, con l'indicazione di otto testimoni. Si contesta altres l'affermazione del decreto impugnato secondo la quale la ripartizione operata doveva ritenersi corretta anche in relazione alle condizioni economiche degli aventi diritto, deducendosi che tale ripartizione non ha lo scopo di sovvenire allo stato di bisogno di uno dei due coniugi, costituendo invece la pensione di reversibilit una sorta di ultrattivit della solidariet coniugale (Corte Cost. sent. n. 70 del 1999), che nel caso di specie era documentalmente provato essere del tutto insussistente da parte dell'ex coniuge, avendo provveduto all'assistenza e cura fino alla morte del titolare della pensione solo la ricorrente, ed essendo stata la prima moglie del tutto ignorata dal "de cuius" nel proprio testamento.

 

Anche tale motivo infondato.

 

A norma della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3, nel testo novellato dalla L. n. 74 del 1987, articolo 13, la ripartizione della pensione di reversibilit tra il coniuge superstite e l'ex coniuge deve essere compiuta "tenendo conto della durata del rapporto" matrimoniale di ciascun coniuge. Tale criterio, sulla base degli elementi interpretativi individuati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 419 del 1999, deve ritenersi non si ponga come unico ed esclusivo parametro al quale conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, potendo essere corretto da altri criteri, da individuare nell'ambito della L. n. 898 del 1970, articolo 5 (Cass. 29 gennaio 2002, n. 1057), fermo restando che alla durata del matrimonio "pu essere riconosciuto valore preponderante e il pi delle volte decisivo" (Corte cost., sentenza n. 419 del 1999) nella ripartizione della pensione.

 

Deve quindi tenersi anche conto delle condizioni economiche di entrambi gli ex coniugi (Cass. 9 marzo 2006, n. 5060), dell'assegno goduto dal coniuge divorziato (Cass. 16 dicembre 2004, n. 23379, 5 maggio 2004, n. 8554; 19 febbraio 2003, n. 2471), dei periodi di convivenza prematrimoniale, con carattere di stabilit e realizzazione di un'effettiva comunione di vita, con assunzione di diritti e doveri reciproci (Cass. 7 marzo 200 6, n. 4867; 22 dicembre 2005, n. 28478; 16 dicembre 2004, n. 23379; 10 ottobre 2003, n. 15148), e di ogni altro elemento desumibile della L. n. 898 del 1970, articolo 5. Non tutti tali elementi, peraltro, debbono necessariamente essere valutati in uguale misura, rientrando nella valutazione del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass. 14 settembre 2004, n. 6272; 30 marzo 2004, n. 6272).

 

Nel caso di specie la Corte d'appello ha applicato il criterio legale generale dell'attribuzione a ciascun ex coniuge di una quota di pensione proporzionale alla durata dei rispettivi matrimoni, senza correttivi, per un verso in mancanza di prova della convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, essendosi questi "limitato a dedurre di avere iniziato la propria convivenza con il R. nel (OMISSIS), senza ulteriori specificazioni in ordine alle modalit di tale convivenza" e non essendo comparso, senza allegare alcuna giustificazione, all'udienza fissata per rendere chiarimenti in ordine a tale dedotta convivenza. Per altro verso ritenendo la Corte di merito detto criterio "adeguato anche alla luce degli ulteriori criteri utilizzabili quali eventuali correttivi di quello temporale, rappresentati dall'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato, pari nella specie a L. 1.100.000 mensili, come stabilito dalla sentenza di divorzio e dal raffronto fra le condizioni economiche dell'ex coniuge e quelle del coniuge superstite che rivela, come attestato dalle dichiarazioni fiscali in atti, una netta superiorit delle seconde sulle prime (la B. lavora stabilmente alle dipendenze della AUSL di Viterbo, con un reddito loro annuo di Euro 34.157,00 circa, mentre la Bo. ha dichiarato di non lavorare e ha documentalmente dimostrato di avere prestato saltuaria attivit d'insegnamento della lingua tedesca in una scuola private, con introiti molto limitati)".

 

Ne deriva che la Corte di merito, con apprezzamento motivato ed a lei riservato, in aderenza ai principi normativi e giurisprudenziali sopra esposti, ha ritenuto che, comunque, nel caso di specie non vi fossero le condizioni per derogare alla regola della ripartizione in relazione alla durata dei rispettivi matrimoni, stanti le condizioni economiche dei coniugi e l'assenza, in relazione ad esse, delle condizioni per un intervento correttivo di quello della durata dei matrimoni in favore del secondo coniuge. Con la conseguente infondatezza del motivo.

 

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano nella misura di Euro duemilasettecento, di cui Euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.