TRIBUNALE DI VERONA

in composizione monocratica

 

giudice dott. Giorgio Piziali

 

 

SENTENZA

 

nel procedimento penale contro Ayari Sami, per i reati di cui allĠart. 495 cod. pen. e allĠart. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellĠimmigrazione e norme sulla condizione dello straniero)

 

omissis

 

MOTIVAZIONE

 

Nel corso dellĠudienza lĠimputato, a mezzo del proprio procuratore, e il Pubblico ministero hanno concordato lĠapplicazione di una pena da loro determinata.

 

Questo giudice, compiuti gli accertamenti di cui sotto si dˆ conto, ha provveduto in conformitˆ ad applicare la pena come determinata dalle parti, come da dispositivo trascritto in calce.

 

Le ragioni per cui la decisione  stata presa sono le seguenti.

 

In relazione alla responsabilitˆ non vi sono elementi che possano indurre ad escluderla nellĠottica di cui all'art. 129 c.p.p., atteso quanto emerso dallĠacquisizione del decreto di espulsione, del conseguente ordine di allontanamento, dallĠaccertamento compiuto in sede di arresto nonchŽ da quanto verificato circa il precedente utilizzo di altri dati anagrafici.

 

Per completezza di motivazione in relazione al fatto sub a), attesa la discussione in sede giurisprudenziale e dottrinaria circa lĠapplicabilitˆ diretta della Direttiva 2008/115/Ce dedicata ai rimpatri, occorre osservare che la predetta direttiva, non tradotta dal legislatore dello Stato in una normativa di attuazione, non appare autoapplicativa per le norme incidenti su disposizioni di rilievo penale nazionali, atteso che rimette allo Stato di dettare la complessiva normativa di dettaglio che attui le singole disposizioni.

 

Peraltro, neppure appare che le norme della direttiva contrastino con le previsioni della normativa nazionale che vengono in rilievo nel presente giudizio, atteso che lĠunica previsione che potrebbe contrastare attiene alla previsione del termine da concedere per lĠordine (che rimane tale anche nella direttiva) di allontanamento volontario, che non potrˆ essere inferiore ai sette giorni, mentre ora secondo la legislazione nazionale  di cinque.

 

Tuttavia, a parte il fatto che anche rispetto alla previsione di quel temine la direttiva rimette allo Stato la definizione dell'istituto, ammettendo, ad esempio, che possa essere ridotto in presenza di alcuni presupposti da definire nel dettaglio o, addirittura, che possa essere escluso (e proprio per soggetti come l'attuale, che per sottrarsi all'ordine ha reso false dichiarazioni), in ogni caso, nel caso di specie, il termine di cinque giorni  stato concesso nellĠottobre del 2010 allorchŽ era indiscutibilmente corretto e il reato si  consumato giˆ alla data del 24 ottobre 2010, per cui nulla consente di disapplicare retroattivamente il provvedimento amministrativo e tanto meno avrebbe rilievo lĠesclusione del reato alla data di entrata in vigore della direttiva visto che lo stesso si era giˆ consumato prima ed era stata pure giˆ interrotta la permanenza al 25.10.2010.

 

Del tutto e anche pi gravemente errata , invece, lĠinterpretazione secondo cui per effetto della Direttiva le sanzioni penali previste dallĠordinamento italiano per lĠinottemperanza ad ordini di espulsioni sarebbero radicalmente abrogate perchŽ in contrasto con la normativa dettata dalla direttiva, che prevederebbe come unico strumento limitativo della libertˆ il trattenimento.

 

Questa interpretazione  del tutto errata per molti motivi.

 

Il primo  che la direttiva, come mostrano le stesse finalitˆ esplicitate nei propri ÒconsiderandoÓ, non aveva ad oggetto il tema relativo agli interventi sanzionatori di natura penale previsti negli ordinamenti di alcuni Stati comunitari.

 

E ci˜  tanto vero che la direttiva addirittura esclude dal proprio ambito applicativo la disciplina dellĠespulsione quale sanzione penale.

 

Il secondo  che il contenuto espresso della direttiva e la sua intitolazione mostrano senza ombra di dubbio che ci˜ di cui si occupa  la disciplina delle Òprocedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno  irregolareÓ (art. 1 della direttiva), per questo aspetto regolando anche il delicato istituto che ha trovato ampia e differenziata applicazione negli ordinamenti degli stati membri: cio il trattenimento.

 

Istituto che nulla ha a che fare con le sanzioni penali previste dagli ordinamenti statuali per condotte connesse alla clandestinitˆ, senza che neppure si possa legittimamente dire che la sanzione penale dettata per punire comportamenti tenuti nellĠambito di una procedura di espulsione sarebbe in realtˆ un trattenimento mascherato, in quanto funzionale a realizzare lĠespulsione.

 

Infatti, non  assolutamente vero che la pena detentiva irrogata allo straniero inottemperante allĠordine di espulsione sia finalizzata a garantirne lĠespulsione; anzi  vero il contrario.

 

Lo straniero clandestino detenuto in esecuzione di una pena non pu˜ essere espulso.

 

Inoltre, la detenzione  disposta per la una sua specifica condotta, cui lo Stato legittimamente attribuisce rilievo penale, ma soprattutto quella sanzione ha un contenuto e una finalitˆ del tutto e radicalmente diverse dal trattenimento.

 

E, a questo riguardo,  essenziale prendere atto che la direttiva, lungi dal vietare la possibilitˆ di sanzioni penali per condotte quali lĠinottemperanza ad un ordine di espulsione, in realtˆ semmai le ammette, perchŽ allĠart. 8 prevede la possibilitˆ che lo Stato adotti Òtutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrioÓ, tra le quali non si vede perchŽ non possano essere ricomprese anche la minaccia di sanzioni penali per il soggetto inottemperante.

 

Sanzioni previste, ad esempio, in Italia, anche per i cittadini italiani che inottemperino ad un ordine della pubblica autoritˆ in alcuni settori.

 

Ma la riprova che  del tutto errato dedurre lĠincompatibilitˆ tra la previsione nazionale di una pena detentiva per lĠinottemperanza ad un ordine di espulsione e le norme della direttiva dedicate al trattenimento deriva da una pronuncia della stessa Corte di giustizia della CE resa proprio in relazione alla stessa Direttiva rimpatri.

 

Con sentenza della Corte (Grande Sezione) del 30 novembre 2009 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallĠAdministrativen sad Sofia-grad — Bulgaria) — Said Shalimovich Kadzoev (Huchbarov) (Causa C-357/09 PPU)  stato affermato che Òil periodo durante il quale una persona  stata collocata in un Centro di permanenza temporanea in forza di una decisione adottata a norma delle disposizioni nazionali e comunitarie relative ai richiedenti asilo non deve essere considerato un trattenimento ai fini dellĠallontanamento ai sensi dellĠart. 15 della direttiva 2008/115Ó. Ossia, addirittura rispetto ad un trattenimento disposto nellĠambito di una procedura di asilo, diversa dalla procedura di trattenimento finalizzato allĠespulsione, la Corte ha affermato che quel periodo di limitazione della libertˆ non pu˜ essere equiparato al trattenimento ai fini dellĠallontanamento diiscplinato dallĠart. 15 della direttiva.

 

Si vede come tanto pi una detenzione disposta per sanzionare una condotta che lo Stato ritiene integri un reato non possa essere equiparata al trattenimento a fini di allontanamento.

 

Ancora, se ve ne fosse bisogno, il possibile contrasto tra la direttiva e lĠart. 10 bis del d.lgs. n. 286/1998, nazionale, che addirittura punisce la semplice condizione di clandestino,  giˆ stato portato allĠattenzione della Corte costituzionale, la quale, oltre a dire in quel caso che la questione non aveva rilievo perchŽ in quel momento non era ancora decorso il termine per lĠadempimento della direttiva, ha per˜ voluto anticipare che in realtˆ un Òcontrasto non deriverebbe comunque dallĠintroduzione del reato oggetto di scrutinio, quanto piuttosto – in ipotesi – dal mantenimento delle norme interne preesistenti che individuano nellĠaccompagnamento coattivo alla frontiera la modalitˆ normale di esecuzione dei provvedimenti espulsivi (in particolare, art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998): norme diverse, dunque, da quella impugnataÓ.

 

E quella dellĠaccompagnamento coattivo  norma diversa anche da quelle qui in esame che puniscono lĠinottemperanza allĠobbligo di allontanamento nel termine dato.

 

Parimenti corretto  il riconoscimento della continuazione tra i due fatti perchŽ  evidente che le false generalitˆ siano state date per sottrarsi allĠobbligo di espulsione, nonchŽ delle generiche per il corretto comportamento processuale.

 

Reato pi grave si deve ritenere quello sub b).

 

Quanto alla misura della pena le parti hanno dunque convenuto il seguente calcolo:

pena base per il fatto sub b): anni 1 di reclusione

aumento per la continuazione ad anni 1 e mesi 3 di reclusione

riduzione per il rito: mesi 10 di reclusione.

 

Nell'ambito del potere di valutazione della congruitˆ della pena e precisato che sotto questo profilo la verifica rimessa al giudice non deve essere condotta ricercando una esatta corrispondenza tra pena convenuta e pena che il giudice applicherebbe nel caso concreto, ma valutando se la pena convenuta dalle parti, e per ci˜ stesso frutto di un accordo volto ad attenuarne l'entitˆ, sia tale da garantire la funzione propria della pena fissata dall'art. 27 della Costituzione oppure se vanifichi tale funzione. Alla luce di ci˜ la pena indicata dalle parti  apparsa coerenti ai criteri di cui all'art. 133 c.p. letti nell'ottica rieducativa voluta dall'art. 27 Cost. citato, tenendo conto del corretto comportamento processuale, della tipologia dei reati, della pregna di un solo precedente per il reato di clandestinitˆ, ma tenendo conto anche della specifica portata rieducativa propria nel fatto che lĠimputato ha mostrato di accettare l'imputazione chiedendo l'applicazione della pena e contribuendo alla sua definizione.

 

Correttamente calcolate sono le riduzioni operate.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 444 e segg. c.p.p.

 

A P P L I C A

allĠimputato la pena complessiva di mesi 10 di reclusione, come convenuto dalle parti in sede di accordo.

 

Letta in udienza, come da separato verbale.

 

Verona, 18 gennaio 2011