STORIE DA UN EX-AMBASCIATA

 

Roma: le testimonianze dei rifugiati somali a Via dei Villini

 

Roma, 19 gennaio 2011

 

Il 21 dicembre scorso Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha rivolto <http://www.mediciperidirittiumani.org/comunicato_21_dicembre.htm>un appello alle istituzioni (Comune, Provincia, Regione, Ministero dellĠInterno) affinchŽ si individuassero con urgenza soluzioni di accoglienza dignitose e percorsi di integrazione per i numerosi rifugiati somali costretti a vivere in condizioni disumane presso lĠex-ambasciata somala di Via dei Villini a Roma. In un edificio fatiscente, infestato dai topi e sprovvisto dei servizi pi elementari (luce, riscaldamento, bagni, servizi igienici) continuano a vivere ammassate 140 persone allo stremo, tutte in possesso di un regolare permesso di soggiorno per protezione internazionale.

 

A un mese di distanza, in attesa che arrivino soluzioni concrete ( vedi documentazione fotografica sulla situazione attuale <http://www.flickr.com/photos/57258320@N05/sets/72157625719047215/>STORIE DA UN EX-AMBASCIATA), MEDU continua lĠazione di supporto socio-sanitario ai rifugiati attraverso la propria unitˆ mobile. Le operatici e gli operatori di Medici per i Diritti Umani hanno inoltre iniziato a raccogliere le testimonianze dei pazienti e degli altri rifugiati. Oltre lĠanamnesi medica, storie di vita indispensabili per comprendere il disagio e la sofferenza di persone che, private di ogni prospettiva di integrazione, combattono quotidianamente per conservare la propria dignitˆ. Testimonianze utili – forse - a far si che questa vicenda non torni ad essere una storia dimenticata di esclusione.

 

La storia di A.

 

A. ha meno di trentĠanni e ci racconta la sua storia un marted“ sera. Siamo con lĠunitˆ mobile di Medici per i Diritti Umani davanti allĠex ambasciata somala, nellĠesclusivo quartiere a ridosso di Porta Pia. Dopo la visita medica trova del tutto naturale la nostra richiesta di ascoltare e raccogliere la sua testimonianza. A.  un fiume di parole, ma il ritmo del suo narrare  lento, placido. Sembra aver raccontato cento volte la sua storia a sŽ stesso e mai a nessun altro.

 

Vengo dalla Somalia, Mogadiscio. L“ facevo il giornalista radio televisivo. Ero un corrispondente, poiÉDa venti anni in Somalia si combatte una guerra civile iniziata nel Ô90-Ô91. Anche molti miei amici erano giornalisti ma poi con la guerra e la violenza non si poteva pi parlare, non si poteva pi scrivere la veritˆ. Molti giornalisti sono stati uccisi. Per questo sono fuggito dalla Somalia. Sono stato minacciato di morte perchŽ dicevo la veritˆ. Si, solo per questo sono fuggito. A Mogadiscio avevo tutto ci˜ di cui avevo bisogno, solo la paura mi ha fatto andare via e ora qui non ho niente. Quando ti chiamano ti uccidono di sicuro.

 

Ho lasciato la Somalia a novembre del 2007. L“ ci sono i miei genitori, mio fratello , mia sorella e mia moglie. O meglio, quella che era mia moglie perchŽ quando sono venuto qui abbiamo divorziato. Come potevamo restare insieme? Io non posso tornare in Somalia e lei non pu˜ venire qui. Quando chiamo a casa mi dicono che la situazione  sempre peggiore, che uccidono sempre di pi, ogni giorno. Ci sono persone che si fanno esplodere per stradaÉLa mia famiglia ora vive a circa trenta chilometri da Mogadiscio. L“  meno pericoloso, cĠ meno violenza.

 

Sono fuggito allĠimprovviso, verso il confine con lĠEtiopia. Allora i miei genitori hanno venduto la casa dove vivevano per pagare il mio viaggio. Non avevo documenti perchŽ non esisteva un governo in Somalia, per questo ho dovuto pagare moltissimi soldi per ottenere il passaporto. DallĠEtiopia sono andato in Sudan e poi in Libia. Ho impiegato tre mesi, ma appena arrivato i soldati libici mi hanno arrestato perchŽ allora non avevo ancora i documenti. Sono stato in carcere sette mesi. Il carcere in Libia  duro, durissimo. Non hai un letto, si dorme sul pavimento, si mangia una volta al giorno e spesso picchiano con i manganelli. Sono riuscito ad uscire dal carcere solo pagando mille dollari al comandante dei soldati e sono fuggito in fretta verso lĠItalia perchŽ se fossi rimasto l“ e mi avessero messo di nuovo in prigione, non ne sarei pi uscito. Sono venuto in barca con altre 140 persone. Una sola barca, tre giorni e tre notti nel Mediterraneo. Poi la barca ha iniziato a spaccarsi, allora ci siamo spogliati e abbiamo cercato di tappare le crepe con i nostri vestitiÉperchŽ la vita  importante, siÉ

 

In Sudan e Libia abbiamo attraversato 3000 chilometri di deserto. Se si fermava la macchina, morivamo tutti, tutti.

 

Cos“ siamo arrivati in Sicilia, a Pozzallo, dove ci hanno preso le impronte digitali e poi trasferito per sei mesi in un centro in Sicilia in attesa dei documenti. Dopo sei mesi ho ottenuto la protezione sussidiaria (permesso di soggiorno per protezione internazionale, ndr) e mi hanno mandato via dal centro. Era il maggio 2009. EĠ cos“ che sono arrivato qui, a Roma, nellĠambasciata. Ma qui  impossibile vivere. Appena ho visto le condizioni ho chiamato la mia famiglia che mi ha mandato dei soldi e sono partito per la Svezia dove sono rimasto per sei mesi. L“ le condizioni sono molto migliori. Ti danno da mangiare e un posto dove dormire. Stavo anche imparando la lingua ma poi hanno scoperto che avevo le impronte in Italia e mi hanno rimandato indietro (il Regolamento di Dublino, in vigore nei paesi dellĠUe, stabilisce che si pu˜ richiedere asilo una sola volta e che  il primo paese europeo in cui si entra a dover vagliare la domanda, ndr). Tornato in Italia, sono subito ripartito per la Finlandia. Non potevo restare in queste condizioni e poi dovevo lavorare per mandare soldi alla mia famiglia che ha speso tutto per me. In Finlandia mi davano 500 dollari al mese, molti, no? L“ la vita era molto, molto migliore. Dopo sei mesi per˜ hanno scoperto di nuovo che avevo le impronte qui e mi hanno detto: ÒTu sei DublinoÓÉe di nuovo mi hanno mandato in Italia. Dopo altri due mesi in Italia, sono ripartito. Olanda questa volta, ma ero malato, avevo una fistola e mi hanno operato dĠurgenza. Poi sono rimasto altri sei mesi in un centro ma anche in Olanda hanno scoperto le mie impronte, mi hanno arrestato e sono stato un mese in carcere e quando mi hanno liberato mi hanno rimandato qui. Era il 23 dicembre 2010 quando sono arrivato, solo 19 giorni fa. Ora ho deciso di restare qui, devo restare per forza qui. Non mi muover˜ pi. Ora ho vissuto tutti i problemi di essere un Dublino e non me ne andr˜ pi. Ora basta. Se potessi, tornerei a casa, se ci fosse la pace, ma la pace non cĠ.

 

Qui nellĠambasciata, di notte non riesco a dormire. Penso, penso, penso sempreÉnon si fermano mai i pensieri. Penso sempre a questa vita difficile , al mio futuro, ogni giorno e ogni notte, ma penso che qui il mio futuro non esiste. Io ora sto studiando lĠitaliano. Giˆ lo parlo un poĠ e capisco tutto perchŽ lĠho studiato in Somalia. Se avessi una casa, un posto dove stare, sono sicuro che potrei ottenere tuttoÉ.

 

La storia di I.

 

Gennaio, ex-ambasciata di Via dei Villini. EĠ giˆ notte e un gruppo di rifugiati ha appena terminato una giornata di lavoro per ripulire di ingombri alcuni locali dellĠedificio, per rendere un poĠ meno invivibile questo posto. Ci troviamo in una delle disastrate sale che doveva essere luogo di rappresentanza diplomatica; forse lo studio stesso dellĠambasciatore. I. ci accoglie con amicizia insieme ad altri ragazzi offrendoci le seggiole meno mal ridotte. Accanto a lui O. ha appena ottenuto un appuntamento al centro diabetologico del policlinico Umberto in seguito alle indicazione dellĠunitˆ mobile. O.  affetto da diabete scompensato ed  iperteso. Nonostante sia titolare di un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria non  ancora iscritto al servizio sanitario nazionale poichŽ non sapeva di averne diritto. In unĠatmosfera surreale, illuminati da unĠunica candela, I. ci racconta la sua storia.

 

Fino a pochi anni fa vivevo nel mio paese, la Somalia, nella cittˆ di Mogadiscio, anche se non sono nato l“ ma in una piccola cittˆ che si chiama Baardheere. Poi dal 1988 la mia famiglia si  trasferita a Mogadiscio.

 

Nel 2006  iniziata la guerra tra il governo e le corti islamiche, lĠUCI (Unione delle Corti Islamiche, ndr). Ancora non cĠera Al Shabaab (ÒLa GioventÓ, gruppo insurrezionale islamico comparso dopo la sconfitta dellĠUnione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di transizione, ndr). Poi sono entrati in Somalia anche i soldati Etiopi. In questo momento venivano uccise molte persone, la guerra peggiorava. Io mi trovavo con la mia famiglia a Mogadiscio; volevamo andare via, avevamo troppa paura. Io ho pensato di fuggire in Italia dove sono arrivato a febbraio del 2008. Sono partito dal mio Paese in macchina fino al confine con lĠEtiopia, poi in pullman fino ad Addis Abeba. Sono stato l“ due mesi e poi ho preso un altro pullman fino al confine con il Sudan. Molte persone pagano tanti soldi per arrivare in Sudan, io no, sono andato in pullman ma poi dal confine ho camminato, da solo, per undici giorni, mi davano da mangiare delle persone che incontravo, dei contadiniÉ

 

Dopo undici giorni sono arrivato ad Al Kadarif e ci sono restato 7 giorni. Poi ho preso un altro pullman fino a Khartoum e da l“ cĠ il deserto. Ho pagato molti soldi per attraversare il deserto per nove giorni. Ho iniziato la traversata il 28 dicembre quindi ho passato il primo gennaio nel deserto, con il sole, senza acqua. Abbiamo passato lĠanno nuovo nella sabbia. Qualcuno cadeva dalla macchina, qualcuno veniva buttato, qualcuno moriva e poi nel deserto vedevamo tante persone morte di sete o lasciate nel desertoÉ tante. Non cĠ acqua. Quella che cĠ sulla macchina finisce subito e dopo quelli che guidano ti danno massimo mezzo bicchiere dĠacqua al giorno. Se la macchina si ferma o si rompe, la gente muore nel deserto. Altre volte quando si svegliano la mattina non cĠ pi la macchina e allora restano l“ finchŽ muoiono. Ci sono etiopi, somaliÉ .Noi siamo rimasti gli ultimi quattro giorni senza mangiare.

 

Il 9 gennaio sono arrivato a Tripoli, in Libia, poi il 21 febbraio ho provato ad attraversare il mare, ma il motore della barca si  rotto e siamo rimasti in mare 5 giorni. Sono morte 5 persone, una ragazza e quattro ragazziÉabbiamo dovuto lasciarli in mare. Avevo pagato 1000 dollari e mi sono ritrovato di nuovo in Libia dove sono riuscito a scappare ai soldati. Siamo tornati vicino Tripoli e dopo due giorni ho ritentato la via del mare pagando di nuovo. Un giorno del febbraio 2008 alle 10 di sera sono entrato a Lampedusa, per fortuna. Sono rimasto l“ 5 giorni e poi ci hanno mandato al CARA (centro di accoglienza per richiedenti asilo, ndr) di Crotone dove sono rimasto sei mesi fino ad agosto quando mi hanno dato la protezione sussidiaria.

 

AllĠuscita del centro avevo lĠindirizzo di dove avrei trovato alloggio a Roma: Via dei Villini numero 9. Allora sono venuto a Roma ma le condizioni dellĠambasciata non mi piacevano e allora ho preso il treno per Firenze dove cĠera una casa dei Somali. L“ vivevano un mio amico con il padre e mi hanno consigliato di andare a cercare lavoro a Catanzaro, in un circo. Cos“ sono partito e ho iniziato a lavorare in nero come operaio. Pulivo, sistemavo gli animaliÉlama, cammelli, serpenti. Ho lavorato con loro quasi 5 mesi girando per la Calabria e la Sicilia. Poi a settembre del 2008  arrivata la mia moglie attuale. Lei era la moglie di un mio cugino che  morto e aveva giˆ un figlio. LĠhanno mandata in un centro vicino Siracusa, io andavo sempre e ci siamo sposati. Poi ha avuto il documento e siamo andati subito in Svizzera perchŽ ora eravamo una mamma con un bambino e io Éera troppo difficile vivere nel circo con la carovana. Siamo andati tutti in Svizzera in treno, fino a Zurigo dove siamo rimasti nove mesi da gennaio a settembre. Ricordo bene perchŽ  stato un bel periodo che resta sempre nel mio cuore. Ero con la mia famiglia, mi davano un poĠ di soldi, andavo sempre a scuola cos“ speravo di trovare un lavoro, i documenti, un buon futuro e di poter vivere bene, ma poi hanno scoperto che avevamo le impronte in Italia e dicevano che non potevamo restare l“. Mia moglie in quel momento era incinta. Il mio figlio piccolo  nato l“ in Svizzera.

 

Quando alla fine ci hanno rimandato in Italia, siamo finiti in un altro centro qui a Roma. Avevamo una stanza di tre metri e ci vivevamo in 4. L“ mangiavamo e dormivamo, ma mia moglie ha iniziato a star male per problemi psichiatrici perchŽ l“ la vita era troppo difficile, ed  stata ricoverata in ospedale. Dopo pi di un mese  uscita dallĠospedale e gli assistenti sociali hanno trovato per lei un posto nellĠemergenza freddo, ma di giorno doveva stare fuori e non era possibile perchŽ doveva prendere tante medicine, stava male, non riusciva a dormire bene, a camminare, a stare sedutaÉ eĠ stato un momento difficilissimo. Io ho cercato per lei un altro centro ma era solo per la notte anche questo. Alla fine ho trovato il centro ÒDono di MariaÓ, delle suore, dove poteva restare anche di giorno e adesso  ancora l“. Questa vita  troppo difficile, non va bene. Io da una parte, i miei figli da unĠaltra, mia moglie da unĠaltra ancora. Penso per˜ a quelli che sono nel nostro Paese, la mia famigliaÉio sono andato via sperando di trovare un futuro. Nel mio paese continuano a uccidere molte persone. Ora in Somalia la situazione  terribile.

 

Per le persone pi povere che fuggono adesso dalla Somalia lĠunica possibilitˆ  di arrivare in Yemen attraversando il mare con dei barconi ma  molto pericoloso oppure alcuni passano dallĠEgitto per arrivare in Israele ma anche qui  molto pericoloso perchŽ i soldati egiziani (alla frontiera del Sinai, ndr) gli sparano. La mia famiglia si aspetta che io mandi dei soldi. Dieci giorni fa  morto mio zio e mi hanno chiesto di mandare i soldi per il funerale, per comprare il riso, i cammelliÉma io come faccio? Di soldi non ne ho! Io sono lĠunico in Europa. Anche per loro  difficile, ma stanno meglio di me perchŽ loro muoiono una sola volta se li uccide un ladro o un sicario, hanno paura della morte una volta sola. Io invece sono sempre morto, anzi ora non sono nŽ morto nŽ vivo, sono a metˆ.

 

Adesso vorrei studiare lĠitaliano, cercare un lavoro. Da quattro giorni vado a scuolaɏ la prima volta qui in Italia. In Somalia facevo tanti lavori. Mia madre ha un negozio grande che vende tante cose, poi lavoravo come gommista, agricoltore, affittavo i camion per trasportare i prodotti nella nostra cittˆ di prima, Baardheere, dove si producono soprattutto tabacco e cipolle.

 

Qui nellĠambasciata la maggior parte delle persone se ne va perchŽ qui non trovano nienteÉun lavoro, un corso, un posto dove stareÉcos“ vanno in altri paesi, anche se sanno che li rimanderanno indietro perchŽ hanno le impronte qui, ma fino ad allora passeranno sei mesi e allora qui farˆ caldo e non sarˆ cos“ duro dormire fuoriÉcĠ un mio amico che si  bruciato le mani, 4 mesi fa, per cancellare le sue impronte cos“  riuscito ad andarsene e ad ottenere i documenti in un altro paese. Ora  in Svezia. Un altro, per fare questo ha perso le dita delle mani che sono andate in gangrena . Ora  in Inghilterra, ha i documenti, ma non ha pi le mani.

 

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Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietˆ internazionale, ha fornito dal 2004 assistenza e orientamento socio-sanitario a oltre 7000 persone senza dimora di Roma nellĠambito del progetto Un Camper per i Diritti.

 

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