18 gennaio 2011

I quiz? Un bene per l'integrazione, se aperti a tutti gli stranieri
l'Unità, 18-01-2011
È partito in due città, Firenze e Asti, il test di lingua italiana a cui si devono sottoporre gli stranieri intenzionati a richiedere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. L’esame dura circa un’ora ed è così strutturato: un prova di comprensione orale, una di comprensione del testo e una di composizione. Il test si supera rispondendo in maniera corretta all’80% dei quesiti.
La prima tranche di iscritti (170 persone) è stata divisa e ieri è stato esaminato il primo gruppo di trenta. A quanto pare il test è andato bene e a Firenze solo una persona non ha superato l’esame. Se si sbaglia, e non si passa il test, ci si può riscrivere immediatamente. È ancora presto, questo è ovvio, per tracciare un bilancio. Possiamo, però, sollevare alcune obiezioni già evidenziate a suo tempo. La mancanza di una rete efficiente di scuole, o perlomeno corsi, di italiano per stranieri e la difficoltà per gli stessi a frequentarli dato che, nella maggior parte dei casi, si tratta di lavoratori che difficilmente possono prendere dei permessi. Esiste, poi, la questione dei tempi. Ogni anno, infatti, quasi mezzo milione di stranieri potrebbe avere i requisiti necessari per presentare la richiesta per soggiorno di lungo periodo. Il patronato delle Acli denuncia l’inserimento di questo nuovo requisito, oltre agli altri, che inevitabilmente causerà uno slittamento nelle domande e nei rilasci dei permessi.
La soluzione potrebbe essere questa: permettere di partecipare al test di italiano anche chi ancora non ha tutti i requisiti (come quello dei cinque anni di residenza). Ovviamente, una simile diversa impostazione presuppone – cosa tutt’altro che scontata – che vi sia la volontà pubblica di incrementare l’integrazione, e non di disincentivarla.



Primi test per immigrati tutti promossi tranne uno
A Firenze e Asti "esame" di italiano per gli extracomunitari
La Stampa, 18-01-2011
MARIA VITTORIA GIANNOTTI
Falu, quattro mesi, dorme beato con la testa sprofondata sulla spalla di un dirigente scolastico. Poco distante, la sua mamma, una casalinga senegalese di 26 anni, legge con attenzione le domande e segna, con una crocetta, la risposta. Arion, albanese, che ormai parla perfino con la c aspirata tipica dei fiorentini, procede nell’esercizio spedito e concentrato, nonostante la levataccia dopo il turno serale in pizzeria. Scene dalla scuola media Beato Angelico di Firenze dove il test di conoscenza della lingua italiana per gli immigrati che vogliono ottenere il permesso di soggiorno è appena cominciato.
Un’ora dopo, la prova – la prima in Italia, svolta contemporaneamente anche ad Asti – è conclusa. Tutti i 17 candidati «fiorentini» – per la maggior parte albanesi, ma c’è chi arriva dalle Filippine, chi dalla Somalia, dalla Colombia e perfino dalla Siberia - appaiono molto più rilassati. Facce distese anche all’uscita della scuola piemontese dove, in dieci, hanno sostenuto l’esame. Sei esercizi per coronare un sogno: ottenere il sospirato pezzo di carta che permetterà di evitare lunghe file agli sportelli e di garantire un futuro migliore ai propri figli.
A fine mattinata i commissari fiorentini hanno il verdetto: tutti promossi, tranne uno. Ovviamente viene celata la sua identità: non sarebbe delicato. «Lo scoprirà lui stesso tra 24 ore, quando i risultati saranno messi in rete», spiegano dalla Prefettura. Tra un mese potrà ripetere il test e nel frattempo potrà frequentare gratuitamente un corso di italiano, sperando di colmare le lacune. Tempi un po’ più lunghi per i candidati piemontesi: per l’esito dovranno attendere una settimana. La prova di ieri mattina era riservata ai cosiddetti soggiornanti di lungo periodo, in Italia da almeno 5 anni. A Firenze, l’ufficio scolastico provinciale e la prefettura hanno organizzato il test seguendo le linee guida del ministero degli Interni. Sei le prove: l’ascolto e la comprensione di un dialogo, la verifica della sua effettiva comprensione, la lettura del volantino pubblicitario di una palestra, la scrittura di una cartolina a un amico immaginario – con invito a trascorrere le sue vacanze nel Belpaese – e una richiesta alla prefettura per avere informazioni sui documenti necessari per la cittadinanza. Prima dell’inizio della prova, la consegna dei telefoni cellulari, sotto i flash di telecamere, e un po’ di nervosismo.
«Ma a prova iniziata, il clima si è rasserenato», racconta la professoressa Patrizia Margiacchi. A distendere gli animi, l’atteggiamento disponibile dei commissari. Difficile non intenerirsi quando Mbaye – la mamma senegalese - affida il suo piccolo ai dirigenti del provveditorato, spiegando che il marito, meccanico, non poteva accudirlo. Il bambino non è l’unico minore tra i banchi: non tutti si possono permettere una baby sitter. Tutti i candidati sembrano piacevolmente sorpresi dalla facilità con cui hanno superato la prova. C’è chi, come Caterina, colombiana, aveva studiato la Costituzione e si era immersa nella lettura dei giornali. Gli esercizi, per lei, si sono rivelati una passeggiata. Stessa facilità per Aurora, filippina, che tanti anni fa ha lasciato il velo monacale e ora insegna l’italiano agli stranieri.



Via al test per gli stranieri tutti promossi tranne uno

In 17 si sono presentati stamattina all'esame di italiano. Le prove sono cominciate a Firenze e ad Asti, nei prossimi giorni toccherà alle altre città. Ecco le domande e i dialoghi da "decifrare"
la Repubblica, 17-01-2011
MARIA CRISTINA CARRATU'
FIRENZE - Hanno debuttato a Firenze e ad Asti i test di italiano per gli stranieri che inseguono un permesso di soggiorno lungo. Quattro file di banchi nell'auditorium della scuola media Arnlfo Di Cambio - Beato angelico di Firenze, sede d'esame per il capoluogo toscano. Si sono presentati in 17 questa mattina - e non 19 come è stato comunicato in un primo momento -. In aula sono arrivati peruviani, albanesi, una donna siberiana, una somala, una filippina e anche due madri con i loro bambini, il più piccolo di soli due anni. Alla fine,
tutti promossi meno uno, spiegano alla prefettura. Da domani poi, i risultati saranno visibili per i candidati sul sito del ministero degli Interni
"Sono arrivata qui con il mio bambino perchè non avevo nessuno con cui lasciarlo a casa - racconta Minire Basco, candidata albanese che affronta il test insieme con il marito - e quindi l'ho portato con me a fare l'esame. Io faccio la casalinga e sono qui da appena 3 anni ma mio marito è in Italia dal 1998 e fa il muratore". Il  marito di Minire Basco parla molto bene l'italiano e si dice d'accordo con l'idea di sottoporre gli immigrati ad un test per ottenere un permesso più lungo.
"Sarà un grande vantaggio - dice - non dover ogni anno rinnovare questo documento. Ogni volta impiegavamo un giorno intero per farlo". I candidati sono stati fatti accomodare ai loro posti dopo il controllo dei documenti. Affrontano alcune prove una prima di ascolto di un testo registrato e scrivere cosa hanno capito; dovranno poi rispondere ad alcune domande, dovranno scrivere un messaggio, una mail e dovranno poi abbiane delle immagini a un testo. La prova sarà superata se il candidato avrà ottenuto un risultato positivo almeno nell'80% del punteggio.
Ma andiamo a vedere nel dettaglio in cosa consiste l'esame di italiano messo a punto dall'Ufficio scolastico provinciale in base alle direttive del ministero. Stamattina per esempio è stato fatto ascoltare ai candidati questo dialogo: "Scusi signora, il treno regionale per Roma è già partito?". "No, vada allo sportello 5, vede non c'è fila". Gli esaminandi hanno a disposizione circa un minuto per leggere, due minuti per rispondere e mettere le crocette al quiz a risposta multipla.
Poi hanno ascoltato la seguente una telefonata: "Ciao, come stai? Ah, sei malata?"
"Sì".
"Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?"
"Vuoi che vada in farmacia?"
Dopo questa conversazione, i candidati hanno risposto ad alcune domande.
Altra prova: devi scrivere una lettera alla prefettura della tua città per chiedere la cittadinanza corredandola con giorno mese e anno, indirizzo, nazionalità. Bisogna anche chiedere orario di apertura degli sportelli e chiedere un appuntamento con 25-40 parole.



Livia Turco: non solo esami, ora investire sui corsi di lingua

l'Unità, 18-01-2011
«La conoscenza della lingua e della cultura italiana è per il cittadino e lavoratore straniero il primo necessario strumento d'integrazione nel nuovo Paese di residenza e perciò di fondamentale importanza». Livia Turco, responsabile politiche sociali e immigrazione del Pd, non boccia in se per se i test di italiano, ma lancia un segnale chiaro: di certo, così come sono stati introdotti, non servono a nulla. «L'imposizione di un semplice esame non è sufficiente, se non parte di un più ampio pacchetto di misure volte ad offrire anche delle opportunità», dice l'ex ministro della Salute. Per questo «abbiamo presentato una proposta di legge- spiega - in cui proponiamo un incremento delle risorse per aumentare le iniziative e i corsi di lingua e cultura nelle scuole pubbliche; una maggiore valorizzazione del volontariato impegnato in questo settore; un coinvolgimento del¬le imprese affinché riconoscano ai lavoratori i permessi di lavoro, necessari alla frequentazione dei corsi di lingua. Una proposta concreta - conclude - e necessaria a colmare la grave lacuna del governo che, mentre impone un test, non prevede nessun obbligo di offerta formativa linguistica da parte dello Stato e non stanzia alcuna risorsa economica».



L'ex suora e l'autista Soltanto un bocciato alla prova d'italiano

Nei quiz frasi da usare al bar o in farmacia
Corriere della sera, 18-01-2011
Alessandra Arachi
FIRENZE — Elton Ibro, 29 anni albanese, arriva per primo. Sorride: «Sono qui per caso, ho visto il concorso su internet». Minire Bashk, invece, in questa scuola media di Firenze ci è arrivata incinta, con il marito Lulzim e anche con il bimbo nella carrozzina, due anni e mezzo appena. Come Mbaje Deguene, 26 anni del Senegal, qui con il figlio di quattro mesi arrampicato nel marsupio. E poi Myriam Hadire, anche lei albanese, 46 anni, l'unica del gruppo che tornerà a casa senza l'agognata promozione. Ovvero: senza l'ok per la carta di soggiorno.
Ben arrivati nella prima classe d'immigrati d'Italia che, insieme a quella di Asti, è alle prese con il test d'italiano valido per la carta di soggiorno, secondo il decreto del giugno scorso. Basta la comprensione di un vocabolario limitato per passare la prova ed avere un permesso di soggiorno che non deve mai essere rinnovato. È per questo, alla fine, che sono arrivati tutti qua. Per non dover andare ogni volta a brigare in questura.
Ieri mattina alle nove avrebbero dovuto essere in venti nella «Beato Angelico» di Firenze. Si sono presentati in diciassette. E a, parte Myftani, avevano tutti una dimestichezza assai fluente con la nostra lingua. In molti parlavano addirittura il dialetto. Come Arion Kuqi, anche lui albanese, pizzaiolo di 23 anni. O come Jacubi Magdi, 39 anni, tunisino. I requisiti per accedere a questo test, del resto, sono chiari: bisogna avere la residenza in Italia almeno da cinque anni. «E se hai la residenza da cinque anni, hai come minimo un paio di anni di clandestinità alle spalle», garantisce Elton Ibro che a Firenze guida i camion della società della nettezza urbana e ci vive ormai da quasi nove anni.
Le prove del test erano sei in tutto, due basate sull'ascolto, due sulla comprensione della lettura, due sulla scrittura. Le ha preparate tutte Patrizia Margiacchi, docente della scuola, che adesso spera nell'aiuto di un pool di docenti: saranno quasi duecento gli altri immigrati che devono sostenere i test. Facili, li hanno giudicati praticamente tutti. E non soltanto Aurelia Carranza, 51 anni filippina, una ex-suora che vive in Italia da oltre vent'anni e che di lavoro insegna italiano agli immigrati. Anche Natalia Skvortsova, siberiana, ha sorriso davanti alle domande degli insegnati fiorentini.
Sono sei anni che all'Impruneta Natalia insegna alle ragazze che vogliono fare estetica come ricostruire le unghie: il suo vocabolario è ben più forbito di quei test dove si parla di treni e di farmacia, di cornetti e caffè, lettere, cartoline.
«Siamo soddisfatti di questa prima classe», dice Daniela Lucchi che è il vice-Drefetto di Firenze e anche il dirigente dell'ufficio immigrazione prima di spiegare con clemenza: «Questa prova si può ripetere all'infinito. Chi esce da qui può decidere di segnarsi anche subito al prossimo test. Noi, poi, abbiamo sessanta giorni di tempo per ammetterli».
Quando escono da lì nessuno pensa di doversi segnare al prossimo test. Mbaje si precipita a recuperare il frugoletto di quattro mesi: ha dormito tutto il tempo sulla spalla di un dirigente scolastico. L'unico uomo di tutta la banda docenti. L'unico che ha fatto il baby sitter.



Via i test per gli immigrati, in aula anche due mamme con i bambini

Corriere Fiorentino.it, 17-01-2011
In 17 hanno affrontato, alla scuola media «Arnolfo Di Cambio», la prova d'italiano per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo
Tutti promossi meno uno. È questo, rende noto la prefettura di Firenze, il risultato della valutazione del test - il primo in Italia - sulla conoscenza della lingua italiana ai fini del rilascio del Permesso di Soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo che si è tenuto stamane nella sede della scuola media Beato Angelico. Sui banchi si sono presentati in 17 (su 20 che avevano fatto regolare domanda).
Sui banchi - Quattro file di banchi nell'auditorium della scuola media Arnolfo Di Cambio - Beato angelico: è qui che stamane i primi 16 immigrati hanno affrontato il test di italiano per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo, coloro che sono presenti in Italia da almeno 5 anni. La prova è durata poco più di un’ora. Gli immigrati presenti erano in maggior parte albanesi, la metà circa erano donne.
In aula con il bimbo - Falu, 4 mesi, figlio di una casalinga senegalese ha «partecipato» stamane al test di prova per gli immigrati che si è svolto per la prima volta a Firenze. Il piccolo è arrivato con la mamma, Mbaye Deguene, addormentato nel marsupio. La mamma Mbaye, 26 anni, era una dei 19 candidati che oggi hanno affrontato la prova per ottenere il permesso di soggiorno lungo. Il piccolo Falu è stato accudito dai commissari d’esame e si è addormentato sulla spalla del dirigente dell’ufficio scolastico provinciale Claudio Bacaloni che, per quasi tutto il tempo dell’esame, lo ha tenuto teneramente tra le braccia. Falu è il primo figlio di una coppia senegalese che vive da alcuni anni a Firenze: lei fa la casalinga e stamane era da sola a dare l’esame mentre il marito fa il meccanico.
Tutto bene - «La prova è andata bene - aveva osservato poco prima della fine del test la dirigente dell’area immigrazione della prefettura di Firenze, Daniela Lucchi - non mi pare ci siano particolari difficoltà, è un testo sulla conoscenza della lingua italiana studiato per questo genere di prove». «Mi sembra che la conoscenza nella media sia piuttosto buona - ha aggiunto -, ci sono persone che parlano piuttosto bene l’italiano e altre molto meno». Chi non supererà la prova potrà rifarla in seguito.
Le prove - Scrivi una cartolina ad un tuo amico italiano per invitarlo per le vacanze (indirizzo e messaggio di almeno 15 parole). È uno dei sei esercizi (in tre capitoli di prova) del primo ’Test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Firenze, in contemporanea con Asti, è la prima grande città italiana in cui si è svolto l’esame. La prova è stata messa a punto dall’ufficio scolastico provinciale e si è tenuta stamane nella scuola media Di Cambio - Angelico. Domani, una seconda prova si terrà in una scuola di Borgo San Lorenzo. Erano tre i capitoli di prova: uno di ascolto, della durata di circa 25 minuti, uno di lettura e comprensione (circa 25 minuti) e una prova di produzione (circa 10 minuti).
L'ascolto e i dialoghi - L’esame è cominciato con l’ascolto di un testo registrato di brevi dialoghi, ad esempio: «Buongiorno, senta ho un forte mal di gola, che cosa posso prendere?», «Ha anche la febbre?». «No, credo di no». «Provi queste pastiglie alla menta e miele». Ai candidati era richiesto di scegliere tra tre opzioni indicative di un luogo dove il dialogo avrebbe potuto svolgersi: 1) In una farmacia; 2) In un ospedale; 3) In un distretto sanitario. La seconda prova di ascolto era un messaggio lasciato su una segreteria telefonica: «Ciao Giulia, sono Vanda. Come va? Ho saputo che sei a letto con la febbre! Hai chiamato il medico? Finisco il lavoro alle sei, posso venire a trovarti. Hai bisogno di niente? Ti porto qualcosa da mangiare?! Lasciami un messaggio al cellulare. Ciao». Cinque le opzioni tra cui scegliere per descrivere il contenuto del messaggio. Per la prova di lettura, erano proposti un testo, intitolato «Tutti in palestra» con quesiti e risposte aperte, e 5 brevi frasi da abbinare alle relative vignette descrittive. Per concludere, si richiedeva di scrivere una richiesta alla Prefettura per avere informazioni sui documenti da presentare per ottenere la cittadinanza.



Gli immigratì alla prova  d'italiano: a Firenze tutti promossi meno uno

Senegalese fa tenere il neonato al commissario d'esame
Il Messaggero, 18-01-2011
ANDREA VIGNOLINI
FIRENZE - Tutti promossi meno uno. Gli stranieri tornano sui banchi di scuola per sostenere un test d'italiano, requisito necessario per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo. I primi 16 candidati immigrati (su 20 iscritti) hanno affrontato ieri a Firenze, il test di conoscenza della lingua italiana. Una novità introdotta dal decreto del 4 giugno scorso, Firmato dai ministri Roberto Maroni e Mariastella Gelmini. Sui banchi si sono presentati in 17 (su 20 che avevano fatto regolare   domanda),    la prova è durata poco più di un'ora, gli immigrati    alle prese con il test, sono in Italia da cinque anni ed erano per la maggior parte albanesi e peruviani. La metà   erano donne. Sui banchi anche Falu, 4 mesi, figlio di una casalinga senegalese che ha «partecipato» stamane al test. Il piccolo è arrivato con la mamma 26enne. Mbaye Deguene, addormentato nel marsupio. Il piccolo Falu è stato accudito dai commissari d'esame.
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tosto bene l'italiano e altre molto meno». Chi non supererà la prova potrà rifarla in seguito.
Ieri le prove d'italiano si sono svolte anche ad Asti dove si sono presentati per il test dieci stranieri, in maggioranza Nord africani e con in mano già' tutti un'occupazione.
Erano tre i capitoli di prova dell'esame: uno di ascolto, della durata di circa 25 minuti, uno di lettura e comprensione (circa 25 minuti) e una prova di produzione (circa 10 minuti). L'esame è cominciato con l'ascolto di un testo registrato di brevi dialoghi, ad esempio: "Buongiorno, senta ho un forte mal di gola, che cosa posso prendere?», «Ha anche la febbre?». «No, credo di no». Ai candidati era richiesto di scegliere tra tre opzioni indicative di un luogo dove il dialogo avrebbe potuto svolgersi. La seconda prova di ascolto era un messaggio lasciato su una segreteria telefonica: «Ciao Giulia, sono Vanda. Come va? Ho saputo che sei a letto con la febbre! Hai chiamato il medico? Finisco il lavoro alle sei, posso venire a trovarti. Hai bisogno di niente? Ti porto qualcosa da mangiare?! Lasciami un messaggio al cellulare. Ciao». Cinque le opzioni tra cui scegliere per descrivere il contenuto del messaggio. Per la prova di lettura, erano proposti un testo, intitolato «Tutti in palestra» con quesiti e risposte aperte, e 5 brevi frasi da abbinare alle relative vignette descrittive. Per concludere, si richiedeva di scrivere una richiesta alla Prefettura per avere informazioni sui documenti da presentare per ottenere la cittadinanza. La prova è stata messa a punto dall'ufficio scolastico provinciale.



A Firenze e Asti i primi esami
Un solo bocciato su 17. Il test per immigrati supera la prova di bontà
Libero, 18-01-2011
ANDREA MORIGI
Al test d'italiano per immigrati, la percentuale dei bocciati è più bassa di quanto indichi la percentuale del 5,8 per cento. Solo uno su diciassette non ce la fa, a Firenze. Invece ad Asti, l'altra sede d'esame, la commissione comunicherà i risultati dei nove candidati solo fra qualche giorno. Niente paura. Dopo tre ore in aula, nella scuola Golden, tre marocchini, tre albanesi, un macedone, un turco e una nigeriana, appaiono piuttosto sollevati.
Fra l'altro, il ministero dell'Interno, con una direttiva del mese scorso, aveva esonerato gli stranieri dalla prima parte di esame, l'orale. Se in precedenza si intendeva verificare il possesso del livello A2 del quadro di riferimento europeo, cioè un italiano più o meno di sopravvivenza, ora è sufficiente essere assidui telespettatori, come ai tempi del maestro Manzi, o anche soltanto timidi lettori di free press.
C'è chi, più che a un test sulla conoscenza dell'italiano, si è sentito sottoposto a «una prova psicologica» e l'ha giudicata «facile, comunque. Io mi aspettavo un test molto più complicato». Esprime così la sua soddisfazione uno dei diciassette che ce l'hanno fatta a Firenze, il trentenne albanese Elton Ebro. È facilitato: ha già la patente e guida gli automezzi per la raccolta dei rifiuti urbani. A lui, che condivide i benefici di chi sta a contatto con la parlata toscana, l'ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo non è parso un percorso a ostacoli. E nemmeno a Caterina, colombiana, che da anni lavora in una casa di riposo. Si era preparata per traguardi ben più impegnativi. «Avevo studiato», racconta ai giornalisti, «soprattutto negli ultimi giorni. Mi aspettavo domande sulla Costituzione, domande di politica. Invece, queste prove mi hanno sorpreso».
Soltanto un'immigrata albanese analfabeta, non potendo firmare il foglio di presenza, non ha potuto partecipare alla prova. Un suo connazionale osserva: «Noi albanesi abbiamo una certa facilità nel parlare la vostra lingua. Ma ho visto qui persone molto agitate. Chi ha un'occupazione di solito parla con colleghi e datori di lavoro. Ma non è così per tutti. Le mogli, che spesso fanno le casalinghe, incontrano più difficoltà».
Perciò Antonio Gambetta Vianna, presidente del gruppo consiliare Lega Nord Toscana in Regione, lo considera solo un primo passo. Vorrebbe estendere l'obbligo «già al momento del conseguimento del primo permesso di soggiorno».
Alla ricerca del pelo nell'uovo, Livia Turco, responsabile politiche sociali e immigrazione del Pd, propone «un incremento delle risorse per aumentare le iniziative e i corsi di lingua e cultura nelle scuole pubbliche; una maggiore valorizzazione del volontariato impegnato in questo settore; un coinvolgimento delle imprese affinché riconoscano ai lavoratori i permessi di lavoro, necessari alla frequentazione dei corsi di lingua». Sarebbero soldi buttati, perché gli extracomunitari sembrano non averne alcun bisogno. Anche il test, messo sotto esame, è stato promosso, ma con la sufficienza.



IMMIGRAZIONE: FIRENZE 1/0 TEST ITALIANO,SOLO UN BOCCIATO 16 PROMOSSI; IN AULA 2 MADRI CON BIMBI; CANDIDATA, PROVA ERA FACILE

Legalità, 18-01-2011
Daniela Grondona
Tutti promossi. Tranne uno. Per chi ha superato l'esame, il sogno di ogni immigrato ora si trasforma in realta': avranno il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. E' il risultato del test - il primo in Italia - di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, che si e' tenuto stamane nella sede della scuola media Beato Angelico. Diciassette i candidati a Firenze: sedici quelli che hanno avuto via libera. Sapranno i risultati tra una settimana, invece, i nove immigrati che hanno affrontato lo stesso esame ad Asti: erano tutti sorridenti, comunque, quando usciti dalla scuola in cui si e' tenuto il test, il che fa pensare che sono convinti di aver superato la prova. Nel capoluogo toscano e' realta', da oggi, quel permesso, per Mbaye, ventiseienne senegalese che stamane ha portato nell'aula di esame il suo piccolo Falu, 4 mesi. Il marito, pure lui immigrato dal Senegal, fa il meccanico e non poteva tenerlo. Cosi', mentre Mbaye scriveva le risposte ai quiz, i commissari hanno coccolato il piccino, l'hanno tenuto in braccio, accarezzato. Lui, alla fine, si e' addormentato sulla spalla di un dirigente dell'ufficio scolastico. E' realta' anche per l'insonnolito Arion, albanese che parla con la c aspirata, che ieri, alla vigilia della prova, ha lavorato fino alle 2 di notte in pizzeria. Anche Minire, incinta, e' qui con il suo bambino, Orghes di 2 anni, e il marito Bashk. Hanno portato il figlio piu' grande, 8 anni, a scuola e sono corsi a dare l'esame. ''E' giusto parlare la lingua - dice Bashk -, buona idea fare i test. Per noi sara' importantissimo avere questo permesso di soggiorno, eviteremo ogni anno di chiedere il rinnovo perdendo almeno un giorno per la pratica''. E spendendo dagli 80 ai 200 euro per ottenerlo. Tutti sono venuti in Italia molti anni fa (almeno 5 quelli richiesti dal ministero degli Interni per accedere alla prova) da Senegal, Albania, Tunisia, Filippine, dal Sudamerica, dalla Siberia. C'e' Florian, albanese, magazziniere, che con il suo lavoro mantiene moglie e un figlio mentre un secondo e' in arrivo. Nel banco accanto a lui, e' china sui fogli Natalia Skvortsova, dalla Siberia, che parla un buon italiano e per vivere insegna alle estetiste la ricostruzione delle unghie. ''Ho studiato molto - racconta Caterina, colombiana, da 10 anni in Italia, dipendente di una casa di riposo - soprattutto negli ultimi giorni. Mi aspettavo domande sulla Costituzione, domande di politica. Invece, queste prove mi hanno sorpreso. Per chi e' qui da tanti anni e parla l'italiano sono semplici. E' andata bene, pero'. E' giusto che chi vive qui conosca la lingua, e' un elemento importante per avere rapporti con le altre persone, per inserirsi meglio e per trovare lavoro''. Neppure per Aurora Carranza, 51 anni, ex suora filippina, rispondere al test e' stato difficile. Lo ammette contenta, alla fine. ''Insegno italiano agli stranieri - racconta -, e devo dire che non ho avuto problemi. Dopo 20 anni in Italia, insomma, doveva andare bene...''. L'ufficio scolastico provinciale e la prefettura hanno organizzato il test seguendo le linee guida del ministero degli Interni. Per i candidati e' stata allestita una classe con quattro file di banchi nell'auditorium dell'istituto. L'esame si componeva di 6 prove in tre capitoli, ascolto, comprensione della lettura e produzione scritta. Hanno ascoltato brevi dialoghi e poi risposto a domande sul luogo dove il colloquio avrebbe potuto svolgersi. Inoltre, hanno scritto due testi immaginari: prima una cartolina ad un amico, invitandolo per le vacanze, e poi una richiesta alla prefettura per avere informazioni sui documenti da presentare per ottenere la cittadinanza. ''Erano tesi, emozionati e anche un po' frastornati dalla folla di giornalisti, cameramen e fotografi che li attendeva fuori dalla scuola - racconta la professoressa Patrizia Margiacchi -. Poi, a prova iniziata, il clima si e' rasserenato. Sono stati bravi, alcuni parlano bene l'italiano, altri si arrangiano. Per tutti, e' stata una prova importante, molto importante''



«Non semplice per chi lavora e ha poco tempo per studiare»

La Stampa, 18-01-2011
Arben Quazmi (Albanese)
Le regole prima di tutto, dice Arben Quazmi. Convinto ma non troppo. E preoccupato. Perché l'italiano l'ha studiato, sì, ma nei ritagli dal lavoro. Così con i suoi 40 anni siede nel primo banco, proprio vicino alla cattedra, per non perdersi una parola, mentre di là dal tavolo l'insegnante sorride, accomodante. Una routine per i docenti del Centro territoriale permanente di Asti, otto, di cui una part time, ogni anno 800 studenti di tutte le nazionalità e livelli d'istruzione che varcano le soglie delle loro aule. Così ha fatto anche Arben nei mesi scorsi: è albanese e ieri mattina non è arrivato in via Govone da solo. Nel corridoio trasformato in sala d'attesa passeggia avanti e indietro la moglie. «Era agitato - confessa, fissando la porta chiusa -non potevo lasciarlo venire da solo». Ed escono insieme. Allora, test facile o difficile? «Non è stato tanto semplice, ma neanche difficile. Bisognava stare attenti. Ci hanno fatto provare a compilare il modulo d'iscrizione al Centro, ascoltare un cd e poi rispondere alle domande. Ma è andata bene, credo».
Si era preparato nei giorni scorsi? «Un po'. Mi sono preparato sui libri, ma non si ha tanto tempo per studiare quando si lavora. E poi proprio non me l'aspettavo di dover fare un esame di italiano: l'ho scoperto con sorpresa quando ho portato i documenti per chiedere il permesso di soggiorno lungo. Però un po' d'italiano lo avevo studiato anche in Albania, prima di partire».
Pensa che sia giusto, chiedervi di dare un esame di italiano?
«Non lo so, è una cosa che devi fare se chiedi la cittadinanza, questo sì, credo sia giusto. Ma quando chiedi un permesso di soggiorno è un po' strano. Comunque la legge dice così e noi lo facciamo, nessun problema». 



«Tutto facile Ora possiamo avere un futuro in Italia»

La Stampa, 18-01-2011
ELISABETTA FAGNOLA
ASTI
Sono entrati in classe tenendosi per mano, e così sono usciti. Col sorriso sulle labbra, gli occhi un po' lucidi e un sospiro di sollievo. Quell'esame inaspettato l'hanno temuto fino all'ultimo minuto, Naim Lami e la moglie Flutura. Lui 34 anni, 29 lei, a casa un bimbo di 4 anni e mezzo che non aspetta altro, dicono, che andare a scuola, hanno l'aspetto di chi ha superato una prova ben più grande di un semplice test d'italiano. Quando siete arrivati in Italia? «Siamo arrivati dalla Macedonia nel '99. Mia moglie fa la casalinga, io ho lavorato a Montechiaro d'Asti come metalmeccanico. Poi la fabbrica andava male e sono rimasto
senza lavoro. Però ne ho trovato un altro, nel campo dell'edilizia».
La lingua è stata un problema, all'inizio? «Un po', ma ora parliamo abbastanza bene, è da tanto che abitiamo qui. Non siamo andati a scuola di italiano, ma abbiamo imparato poco per volta, lavorando, vivendo qui. Ma eravamo comunque un po' preoccupati, l'esame di italiano non ce lo aspettavamo».
E com'è andato? «Facile. Ci hanno chiesto le cose indispensabili per vivere in Italia, come compilare un modulo, se capivamo due persone mentre parlano o un testo da leggere. Niente di complicato, le cose che si fanno tutti i giorni. Pensiamo sia andata bene».
Da oggi cambia qualcosa, per voi? «Non dobbiamo più correre per fare i documenti. Dopo cinque anni di vita e lavoro qui, avremo diritto al permesso senza scadenza, non dovremo più fare le code,, preoccuparci quando scadono i documenti. Vivremo più tranquilli, anche per il nostro bambino».
E il vostro futuro? «Siamo una famiglia, abbiamo un bimbo piccolo, vogliamo vivere in Italia. Il nostro futuro è qui, non ne vediamo un altro».



«A Pantelleria per sfuggire al caos»

sbarchi La Caritas: in preparazione arrivi massicci dal Nord Africa al nostro Paese
Avvenire, 18-01-2011
PAOLO LAMBRUSCHI
Otto immigrati sono stati bloccati a terra dai carabinieri e dagli uomini della Guardia costiera ieri a Pantelleria, in provincia di Trapani e a 160 chilometri ad Est di Tunisi. Ma le Caritas siciliane e gli organismi umanitari che lavorano nei centri di accoglienza temono che si stiano preparando sbarchi anche consistenti sulle coste che guardano il Nord Africa. Gli extracomunitari, che potrebbero essere detenuti fuggiti dal carcere di Mo-nastir bruciato sabato scorso, sono stati intercettati in località Nikà, sulla costa occidentale dell'isola, più vicina alla costa africana che a quelle siciliane. Erano sbarcati da un gommone di circa quattro metri sequestrato dalle forze dell'ordine. Gli stranieri, tutti maschi e in buona salute, hanno detto di essere fuggiti dalla Tunisia e di essere partiti da Capo Bon. Gli immigrati sono stati accompagnati presso la caserma dei carabinieri, dove hanno ricevuto capi asciutti e aiuti umanitari. In serata, sono stati trasferiti a Trapani, con il traghetto di mezzanotte, presso il centro di permanenza temporanea del capoluogo, distante cinque ore di navigazione. La notizia dello sbarco non coglie certo di sorpresa i responsabili della Caritas. Che avrebbero ricevuto no-tizie di arrivi anche a Lampedusa, sempre gommoni con poche persone, spie di un esodo che si sta preparando. «Da un paio di giorni ci chiedevamo quando sarebbero arrivati i primi fuggiaschi dalla Tunisia -afferma don Sergio Librizzi, delegato regionale delle Caritas della Sicilia- e temo che Pantelleria diventerà la meta preferita perla sua vicinanza alle coste tunisine». Gli sbarchi di gommoni e piccole imbarcazioni dalla Tunisia, non sono comunque una novità. «Il flusso di irregolari provenienti dalla Tunisia - prosegue don Librizzi - per lavorare nelle serre, nella pastorizia e nell'agricoltura isolane continua in modo incessante da diversi anni. Il problema è capire quanti scapperanno nelle prossime ore dalla guerra civile in corso. Potrebbero essere molti a operare questa scelta, a cominciare dagli uomini fedeli al regime di Ben Ali e poi i più poveri». L'Italia,  a partire da Pantelleria, tornerebbe dunque   meta ambita dall'altra sponda mediterranea. «Anche se non so quante possibilità vi siano di accogliere le domande di asilo politico di chi proviene dalla Tunisia -chiarisce Oliviero Forti, responsabile dell'ufficio immigrazione della Caritas italiana - perché l'evoluzione politica, con un governo di unità nazionale in formazione, non configura persecuzioni. C'è invece un conflitto civile in atto ed è probabile che un cittadino tunisino ottenga la protezione umanitaria finché dura il caos».



L'immigrazione? Capirla per capire l'Italia del futuro»

Franco Pittau Caritas, coordinatore del "Dossier Immigrazione"
Liberazione, 18-01-2011
Stefano Galieni
Franco Pittau è coordinatore del "Dossier Statistico Immigrazione" Caritas/Migrantes, un documento fondamentale per chiunque voglia occuparsi di questo tema. Spesso i suoi percorsi si sono incontrati con quelli di Liberazione che ha sempre utilizzato il dossier come strumento prezioso. Partiamo dal fatto che chi segue dall'interno le tematiche dell'immigrazione e la loro narrazione attraverso i media, si fa una immagine del Paese molto particolare. «La presentazione dell'immigrazione è scarsamente improntata a una visione positiva. Difende solo dai giornalisti? Questa spiegazione, seppure ricorrente, è parziale e anche inesatta. I giornalisti sono espressione di una società che fa fatica a inquadrare correttamente gli immigrati. Ciò influisce anche sui politici, sugli amministratori, sugli uomini di cultura, sugli operatori sociali e pastorali, su tutti insomma. A mio avviso sarebbe più opportuno rendersi conto di questo deficit e adoperarsi per favorire dei cambiamenti, che, partendo dalla base, avrebbero un effetto a catena. Se in tanti si pensasse così, il cambiamento sarebbe assicurato, quello dei giornalisti come quello dei politici e delle altre categorie». In un paese che sta mutando, che è già mutato, si scontrano spesso fòrze contrarie a questi cambiamenti, che non li comprendono, e forze che tentano di accompagnare il percorso senza aumentare le Bramire.
Purtroppo è vero che il nostro paese "è, nei confronti dell'immigrazione, esattamente spaccato: una metà disposta ad accompagnare l'immigrazione e l'altra metà che si sente di contrastarla. Cosa dire in questa pessima situazione? A quelli favorevoli, si può raccomandare di avere più tenacia nel portare avanti la propria linea, ma anche una maggiore preparazione nel motivarla e un garbo ben diverso nel presentarla agli altri, cercando di convincere chi è dubbioso, senza disprezzare, senza insultare e senza perdere la pazienza perché una ■quota di quelli che stanno dall'altra parte serve per far prevalere la linea giusta della quale si è portatori. Qualche parola va detta anche per i recalcitranti, non per quelli che lo fanno per partito preso, ma per quelli (molto numerosi) che sono ispirati a un senso positivo della vita e del rapporto con gli altri, ma vedono ancora l'immigrazione in maniera strabica: a loro si può dire che non è giusto trascurare i dati statistici e i ragionamenti a medio e a lungo termine. A me piace ricordare che tante cose che a noi sembrano un diritto scontato (la copertura sanitaria, il pagamento in caso di malattia e maternità, l'indennizzo in caso di infortunio o la partecipazione elettorale di ogni cittadino) venivano ritenute assurde e da rigettare dal buon senso dell'epoca. A dare però la linea sono poche fonti di informazione epoche fòrze politiche che sembrano decidere e decifrare per tutti mentre sotterraneamente si muovono spesso altre fòrze, meno visibili, più positive, che lavorano incessantemente per percorsi di inclusione biunivoca. Condividi?
Non esito a riconoscere che non necessariamente le fonti di informazione con maggiore capacità di presa sono quelle più apprezzabili sull'immigrazione, non necessariamente perché dicono il falso: tra la falsità e la correttezza vi sono diverse sfumature, spesso fuorvianti. Detto questo, ritorno sulla posizione in precedenza espressa. Un operatore presidia la base e lo fa a contatto diretto con i destinatari. Ad esempio, una volta che un lettore del "Dossier" o uno che ha partecipato ai nostri incontri di sensibilizzazione si è convinto dell'autenticità dei numeri che presentiamo, viene immunizzato rispetto alla superficialità che si ritrova in alcune testate. Anche se molte persone lavorano in senso positivo e con efficacia, non mi pare così diffusa la convinzione che questa nostra forza può cambiare in meglio la situazione.
Alcuni fra gli strumenti di informazione come "Liberazione'', che hanno cercato di informare e formare attorno a questi temi, oggi rischiano di scomparire perché l'informazione viene trattata come una qualsiasi merce, quindi se non si regge il mercato da soli si deve soccombere. Sei d'accordo con questa logica? Provengo e lavoro nel mondo della solidarietà, che non è una pura e semplice merce come non lo è l'informazione .-Se si realizzassero, attraverso i cambiamenti ipotizzati prima, i cambiamenti alla base, il mercato concepito in maniera diversa reagirebbe in maniera diversa. Naturalmente questa reazione potrebbe essere agevolata da disposizioni legislative e da supporti economici più adeguati.
Molti strumenti informativi, non solo dei partiti ma anche legati alla editoria sociale e al non profit, sopravvivono ancora grazie alla legge sul finanziamento pubblico. E' previsto un taglio che non terrà conto del valore sociale o culturale delle testate ma che dovrebbe agire indiscriminatamente, cosa ne pensi? Tutti gli operatori sociali che svolgono un lavoro impegnativo e prezioso, quasi sempre a fronte di un compenso molto limitato, avrebbero tanto da dire sulla ineguale ripartizione delle risorse, riscontrando vistose e ingiustificate sproporzioni. Come cristiano, poi, mi pare doveroso insistere sulla virtù della sobrietà e sul senso della solidarietà con chi ha di meno. Le dimensione sociale e culturale, che a torto possono essere giudicate realtà evanescenti, sono il vero collante della convivenza.
Spesso i problemi per chi come noi si occupa di determinati temi, non nascono solo da avversari esterni quanto dalla nostra difficoltà ad elaborare proposte convincenti, efficaci, a comunicarle con semplicità e senza arroganza. O no? Condivido pienamente questa tesi. Ci mancano spesso capacità di convinzione, efficacia, semplicità e strategia comunicativa. Non siamo semplici ma arroganti. Ciò porta a concludere che siamo abilitati a muovere critiche nei confronti degli altri e di ciò che non riteniamo giusto, ma dobbiamo anche essere per prima cosa critici nei nostri stessi confronti perché, se le cose stanno andando in modo non soddisfacente, noi non siamo immuni da colpe.
Nell'ultimo Dossier "Per una cultura dell'altro", ponete molto l'accento sulla necessità di f are un salto in avanti nella comprensione di chi è arrivato. Non credi che dal punto di vista dell'informazione continuiamo a produrre giornali "italocentrici", restando incapaci di suscitare l'interesse di chi si è stabilito in Italia? Cosa potremmo fare in proposito?
E' sorprendente che gli immigrati, arrivati alla soglia di cinque milioni, contino così poco nell'ambito delle notizie, eccetto, in negativo, in occasione di qualche fatto di cronaca nera. Come abituarsi a capire che il fenomeno migratorio è di straordinario interesse e in filigrana ci mostra l'Italia del futuro? Non sono in grado di presentare ricette generali, ma una cosa la posso dire. Noi del mondo sociale, che siamo ricorrenti produttori di notizie sull'immigrazione, molte volte siamo straordinariamente noiosi e allontaniamo i giornalisti, giustamente tenuti a suscitare l'interesse nei loro lettori. Perciò, ancora una volta, alla domanda se si può cambiare, rispondo dicendo: si può, a partire da noi stessi.



È polemica dopo le dichiarazioni del direttore della Caritas veneziana sulle politiche per i migranti in tempi di difficoltà
L'accoglienza e la crisi economica
Terra, 18-01-2011
Riccardo Bottazzo

Sono anni difficili. Troppo difficili per "potersi permettere" di accogliere più migranti di quanto si possa accoglierne. Questo è il sunto di quanto ha dichiarato don Dino Pistolato, direttore della Caritas veneziana in una conferenza stampa per presentare la 97esima giornata del rifugiato svoltasi domenica scorsa. Le  affermazioni dell'alto prelato, comunque più puntate a chiedere un pronto riconoscimento    dei migranti già sono  presenti  nel nostro   territorio piuttosto che ad invocare muri o rimpatri coatti, hanno suscitato un vespaio di reazioni nel Veneto. il Pdl e la Lega in particolare non hanno peso l'occasione di cogliere la palla al balzo rilanciando allarmismi e invocando muri e rimpatri coatti. «Manipolazioni facili, strumentali e irresponsabili» le ha definite in una nota la rete Tutti i diritti umani-per tutti che raggruppa tutte le realtà associative che nel veneziano lavorano per l'integrazione e l'accoglienza. «in Italia esistono centinaia di migliaia di nuovi schiavi costretti a lavorare a nero da anni a causa di leggi ipocrite e crudeli
come la Bossi-Fini - ha dichiarato Alessandra Sciurba, portavoce della rete -. Gli stessi meccanismi della crisi richiedono sempre di più una forza lavoro flessibile a cui possono essere strappati anche i più elementari diritti e sulla base delle cui condizioni potere poi ricattare anche i lavoratori italiani formalmente più tutelati. Le attuali leggi sull'immigrazione non permettono alcuna regolarizzazione di chi lavora da anni. Su questo punto ha ragione chi di¬ce che vanno riconosciuti, immediatamente e senza alcun compromesso o discriminazione, i diritti dei lavoratori migranti già presenti. Bisogna aggiungere però, che da quasi IO anni, i decreti flussi e le quote di ingresso hanno rappresentato semplicemente delle sanatorie nascoste. Chiunque ha potuto vedere con i propri occhi gli stessi migranti che avrebbero dovuto teoricamente trovarsi nei loro paesi d'origine e lì venire raggiunti da una chiamata del datore di lavoro, fare le file davanti la posta per consegnare i propri dossier. E chi, del resto, assu-merebbe mai qualcuno che non ha conosciuto prima? Si è arrivati al paradosso di persone costrette a uscire dall'Italia clandestinamente per poi rientrarvi su falsa chiamata e tornare a occupare i posti di lavoro che già avevano prima, dopo avere rischiato la vita in viaggi a ritroso pericolosissimi».
Non si può parlare delle nuove quote di ingresso, spiega la rete, senza dire anche che esse rappresentano in gran parte la sola maniera per decine di migliaia di persone per regolarizzare la propria posizione. Una ipocrisi che è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla. Quasi tutti i migranti che oggi hanno un permesso di soggiorno sono stati costretti ad attraversare anni di irregolarità, umiliazioni e ricatti. Conclude Alessandra Sciurba: «Il problema non è quindi che gli immigrati ci rubano il lavoro o altre affermazioni grottesche, populiste e a sfondo razzista, che i dati oggettivi possono smentire in ogni momento, ma è piuttosto quello di smascherare un sistema che si regge sulla finzione e che è volto alla creazione di una categoria di popolazione da schiavizzare e sfruttare». »



Boni: «Troppe manifestazioni di stranieri a Milano, servono più controlli»

La Lega dopo la serie di proteste andate in scena tra sabato e ieri
la Padania, 18-01-2011
MILÀN - Prima il presidio in solidarietà della rivoluzione tunisina, poi la manifestazione degli immigrati autorganizzati, infine la protesta dell'Associazione culturale Berbera contro la Libia. Tra sabato e ieri Milano è stata il centro dell'attivismo dei cittadini stranieri. Tre manifestazioni in una sola giornata che riguardavano questioni molto lontane da Milano ma che comunque molti milanesi sono stati costretti a vedere da vicino, disagi compresi.
Una situazione sulla quale è intervenuto il presidente del Consiglio regionale della Lombardia Davide Boni: «11 capoluogo lombardo non può continuare ad essere il teatro delle scorribande e delle continue manifestazioni organizzate da stranieri che, cogliendo le occasioni più disparate per scendere in piaz¬za, hanno in realtà l'unico obiettivo di attaccare e criticare pesantemente le istituzioni italiane e locali, invocando sanatorie e altre follie varie».
«Così come è stato fatto notare nei giorni scorsi, - ha detto ancora Boni, riferendosi alle parole del vicesindaco di Milano Riccardo De Corato - siamo stanchi di assistere ad inutili cortei che di fatto non portano a nulla, proprio perché organizzati senza alcuno scopo specifico se non quello di porsi contro le norme vigenti in questo Paese, aizzando gli stessi stranieri a porsi fuori dalle regole».
Sabato avevano iniziato i cittadini tunisini che in circa duecento avevano manifestato sotto al consolato del loro Paese, in piazza Cinque Giornate, in solidarietà alle manifestazioni che siano incendiando la Tunisia e che hanno costretto alla figa il presidente Ben Ali.
Dalle 17 alle 22 è andato invece in scena, alle Colonne di San Lorenzo, il secondo presidio: l'Associazione immigrati autorganizzati si è datata appuntamento per dare voce ai diritti degli stranieri. Infine ieri dalle 9 alle 12, l'Associazione culturale berbera ha organizzato un sit-in in piazza Diaz, davanti al consolato di Tripoli, a favore della liberazione di connazionali arrestati in Libia.
Insomma - secondo la Lega Nord - tre manifestazioni su argomenti così distanti dai bisogni e dagli interessi dei milanesi sono davvero troppe. «Mi auguro - ha detto ancora - Boni che si rivedano i criteri che di fatto regolano lo svolgersi delle manifestazioni, vietando di fatto quelle che possono risultare pericolose per l'incolumità dei nostri concittadini».
Concetto espresso anche dal vicesindaco milanese che ha sottolineato anche quanto queste iniziative, benché non «oceaniche», comportino l'utilizzo comunque di pattuglie di vigili urbani e di interventi sul traffico: «Mi auguro - ha sottolineato De Corato - che Milano non debba farsi carico orapure delle problematiche del Maghreb. Perché già paga dazio con i clandestini, 50 mila a Milano, di cui circa un terzo dall'Africa. Soggetti che incidono fortemente Sulla sicurezza di  Milano



I primo a compiere una visita di Stato in Italia (tre giorni tra Roma e Milano), la bandiera di Lubiana per la prima volte issata sul Quirinale
«Quei profughi italiani, dramma per noi sloveni»
Corriere Della sera, 18-01-2011
Mara Gergole
Il presidente Turk a Roma ringrazia Napolitano
ROMA — Presidente Danilo Turk, la sua Slovenia è indipendente da 20 anni. A detta di tutti, una storia di successo dell'Europa dell'Est.
«Avevamo un ottimo punto di partenza: vivevamo sul confine "aperto" (lo dice in italiano, ndr), il più libero d'Europa. E abbiamo avuto un approccio pragmatico. Il pragmatismo, certo, ha poi comportato dei problemi, dalla disoccupazione al conflitto generazionale. Ma sono gli stessi problemi che oggi ha l'Europa». E per gli sloveni, come dice Turk, «essere nella media europea per molti indicatori» (e anche per i problemi), è motivo d'orgoglio. Ex diplomatico, assistente per cinque anni del segretario generale Onu (2000-2005), è il terzo presidente sloveno. Il primo a compiere una visita di Stato in Italia (tre giorni tra Roma e Milano), la bandiera slovena per la prima volta issata sul Quirinale.
A che punto sono i rapporti tra la Slovenia e l'Italia?
«Oggi, ottimi. Grande merito va al presidente Napolitano. Ci ispira la comune appartenenza, e prospettiva, europea. Ma abbiamo lavorato molto anche sulla memoria. Che è tragica, da entrambe le parti. Il fascismo e la violenza prima e durante la guerra, per noi. Il grande trauma dei profughi dalla Dalmazia, per l'Italia».
Lei dice profughi, non optanti (chi ha optato per l'Italia, ndr), come si minimizzava in Slovenia...
«Sì, certo, dico profughi. Noi capiamo questo trauma, ma conosciamo anche l'ordine degli eventi: il fascismo, l'aggressione, la guerra, poi il loro dram¬ma. Occorre essere rispettosi verso i ricordi di tutti. Però bisogna fare una politica che non crei conflitti dai ricordi: ecco, finalmente tra Italia e Slovenia ci siamo arrivati. E l'incontro a Trieste (tra Italia, Slovenia, Croazia, ndr) ha cementificato uno spirito diverso. Ho anche proposto al presidente Napolitano di costruire un comune parco della pace sul fronte della I guerra mondiale, da Duino a Caporetto, dove sono morte 1 milione di persone: un contributo di pace all'Europa».
Vent'anni fa, l'indipendenza slovena fu votata dal 90% degli sloveni. Poi la Jugoslavia si sciolse, le guerre balcaniche fecero 100 mila morti. Crede che gli sloveni abbiano una responsabilità in quel che è successo?
«La nostra indipendenza è stata una rescue mission, una missione di salvezza. Non volevamo la dissoluzione della Jugoslavia, ma vedevamo la situazione, pericolosissima. Sapevamo di non poter ottenere la democrazia e i diritti dell'uomo all'interno della Jugoslavia: era in gioco la nostra  sopravvivenza».
Nessun errore?
«Era l'ultimo momento. Avessimo aspettato ancora, saremmo diventati prigionieri delle guerre balcaniche».
La Croazia, dominata da scandali di corruzione, ancora aspetta di entrare nell'Ue.
«Gli attuali sforzi in Croazia contro la corruzione sono molto seri. Sanno di dover riformare il sistema giudiziario per entrare in Europa. La Slovenia è pronta ad aiutarli. Ai Paesi balcanici non occorrono regali, piuttosto devono essere messi in condizione di fare i compiti da soli».
Quindi, vent'anni dopo, si sta ricreando la jugosfera?
«Esagerato. La jugosfera non tornerà più, perché—lo pensavamo già ai tem¬pi dell'indipendenza—il futuro di questi Paesi è l'Europa».
Voi siete stati il primo Paese dell'Est ad adottare l'euro. Come vivete la crisi?
«L'euro è la nostra moneta, nessuno parla di tornare indietro. Certo, non ci immaginavamo di contribuire al salvataggio di altri Paesi europei. Riteniamo molto interessante la proposta Juncker-Tremonti sugli eurobond. Comprendiamo la necessità della disciplina fiscale, i tagli alla spesa pubblica, ma bisogna anche creare le condizioni, e gli strumenti finanziari, per la crescita economica».
Insomma, la rigidità tedesca non vi convince.
«Proposta comprensibile, ma incompleta».
Vi sentite, anche in questa crisi, trattati dai grandi come Paesi di serie B? Esiste ancora, all'Ovest, un senso di superiorità verso l'Est?
«Ne scriveva già Fernand Braudel. Sarebbe un'illusione aspettarsi che i pregiudizi finiscano così presto. Però oggi, in media, i Paesi dell'Est hanno un miglior credit rating di quelli dell'Ovest. L'Europa dell'Est è stata un successo per l'Ue, non ha creato particolari problemi, ma nuovi mercati, una nuova forza economica. Credo molto nei rapporti con la Russia. La forza dell'Ue sta ad Est».
E chi dice che l'allargamento ha segnato la fine dell'Europa?
«Io non ci credo. E poi preferisco un'Europa con problemi di crescita che di stagnazione».
La Slovenia è finita di recente sui giornali nell'affaire Wikileaks: il premier si è offerto di prendere un detenuto di Guantànamo pur di incontrare Obama. Problemi da piccolo Paese?
«Non sono per questo tipo di com¬merci. Però il commercio non c'è stato. E poi, sì ai piccoli Paesi capitano piccoli incidenti. Ai grandi Paesi, grandi incidenti».



Ecco perché Napolitano ha fatto bene a richiamare l'Europa
Rischio profughi da Tunisi e la Ue sta a guardare
Italia Oggi, 18-01-2011
PIERO LAPORTA
Il richiamo del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, affinché l'Unione europea si assuma le sue responsabilità verso la Tunisia, è la dichiarazione più saggia delle ultime ore. Finora dalla Ue sono arrivate soltanto blandizie circa il proseguimento del negoziato fra Tunisi e Bruxelles, peraltro in atto già da tempo. Con una sessantina di morti nelle strade di Tunisi, non sembrano di grande efficacia le dichiarazioni della portavoce di lady Catherine Ashton, che fu commissaria europea al commercio e oggi è Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea. Secondo la Ashton, il negoziato con Tunisi dovrà focalizzare di più sui diritti umani. Parole, queste, a dir poco fuori tempo e destinate ad aizzare piuttosto che spegnere gli animi e disarmare gli arruffa popolo che adesso hanno ragione di osservare: «Qui c'è la fame e questi europei, dopo aver commerciato per un quarto di secolo con Ben Ali, adesso si accorgono dei diritti umani». Oltre tutto, nel suo precedente incarico di commissario al Commercio, lady Ashton è proprio quella che involontariamente ha favorito l'accumulo delle enormi ricchezze grazie alle quali il presidente fuggitivo, Ben Ali, può confidare in una serena pensione mentre il suo popolo ha davanti lo spettro della fame.
In questa situazione, anche le rassicurazioni circa l'impegno della UE a garantire libere elezioni sono troppo poco. Bene dunque ha fatto Napolitano. La Ue deve fornire subito aiuti e prometterne ulteriori e consistenti non appena il popolo tunisino, accantonate tutte le divisioni interne, si darà istituzioni affidabili.
La diplomazia più attiva in questo momento a Tunisi è quella statunitense che sta lavorando molto bene per separare il grano dalla gramigna, facendo conto sulle opposizioni più moderate. Se l'Ue non si impegna, domani vi sarà poco da recriminare per le tendenze imperiali degli Stati Uniti. Alle porte di casa nostra c'è un incendio che rischia di estendersi all'Egitto, mentre i primi focolai già attecchiscono in Giordania. In una situazione simile, potrebbero darsi scenari analoghi a quelli che videro l'approdo a Bari di migliaia di profughi albanesi subito dopo la caduta del regime di Tirana.
In una situazione così vulnerabile, gli italiani possono tuttavia compiacersi di avere un regime eccellente di relazioni con la Libia, considerando che il colonnello Gheddafi è, nella fascia maghrebina, l'unica autorità di governo che possa garantire la stabilità del suo paese e propiziare quella dei vicini. E noi, non dimentichiamolo, siamo vicini e confinanti con quell'area. Se oggi avessimo avuto una situazione meno che felice con la Libia, la nostra vulnerabilità sarebbe centuplicata. Lo rammentino coloro che poche settimane fa criticavano il governo a causa di Gheddafi.

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