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Programma integra : Il corso di italiano per minori non accompagnati del progetto LIA: il racconto dell'insegnante
(13/07/11)

Sono 20 i minori stranieri non accompagnati richiedenti e titolari di protezione internazionale che hanno partecipato al corso di italiano, organizzato dal progetto LIA – Laboratori per l’Autonomia e l’Integrazione, finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati. Provengono principalmente da Afghanistan, Costa d’Avorio, Guinea, Turchia e sono attualmente accolti nelle case famiglia e comunità per minori convenzionate con il Dipartimento promozione servizi sociali e salute – Ufficio Minori di Roma Capitale. Attraverso il racconto dell’esperienza di classe e le parole dei ragazzi, Isabella Tozza, insegnante di lingua italiana come L2, ci presenta il suo approccio metodologico.

“Voglio studiare la lingua italiana perché voglio sapere come funziona questo Paese”.

Il nostro corso di italiano è iniziato proprio in questo modo, chiedendo ai ragazzi di cosa avevano bisogno e perché era importante per loro studiare la lingua italiana. Certo uno dei bisogni principali è quello di acquisire le competenze linguistiche e comunicative per trovare un’occupazione lavorativa e iniziare così il percorso verso l’autonomia, tuttavia noi abbiamo scelto di seguire una strada diversa, considerando prioritario nell’insegnamento della lingua, a questo livello, dare spazio e voce ai sentimenti, ai desideri, alla memoria dei ragazzi.

Cosa ha significato questo. In primo luogo creare un clima di fiducia sia tra il gruppo dei pari sia verso le figure degli adulti: sono stati importanti in questo senso i momenti di lavoro in piccoli gruppi dove è stato possibile iniziare una conoscenza, superare paure e reciproci pregiudizi.Uno degli ostacoli maggiori nell’incontro con una nuova lingua, è la paura di sbagliare e di essere oggetto del giudizio degli altri. Per non rinforzare le resistenze abbiamo ridotto al minimo test e verifiche dando invece largo spazio allo scambio orale e alla scrittura di brevi testi emersi dalle esperienze e dai vissuti dei ragazzi.

Un passo successivo è stato quello di facilitare i ragazzi, da un lato, nel racconto di episodi legati al Paese di origine, dall’altro, nell’ascoltare come percepiscono la loro condizione nel Paese di accoglienza.

“ Quando io ero nel mio paese vivevo con i miei genitori. Avevo una bella macchina, bianca, RAF 4. Avevo una piccola bicicletta. Quando io ero piccolo mia madre lei cantava una canzoni “il mio figlio è grande, il mio figlio è bello, il mio figlio è bravo”. Oggi in Italia ogni sabato e domenica io vado al mare da solo. Il mio tempo libero è sabato e domenica, qualche volta io vado piazza venezia, da solo”. (B.)

“Quando io ero nel mio Paese di origine io non lavoravo e il giorno andavo sempre in giro per il quartiere. Quando ero stanco andavo a dormire e dopo ricominciavo ancora: tutto il giorno era tempo libero per me! Io vado a scuola tutti i giorni solo il sabato e la domenica io ho il tempo libero. Io vado al mare e faccio il bagno con una ragazza italiana e guardo tante persone senza vestiti. La sera noi torniamo in casa famiglia e mangiamo, poi prendo il mio quaderno e leggo un po’ il dizionario.” (B.)

“Quando ero nel mio Paese il venerdì tutti erano liberi e io con i miei amici andavo al mare a giocare a calcio e altri giochi. Ogni venerdì portavamo il cibo per il pranzo e mangiavamo insieme con gli amici. A Roma quando io sono libero andiamo con i ragazzi che stanno in comunità a vedere i film, a giocare a calcetto e usciamo e facciamo un giro per il centro di Roma. Qualche volta andiamo al teatro con i nostri educatori e così passiamo il tempo libero.” (A.)

“Nel mio Paese il venerdì io e mia madre andavamo in moschea per pregare. Quando noi finivamo di pregare io andavo al giardino per giocare a pallone con gli amici. Quando ero piccolo mia madre andava in campagna. Noi andavamo in montagna e sentivamo gli animali che scherzano tra loro. Noi salivamo sugli alberi dove gli animali si parlano tra loro. Il tempo libero a Roma io vado al mare a nuotare vado anche a Piazzale Flaminio. Quando torno a casa io studio.” (D.)

Da questi e altri testi emerge il forte legame con il Paese di origine, con gli affetti familiari, amicali, con usi e abitudini spesso abbandonate o ridotte al minimo in Italia. Quasi tutti i ragazzi hanno fatto notare la mancanza di una solida rete sociale in Italia, soprattutto la mancanza di relazione con i pari italiani, elemento questo che va a rinforzare la percezione di sé come individuo escluso e marginalizzato.

Durante il corso, l’acquisizione delle competenze linguistiche è andata di pari passo con il potenziamento delle risorse personali, delle competenze relazionali e comunicative, valorizzando le storie personali, le culture dei Paesi di origine ma anche fornendo gli strumenti, in primo luogo linguistici, per comprendere il nuovo contesto. In questo senso privilegiare la dimensione narrativa e biografica ha significato in primo luogo rinforzare le capacità di autoefficacia e autostima dei ragazzi e offrire l’opportunità di appropriarsi della nuova lingua dando forma a sentimenti, affetti, pensieri, esplorando contesti d’uso funzionali a mettere in atto le strategie di riorientamento cognitivo, emozionale, culturale.

Alcuni vissuti di disagio hanno riguardato un argomento profondamente legato ai temi dell’identità, dello sradicamento e dell’affettività, cioè il cibo. Facciamo parlare direttamente i ragazzi, riportando il testo di una lettera che in gruppo hanno scritto ad un educatore immaginario di un centro di accoglienza :

“Caro ***,
riconosciamo l’ospitalità che fate per noi, vi scriviamo questa lettera per ringraziarvi. Nel centro non mangiamo quello che vogliamo ma quello che ci date. Il maiale non lo mangiamo. A volte ci date il brutto mangiare, riso bianco o pasta bianca. Vogliamo mangiare come mangiavamo in nostro Paese perché facciamo grande fila per uno piccolo piatto. Caro *** vogliamo mangiare come mangiate a casa vostra, le cose pure e sane, a volte i ragazzi non sono saziati, a volte vogliamo mangiare i cibi di nostro paese. Noi vogliamo essere indipendenti di mangiare i cibi che vogliamo.”


Abbiamo chiesto ai ragazzi cosa significasse “vogliamo mangiare come mangiavamo nel nostro Paese e come voi mangiate a casa vostra”.

Lasciamo parlare loro e non sarà difficile capire cosa intendessero:

“Quando io mangio la papaya e il mango mi ricordo mio padre perché io piccolo sempre mio papà mi portava in campagna per raccogliere tanti frutti.” (D.)

“Quando io mangio aceke mi ricordo di mia nonna perché lei conosce il mio cibo preferito che mi pace tanto.” (M.)

“Quando io mangio fufu con la carne mi ricordo di mia madre perché lei mi cucina questo mangiare.” (S.)

“Quando mangio frutta o verdura mi ricordo nostra campagna perché quando andavo in campagna sempre mangiare la frutta le verdure, sentivo odore.” (I.)

“Quando io mangio il riso anche la pasta mi ricordo di mia nonna anche i miei genitori perché loro fanno il riso e la pasta in tanti modi. In Italia non è uguale.” (K)

Alla fine di questo percorso possiamo dire che noi abbiamo imparato molto dai ragazzi, ascoltando i loro racconti e leggendo tra le righe di un italiano ancora stentato nella forma ma intenso nei contenuti e nei suggerimenti impliciti per noi adulti educatori/educatrici:

“La scuola nel mio paese si trova nella regione di Banake, quartiere di Koko. Io vado scuola con una bicicletta e con un mio amico. La nostra professoressa si chiama Mariam. Lei è più brava, il suo corso è molto simpatico, quando tu vai a scuola di lei tu li troverai dentro tanta esperienza. Oggi le parole di lei mi aiutano a attraversare il mondo".
(B.)

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