Inottemperanza dello straniero allordine di allontanamento

e direttiva rimpatri UE:

scenari prossimi venturi per il giudice penale italiano

 

Francesco Vigan

(ordinario di diritto penale nellUniversit degli Studi di Milano)

Luca Masera

(ricercatore di diritto penale nellUniversit degli Studi di Brescia)

 

Gli A. analizzano limpatto sul vigente diritto penale dellimmigrazione della c.d. direttiva rimpatri dellUnione europea, il cui termine di attuazione scadr il prossimo Natale. Laddove il legislatore italiano non dovesse apportare le indispensabili modifiche al t.u. entro tale termine, toccher ai giudici dare direttamente attuazione a tutte le (numerose) norme della direttiva dotate di effetto diretto: con pesanti ripercussioni – in particolare – sui delitti di inottemperanza dello straniero allordine di allontanamento emanato dal questore di cui allart. 14 co. 5-ter e quater d.lgs. 286/98, dei quali potr addirittura essere posta in discussione la compatibilit con il diritto dellUE.

 

Sommario: 1. Una disciplina ingiusta e inefficace. – 2. Le principali novit apportate dalla direttiva rimpatri in materia di espulsione. – 3. Limpatto della direttiva sulla valutazione incidentale del giudice penale sulla legittimit dei provvedimenti amministrativi presupposti. – 4. Illegittimit comunitaria delle incriminazioni di cui allart. 14 co. 5-ter e quater t.u. immigrazione? – 5. I termini di un possibile ricorso pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia UE.

 

1. Una disciplina ingiusta e inefficace

 

Lintroduzione, ad opera dei due successivi pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009, della contestatissima aggravante di cui allart. 61 n. 11-bis c.e. e dellaltrettanto discussa contravvenzione di clandestinit di cui allart. 10-bis d.lgs. 286/98 ha finito per distogliere lattenzione generale dalle incriminazioni relative allinottemperanza dello straniero allordine di allontanamento emanato dal questore, la cui importanza pratica peraltro – gi centrale nel diritto penale dellimmigrazione in action – ulteriormente cresciuta proprio in seguito alle modifiche apportate dai citati pacchetti. Modifiche che, vale la pena di rammentarlo in estrema sintesi, hanno da un lato elevato a delitto lipotesi di reato di cui allart. 14 co. 5-ter secondo periodo, che in precedenza configurava mera contravvenzione e che oggi invece punita con la reclusione da sei mesi a un anno; e, dallaltro, hanno riformulato il delitto di cui al co. 5-quater, punito con la reclusione da uno a cinque anni, s da eliminare ogni dubbio circa la sua applicabilit allo straniero che, gi condannato per inosservanza di un ordine di allontanamento ai sensi del comma precedente, risulti inottemperante ad un secondo ordine di allontanamento.

Ne risultata cos confermata la scelta di fondo, operata dal legislatore italiano sin dalla legge Bossi-Fini del 2002, di puntare sul diritto penale non solo allo scopo di combattere il favoreggiamento dellimmigrazione clandestina – secondo il disegno originario del t.u. del 1998 –, ma anche per sanzionare direttamente lo straniero la cui presenza nel territorio nazionale sia irregolare. Consapevole della  radicale insufficienza di mezzi e di risorse finanziarie per procedere direttamente al sistematico accompagnamento alla frontiera degli stranieri irregolari, il legislatore italiano mira – almeno sulla carta – a rafforzare leffettivit del meccanismo espulsivo, agitando la minaccia delle severe pene detentive di cui allart. 14 co. 5-ter e quater del t.u., per indurre lo straniero colpito da un provvedimento di espulsione alla partenza volontaria. Le incriminazioni in parola vengono cos a configurare una sorta di intervento incidentale del diritto penale allinterno della procedura di espulsione amministrativa dello straniero, allo scopo di assicurarne lenforcement – o quanto meno, secondo una pi realistica prospettiva, di isolare il pi possibile il clandestino dal contesto sociale attraverso la sua reclusione in carcere, in attesa che ne divenga possibile lallontanamento forzato. 

Il sistema disegnato dal legislatore si tuttavia rivelato, alla prova dei fatti, largamente inefficace rispetto agli scopi perseguiti dal legislatore, e assieme si espone a fondate critiche sotto il profilo della sua intrinseca ingiustizia.

I due rilievi sono, del resto, strettamente correlati: le perplessit di fondo nutrite da molti giudici sulla congruit delluso dello strumento penale nei confronti di immigrati clandestini senza precedenti penali rispetto allobiettivo del controllo dei flussi migratori finiscono per tradursi in una diffusa riluttanza della prassi a far s che lo straniero inottemperante... finisca davvero in galera, secondo gli inequivoca desiderata del legislatore; riluttanza che si manifesta gi con il frequente diniego di disporre misure cautelari in sede di convalida dellarresto, e che prosegue con il vaglio particolarmente puntuale – in sede di giudizio – dei requisiti di legittimit dei provvedimenti amministrativi presupposti e dei possibili giustificati motivi dellinottemperanza. Senza dimenticare, in caso di condanna, le altrettanto frequenti prognosi favorevoli in sede di concessione della sospensione condizionale.

Comprensibili del resto le ragioni del disagio avvertito da molti magistrati, se non proprio da tutti. Quale funzione mai pu essere assegnata ad una pena detentiva inflitta nei confronti di un individuo, la cui unica colpa quella di non avere cooperato allesecuzione del provvedimento con il quale gli si intimava entro cinque giorni di lasciare il paese nel quale aveva cercato, affrontando spesso sacrifici di ogni genere, unesistenza migliore per s e per la propria famiglia?  Quale bisogno di rieducazione potr mai essere soddisfatto mediante la pena detentiva in casi siffatti? E quale pericolosit sociale dovr essere almeno temporaneamente neutralizzata, in un soggetto che non abbia mai manifestato alcuna attitudine aggressiva rispetto ai valori fondamentali della convivenza civile?

Lassenza di una sistematica politica di persecuzione dei reati in parola da parte della polizia e la segnalata tendenza della prassi giudiziaria ad evitare un esito privativo della libert personale quanto meno per gli stranieri che non abbiano precedenti penali finiscono, daltra parte, per indebolire grandemente la gi precaria efficacia deterrente di queste incriminazioni, senza che – nemmeno – venga assicurato su larga scala lo scopo di segregazione dei clandestini in carcere perseguito in effetti dal legislatore (singolarmente dimentico, dal canto suo, della gi insostenibile situazione di sovraffollamento in cui versano attualmente le carceri italiane).

Ma la presenza nel sistema penale di incriminazioni che si rivelano largamente inefficaci non mai neutra, ed sempre connessa a costi, in termini individuali e collettivi, che a questo punto appaiono sempre meno tollerabili. Gli ampi spazi di discrezionalit giudiziaria nellapplicazione delle incriminazioni di cui allart. 14 co. 5-ter e quater nel giudizio cautelare e di merito rischiano anzitutto di condurre a gravi disparit di trattamento tra imputati in situazioni sovrapponibili, a seconda della diversa sensibilit del singolo giudice di turno o comunque – nella migliore delle ipotesi – a seconda delle diverse prassi dei vari uffici giudiziari italiani: disparit di trattamento certo non irrilevanti, a fronte della pesante incidenza potenziale di queste incriminazioni sulla libert personale degli imputati, connessa alla previsione di un minimo edittale pari ad un anno di reclusione nelle ipotesi di cui al co. 5-ter primo periodo e 5-quater. Con, sullo sfondo, il dato di comune esperienza dellingolfamento delle udienze con rito direttissimo a causa dellaffollarsi di questi procedimenti, con tutti i costi finanziari connessi per la collettivit – quale che sia lesito dei procedimenti medesimi – in termini di spese per la traduzione degli imputati, per i difensori dufficio, per gli interpreti, etc.

Una domanda di fondo dovrebbe a questo punto suonare come ineludibile, per il legislatore come per il giudice: ha davvero senso proseguire per questa strada, nel perseguimento di uno scopo pure largamente considerato quale legittimo, come il controllo dei flussi migratori?

 

 

2. Le principali novit apportate dalla disciplina rimpatri in materia di espulsione

 

Unimportante occasione – per il legislatore, ma anche per i giudici italiani – per meditare sulla questione offerta dallimminente scadenza, il prossimo 24 dicembre, del termine di attuazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dellUnione europea del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno irregolare (di seguito: la direttiva).

Raccogliendo linvito, formulato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004, a istituire unefficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio [dei cittadini non comunitari sprovvisti di un valido titolo di soggiorno] basata su norme comuni affinch le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignit (considerando introduttivo n. 2), la direttiva intende dettare norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica di immigrazione correttamente gestita (considerando n. 4), da attuarsi nel  rispetto dei diritti fondamentali [dello straniero] in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale (art. 1).

Evidente, gi da queste prime battute, il duplice scopo perseguito dalla direttiva.

Da un lato, la fissazione di standard e procedure uniformi mira ad assicurare leffettivit dei rimpatri di cittadini extracomunitari che non abbiano titolo per soggiornare nellUE, in funzione dellinteresse che lart. 79 del vigente Trattato sul funzionamento dellUnione definisce come gestione efficace dei flussi migratori, che a sua volta comporta lesigenza – di cui lo stesso art. 79 si fa carico – di un contrasto rafforzato dellimmigrazione illegale.

Dallaltro lato, tale obiettivo per bilanciato con le esigenze del rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini extracomunitari, la cui tutela la direttiva assume quale proprio scopo autonomo accanto a quello dellefficace controllo dei flussi migratori e della garanzia delleffettivit delle espulsioni. In questottica, la direttiva procede anzi a cristallizzare il bilanciamento dei due opposti interessi, muovendosi sostanzialmente nel solco della giurisprudenza della Corte di Strasburgo formatasi in particolare in materia di tutela della libert personale dello straniero durante la procedura di rimpatrio ai sensi dellart. 5 co. 1 lett. f) CEDU.

Che lo scopo almeno concorrente della direttiva sia proprio quello di tutelare lo straniero nellambito delle procedure di rimpatrio emerge daltronde evidente dallart. 4 della direttiva medesima, laddove si dispone che restano impregiudicate tutte le disposizioni pi favorevoli (per lo straniero) gi previste dagli accordi internazionali in vigore nonch dallacquis comunitario in materia di immigrazione ed asilo, e laddove – soprattutto – si precisa che resta ferma la facolt degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni pi favorevoli alle persone cui si applica, purch compatibili con le norme in essa stabilite. La direttiva stabilisce, insomma, standard minimi di tutela dello straniero, cui ciascuno Stato pu derogare esclusivamente in melius.

In linea con tali scopi di fondo, la disciplina della direttiva si impernia sui passaggi seguenti:

– salva la sussistenza di ragioni in senso contrario, il rimpatrio volontario dello straniero dovr essere privilegiato rispetto al rimpatrio coattivo (considerando n. 10. );

– conseguentemente, le decisioni di rimpatrio emanate dagli Stati membri dovranno di regola fissare un termine per la partenza volontaria di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatta salva per lo Stato di concedere un termine pi lungo in relazione alle circostanze specifiche del caso individuale (quali la durata del soggiorno, lesistenza di bambini che frequentano la scuola o lesistenza di altri legami familiari o sociali), ovvero di fissare un termine pi breve o addirittura di non concedere alcun termine quando sussista un rischio di fuga, o se una domanda di soggiorno regolare stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se linteressato costituisce un pericolo per lordine pubblica, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (art. 7);

– le decisioni di rimpatrio che fissino un termine per la partenza volontaria potranno essere corredate dallimposizione di obblighi diretti a evitare il pericolo di fuga, come lobbligo di presentarsi periodicamente alle autorit, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o lobbligo di dimorare in un determinato luogo (art. 7 3);

– soltanto laddove linteressato non sia partito volontariamente nel termine concessogli, ovvero non sia stato concesso sin dallinizio allinteressato alcun termine, o ancora sia sorto in pendenza di tale termine uno dei rischi che avrebbero legittimato la sua mancata concessione, lo Stato potr procedere allesecuzione coattiva della decisione di rimpatrio, eventualmente previa emanazione da parte dellautorit amministrativa e giudiziaria di un ordine di allontanamento (art. 8);

– in tale ipotesi, laddove non sia possibile eseguire immediatamente lallontanamento coattivo e non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, potr essere disposto il trattenimento dello straniero presso un apposito centro di permanenza temporanea (CPT), il quale dovr avere durata quanto pi breve possibile e dovr essere mantenuto – in conformit alla giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo in tema di privazione della libert personale a fini di espulsione dello straniero – solo per il tempo necessario allespletamento diligente delle modalit di rimpatrio (art. 15;

– il provvedimento di trattenimento dovr comunque essere assistito dalle garanzie di habeas corpus davanti ad unautorit giurisdizionale, e la sua effettiva necessit rispetto allo scopo di preparare il rimpatrio dovr essere riesaminata ad intervalli ragionevoli su richiesta dello straniero o dufficio, dovendo comunque cessare allorch risulti che non esiste pi alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono pi le condizioni di cui al paragrafo 1 (art. 15 4);

– il trattenimento potr avere la durata massima di sei mesi (art. 15 5), prorogabili tuttavia sino al termine massimo complessivo di diciotto mesi complessivi nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, loperazione di allontanamento rischia di durare pi a lungo a causa: a) della mancata cooperazione da parte [dello straniero interessato], o b) dei ritardi nellottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi (art. 15 6).

La disciplina in parola dovr trovare applicazione in tutte le procedure di espulsione amministrativa di stranieri non comunitari dai paesi membri dellUE, mentre potr – a discrezione degli stessi Stati membri – non trovare applicazione in materia di respingimento, nonch nelle ipotesi in cui lespulsione sia disposta come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale (art. 2)[1]. Entro tali limiti, peraltro, la quasi totalit delle norme qui riassunte appare idonea – secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, pacificamente recepita anche nellordinamento italiano – a spiegare effetti diretti nellordinamento dei paesi membri, nellipotesi in cui il legislatore nazionale non provveda allimplementazione della direttiva in via legislativa entro il termine pi volte citato del 24 dicembre 2010. Si tratta, infatti, di norme chiare e precise, applicabili dal giudice senza la necessit di alcuna intermediazione da parte di una legge nazionale, le quali riconoscono agli individui interessati dei veri e propri diritti soggettivi al rispetto degli standard minimi di tutela imposti dalla direttiva.

Pi in particolare, a noi pare che almeno duplice potrebbe essere limpatto della direttiva sui delitti di inosservanza dellordine di allontanamento cos come attualmente configurati dal t.u.:

– da un lato, la difformit della vigente disciplina in tema di espulsione dello straniero rispetto alla direttiva si tradurr nellillegittimit degli atti amministrativi presupposti dalle incriminazioni in parola, con conseguente obbligo a carico del giudice penale di disapplicare i provvedimenti medesimi ex art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, e di assolvere quindi limputato per insussistenza di un presupposto del reato;

– dallaltro lato, e pi radicalmente, ci pare possa sostenersi che la stessa previsione dei delitti di cui allart. 14 co. 5-ter e quater d.lgs. 286/98, con tutti i loro gravosi effetti sulla libert personale dello straniero, conduca ad un risultato di sostanziale elusione delle garanzie stabilite dalla direttiva UE, finendo cos per pregiudicarne ogni effetto utile, in violazione del principio di leale collaborazione dello Stato italiano con le istituzioni europee; con conseguente illegittimit comunitaria delle relative incriminazioni, le quali dovranno pertanto – se la prospettiva qui sostenuta fosse ritenuta fondata – essere tout court disapplicate dal giudice ordinario, proprio in ragione del loro non rimediabile contrasto con il diritto UE, a partire dal prossimo Natale.

 

 

 

 

3. Limpatto della direttiva sulla valutazione incidentale del giudice penale sulla legittimit dei provvedimenti amministrativi presupposti

 

Per quanto riguarda il primo profilo, occorre preliminarmente osservare che il modello delineato dalla direttiva corrisponde in larga misura alla procedura originariamente prevista dal t.u. del 1998 (c.d. legge Turco-Napolitano), il quale a sua volta contemplava come modalit normale di esecuzione delle espulsioni di cui al comma 2 lett. b) lintimazione allo straniero a lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni, salva la possibilit di un trattenimento nei centri di detenzione amministrativa in vista dellaccompagnamento alla frontiera quando sussistesse il concreto pericolo che lo straniero potesse sottrarsi allesecuzione del provvedimento.

In seguito alle modifiche apportate con la riforma del 2002 (c.d. legge Bossi-Fini), la disciplina vigente in tema di espulsioni amministrative si presenta invece come radicalmente difforme rispetto agli standard della direttive, risultando imperniata sulla regola dellallontanamento coattivo dello straniero, da attuarsi mediante laccompagnamento coattivo alla frontiera ed eventualmente, ove questo obiettivo non sia immediatamente realizzabile, mediante il suo trattenimento in un centro di identificazione e di espulsione (CIE); mentre lintimazione a lasciare volontariamente il territorio dello Stato si presenta come opzione meramente residuale, nellipotesi in cui n luna n laltra delle opzioni appena menzionate risultino praticabili. N, daltra parte, il sistema vigente prevede alcuna misura meno coercitiva idonea a garantire lesito del procedimento di espulsione ma meno gravosa del trattenimento nei CIE, che perde cos – contrariamente alle espresse previsioni della direttiva – qualsiasi carattere di ultima ratio.

Tutto ci – incidentalmente – non potr che tradursi, una volta scaduto invano il termine di attuazione fissato dalla direttiva, nella illegittimit degli ordini di accompagnamento alla frontiera non corredati da una specifica motivazione, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, circa le ragioni della mancata concessione di un termine per la partenza volontaria; nonch nella illegittimit degli ordini di trattenimento in un CIE e/o delle relative proroghe, in relazione alla mancata previsione da parte del legislatore di misure coercitive meno gravose (in violazione del disposto dellart. 15 1 della direttiva), che rende a priori impossibile qualsiasi motivazione in ordine alla effettiva necessit del trattenimento rispetto allesecuzione dellallontanamento dello straniero. Tali profili di illegittimit potranno, e dovranno, essere rilevati anche dufficio dal giudice di pace in sede di convalida dei relativi provvedimenti[2].

Nellambito dei procedimenti per inosservanza dellordine di allontanamento emanato dal questore, il giudice penale dovr invece sanzionare leventuale inosservanza del termine minimo di sette giorni per la partenza volontaria fissato dalla direttiva mediante la valutazione incidentale di illegittimit, e la conseguente disapplicazione, dellordine del questore in ragione del suo contrasto con una norma UE dotata di effetti diretti e prevalente rispetto alla stessa legge interna, che fissa invece il termine di soli cinque giorni. Cos come, verosimilmente, il giudice penale potr censurare nel caso concreto leventuale difetto di motivazione circa linsussistenza delle ragioni che, ai sensi dellart. 7 della direttiva, avrebbero potuto (e dovuto) legittimare la concessione di un termine pi lungo di sette giorni per la partenza volontaria dello straniero.

 

4. Illegittimit comunitaria delle incriminazioni di cui allart. 14 co. 5-ter e quater t.u. immigrazione?

 

Come anticipato, a noi pare tuttavia che limpatto dellinutile scadenza del termine fissato dalla direttiva potrebbe essere assai pi radicale, e determinare addirittura una valutazione di radicale illegittimit, al metro del diritto UE, delle stesse incriminazioni di cui allart. 14 co. 5-ter e quater del t.u., quanto meno – in ragione della limitazione dellambito di operativit della direttiva di cui al pocanzi citato art. 2 della direttiva medesima – nella parte in cui concernono linosservanza di ordini di allontanamento emessi dal questore nellambito di procedure amministrative di espulsione (e non di mero respingimento).

Al riguardo, occorre anzitutto premettere che la direttiva include certamente tra i propri scopi la tutela della libert personale dello straniero contro limitazioni arbitrarie, ma non si occupa espressamente delle limitazioni di libert conseguenti allinflizione di una sanzione di carattere penale, come quella prevista dalle norme incriminatrici qui in questione.

evidente, peraltro, come la presenza in un ordinamento di nome che prevedono sanzioni detentive in conseguenza dellinosservanza da parte dello straniero di un ordine di allontanamento crei di fatto ulteriori possibilit di limitare la libert personale dello straniero, per ragioni connesse alla procedura amministrativa di espulsione, su un binario distinto e parallelo rispetto al trattenimento in via amministrativa nei centri di permanenza temporanea (o CIE, secondo la terminologia del t.u. italiano) disciplinato dalla direttiva. Con conseguente rischio di elusione delle garanzie poste dalla direttiva a tutela del diritto fondamentale alla libert personale dello straniero, tramite la mera riconduzione della detenzione a un titolo giuridico diverso (sub specie di reclusione conseguente a una condanna penale) rispetto a quello disciplinato dalla direttiva medesima.

Si considerino anzitutto i profili attinenti alla durata della privazione di libert. Comminando per le varie ipotesi delittuose in esame una pena detentiva – sino ad un massimo di cinque anni di reclusione! –, il legislatore italiano prevede la possibilit che lo straniero venga privato della propria libert personale, in esito a una condanna penale che interviene nel bel mezzo di un procedimento di espulsione amministrativa, per periodi che di per s potrebbero risultare superiori al limite complessivo di diciotto mesi fissato dallart. 15 6 della direttiva, che pure tanto stato criticato a livello europeo per leccessiva lunghezza di tale termine.

Ma i reali effetti elusivi delle garanzie della libert personale dello straniero assicurati dalla direttiva si colgono appieno ove si consideri la possibile, ed anzi fisiologica (perlomeno nello schema astrattamente disegnato dal legislatore italiano) successione tra la detenzione amministrativa nei CIE e le privazioni della libert personale conseguenti alla commissione dei delitti di cui ai co. 5-ter e 5-quater – per i quali, si rammenti, previsto larresto obbligatorio in flagranza (art. 14 co. 5-quinquies d.lgs. 286/98) ed consentita la custodia cautelare in carcere.

Ipotizziamo che lo straniero sia gi stato trattenuto per complessivi centottanta giorni in un CIE, e cio per il periodo massimo oggi consentito dalla legge (art. 14 co. 5 d.lgs. 286/98). Non essendo stato possibile eseguire lespulsione entro quel termine, lo straniero viene rilasciato, e contestualmente gli viene notificato lordine di allontanamento del questore ai sensi del co. 5-bis. Decorsi cinque giorni, lo straniero viene arrestato, sottoposto a misura cautelare in carcere e processato con rito direttissimo per il delitto di cui allart. 5-ter, che – nellipotesi di cui al primo periodo – prevede la pena della reclusione sino a quattro anni. La sospensione condizionale non affatto pacifica, perch non agevole presumere che lo straniero si asterr dal commettere nuovi reati, risultando sin troppo prevedibile nella stragrande maggioranza dei casi concreti la trasgressione di un nuovo ordine del questore (oggi certamente legittimo ai sensi del co. 5-ter, e la cui violazione sanzionabile ai sensi del co. 5-quater, in seguito alle recentissime modifiche di cui alla l. 94/2009). Scontata la pena detentiva, ai sensi dello stesso co. 5-ter verr notificato allo straniero un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera; e se laccompagnamento dovesse risultare impossibile – come di regola accadr –, lo straniero potr essere nuovamente trattenuto in un CIE ai sensi del co. 1, oggi espressamente richiamato dalla nuova formulazione del co. 5-ter a seguito della l. 94/2009. Tale trattenimento potr durare ulteriori sei mesi ai sensi del co. 5 – a meno che non si intenda tale termine gi consumato con il precedente trattenimento –, scaduti i quali allo straniero sar notificato un nuovo ordine di allontanamento. La trasgressione di questultimo ordine, decorsi i soliti cinque giorni, potr essere sanzionata penalmente ai sensi del co. 5-quater, che prevede la pena della reclusione sino a cinque anni. Dopodich potrebbe ricominciarsi da capo, con una nuova detenzione in un CIE, un nuovo ordine di allontanamento e – secondo una interpretazione letterale dello stesso co. 5-quater – con una seconda condanna alla reclusione sino a cinque anni per il delitto previsto dallo stesso co. 5-quater.

E cos via, in una catena senza fine nella quale si alterneranno detenzione amministrativa e reclusione in carcere pressoch senza soluzione di continuit, e comunque per un periodo complessivo che ben potrebbe risultare anche di molto superiore al limite massimo e inderogabile di diciotto mesi complessivi fissato dalla direttiva.

N varrebbe obiettare che un tale scenario soltanto teorico, e che nella prassi accade con una certa frequenza che alludienza di convalida il giudice non disponga la misura cautelare per i delitti di cui allart. 14 co. 5-ter e quater d.lgs. 286/98, o che comunque il processo si concluda con un esito assolutorio ovvero con una pena sospesa. Dal punto di vista metodologico, infatti, appare chiaro che per vagliare la compatibilit delle ipotesi delittuose in questione con la direttiva UE occorre muovere dallo scenario peggiore per lo straniero reso possibile dalla normativa italiana, non tenendo in conto di tutte le infinite variabili che potrebbero frapporsi (ma che nulla garantisce si frapporranno) alla effettiva realizzazione di quello scenario. Del resto, chiunque abbia un minimo di pratica dei giudizi direttissimi sa che leventualit di una condanna a pena detentiva non sospesa per i delitti in parola, per quanto magari non frequente, sia tuttaltro che eccezionale.

A parte poi i profili concernenti la durata della detenzione, la privazione della libert personale connessa ai delitti di cui ai co. 5-ter e 5-quater del t.u. (sub specie di custodia cautelare e poi di reclusione) si presenta come fortemente distonica rispetto agli standard imposti dalla direttiva in tema di trattenimento. Il trattenimento si giustifica infatti secondo la direttiva (e secondo la stessa giurisprudenza di Strasburgo formatasi sullart. 5 1 lett. f CEDU) non gi in chiave sanzionatoria della mancata partenza volontaria, bens soltanto nella misura in cui possa esserne in ogni momento dimostrata leffettiva e persistente funzionalit rispetto allobiettivo di assicurare lallontanamento dello straniero. Il che impone, come si gi avuto modo di sottolineare, un vaglio iniziale non solo sulla effettiva impossibilit di procedere immediatamente allallontanamento coattivo, ma anche sulla insufficienza allo scopo di misure meramente limitative (e non gi privative) della libert personale; ed esige quindi periodici e ravvicinati riesami della persistente sussistenza di tali condizioni, in rapporto altres alla diligenza spiegata dalle autorit dello Stato nel creare le condizioni per eseguire il rimpatrio, con conseguente possibilit per lautorit amministrativa o giudiziaria competente per il riesame di disporre la cessazione della misura anche prima del termine massimo di durata, allorch tali condizioni non siano pi sussistenti ovvero quando risulti comunque evidente che non esiste pi nessuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi (art. 15 4 della direttiva).

Nulla di tutto ci pu accadere, invece, in relazione alla pena detentiva inflitta con la condanna per i delitti di cui ai co. 5-ter e 5-quater, la cui durata ovviamente predeterminata dal giudice al momento della condanna senza alcun vaglio sulla effettiva funzionalit della detenzione rispetto allobiettivo finale dellallontanamento, e che non pu – altrettanto ovviamente – essere fatta cessare qualora tali requisiti vengano meno durante lesecuzione, o quando comunque risulti evidente limpossibilit di procedere allallontanamento coattivo.

Infine, lo straniero sottoposto a misura cautelare ovvero condannato a pena detentiva non sospesa per i delitti di cui ai co. 5-ter e 5-quater sar collocato, naturalmente, in un istituto penitenziario per lintera durata della pena; mentre la direttiva si preoccupa di garantire – proprio allopposto – che il trattenimento avvenga in appositi centri di permanenza temporanea (art. 16 1), nei quali tra laltro le famiglie trattenute in attesa di allontanamento usufruiscono di una sistemazione separata che assicuri loro un adeguato rispetto della vita privata (art. 17 2), prevedendo soltanto in via di eccezione che il trattenimento possa avvenire in un istituto penitenziario, purch – in tal caso – sia assicurata la separazione dei soggetti trattenuti ai sensi della direttiva dai detenuti ordinari (art. 16 1 secondo periodo).

Naturalmente, lesistenza di un doppio binario di possibili privazioni della libert personale dello straniero (le une sub specie di trattenimento amministrativo, le altre di reclusione conseguente alla condanna penale per un delitto) non costituirebbe un problema particolare se al delitto corrispondesse un autonomo disvalore, quale fatto offensivo di interessi diversi ed ulteriori rispetto a quelli tutelati dalla procedura amministrativa di espulsione. Ma le incriminazioni di cui discorso consistono per lappunto nella mera inosservanza di un provvedimento che costituisce parte integrante della procedura amministrativa di espulsione: una inosservanza nuda, si noti, ossia non corredata di condotte attive – fraudolente, o sotto altro profilo criminose – volte a frustrare o ad ostacolare lesecuzione dellobiettivo finale del rimpatrio dello straniero. Una condotta, insomma, consistente soltanto nella mancata partenza volontaria nel – brevissimo – termine fissato dalla legge, elevata a reato con il solo scopo (dichiarato) di assicurare effettivit alla procedura di espulsione, e con il solo scopo (reale) di legittimare una privazione della libert personale dello straniero il pi a lungo possibile (e comunque potenzialmente ben oltre i diciotto mesi di trattenimento consentiti dalla direttiva), in attesa che il questore abbia la possibilit pratica di eseguire materialmente lallontanamento coattivo.

N potrebbe onestamente ritenersi che le incriminazioni in parola siano funzionali alla tutela di beni giuridici o interessi diversi da quelli alla cui tutela mira la stessa direttiva comunitaria, come – in ipotesi – la tutela della forza obbligatoria dei provvedimenti della pubblica autorit. La nostra Corte costituzionale, nella nota e discussa sent. n. 22/2007 con la quale pure ha (provvisoriamente?) salvato le incriminazioni di cui al co. 5-ter nella formulazione allora vigente – ha infatti evitato anche soltanto di prendere in considerazione simili pseudo-beni, che evocano lidea sinistra di un diritto penale che colpisce la mera disobbedienza allordine dellautorit, e ha riconosciuto apertis verbis che la finalit che il legislatore intende perseguire con la norma il controllo dei flussi migratori e la disciplina dellingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Ossia, per lappunto, il medesimo interesse che la direttiva comunitaria intende perseguire, nel quadro per di un bilanciamento vincolante per gli Stati membri (e da questi non derogabile se non in senso pi favorevole per lo straniero: art. 4 3 della direttiva) con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dello straniero sottoposto alla procedura di rimpatrio, a cominciare dal suo diritto alla libert personale.

Sembra dunque plausibile concludere che attraverso le incriminazioni de quibus la legislazione italiana vigente violi lobbligo di fedelt comunitaria che incombe sugli Stati membri dellUE, ed assieme pregiudichi leffetto utile (in termini di tutela dei diritti fondamentali dello straniero sottoposto a procedura di espulsione) a cui mira la direttiva, consentendo nei fatti di prolungare indefinitamente (attraverso il meccanismo di alternanza tra detenzione amministrativa e di reclusione sopra descritto) la privazione della libert personale dello straniero in attesa dellesecuzione dellespulsione – con conseguente frustrazione delle ragioni di tutela di quel diritto fondamentale, di cui la direttiva intende invece farsi carico.

Se tali argomenti fossero ritenuti fondati, una sola sarebbe la necessaria conclusione: il giudice penale dovrebbe tout court disapplicare lart. 14 co. 5-ter e quater – ripetiamo, limitatamente alle ipotesi di inosservanza da parte dello straniero di un ordine di espulsione amministrativa – per contrasto con la direttiva UE, assunta quale fonte di diritto dotata di effetto diretto e, assieme, di primazia rispetto al diritto nazionale. Senza alcuna necessit, si noti, di investire della questione la Corte costituzionale, in forza dei principi consolidati ricavabili dalla stessa giurisprudenza di questultima, a partire dalla fondamentale sent. n. 170/1984.

 

 

5. I termini di un possibile ricorso pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia UE

 

Laddove peraltro dubitasse dellirresistibilit dellargomentazione qui proposta alla luce dello stesso diritto comunitario, il giudice italiano avrebbe comunque la facolt (ovvero lobbligo, per quanto riguarda la posizione dei giudici di ultima istanza) di sospendere il procedimento, e di investire della questione la Corte di giustizia UE attraverso lo strumento del ricorso pregiudiziale di interpretazione di cui allart. 267 del vigente Trattato sul funzionamento dellUnione europea. E ci allo scopo di sollecitare una presa di posizione dei giudici comunitari sulleffettiva incompatibilit con la ratio di tutela della direttiva di una disciplina che, come quella italiana, finisce per sottoporre lo straniero sottoposto a procedimento amministrativo di rimpatrio ad unalternanza potenzialmente illimitata di periodi di detenzione amministrativa e di privazione della libert personale disposta dal giudice penale (sub specie di custodia cautelare e poi di reclusione), sulla base della mera inosservanza (e dunque in assenza di qualsiasi condotta fraudolenta, o sotto altri profili criminosa) dellordine, emanato dallautorit amministrativa nel quadro della medesima procedura di espulsione, di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale.

Il giudice dovrebbe insomma chiedere alla Corte, in estrema sintesi, se, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, lart. 15 della direttiva 2008/115/CE osti – come gli autori di questo contributo fermamente ritengono – alla possibilit che il legislatore nazionale preveda come reato, punibile con una pena detentiva di durata compresa tra i sei mesi e i cinque anni, la mera inosservanza di un ordine di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale, emesso nel quadro di un procedimento amministrativo di rimpatrio a carico di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio dello Stato sia irregolare.

Dopodich, non rester che rimettersi alla prudente valutazione della Corte, cui tutti – legislatore, giudici e pubblica amministrazione: in Italia come in ogni altro paese membro dellUE – saranno vincolati.

 



[1] Sulla delicata questione, se lart. 2 della direttiva consenta allo Stato italiano di non applicare la disciplina della direttiva medesima allipotesi di espulsione disposta dal giudice di pace quale sanzione sostituiva della pena pecuniaria in relazione alla contravvenzione di cui allart. 10 bis TU immigr., sia consentito il rinvio a F. Vigan – L. Masera, Illegittimit comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, di prossima pubblicazione in Riv. it. dir. proc. pen.

[2] Per ulteriori approfondimenti sul punto, vedi ancora F. Vigan – L. Masera, cit.