Con questo
numero, Focus
sospende le
pubblicazioni per
la pausa
estiva
Arrivederci
a Settembre!
Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data
dell’11 luglio 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Mediterraneo – resoconto
del Workshop
pag. 2
o
Legislazione – La
direttiva 2009/52/CE va approvata entro il 20 luglio pag.10
o
Legislazione - Il DL 89/2011 sui rimpatri passa al
Senato
pag. 11
o
Società – Sulla gru
per un permesso: caso umano o speculazione politica? pag.12
o
Società – Nel 2050
gli alunni stranieri supereranno quelli italiani?
pag.13
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 315
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 14 luglio 2011, ore 17.30,
Villa Aldobrandini
Incontro con Luigi Cal,
nuovo Direttore dell’Ufficio ILO per l’Italia e San Marino
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 18 luglio 2011, ore 17.00,
Via del Velabro,
Comitato Direttivo del CIR
(Giuseppe Casucci)
Questi ed altri temi sono stati dibattuti lo scorso 6 luglio, nell’ambito dello workshop che la UIL ha voluto dedicare ad una analisi ed un confronto sui processi sociali in corso in Africa ed in Italia, ad una valutazione delle politiche attuate dall’Europa in materia di immigrazione, cooperazione ed aiuti allo sviluppo, ad uno sguardo sul prossimo futuro di queste aree. Il dibattito è stato ottimamente moderato dal Capo Ufficio Stampa della UIL, il giornalista Antonio Passaro. Presenti all’evento ospiti di rilievo, quali il Direttore Generale per l’Immigrazione del Ministero del Lavoro, Natale Forlani; il Capo Missione OIM in Italia, Josè Angel Oropeza; il Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea Lucio Battistotti; il demografo Antonio Golini, il Direttore del CIR, Christopher Hein; il Direttore Generale dell’OICS, Gildo Baraldi; il Presidente dell’Associazione delle ONG italiane, Francesco Petrelli; il dirigente dell’Uff. VII DGCS Marco Falcone. Per la UIL, ha introdotto i lavori il Segretario Confederale Anna Rea, mentre il Segretario Confederale Guglielmo Loy ha concluso la mattinata. Due le comunicazioni principali ad inizio lavori, quella di Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL e di Bruno Bruni, Presidente di Progetto Sud. Anna Rea ha introdotto i lavori spiegando l’obbiettivo dell’iniziativa voluta dai Dipartimenti Internazionale e Politiche Migratorie della Uil: “il proposito – ha detto l’oratrice – è quello di analizzare gli avvenimenti in quelle aree (Nord Africa, Medio Oriente) a noi tanto vicine; di dibattere sulle politiche internazionali attuate dall’Europa e dall’Italia, al fine di valutarne l’efficacia, sia in termini di aiuto allo sviluppo dei Paesi Nordafricani, sia di gestione dell’impatto migratorio che le rivolte in quelle zone hanno inevitabilmente prodotto”. Si tratta anche di gettare uno sguardo sul prossimo futuro, per capire cosa succederà in quel continente e nel nostro e quali politiche l’Europa dovrebbe adottare ai fini di un accorciamento delle distanze tra le velocità di sviluppo e delle disuguaglianze tra le condizioni di vita e di lavoro tra i due Continenti. “Non c’è dubbio – ha detto il dirigente UIL - che l’Italia abbia mostrato una grande ospitalità e solidarietà verso le migliaia di persone in arrivo, evitando di chiudere le frontiere di fronte ad avvenimenti percepiti- se non come eccezionali – certamente fuori dall’ordinario. Così come è anche chiaro che l’Europa abbia mancato l’occasione di muoversi su di una politica condivisa, sia in termini di governo dell’immigrazione, sia di politiche di buon vicinato con l’Area del Sud del Mediterraneo”. L’oratore si è poi soffermato sul vertice del Consiglio europeo, tenutosi il 23 e 24 giugno scorsi a Bruxelles, da cui “è venuto un nuovo tentativo di risposta all’emergenza mediterranea: con la proposta di avviare un “dialogo per le migrazioni, la mobilità e la sicurezza”, da costruire e sviluppare con i Paesi del Mediterraneo meridionale. A parte la contingenza di questi ultimi avvenimenti, ha concluso Anna Rea, “si tratta di proporre politiche ed azioni comuni, che non si limitino solo ai necessari controlli di sicurezza alle frontiere e pattugliamenti delle coste, ma che impostino soprattutto una politica di sostegno alle legittime aspirazioni alla democrazia di quei popoli, nonché un supporto concreto allo sviluppo economico e sociale in quelle aree, dove transitano ogni anno centinaia di migliaia di migranti e profughi provenienti dall’Africa Sub- sahariana. Senza la messa a punto di una politica comune anche con quei Paesi, il rischio è che gli accordi bilaterali per il rimpatrio degli immigrati irregolari, non solo producano scarsi risultati, ma mettano a repentaglio i diritti individuali dei migranti e dei profughi”.
Per
quanto riguarda il Mediterraneo, l’oratore ha sintetizzato la situazione
ricordando che da gennaio 2011 sono arrivati via mare circa 55 mila tra
migranti e profughi, una cifra certo limitata rispetto al volume complessivo
degli ingressi annui nel nostro Paese. Mentre i 30 mila arrivati dalla Tunisia
erano soprattutto migranti economici, i 25 mila arrivi dalla Libia erano
costituiti in grande maggioranza da profughi provenienti dall’Africa Sub
sahariana, in fuga dalla Libia. “La situazione odierna sul fronte migratorio
– ha continuato il dirigente del Welfare – presenza caratteristiche
di maggiore complessità per due fattori: il gap demografico tra Paesi in Via di
Sviluppo e il nostro continente e la situazione di instabilità politica in
alcuni di quei Paesi”. Per l’Europa, ha detto l’oratore, “si è trattato
purtroppo di una occasione mancata di rispondere alla contingenza dei flussi in
arrivo attraverso una politica condivisa, sia in materia di gestione di una
situazione migratoria - se non eccezionale certo non ordinaria - sia di aiuto
allo sviluppo ed alla democrazia richiesto dalle popolazioni dei Paesi Nord
africani”. Ricordando che non basta il sia pur necessario controllo delle acque
del Mediterraneo, Forlani ha ribadito l’urgenza di ricostruire ex novo il
quadro diplomatico di relazione con quei Paesi, attivando nuove alleanze in
materia di cooperazione commerciale ed allo sviluppo, con partnership ed
accordi comuni, in materia di mobilità delle merci, come delle persone”.
L’oratore ha concluso il suo intervento affermando che “la crisi economica ed
il conseguente rallentamento nell’arrivo di flussi nel medio periodo, offrono
all’Italia l’occasione di ripensare all’approccio verso il fenomeno migratorio,
elaborando proposte e strumenti nuovi (condivisi tra governo e parti sociali)
capaci di governarlo davvero”. E’ seguita poi la prima comunicazione, di Giuseppe
Casucci, con la quale l’oratore ha cercato di orientare il dibattito
ponendo cinque domande riguardanti la politica dell’Italia in materia di
immigrazione e la scarsa efficacia delle stesse. La prima, se
gli arrivi di boat people costituisse una situazione davvero eccezionale; la
seconda ha riguardato l’efficacia o meno di leggi draconiane
sull’immigrazione o gli accordi bilaterali, in termini di contenimento di
flussi dall’Africa; la terza
concerneva l’efficacia o meno della cooperazione allo sviluppo nei PVS in
termini di possibile alternativa alle migrazioni in uscita; con la quarta
domanda l’oratore si è chiesto se i governi europei e del Nord Africa
siano genuinamente interessati a congelare i flussi migratori; la quinta ha
riguardato l’analisi degli effetti di una immigrazione disordinata sul contesto
sociale italiano; l’ultima domanda concerneva i cambiamenti che
l’immigrazione produce nel mercato del lavoro italiano, in termini di benefici
ma anche di problemi. Sulla prima domanda Casucci ha
dato le valutazioni ONU che prefigurano un raddoppio - per il 2011 - dei flussi verso l’Europa di migranti e
profughi provenienti da Tunisia, Libia ed Egitto, una situazione certo non
ordinaria, ma neanche un esodo biblico, come qualcuno aveva paventato. Sulla seconda
domanda l’oratore ha ricordato che i fallimenti delle politiche di
contenimento sono dovuti a molti fattori: forte è il meccanismo di richiamo di
lavoro etnico irregolare prodotto dalla nostra economia sommersa (pari al 15%
del PIL); c’è poi la difficoltà oggettiva delle espulsioni di migranti
irregolari, anche a causa delle resistenze dei Paesi di origine e delle nuove
direttive europee che prediligono il rimpatrio volontario, rispetto alle
maniere forti. Sull’efficacia o meno della cooperazione (terza domanda), è
noto per gli esperti che l’aiuto allo sviluppo aumenti in una prima fase
l’emigrazione stessa, per varie ragioni, non ultimi la maggiore conoscenza ed
informazioni, maggiori mezzi per pagare il viaggio. Casucci ha comunque
ricordato la funzione di assorbimento dei flussi già in atto da parte dei Paesi
Nord africani e dunque il nostro interesse ad uno sviluppo economico e
democratico in quelle aree anche ai fini di affrontare assieme a loro il rebus
migratorio. Sulla quarta
domanda, l’oratore ha ricordato che i governi africani dipendono molto
dalle rimesse dei migranti, mentre l’economia di quelli europei conta sempre di più sul lavoro etnico e
spesso non disdegna nemmeno l’utilizzo di quello irregolare, anche se a parole
la politica stigmatizza quelle persone. “La discrasia è dunque tra la retorica
dei proclami e la domanda oggettiva di lavoro irregolare che proviene
dall’economia sommersa italiana”. Casucci ha poi parlato (quinta e sesta
domanda) degli effetti nefasti che un cattivo governo dell’immigrazione
produce in termini di dumping sociale e cambiamenti perversi nel mercato del
lavoro, ricordando che “per la UIL la strada maestra non è l’indurimento delle
leggi, ma il rafforzamento delle politiche di immigrazione legale, contrapponendole come alternativa
praticabile alla clandestinità”. E’ seguita poi la comunicazione di Bruno
Bruni, che si è cimentato sul rapporto tra politiche di cooperazione
verso i Paesi africani, gli aspetti che legano sviluppo economico e mobilità
delle persone, nonché l’estrema crisi che colpisce oggi la cooperazione
italiana, con i suoi effetti nefasti sulla vitalità di molte ONG. Per l’oratore “In questi ultimi 15 anni
sono mutati radicalmente gli scenari nazionali ed internazionali in cui opera
la solidarietà e la cooperazione internazionale del mondo non governativo. “Una delle prime riflessioni da fare
– secondo Bruni - è legata allo sviluppo delle ONG sia in termini
numerici che di ruolo e, di contro, alla riduzione delle risorse economiche
disponibili sia del MAE che di Regioni ed Enti Locali”. All’interno della
Associazione Nazionale delle ONG su queste linee è aperto un confronto che si
propone di individuare i punti nevralgici della costruzione di “un sentire e fare
comune” e di offrire spunti di riflessione per la condivisione e la definizione
di un nuovo “ “patto associativo”.
Il Presidente di Progetto Sud ha così proseguito: “collegato al quadro
generale ed al dibattito interno al mondo delle ONG vi sono due aspetti di
grande rilievo che attengono il futuro della Cooperazione, oltre al presente.
Uno è rappresentato dalla drastica riduzione dei fondi della Cooperazione del
Ministero Affari Esteri per il prossimo triennio, che si aggiunge a quanto
avvenuto nei precedenti due trienni di programmazione di bilancio che hanno
messo in crisi la Legge 49/87 e, di fatto, l’intero sistema della Cooperazione
e delle ONG. L’altro è dovuto alla apertura di un “Tavolo
Interistituzionale” della Cooperazione allo Sviluppo, avviato circa un
anno fa, nel giugno 2010, da parte dei Ministeri degli Esteri e della Economia
e Finanze, giunto al terzo incontro.
E’ una iniziativa importante che sarebbe sbagliato
sottovalutare, in quanto essa punta a delineare una visione strategica condivisa
dell’aiuto allo sviluppo italiano attraverso la elaborazione comune da parte
delle rappresentanze dei diversi attori che in qualche modo fanno parte del
cosiddetto “Sistema Italia” della Cooperazione, del quale in tanti abbiamo
lamentato e lamentiamo la concreta assenza”. Su questa iniziativa, visto anche
come è stato costruito l’ultimo incontro, vale la pena avviare una riflessione
approfondita, per alcuni motivi tra i quali:
· il
Coordinamento del Tavolo oltre al MAE vede la piena partecipazione del MEF;
· la
presenza dei numerosi soggetti che hanno aderito;
· l’impegno
diretto e qualificato di Confindustria;
· la
presentazione di una bozza di documento titolato “Elementi per una visione
italiana condivisa di Cooperazione allo Sviluppo” suddiviso in 8 punti
che vanno dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, alla efficacia degli
aiuti, alla divisione del lavoro tra i donatori, fino al superamento
dell’approccio assistenzialista;
L’oratore
ha poi concluso la sua comunicazione ricordando che “CGIL,CISL,UIL fino ad ora
sono state rappresentate dagli Istituti di Cooperazione ma, vista la scesa in
campo di Confindustria, dobbiamo domandarci se non occorra un approccio diverso
delle Confederazioni, non escludendo una verifica diretta con
Confindustria sugli obiettivi, ruoli e rapporti”. Alla
comunicazione di Bruni è seguito l’intervento di Francesco Petrelli, in
rappresentanza delle ONG italiane. L’oratore ha ricordato che i Paesi Med hanno
goduto negli ultimi anni di una crescita economica sostenuta (+ 5% del PIL in
media annua) ma senza equità. Con situazioni quali quella del’Egitto che ha
ancora due milioni di poveri (che vivono cioè con meno di 1,25 dollari al
giorno) e 3 milioni di bambini malnutriti. A questo va aggiunta la spinta
demografica nel Nord Africa che ha portato la popolazione dai 150 milioni del 1980 a 350 milioni
di persone nel 2010, con il 47% di popolazione della popolazione attiva senza lavoro: il più alto del mondo ! .
Petrelli ha dato poi un quadro sconfortante della quasi scomparsa dei fondi
italiani allo sviluppo e la crisi verticale che ha toccato ONG e terzo settore,
auspicando un cambio di rotta del Governo italiano in materia di politiche di
vicinato e aiuti allo sviluppo. Ha infine indicato alcuni elementi per il rilancio
di una politica italiana verso il MED basato su un approccio territoriale
integrato di tipo politico, economico e sociale, basato sulla cooperazione
territoriale e decentrata, che attivi e coinvolga attori economici, società
civile e pubbliche amministrazioni. E’ stato poi il turno del Capo Missione OIM
in Italia Josè Angel Oropeza. Il funzionario dell’Organizzazione
Mondiale per le migrazioni, presente in tutti i Paesi del Nord Africa, ha
ricordato che nel mondo vi sono attualmente 214 milioni di migranti, destinati
a diventare 450 milioni entro il 2050. “Molti di questi migranti – ha
detto l’oratore - sono già con noi e sono intenzionati a rimanere nei Paesi che
li ospitano: è gente che investe moltissimo nel progetto migratorio che a
volte, purtroppo, costa loro la vita, se è vero che dall’inizio dell’anno vi
sono stati almeno 1.174 morti tra chi tentava di attraversare le frontiere”.
Totale che dal 1988 sfiora la spaventosa cifra di quasi 17 mila morti (dati
Fortress Europe). “In questi ultimi anni la situazione nella regione del
Mediterranea nella quale ci siamo trovati ad operare è cambiata notevolmente”,
ha detto Oropeza. Quella del Mediterraneo è infatti un’area piena di sfide, in
quanto siamo molto vicini a un Sud che è molto più povero: pensiamo ai Paesi
del Maghreb o, ancor più, ai Paesi africani. Negli ultimi anni, anche i Paesi
del Maghreb stanno cambiando la loro identità. Da zone di origine di flussi verso l’Europa - o di transito
dai Paesi dell'Africa subsahariana, asiatici e, a volte latinoamericani -,
paesi come l'Algeria, la Libia e il Marocco stanno ormai diventando Paesi di
destinazione, sia perché vi si trova un po' di lavoro e un po' di risorse per i
migranti, sia perché i migranti vengono bloccati grazie alla collaborazione più
stretta tra l'Europa e i Paesi del Maghreb. Questo è dovuto anche alle grandi
frontiere, ai grandi spazi aperti difficili da controllare. Tutto questo ha
creato l'attuale situazione, per cui il nord Africa ora si deve confrontare con
le enormi sfide della gestione delle migrazioni, e l'Europa deve fare di più e
aiutare di più. Questo è, grosso modo, il contesto regionale. L’OIM, sin
dall’inizio della crisi, è intervenuta dapprima a Lampedusa e poi lungo il
confine libico, dove è riuscita a evacuare oltre 150.000 migranti e a fornire
assistenza immediata a coloro che erano ancora bloccati sul posto. Un flusso,
quello proveniente dalla Libia, caratterizzato da gruppi e nazionalità miste.
Persone provenienti da vari paesi subsahariana, dal corno d’Africa, ma anche dall’Asia,
e che cercano di fuggire dall’attuale conflitto. Se però ci allontaniamo
dall’attualità e vediamo con uno sguardo più ampio la situazione nel mondo, ci
rendiamo conto che questi eventi sono delle emergenze che si vanno a inquadrare
in una tendenza generale ormai confermata a livello globale: il mondo è in
movimento e, soprattutto, la migrazione è un fenomeno destinato a restare tra
di noi. Oropeza ha ricordato che la globalizzazione delle comunicazioni rende
oggi molto più facile la circolazione istantanea delle informazioni che
invoglia i giovani dei Paesi poveri di emigrare. Altro fattore “push” è quello
demografico che vedrà la popolazione africana raddoppiare entro il 2100.
“Sarebbe necessaria in Africa – ha detto l’oratore – la creazione
da oggi al 2050 di 1,6 miliardi di posti di lavoro, solo per compensare la
crescita della popolazione. L’alternativa, naturalmente, rimane quella di
emigrare”. “Va anche considerato che la manodopera africana è occupata
attualmente al 70% occupa in agricoltura (in Italia è il 4,3%), e che lo
sviluppo tecnologico in quel settore potrebbe comportare l’espulsione di
milioni di persone dal mercato del lavoro, meccanismo non necessariamente
compensato dalla crescita occupazionale in altri settori economici. Per molti
cittadini africani non resta altra alternativa che non quello di affidarsi ai
trafficanti di persone e rischiare la vita in mare”. “In
questo senso – ha concluso il dirigente OIM – dobbiamo riflettere
con cura sulla qualità dell’aiuto commerciale necessario allo sviluppo
economico e sociale dell’Africa, anche in termini del suo impatto sulla
mobilità delle persone”.
L’argomento
è stato richiamato dal contributo successivo del demografo Antonio Golini che
ha disegnato un quadro a dir poco allarmante del futuro demografico dei due
continenti. “In prospettiva – secondo l’esperto - non c’è area al mondo
in cui la crescita della popolazione sia più intensa di quella attesa per
l’Africa e non c’è area al mondo in cui il decremento della popolazione sia più
intenso di quello atteso per l’Europa”. Secondo l’esperto “tra oggi ed il 2050
la popolazione in età lavorativa triplicherà a 1.151 milioni per l’Africa Sub
sahariana, aumenterà di 75 milioni nel Nord Africa, mentre l’Europa perderà 100
milioni di lavoratori autoctoni. Ci sono poi le differenze di reddito, tra
Africa ed Europa, a rendere ancor più attrattiva la scelta di emigrare.
Malgrado il reddito in Africa sia cresciuto negli ultimi dieci anni del 25%
(contro un +10% per l’Europa), le distanze tra i livelli di vita nei due
Continenti sono aumentate, tanto da ricordare il paradosso di Zenone su Achille
e la tartaruga. Oggi in Nord Africa ancora il 17% della popolazione vive con
meno di 2 dollari al giorno, cifra che per l’area Sub sahariana riguarda oltre il
70% della popolazione. Malgrado l’alto tasso di mortalità infantile e la bassa
aspettativa di vita, la popolazione africana potrebbe toccare quota 2 miliardi
nel 2100 a fronte di una sostanziale discesa della popolazione europea. Ci sono
poi altri fattori che possono spingere alla mobilità delle persone, quasi la
desertificazione, il crescere dell’uguaglianza di genere, un maggior grado di
istruzione. “Nel futuro il problema chiave – ha affermato Golini - è se
ci sarà sufficiente domanda di lavoro, e di che tipo. Da loro e da noi. Domanda
da valutare in relazione alle dinamiche demografiche, a quelle sociali e
tecnologiche, oltre che alle differenze strutturali di popolazione”. “C’è poi
da considerare l’età mediana della popolazione che nel Niger è di 15 anni,
contro i 43 dell’Italia ed i 44 del Giappone. Il che vuol dire che è normale il
lavoro minorile, mentre qui ci si deve preoccupare di più di chi pagherà in
futuro le nostre pensioni”. Tra il
2010 ed il 2050, nel mondo, la popolazione tra 15 e 64 anni aumenterà di 1.342
milioni, il che significa che sarebbe necessario creare quasi un miliardo di
nuovi posti di lavoro. Ma in quel periodo l’Europa perderà 103 milioni di
persone professionalmente attive, a fronte di un’Africa che ne avrà 725 milioni
in più. E questo ci porterà ad una gigantesca e insormontabile asimmetria: che
alle regioni sviluppate “serviranno” milioni di immigrati
e a quelle arretrate “servirebbero” miliardi di emigrati.
Nel lungo periodo bisognerà immaginare e attuare perciò – come si diceva
- nuovi modi di convivenza per gli
oltre 9 miliardi di persone prossime venture nel mondo e per gli oltre 2
miliardi di persone in Africa”. “Nel
medio periodo, secondo Golini, bisognerà comunque pensare anche a nuovi
strumenti specifici di governo delle migrazioni - a livello internazionale,
sovranazionale, nazionale. A livello nazionale per il governo delle migrazioni,
credo che nel nostro Paese si dovrebbe tornare ad avere un vice-presidente
del consiglio con delega alle migrazioni. Un primus
inter pares che, nei limiti del possibile, possa da un lato coordinare con
una visione olistica i numerosi problemi delle migrazioni e i ministri che se
ne occupano e dall’altro avere maggior peso e autorevolezza nei fori
internazionali”. E ancora, bisognerà pensare a livello comunitario e nazionale
anche a diverse e-o più intense migrazioni internazionali, come ad esempio, le migrazioni
temporanee e rotatorie (che già oggi si hanno per i
lavoratori dell’agricoltura, del turismo e di fatto per le badanti e le colf). “Sarebbe anche vitale lo sviluppo dell’Unione euro-mediterranea,
quale istituzione fondamentale da favorire e potenziare. Tale Unione avrebbe, fra gli altri, gli
scopi:
1. di
favorire la crescita e un migliore equilibrio geo-politico nel Nord Africa,
dalla quale ci dobbiamo comunque aspettare immigrazione;
2. di
favorire un più intenso interscambio - economico, tecnico, commerciale e umano
- del Nord-Africa con l’Europa, che produca sviluppo nelle due rive;
3. di
funzionare da elemento di drenaggio della attesa, assai vigorosa e inevitabile
emigrazione dal sub- Sahara. Considerando
· le
tendenze demografiche,
· la
crescente importanza e complessità dei problemi globali nel processo di
globalizzazione,
· le
obiettive difficoltà che si riscontrano per il governo del mondo per
l’accentuarsi delle questioni internazionali e di lungo periodo (sulle quali
poco può fare il governo nazionale).
Terminata
l’esposizione del demografo, è poi stato il turno di Christopher Hein,
presidente del CIR. Hein ha
ricordato la conferenza euro-africana sulle migrazioni, organizzata dal
Ministero dell’Interno italiano il 7/8 febbraio a Napoli, con la presenza dei
capi della polizia di decine di Stati africani ed europei, Interpol, Europol, e
anche del Ministro dell’ Interno della Libia, Obeidi, che poche settimane dopo
si è integrato delle file dei insorti di Benghazi. La conferenza è stata un
esempio eclatante di approccio al fenomeno migratorio esclusivamente dal punto
di vista della sicurezza, con palese incapacità di cogliere il momento storico
dei grandi cambiamenti in Nord Africa. Hein ha sottolineato la straordinaria
importanza data in questi momenti ai diritti umani in tutti i Paesi del Maghreb
e del Mashrek, citando gli esempi della Costituente in Marocco, del processo
delle riforme in Algeria, della ratifica di tutti i trattati dell’ONU in
materia dei diritti umani da parte della Tunisia durante gli ultimi mesi,
dell’attuale dibattito in Egitto sul reato di tortura nel codice penale. Ha
menzionato anche il ruolo fondamentale del sindacato in Tunisia nel processo
rivoluzionario e dell’incontro esemplare tra società civile ed istituzioni in
questo processo.
Terminata l’esposizione del
demografo, è poi stato il turno di Christopher Hein, presidente
del CIR. Hein ha ricordato la conferenza
euro-africana sulle migrazioni, organizzata dal Ministero dell’Interno italiano
il 7/8 febbraio a Napoli, con la presenza dei capi della polizia di decine di
Stati africani ed europei, Interpol, Europol, e anche del Ministro dell’
Interno della Libia, Obeidi, che poche settimane dopo si è integrato delle file
dei insorti di Benghazi. La conferenza è stata un esempio eclatante di
approccio al fenomeno migratorio esclusivamente dal punto di vista della
sicurezza, con palese incapacità di cogliere il momento storico dei grandi
cambiamenti in Nord Africa. Hein ha sottolineato la straordinaria importanza
data in questi momenti ai diritti umani in tutti i Paesi del Maghreb e del
Mashrek, citando gli esempi della Costituente in Marocco, del processo delle riforme
in Algeria, della ratifica di tutti i trattati dell’ONU in materia dei diritti
umani da parte della Tunisia durante gli ultimi mesi, dell’attuale dibattito in
Egitto sul reato di tortura nel codice penale. Ha menzionato anche il ruolo
fondamentale del sindacato in Tunisia nel processo rivoluzionario e
dell’incontro esemplare tra società civile ed istituzioni in questo processo.
Prendendo spunto dal precedente intervento del Prof. Golini, Hein ha parlato
della necessità di prepararsi, in Italia e in Europa, al probabile aumento
dell’ arrivo di migranti dal Nord Africa durante un periodo del prossimo
futuro, proprio come conseguenza di una altrettanto probabile ripresa economica
in quell’area, accompagnata comunque da galoppante disoccupazione giovanile. “I
Paesi del Maghreb – secondo il direttore del CIR - continueranno anche a
servire ancora per un certo periodo come transito di rifugiati provenienti
dall’Africa sub-sahariana, considerando che ci vuole tempo per creare strutture
legislative ed amministrative per diventare paesi di asilo e offrire
opportunità di integrazione di rifugiati e migranti”. Per affrontare queste
sfide, Hein offerto due parole chiave : apertura e partenariato.
Apertura in termini di una lungimirante politica di accoglienza in Europa,
simultanea alla politica di supporto e di capacity building in Nord Africa.
“Bisognerebbe permettere – ha concluso il direttore del CIR - l’arrivo gestito, ordinario e sicuro di
un certo numero di rifugiati presenti in tali Paesi e aprire canali per una
immigrazione programmata”. Risulta imperativo, per Hein, costruire una rete di
partenariato tra la società civile in Europa e nei Paesi del Nord Africa, a
livello dei sindacati, delle associazioni, delle università, degli enti locali:
“Conoscersi meglio attraverso lo scambio, degli stages, degli incontri, delle
attività in comune – questa sarebbe una politica di cooperazione che non
richiede grandi fondi e potrà contribuire alla confidence-building tra i popoli
delle due sponde del Mediterraneo. Il
sindacato ha un ruolo fondamentale in un tale partenariato”. C’è stato poi un
breve intervento del dott. Falcone della DGCS, che ha confermato
il quadro generale di difficoltà della cooperazione allo sviluppo italiana, anche
se non particolarmente quella realizzata attraverso le ONG. “Questo non
significa, ha detto l’oratore, che l’Italia abbia cessato di essere Paese
donatore: al contrario, il nostro contributo va soprattutto alla Commissione
Europea, per la quale l’Italia è il terzo donatore a livello comunitario, con
un contributo annuo di 1,5 miliardi di euro”. “La Commissione Europea, a sua
volta, è il primo donatore al mondo in materia di cooperazione allo sviluppo”.
Falcone ha poi parlato del ruolo importante della cooperazione decentrata,
dello sforzo istituzionale in corso per delineare nuove linee guida italiane in
materia di cooperazione ed aiuti allo sviluppo, “per i quali – ha
concluso l’oratore – Paesi quali l’Egitto, la Tunisia sono considerati
prioritari, mentre il Marocco – pur non prioritario - continuerà comunque
ad essere beneficiario di un intervento attivo della DGCS italiana”. E’ poi
seguito poi l’intervento di Lucio Battistotti, Direttore
della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Per l’oratore: “gli
eventi epocali verificatisi in Africa mediterranea hanno offerto ai popoli dei
Paesi coinvolti l’opportunità unica di esprimere più liberamente il loro
desiderio di vera democrazia, rispetto dei diritti umani civili, ma anche la
richiesta di un funzionamento più imparziale ed efficiente delle istituzioni
statali e uso più equo delle risorse pubbliche”. Per l’oratore “l’UE è
pronta a confermare il sostegno a favore dei suoi vicini meridionali e a
firmare convenzioni di partenariato con questi paesi per realizzare progressi
concreti a favore dei cittadini”. Per quanto riguarda i flussi migratori, per
Battistotti: “la risposta
dell’Unione europea alla situazione di emergenza è complessivamente giudicata
rapida, articolata ed efficace. D’altro canto, però, è anche emerso con
chiarezza che la situazione di crisi non si risolverà rapidamente e che occorra
creare le condizioni per mettere in atto un piano più strutturato e sostenibile
che sia in grado di coprire le diverse dimensioni del fenomeno e
si fondi sulla solidarietà tra gli Stati membri e sul
partenariato con i paesi terzi interessati, nel pieno
rispetto degli obblighi internazionali dell’Unione. Per la Commissione Europea
“I flussi di migrazione irregolare provenienti dalla Tunisia e dalla Libia potrebbero
esser seguiti da fenomeni simili in altri paesi del Sud del Mediterraneo. A
fronte di questa situazione e per rispondere a queste sfide in modo rapido ed
efficace, è emersa l'urgenza di intraprendere immediatamente nuove iniziative e
di presentare misure a lungo termine per lo sviluppo delle capacità di gestione
della migrazione e dei flussi di profughi nel Mediterraneo nel Consiglio
europeo che ha avuto luogo il 24 e 25 di giugno”. “La Commissione è convinta della necessità di adottare
misure miranti innanzitutto a risolvere le cause strutturali all'origine dei
flussi migratori. La cooperazione con i paesi del Sud del Mediterraneo dovrebbe
essere potenziata per rispondere efficacemente alla sfida di creare posti di
lavoro e migliorare le condizioni di vita nell'intera area. La Commissione è
convinta che l’avvio dei partenariati per la mobilità con i paesi del Sud del
Mediterraneo sia uno strumento cruciale di stabilizzazione”, proposta che si
tradurrà “in un approccio su misura, basato sull’impegno assunto da ogni
singolo paese di soddisfare determinate condizioni e di rispettare nella loro
globalità le relazioni con il paese partner interessato”. L’ultimo intervento
della mattinata, prima delle conclusioni, è stato di Gildo Baraldi
Direttore Generale OICS, che ha spiegato la natura e le attività della sua
Organizzazione: “una struttura della Conferenza delle Regioni italiane per la
cooperazione impropriamente definita “cooperazione decentrata”, con il compito
di attività a “sostegno dei processi di internazionalizzazione territoriale,
valorizzazione delle comunità regionali emigrate (soprattutto nelle Americhe),
governo territoriale e valorizzazione internazionale dei flussi di immigrazione
(soprattutto nel Mediterraneo).
“Ciò premesso, ha detto Baraldi, tenterò una sommaria risposta alle
questioni poste da Casucci. Ovvio che la paventata “emergenza immigrazione” è
stata volutamente esagerata. Ciò nondimeno la demografia ed il persistente
divario economico imporranno nel tempo ingenti flussi migratori, che (seconda
questione) accordi bilaterali e leggi non possono sperare di bloccare.
L’oratore ha ricordato che “durissimi controlli e frontiere elettrificate non
hanno impedito che oggi la lingua più parlata negli USA sia lo spagnolo”. Siamo
sicuri, si è chiesto Baraldi, che l’obiettivo debba essere contenere o bloccare
i flussi e non piuttosto cercare di governarli? E’ dimostrato che una maggiore e migliore cooperazione con
un Paese terzo non drena, ma al contrario incrementa l’immigrazione da quel Paese.
Ciò nondimeno la cooperazione è uno strumento fondamentale per governare e
migliorare, non quantitativamente ma qualitativamente, l’immigrazione, ridurne
la componente di fuga disperata ed incrementare quella più utile sia al nostro
sviluppo, sia a quello del Paese d’origine, favorendo lì la formazione
professionale, la creazione di occupazione, la coesione sociale, i servizi di welfare ed
il rafforzamento istituzionale, facilitando qui la chiamata dei lavoratori
qualificati necessari alla nostra economia”. “D’altronde (quarta questione)
perché mai i Governi nordafricani dovrebbero impegnarsi a congelare
l’emigrazione? Anche qui non ho tempo per analisi, ma ricordo che fino al 1960
la seconda voce della nostra bilancia dei pagamenti era costituita dalle
rimesse dei nostri emigrati”. L’oratore ha poi così’ proseguito: “sarebbe
troppo lungo anche solo elencare i disastrosi effetti del non governo
dell’immigrazione, dalla mancata integrazione, alle reazioni xenofobe
(Rosarno), all’importazione di clandestini disperati e costretti quindi a
divenire manovalanza a basso costo della nostra criminalità, o, quando va bene,
lavoratori in nero sottopagati e quindi dirompenti per il mercato del lavoro,
all’incapacità di cogliere le opportunità di internazionalizzazione, scambio e
sviluppo reciproco del nostro territorio e di quello d’origine”. “Dobbiamo
prendere atto, ha concluso Baraldi, che tutta l’Europa è destinata ad assorbire
una crescita esponenziale di popolazione esogena ed attrezzarci di conseguenza,
sul piano istituzionale, sociale, economico e (ultima delle questioni poste da
Casucci) su quello dell’organizzazione del lavoro. Perché, tra l’altro, non
prepararci, come fanno i Paesi nati dall’immigrazione (Americhe ed Australia)
ad estendere la cittadinanza dallo jus sanguinis allo jus
soli? Un’ultima osservazione a proposito della cooperazione con i
Paesi di origine: possibile che non si faccia nulla per valorizzare le rimesse
degli immigrati ed i contributi sociali, assicurativi e pensionistici che
(almeno quelli regolari) versano alle nostre istituzioni?” . La mattinata si
è chiusa con l’intervento
conclusivo di Guglielmo Loy Segretario Confederale della UIL.
L’oratore ha ripreso le ragioni che hanno motivato la UIL ad organizzare lo
workshop: “la situazione che riguarda i Paesi del Mediterraneo è certamente complessa – ha esordito - e
concerne aspetti di politica internazionale, politica interna di quei Paesi, il
futuro dei rapporti economici e
commerciali tra Nord Africa, Medio Oriente ed Europa; e, naturalmente la
questione spinosa della mobilità delle persone: un quadro di grandi problemi,
ma anche di opportunità”. Si
aprono dunque nuovi scenari a cui il nostro sindacato deve dedicare grande
attenzione: relazioni bilaterali e multilaterali tra Paesi, ma anche una nuova
grande partecipazione della gente alla costruzione del proprio futuro, diversa
dal passato: “questo ci spinge – ha detto Loy – a valorizzare
maggiormente il rapporto con i sindacati di quei Paesi, ma anche con i
cittadini di quelle stesse nazioni che già vivono con noi, che possono
diventare un nesso importante con i loro connazionali nei Paesi di origine”.
L’oratore ha poi ripreso il concetto di “poliedricità” dell’immigrazione
– già ricordato da Natale Forlani – ribadendo che si tratta di un
fenomeno molto complesso e diversificato a cui non possono essere date risposte
generiche e superficiali, così come spesso è avvenuto. L’incapacità di capire
questa poliedricità – ha continuato l’oratore – è una delle cause
che ha portato ad un sostanziale mancato governo della spinta migratoria in
arrivo nell’ultimo decennio ed anche una concausa delle nostre difficoltà nelle
politiche di integrazione tra culture diverse. “Abbiamo ormai centinaia di
migliaia di figli di immigrati la cui cultura prevalente è quella italiana, ha
detto Loy. A loro vanno date risposte certe sul piano dei diritti civili e di
cittadinanza”. Certo una battaglia per i diritti di cittadinanza è
sacrosanta. “Ci sono, però,
piccole cose che si possono fare anche a legislazione invariata che possono
aiutare concretamente a migliorare le condizioni di vita ed i diritti di questi
nuovi cittadini, molti dei quali preferirebbero – io credo - una maggior
semplicità nella procedura di ottenimento di un permesso di soggiorno di lungo
periodo, piuttosto che il lunghissimo ed incerto cammino per ottenere la
cittadinanza italiana, non sempre richiesta per convinzione, ma spesso per mera
convenienza”. Loy ha ricordato che le vicende del Nord Africa ci hanno
riportato crudamente alla drammaticità di un mondo che è a noi molto più vicino
di quanto spesso ricordiamo e a cui ci conviene dare risposte ragionate, in
quanto lo sviluppo economico e democratico in quelle aree può aiutare anche noi
ad un possibile approccio “euro mediterraneo” per rispondere al tema incombente
della pressione demografica e migratoria africana nel prossimo futuro. “in
questo senso – ha ribadito il dirigente UIL – le risposte date attraverso facili slogan, servono solo
a produrre danni”. Le proposte della UIL su questi temi sono molto articolate
ed equilibrate, ha detto l’oratore. Noi pensiamo che vada rafforzato il ruolo
dei Paesi del Nord Africa – in un quadro di maggior democrazia e
partecipazione della gente, nonché di tutela dei diritti della persona –
per costruire risposte comuni alla forte mobilità africana, nel rispetto dei
diritti umani, ma anche delle normative europee in materia. “Abbiamo avuto
conferma anche in questo seminario – ha detto l’oratore - che il vero fattore di attrazione della
clandestinità è l’economia sommersa e che la strada giusta da seguire non sono
leggi sempre più draconiane, ma una normativa che favorisca percorsi legali di
ingresso in Europa, e l’incontro virtuoso tra domanda ed offerta di lavoro
regolare. Oggi in Italia abbiamo un mercato del lavoro che utilizza fortemente
la manodopera etnica (2 milioni di accensioni di rapporti di lavoro con
immigrati nel 2010, malgrado la crisi). Dunque si tratta di una grande risorsa
che potrebbe però diventare un problema se non viene governata. Infatti il
lavoro nero (etnico o meno), produce dumping sociale, dunque maggiore
insofferenza da parte di chi le paga le tasse e soffre delle conseguenze della
concorrenza sleale, dunque condizioni favorevoli al nascere di possibili
atteggiamenti xenofobi. “Specie, ripeto, quando si usano gli slogan invece
della ragione per rispondere ai problemi. E’ questa certo una realtà che
riguarda l’intera Europa, come la cronaca di ogni giorno ci conferma. Ed è una
sfida anche per il sindacato, che la UIL raccoglie e rilancia ai suoi
interlocutori sociali ed istituzionali”. Dopo aver stigmatizzato l’uso
strumentale dei problemi dell’immigrazione e della crisi, Loy ha concluso il
suo intervento chiedendo alle istituzioni ed agli attori sociali maggior
coraggio ed intelligenza per la ricerca comune di strumenti adeguati a
combattere il lavoro nero e la clandestinità, creare condizioni efficaci di
incontro tra domanda ed offerta di lavoro etnico regolare, nonché di maggior
cooperazione economica e sociale con i nostri vicini del Sud del Mediterraneo”.
Legislazione
Roma,
1° luglio 2011 - Due anni fa, il 30 giugno 2009, comparve sulla Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea la Direttiva 2009/52/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime
relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che
impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
La
Direttiva (art. 4) obbliga i datori di lavoro a:
a) chiedere
che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e
presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido;
b) tenere
una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di
soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini
di un’eventuale ispezione;
c) informare
le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di
un cittadino di un paese terzo.
Le sanzioni
previste per i datori di lavoro (art. 5) includono sanzioni finanziarie, che
aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti
illegalmente, e pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi
terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio
(gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla
lettera riflettano almeno i costi medi di rimpatrio). Accogliendo gli
emendamenti proposti il 5 novembre scorso dal Parlamento europeo (relatore
l'italiano Claudio Fava), lo stesso art. 5 lascia agli Stati membri la facoltà
di prevedere sanzioni finanziarie ridotte nei casi in cui il datore di lavoro
sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino di un paese
terzo il cui soggiorno è irregolare e non sussistano condizioni lavorative di
particolare sfruttamento. Gli Stati membri garantiscono inoltre che il datore
di lavoro sia responsabile del pagamento (art. 6) della retribuzione arretrata
ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, delle imposte e contributi
previdenziali dovuti in caso di assunzione legale, nonché di tutti i costi
derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui il
lavoratore assunto illegalmente ha fatto ritorno. Altre sanzioni (art. 7)
riguardano l'esclusione, per un certo periodo, dal beneficio di prestazioni,
sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i fondi dell’Unione europea, nonché
dalla partecipazione ad appalti pubblici, e la chiusura temporanea o permanente
degli stabilimenti.
Per reati di
una certa gravità (art. 9), la direttiva prevede anche delle generiche
"sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive" (art. 10) nei
confronti dei datori di lavoro.
La direttiva
è entrata in vigore il ventesimo giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta
ufficiale, ossia il 20 luglio 2009. Gli Stati membri avevano due anni di
tempo per adottare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva. L’Italia ancora non
l’ha fatto. Dovrà dunque farlo entro, e non oltre, il 20 luglio 2011, pena la
messa in mora.
>> Scarica la Direttiva 2009/52/CE
Direttiva Rimpatri
La
Commissione affari costituzionali approva il testo del DL 89/2011 sulla
circolazione dei comunitari e sul rimpatrio dei cittadini extracomunitari e
trasmette il provvedimento all’Assemblea
IdV,
UdC e PD esprimono voto contrario. Critiche al metodo (il decreto legge) e alle
disposizioni più restrittive, soprattutto nei confronti dei comunitari.
Roma, 8 luglio2011 – La legge di
conversione del DL 89/2011 ha superato il primo scoglio in Commissione affari
costituzionali della Camera dei deputati in quanto la maggioranza ha approvato
– con alcune limature – il testo presentato dal Governo. Per David
Favia (IdV), è invece censurabile il metodo seguito dal Governo, che, su una
materia delicata come quella dell’immigrazione è intervenuto con un decreto
d’urgenza per evitare l’avvio, da parte dell’Unione europea, di procedure di
infrazione preannunciate. Quanto al merito del provvedimento, ha rilevato che
esso non si limita a recepire le direttive comunitarie, nel qual caso il suo
gruppo non avrebbe nulla da obiettare, ma modifica ulteriormente, e in modo
ingiustificatamente restrittivo, la disciplina in materia di immigrazione. Ad
esempio, con riferimento all’ingresso e al soggiorno in Italia del partner di
cittadino dell’Unione europea, il decreto in esame modifica la disciplina
vigente, prevedendo che la relazione stabile tra il cittadino e il partner
debba essere “ufficialmente” attestata, laddove la direttiva prevede
semplicemente che essa sia “debitamente” attestata. Altro esempio indicato da
Favia riguarda le formalità per il rilascio della carta di soggiorno: mentre
prima bastava presentare “un documento che attesti la qualità di familiare e,
qualora richiesto, di familiare a carico”, ora occorre presentare “un documento
rilasciato dall’autorità competente del Paese di origine o provenienza che attesti
la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di
membro del nucleo familiare ovvero familiare affetto da gravi problemi di
salute, che richiedono l’assistenza personale del cittadino dell’Unione,
titolare di un autonomo diritto di soggiorno”. Un altro esempio ancora citato
riguarda la verifica della permanenza delle condizioni richieste ai cittadini
dell’Unione e ai loro familiari per il mantenimento del diritto di soggiorno: è
previsto che la verifica della sussistenza di tali condizioni non possa essere
effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla persistenza
delle condizioni medesime. Questo, ha precisato Favia, è sì conforme alla
direttiva, ma quest’ultima aggiunge anche che tali verifiche non possono avere
carattere sistematico, mentre tale precisazione non è riportata nel
decreto-legge.
Per Roberto Zaccaria (PD), che ha espresso il suo apprezzamento alla relatrice
per la modifica introdotta nel testo per facilitare l’inserimento degli
stranieri che, giunti in Italia come minori non accompagnati, abbiano seguito
un percorso di integrazione culturale e sociale, nonostante questa modifica
positiva, il testo presenta numerose criticità. In primo luogo, ha rilevato che
18 mesi di tempo massimo per il trattenimento degli stranieri nei centri di
identificazione ed espulsione sono troppi. È vero – ha precisato Zaccaria
– che la direttiva prevede 18 mesi di tempo massimo, ma è anche vero che
per la direttiva il trattenimento dello straniero è una misura estrema, da
disporre solo se nel caso concreto non possono essere efficacemente applicate
altre misure sufficienti ma meno coercitive, e in particolare quando sussiste
un rischio di fuga o lo straniero evita od ostacola la preparazione del
rimpatrio o dell’allontanamento. Nel testo del decreto, invece, il
trattenimento dello straniero appare come la regola generale. Andrebbe tra l’altro verificato – ed auspica che la
Commissione bilancio nel suo parere ne tenga conto – se l’elevazione del
termine massimo di trattenimento non comporti anche un costo finanziario. Ha
infine osservato che non c’è proporzione e gradualità tra il rimpatrio e
l’espulsione: nella direttiva, il rimpatrio è la regola e l’espulsione è
l’eccezione; nel decreto attuativo, invece, il rapporto è capovolto. A suo
avviso, questo espone l’Italia al rischio di una procedura di infrazione.
Infine, è a rischio di una procedura di infrazione anche la previsione di una
multa di 20 mila euro, cioè oggettivamente al di sopra delle possibilità
economiche di coloro cui sarà inflitta, in caso di non ottemperanza all’ordine
di allontanamento.
Dei rischi di procedure di infrazione si parlerà anche nel corso del
seminario organizzato da Studio immigrazione che sarà trasmesso in diretta
WebTV il 21 luglio, dalle 14,00 alle 19,00. Chi è interessato a partecipare
potrà reperire tutte le informazioni nel sito www.studioimmigrazione.it.
Le iscrizioni sono aperte fino al 16 luglio.
(Red.)
“Sulla gru per un permesso negato”: caso umano o speculazione
politica?
Riceviamo dalla UIL di Padova e pubblichiamo volentieri.
Padova 04 luglio 2011 – Nell’ultimo numero di Focus
Immigrazione è apparso un articolo riguardante una situazione che ha visto alcuni migranti tunisini
arrampicarsi sopra una gru per protestare…….
Dato che, da qualche mese sono
stato incaricato dalla Segreteria Provinciale di seguire e rappresentare la
U.I.L. rispetto ai problemi relativi al settore dell’immigrazione sento il dovere
di illustrarti la nostra realtà …vera….anche rispetto a quanto accaduto. Nonostante la forte presenza
leghista nel nostro territorio (non a Padova città dove governa il centro
sinistra) la politica dell’accoglienza è sempre stata molto praticata ed ha visto
impegnate tutte le Istituzioni (Comune , Provincia , Prefettura ,USL .
Università, Sindacati ed il Terzo
Settore che, attraverso il tavolo denominato Commissione Territoriale per
l’Immigrazione, affrontano assieme i vari problemi che il momento e la
situazione impone. Un forte impulso a questa realtà è stato dato , nel tempo ,
dalle Organizzazioni Sindacali Provinciali che hanno sempre svolto un ruolo
propulsivo e propositivo rispetto questi temi. L’esistenza dell’Associazione
Migranti (nata 12 anni fa)
costituita da C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. oltre che dalle ACLI e CARITAS
ha fatto si che a Padova anche gli
aspetti più propriamente burocratici (dai rinnovi ai ricongiungimenti ad altre
iniziative rispetto all’emergenza casa, al lavoro ecc.) vengano affrontati e
quasi sempre risolti con tempestività e nella salvaguardia dei diritti e
della dignità delle persone
richiedenti. Tutto ciò deve avvenire nel rispetto della legalità e della
normativa vigente. Anche se le leggi possono essere migliorate, a nostro avviso
chi viene in Italia (anche se da “clandestino”) successivamente non può pensare
di risolvere i propri problemi con sotterfugi atti ad ingannare le Istituzioni
che comunque li ospitano; quindi chi ha pensato di imboccare “scorciatoie”
rimanendone truffato non può rivendicare successivamente “diritti” che non
esistono. A Padova tutti gli “arrivi “ per così dire istituzionalizzati (conformi
al programma governativo) hanno trovato soluzione , anche se come Sindacato
siamo stati critici su alcuni ritardi e momenti di scarso coordinamento tra i
preposti. Anche questo è il nostro
ruolo. Alcuni “gruppi “ riconducibili ad Autonomia in tutte le sue forme e
ramificazioni esistenti nel territorio
- di cui Radio Sherwood ne è un centro coagulante - hanno ritenuto di
strumentalizzare queste vicende per estendere la loro contestazione , anche in
questa occasione , alle istituzioni. Qualche giorno prima della vicenda “
arrampicata sulla gru “ c’è stato un insolito arrivo di giovani tunisini , come
se un passaparola li avesse portati in città . poi l’occupazione di una scuola…
oltre ad altre manifestazioni davanti al Municipio , al Duomo ecc per dare
visibilità più che agli Immigrati all’esistenza di questi gruppi .Questi
immigrati sono poi stati successivamente accolti dalla Caritas. Perché, alla
fine, i problemi vengono sempre
risolti da chi lo fa senza clamore e senza inutili chiassate. Per finire devo
informarti che una parte di questi immigrati se ne sono andati da Padova ,
altri cercano sistemazioni più definitive..altri sono stati fermati ed
arrestati per spaccio di droga . anche i centri sociali ,in questi giorni, non
si sentono a Padova … probabilmente sono andati in vacanza in Piemonte ….per protestare contro il T.A.V.
dopo aver partecipato al No dal Molin a Vicenza ecc..
Fraterni saluti. Livio Favero, UIL di Padova
Nel 2050 gli alunni stranieri supereranno quelli italiani
I ragazzi immigrati che frequentano le classi in italia sono 630
mila, i nati nel nostro paese nel 2008-2009 sono oltre 200 mila
Roma, 28 giugno 2011 - Fra alcuni
anni gli alunni stranieri potrebbero essere più numerosi di quelli italiani. Un
sorpasso che statistici e demografi prevedono nel 2050, che altri anticipano, e
che comunque pone interrogativi sui mutamenti e sugli effetti possibili. La
stima e' riportata dall'indagine della Commissione cultura, scienza e
istruzione della Camera dei deputati presentata oggi a Roma. Una fotografia
degli alunni stranieri in Italia e un contenitore di proposte per
l'integrazione di esperti e associazioni da presentare al governo, articolata
in un numero consistente di audizioni, durata circa sei mesi, e svolta tra il
secondo semestre del 2009 e il marzo 2010, in sette sedute. L'indagine e'
illustrata da Maria Letizia De Torre, segretario della commissione cultura.
Durante l'indagine sono stati ascoltati docenti universitari di sociologia
dell'educazione e pedagogia; rappresentanti di centri e associazioni
interculturali; rappresentanti dell'Upi e dell'Anci; il capo dipartimento per
la programmazione del ministero dell'istruzione, università e ricerca;
assessori competenti di enti locali; docenti e dirigenti scolastici;
rappresentanti dei mediatori culturali e delle associazioni degli immigrati in
Italia, rappresentanti dell'Unicef Italia e il direttore del Consiglio italiano
per i rifugiati. I dati. Anche se la percentuale di alunni con cittadinanza non
italiana, 629.360, secondo le stime del ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca al dicembre 2009, non rappresenta una percentuale
altissima rispetto ad altri Paesi europei, un grande impatto ha avuto in Italia
l'aumento consistente di circa 70 mila alunni all'anno, registratosi
nell'ultimo quinquennio, soprattutto perché l'aumento si e' concentrato in
alcune scuole e territori. Sempre in base alle elaborazioni di dati svolte nel
dicembre 2009 dal Servizio statistico del ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca e' emerso infatti che l'incremento maggiore di
presenze di alunni stranieri si e' registrato nella scuola dell'infanzia
(12,%), seguito da quello della scuola secondaria di primo grado (10, 8%) e da
quello di secondo grado (9,3%); nella scuola primaria invece l'incremento
registrato e' stato minore (7,6%). Dal confronto con gli iscritti stranieri degli
ultimi due anni, si e' rilevato inoltre che il costante aumento e' stato
rallentato, visto che nell'anno scolastico 2007-2008 l'incremento era stato del
14,5%, contro il 9,6% registrato nel periodo 2008-2009. La presenza degli
alunni stranieri e' quindi un dato strutturale del sistema scolastico italiano,
facendo registrare un'incidenza pari al 7% del totale degli studenti, con un
valore assoluto di 629.360 unità, rispetto ad una popolazione scolastica
complessiva di 8.945.978 unità. È aumentato così, in tutti gli ordini di
scuola, anche il fenomeno degli alunni stranieri nati in Italia, che hanno
superato nel periodo 2008-2009 le duecentomila unità, con un incremento
percentuale di 17 punti rispetto all'anno precedente (40% del totale). Il 26,2%
delle scuole peraltro ancora non rileva la presenza di alunni stranieri: in
circa il 47% dei casi, infatti, la consistenza del fenomeno raggiunge il 10%
degli iscritti, mentre solo il 2,8% delle scuole presenta un numero di studenti
stranieri superiore al 30% degli iscritti. Si riscontra inoltre che circa il
18% delle istituzioni scolastiche ha una presenza straniera compresa tra l'11 e
il 20%, mentre nell'82,7% degli istituti di secondo grado la percentuale di
studenti non italiani e' inferiore al 20%. L'indagine ha avuto modo di
confermare inoltre che a livello nazionale e' ormai consolidata la maggior
presenza degli studenti con cittadinanza rumena, che ha raggiunto il 16,8% del
totale degli alunni stranieri, pari a 105.682. La Romania, insieme ad Albania e
Marocco, contribuiscono inoltre per circa il 45% al totale del contingente
degli alunni stranieri. I paesi di provenienza sono 191. Su 862.453 minori
stranieri residenti in Italia al primo gennaio 2009, il 60% - 518.700 - e' nato
in Italia. L'indagine al governo chiede di prevedere risorse certe, dedicate e
impiegate non solo per le emergenze, ma anche per costruire modalità di lavoro
stabili, diffuse in tutte le scuole italiane. Il Parlamento dovrà fornire
indicazioni, al riguardo, all'esecutivo. L'evento viene trasmesso in diretta
webtv.