Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
09 maggio 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Demografia – Nel 21°
secolo sono dolori! pag. 2
o
Emergenza Mediterraneo
– Commissione UE propone una
migliore gestione della pag. 3
o
Emergenza Mediterraneo
– OIM: 30 tunisini
aderiscono al programma rimpatri pag. 4
o
Emergenza mediterraneo
– Exodus, la fuga di massa è appena iniziata pag. 5
o
Società – Stranieri:
nel 2010 rimesse alle famiglie per € 6,4 miliardi
pag. 6
o
Società – Immigrati,
record di presenze a Milano pag. 7
o
Sindacato – Tunisia:
sindacato UGTT chiede sostegno a Italia pag. 8
o
Discriminazioni – RC
auto più care per gli stranieri pag. 9
o Foreign press
– The Economist: “China, the most surprising demographic crisis”
pag. 10
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 311
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 4- 11 maggio 2011, sede
OIM Via Palestro
Progetto Artemis. Corsi di
formazione: “Associazionismo & Reti territoriali per la mediazione
interculturale sulla salute”
(Angela Scalzo)
Roma,10 maggio 2011, sede Cnel
Presentazione dello studio “le
prospettive delle dinamiche migratorie Sud Nord”
(Angela Scalzo)
Milano, 13 maggio 2011- ore
10.00 sede UIL di Via Campani
Coordinamento regionale
immigrazione UIL
(Guglielmo Loy)
Roma, 23 maggio 2011, Palazzo
Marini, ore 9.30
Tavola rotonda
CIR/Commissione Europea: “i meccanismi di ingresso protetto: un ponte verso la
protezione internazionale?”
(Giuseppe Casucci)
Roma 24 maggio 2011 ore 10.30 sala
Pietro da Cortona Musei Capitolini a Roma.
Presentazione V inchiesta sul Mercato del Lavoro a Roma da
parte del Comune e dell’Università La Sapienza
(Angela Scalzo)
Ginevra, 1- 11 giugno 2011,
Palazzo delle Nazioni
Conferenza Internazionale
del Lavoro OIL, Commissione Lavoro domestico
(Giuseppe Casucci)
Previsioni sulla popolazione mondiale
Demografia:
sono dolori!
La popolazione africana sembra destinata a raddoppiare entro il 2100
5
maggio 2011, da The Economist
online http://www.economist.com
Lo scorso 3 maggio,
alle Nazioni Unite hanno prodotto l’aggiornamento biennale delle previsioni sulla popolazione mondiale, che comprende proiezioni e simulazioni
demografiche delle principali aree e Paesi. I numeri
mostrano piccole modifiche dal 2008, ma non per questo confortanti. La
popolazione mondiale potrebbe raggiungere quota 7 miliardi nell’ottobre 2011, invece che nella primavera
del 2012. La tendenza potrebbe superare nel 2100 la fantastica cifra di
10 miliardi di persone, invece che stabilizzarsi. Ma i cambiamenti più
drammatici sono a livello nazionale, non globale. La popolazione americana, attualmente di 310 milioni, è destinata ad aumentare a 400 milioni nel
2050 e 478 milioni
nel 2100. La Cina dovrebbe invece perdere 400 milioni di abitanti, da qui al 2100, a causa delle severe misure di
controllo demografico imposto dal Governo. La popolazione
della Russia di oggi è pari a 142 milioni di persone; l’Afghanistan ha
poco più di un quinto
di questa cifra; il Niger, conta
per appena un decimo, superando di poco
i 15 milioni di abitanti. Ma entro
il 2100, si prevede che l'Afghanistan avrà la stessa popolazione della Russia (111 milioni), mentre il Niger sarà ancora più popolato. Tali previsioni
debbono essere prese con estrema prudenza: in effetti, piccoli
spostamenti del tasso di natalità
di oggi, estrapolati nell’arco di 90 anni, possono produrre enormi
cambiamenti. Ma il quadro
generale è probabilmente giusto. L’attuale popolazione sub-sahariana, di
856 milioni, è poco
più grande che in
Europa e un quinto dell’Asia.
Entro il 2050 potrebbe essere quasi tre
volte l’Europa e
nel 2100 potrebbe anche essere tre quarti
delle dimensioni dell’Asia. Ad ogni modo, l'Africa è sicuramente il continente di
gran lunga di più rapida crescita, che raddoppierà probabilmente l’attuale popolazione
raggiungendo quota 2 miliardi entro la fine di questo secolo. L’Europa ,
dal canto suo, conta oggi di 731 milioni di abitanti. Potrebbe perderne 50
milioni entro il 2050 e probabilmente il doppio entro la fine del 21° secolo.
La Commissione Europea propone
una migliore gestione della migrazione nell’UE
Dal sito della Commissione Europea
–Rappresentanza in Italia http://ec.europa.eu/italia/
Roma,
4/05/2011 - La Commissione ha presentato oggi le sue iniziative per una
strategia globale più strutturata e in grado di garantire una risposta rapida
dell’UE alle sfide e alle opportunità derivanti dalla migrazione, non da ultimo
in considerazione degli avvenimenti attualmente in corso nell’area del
Mediterraneo. Tali iniziative coprono vari aspetti della questione migrazione,
quali controlli rafforzati alle frontiere e governance Schengen, il
completamento del sistema europeo comune di asilo, una migrazione legale più
mirata, lo scambio delle migliori prassi per garantire un’integrazione riuscita
dei migranti, e un approccio strategico per i rapporti con i paesi terzi in
materia di migrazione. Esse vanno ad aggiungersi alle urgenti misure a breve
termine già adottate dalla Commissione per affrontare la situazione della
migrazione nel Mediterraneo e le pressioni migratorie sugli Stati membri in
prima linea per questo fenomeno.
"È
chiaro che l’UE ha bisogno di una politica comune forte in materia di asilo e
migrazione. Tale necessità si è resa ancora più evidente negli ultimi mesi, in
considerazione degli storici avvenimenti attualmente in corso in Africa
settentrionale. L’UE deve rispettare la propria vocazione a rappresentare un
rifugio per coloro che necessitano di protezione e, al tempo stesso, dimostrare
solidarietà sia ai paesi nordafricani che stanno accogliendo la maggior parte
dei migranti provenienti dalla Libia, sia a quegli Stati membri che si trovano
ad affrontare i flussi più intensi di migranti via mare. È altrettanto evidente
che un’immigrazione mirata di forza lavoro sarebbe vantaggiosa per l'UE,
contribuendo a colmare le carenze di manodopera previste in vari settori e a
riequilibrare il declino demografico della popolazione attiva europea che
dovrebbe registrarsi nei prossimi anni. Nel contempo, tuttavia, è necessario
gestire la migrazione in modo corretto, il che significa garantire controlli
efficaci alle frontiere e il rimpatrio dei migranti in posizione irregolare.
Questo significa inoltre che non dovremmo lasciare solo agli Stati membri
situati lungo le frontiere esterne dell’UE il compito di affrontare situazioni
migratorie eccezionali. Significa, infine, che occorre realizzare partenariati
in materia di migrazione e di mobilità con paesi non UE in modo da collaborare.
Dobbiamo avere in mente questi obiettivi a lungo termine anche quando
affrontiamo i bisogni più urgenti derivanti dalle turbolenze in Africa
settentrionale", ha dichiarato Cecilia Malmström, Commissaria responsabile
degli Affari interni. Pur rappresentando la speranza di una vita migliore per
milioni di persone, gli avvenimenti nell’area del Mediterraneo meridionale
hanno anche causato l'esodo di oltre 650 000 persone, in fuga dalle violenze in
Libia. Finora pochissimi richiedenti asilo sono giunti in Europa, tuttavia più
di 25 000 persone hanno deciso di partire alla ricerca di una vita migliore
nell’UE. Alcuni Stati membri dell’UE sono esposti più direttamente degli altri
agli arrivi massicci di migranti, ma questo fenomeno non può essere affrontato
solo a livello nazionale: è necessaria una mobilitazione di tutti gli Stati
membri a livello di UE. "I recenti avvenimenti hanno inoltre destato
preoccupazioni in merito al funzionamento del sistema Schengen. La libera
circolazione delle persone attraverso le frontiere europee è un risultato
importante che non deve essere rovesciato, anzi rafforzato. È per questo che la
Commissione ha già proposto un meccanismo di valutazione migliore per garantire
l’effettivo controllo delle frontiere esterne. Al fine di preservare la
stabilità dello spazio Schengen, può inoltre essere necessario reintrodurre
temporaneamente limitati controlli alle frontiere interne in circostanze
particolarmente eccezionali, ad esempio in caso di imprevista forte pressione
migratoria su un tratto della frontiera esterna", ha dichiarato la
Commissaria Cecilia Malmström. L'Unione europea ha risposto rapidamente a
queste sfide con i mezzi operativi e finanziari di cui dispone. Sono stati
mobilitati fondi per gestire l’emergenza umanitaria generata dall’improvviso
afflusso di rifugiati e sfollati nei paesi confinanti con la Libia. Unitamente
ai fondi forniti su base bilaterale, questo sostegno ha permesso di dare un
rifugio temporaneo ai rifugiati e agli sfollati, di rispondere alle loro
esigenze basilari e di aiutare molti di loro a ritornare nei rispettivi paesi
d’origine. FRONTEX ha avviato l’operazione congiunta EPN Hermes Extension 2011
per aiutare l’Italia a fronteggiare lo sbarco di migranti e rifugiati sulle sue
sponde. EUROPOL ha inviato in Italia una squadra di esperti per aiutare le
autorità di contrasto nazionali ad individuare eventuali trafficanti di esseri
umani tra i migranti in posizione irregolare entrati nel territorio italiano.
Gli Stati membri più esposti al crescente flusso di rifugiati e migranti in
posizione irregolare hanno inoltre ricevuto assistenza finanziaria. Anche se la
risposta dell’UE alla situazione di emergenza è stata globale, l’attuale crisi
ha evidenziato il fatto che l'Unione può trovare modi per affrontare meglio
situazioni di questo tipo e, in generale, per gestire meglio la migrazione. La
Commissione propone pertanto una serie di iniziative che riguardano i seguenti
aspetti: - completamento del sistema europeo comune di asilo entro il 2012, in
linea con i valori fondamentali e gli obblighi internazionali dell’Unione;
- controlli
rafforzati alle frontiere e governance Schengen per affrontare l’immigrazione
irregolare, garantire che ciascuno Stato membro controlli efficacemente la
propria parte delle frontiere esterne dell'Unione in linea con il disposto e lo
spirito delle norme dell’UE, ed aumentare la fiducia nell’efficacia del sistema
UE di gestione della migrazione;
-
un’immigrazione legale più mirata nell'UE, volta a facilitare l’arrivo di
persone dotate delle competenze necessarie per contribuire a colmare le
previste carenze di manodopera e di personale qualificato nell’UE e ad ovviare
al previsto declino demografico della popolazione attiva;
- condivisione
delle migliori pratiche nelle strategie adottate dagli Stati membri per
l’integrazione degli immigranti legali nell’UE, in modo tale da garantire la
massimizzazione dei vantaggi economici dell’immigrazione e assicurare l’armonia
sociale nell’Unione;
- un
approccio strategico ai rapporti con i paesi terzi sulle questioni relative
alla migrazione, allo scopo di facilitare il movimento delle persone grazie a
migliori possibilità di migrazione legale, unitamente a misure volte a
prevenire la migrazione irregolare.
Prossime
tappe
La
comunicazione della Commissione servirà come base per il dibattito che avrà
luogo in occasione del Consiglio straordinario Giustizia e affari interni
convocato per il 12 maggio, dibattito a cui seguiranno le discussioni in
materia di migrazione nell’ambito del Consiglio europeo del 24 giugno. Nelle
prossime settimane e nei prossimi mesi seguiranno misure di accompagnamento, in
particolare un “pacchetto migrazione” da presentare per l’adozione da parte del
Collegio dei Commissari il 24 maggio.
Contesto
Dall’inizio
dell’anno si è assistito ad esodi di massa di popolazioni di molti paesi
nordafricani, soprattutto della Libia. Stando alle ultime stime, oltre 650 000
persone hanno lasciato il territorio libico per sfuggire alla violenza,
trovando ospitalità presso i paesi vicini, principalmente Tunisia ed Egitto.
Molte sono riuscite in seguito a tornare nei rispettivi paesi d’origine, in
certi casi grazie all’assistenza. Oltre 25 000 migranti, provenienti
principalmente dalla Tunisia e, in misura minore, da altri paesi africani, sono
fuggiti dai propri paesi verso l’UE, sbarcando sulle coste dell’Italia
(soprattutto dell’isola di Lampedusa) e di Malta – paesi entrambi esposti
ora ad una forte pressione migratoria. Oltre agli sfollati e ai migranti,
parecchi rifugiati di varia nazionalità, tra cui somali, eritrei e sudanesi,
hanno lasciato la Libia e alcuni di loro hanno anch'essi raggiunto l’Italia e
Malta. Questi accadimenti hanno esercitato una pressione crescente sui sistemi di
protezione e accoglienza di alcuni Stati membri dell’UE.
Oim: 30
tunisini hanno aderito al programma di rimpatrio assistito
L’operazione
prevede il pagamento di un biglietto aereo di sola andata e anche di una somma
di 200 euro
Roma, 9 maggio 2011 - Sono 30
gli immigrati nordafricani, quasi tutti tunisini, che hanno aderito al
programma di rimpatrio assistito promosso dall’Organizzazione internazionale
per le migrazioni (Oim). Questo intervento, spiega l’Oim in una nota, è stato
reso necessario dalle molte richieste di ritorno in patria ricevute nei giorni
scorsi dalle autorità italiane. L’operazione, che ha preso il nome di RI.V.A.N
(Ritorno volontario assistito per il Nord Africa), è
realizzata tramite il finanziamento del Fondo europeo per i rimpatri, gestito
dal Ministero dell’interno, e si inserisce nell’ambito delle attività di
Partir, programma implementato dall’Oim che prevede il sostegno al ritorno volontario
e assistito per quei migranti che spontaneamente chiedono di rientrare nel
proprio Paese di origine. “Il programma Partir, conclusosi a fine marzo, si è
occupato dal giugno 2009 di sostenere il ritorno volontario di oltre 400
migranti” ha spiegato Jos‚ Angel Oropeza, direttore dell’Ufficio di
coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim. “Alla luce delle richieste ricevute
in questi giorni, abbiamo avuto la possibilità di riattivare parzialmente il
programma per sostenere 50 migranti nordafricani, di fatto quasi tutti
tunisini, nel loro desiderio di rientrare a casa”. Per poter accedere al
programma, i migranti effettuano un colloquio con lo staff dell’Oim, che
verifica l’effettiva volontarietà della decisione e informa i beneficiari su
quali siano i requisiti necessari per poter essere sostenuti. L’operazione
prevede il pagamento di un biglietto aereo di sola andata e anche di una somma
di 200 euro. “Fino a questo momento abbiamo oltre 30 casi – racconta
Oropeza – e quindi abbiamo ragione di ritenere che la quota di 50 sarà
presto raggiunta”. (Red.)
di
Marco Guzzetti
Oltre 150 mila
persone sono già scappate dalla Libia. Alla frontiera tunisina regna il caos. E
solo il mare in tempesta finora gli ha impedito di tentare la traversata verso
la Sicilia
(21
marzo 2011) -
Solo il vento li tiene
lontani. La massa di disperati in fuga dalla Libia sa che con onde così alte la
traversata verso la Sicilia sarebbe un suicidio. Ma l'esodo è già cominciato:
l'Onu ritiene che nei primi dieci giorni di scontri oltre 150 mila persone
abbiano lasciato il Paese devastato dalla rivolta e dalla repressione di
Gheddafi. Sul confine occidentale regna il caos. In Tunisia ci sono già 75 mila
profughi accampati come capita, altre migliaia chiedono di uscire dalla Libia:
impossibile contarli, le stime vanno da 40 a 60 mila. L'esercito tunisino
fatica a controllare la situazione: spara in aria e usa i bastoni per cercare
di mantenere l'ordine. Si riesce solo a distribuire qualche panino, non c'è
assistenza medica mentre donne e bambini sono stremati per le notti al freddo e
le lunghe camminate. Volontari delle Ong stanno allestendo delle tende, ma
manca praticamente tutto. E le Nazioni Unite ritengono che ogni ventiquattr'ore
arrivino altri 15 mila fuggitivi, sfidando ogni genere di pericolo. Quella
ormai è terra di nessuno: ci sono bande tribali in armi, vengono segnalati
movimenti delle truppe fedeli a Gheddafi. Gli unici che sanno come muoversi
sono i trafficanti di uomini: le spiagge dove per anni hanno riempito i barconi
diretti a Lampedusa distano pochi chilometri dalla frontiera, ma il mare è
impietoso e un muro di onde finora ha sbarrato la rotta per la Sicilia.
L'Italia ha varato una missione umanitaria, per "assistere le popolazioni
lì ed evitare che partano", come ha spiegato il ministro Roberto Maroni.
Invece dall'altro lato del Golfo della Sirte, in Cirenaica, l'Europa appare più
vicina. I traghetti per la Turchia continuano a salpare, imbarcando cittadini
di tutto il Medio Oriente che dormono sui moli di Bengasi in attesa di salire
su una nave. Sono bastimenti che non temono la furia del Mediterraneo e
trasportano l'avanguardia della grande fuga, quella che cercherà di penetrare
dalla frontiera greca: attraverseranno il fiume Evros, con un cammino di
sofferenza e morte descritto da Fabrizio Gatti nelle pagine che seguono. Anche
la frontiera orientale della Libia appare abbastanza tranquilla: l'esercito di
Gheddafi è lontano, mentre quello egiziano vigila sui varchi. Da lì sono già
passati in 69 mila, quasi tutti cittadini egiziani. La crisi di Tripoli rischia
di infliggere un duro colpo all'economia del Cairo, già provata dalla rivolta
che ha fatto cadere Mubarak: dalla Libia stanno rientrando 140 mila tra
tecnici, operai, cuochi, manovali e camerieri. Persone che non si sa quando
troveranno un altro lavoro. E che potrebbero cercare di tentare la fortuna in
Europa, contando su amici e parenti. Almeno 40 mila egiziani sono scappati
dalla Libia verso la Tunisia. E, quando il vento calerà, saranno i clienti
migliori per gli scafisti: hanno i soldi per pagare la traversata. Lo stesso
potrebbe accadere con tanti tunisini, rimasti senza stipendio dopo la
rivoluzione di gennaio. Prima che il mare diventasse una barriera a Lampedusa ne
sono arrivati 6 mila, cogliendo alla sprovvista i nostri apparati di sicurezza.
Gran parte, però, non sembra intenzionata a restare in Italia: la loro meta è
la Francia, dove li aspettano nuclei familiari radicati. L'intelligence di
Parigi ha fatto scattare subito l'allarme e il 19 febbraio una circolare del
ministero degli Interni francese ha ordinato alle prefetture sul confine
"di potenziare le pattuglie per un'operazione contro i cittadini di
nazionalità tunisina in situazione irregolare". Come se la crisi nel
Maghreb fosse solo un problema italiano. Ancora una volta, l'Europa rischia di
essere il grande assente davanti all'emergenza. La risposta agli appelli del
governo Berlusconi appare di basso profilo. E' stato anticipato lo schieramento
della missione Hermes, inizialmente pianificata per maggio: è lo scudo di
Frontex, il dispositivo dell'Ue per il controllo dell'immigrazione. In Sicilia
sono arrivati quattro aerei da pattugliamento, due elicotteri e due navi
militari forniti da sei Paesi dell'Unione. Assieme a loro c'è una task force di
50 specialisti dell'Europol che dovranno identificare i profughi nei centri di
Lampedusa, Crotone, Bari, Caltanissetta e Catania. A Siracusa con i fondi di
Frontex è stato inaugurato un centro radar per vigilare sulla costa siciliana
più esposta. Basteranno questi mezzi per fronteggiare l'esodo?
In calo del 5,4% rispetto al 2009, segno della crisi
(red.) Roma, 3 maggio 2011 - Sono oltre
6,4 miliardi di euro le rimesse trasferite nel 2010 dai lavorati stranieri in
Italia nei loro Paesi d’origine.
Una
cifra che segna però, per la prima volta, un calo del
5,4% rispetto all’anno precedente, segno che la crisi ha colpito tutti.
Mediamente ogni straniero che vive nello Stivale invia nel proprio paese 1.508
euro all’anno, destinati per lo più in Asia e in Cina. Si stima che i cinesi
che risiedono in Italia riescono a mantenere oltre mezzo milione di
connazionali in Patria. Roma, Milano, Napoli e Firenze sono le province da cui
defluisce il maggior importo di rimesse verso l’estero, secondo quanto emerso
da uno studio della Fondazione Leone Moressa che ha analizzato i flussi
monetari transitati per i canali di intermediazione regolare in uscita
dall’Italia da parte degli stranieri che vivono nel nostro paese.
Nel
2009 erano stati in media 1.734 gli euro che i
lavoratori stranieri erano riusciti ad inviare alle proprie famiglie lontane.
L’ammontare complessivo del denaro in uscita dall’Italia equivale allo 0,41%
del Pil nazionale: anche in questo caso tale incidenza si è ridotta rispetto
allo 0,44% rilevato l’anno precedente. L’Asia è il continente maggiormente
beneficiario delle rimesse che escono dall’Italia. Infatti con oltre 3 miliardi
di euro, la macroarea asiatica concentra il 47,4% di tutti i flussi monetari;
della rimanente parte, il 27,4% rimane all’interno dei confini europei, il
12,5% prende la via africana e l’11,6% quella americana.
Ma
rispetto al 2009 quasi tutte le destinazioni hanno subito
una contrazione in termini di rimesse inviate: il continente asiatico ha
ricevuto dagli stranieri in Italia il 9,5% in meno di denaro e l’Africa il 4,5%
in meno. Unica eccezione i Paesi europei le cui rimesse sono aumentate del
4,2%. Tra tutti i Paesi, la Cina è quello a cui viene inviato il maggior volume
di rimesse con 1,7 miliardi di euro, seguito da Romania (800 milioni di euro),
Filippine (712 milioni di euro) e Marocco (251 milioni di euro). Le principali
nazioni di destinazione mostrano anche in questo caso una riduzione nell’ultimo
anno: per la Cina la variazione si attesta al -10,2%, per le Filippine al
-11,1% e per la Romania al -3%. In quanto a rimesse procapite, ciascun cinese
residente in Italia invia in Patria poco più di 9mila euro a testa, valore più
elevato tra tutte le nazionalità. Questo significa che ogni cinese in Italia
“mantiene” 2,9 cinesi in Patria e che a livello complessivo si tratta di oltre
mezzo milione di cinesi. Con 5.761 euro di rimesse procapite i filippini
sostengono una comunità in patria di 468 mila concittadini, i bengalesi di 400
mila soggetti, i senegalesi di 308 mila persone.
Roma
è la provincia dalla quale defluisce il maggior
volume di rimesse verso l’estero: si tratta di 1,7 miliardi di euro, pari a
oltre un quarto di tutte le rimesse che escono dall’Italia. Seguono a ruota
Milano, Napoli, Firenze e Prato. Per tali province la prima nazionalità di
destinazione è la Cina, ma tra tutte è Prato l’area in cui la quasi totalità
delle rimesse defluisce verso il paese asiatico: il 90,5% di tutte le rimesse
della provincia. La Romania è invece il primo paese di destinazione delle
rimesse di Torino, Brescia e Verona, mentre per le Filippine si tratta di
Bologna.
Per
quanto riguarda il dato bresciano nel 2010 le
rimesse sono state complessivamente 120.121, per un’incidenza dell’1,9% e in
calo rispetto ai 12 mesi precedenti dell’8,7%. Mediamente uno straniero che
risiede nella nostra provincia riesce ad inviare ai familiari in patria 749
euro. Tra le prime nazioni per valore di rimesse nei Paesi d’origine ci sono,
appunto, la Romania (12,5%), seguita da Senegal (11,3%) e India (9,0%),
pari complessivamente al 32,8% del totale della manodopera straniera nel
Bresciano.
“Le
rimesse dagli stranieri sono un cruciale fattore di
garanzia e di crescita per le economie in via di sviluppo”, affermano i
ricercatori della Fondazione Leone Moressa. “L’aumento del numero di
disoccupati stranieri determinato dalla crisi ha messo a dura prova i bilanci
degli immigrati e i loro redditi da lavoro. Sono stati costretti a ridurre di
fatto quella parte di risparmio che prima veniva inviato nei Paesi di origine,
ma che ora viene trattenuto per potersi garantire un sufficiente livello di
“sopravvivenza”. Oltre alla crisi, il calo delle rimesse va ascritto anche al
fatto che molti stranieri nel tempo hanno scelto l’Italia come il proprio paese
di residenza, avvicinando e ricongiungendo a sé la propria famiglia; in questo
modo il denaro che prima veniva inviato in Patria, rimane ora nel territorio
nazionale”.
Solo nel capoluogo vive la metà di
tutta la Provincia, calano i clandestini
di Enrico Fovanna, http://www.ilgiorno.it/
Milano,
6 maggio 2011 - Sono 424mila gli immigrati in provincia di
Milano, di cui 244 mila nel capoluogo. Un terzo ha un lavoro fisso e il numero
dei cattolici supera quello dei musulmani. La stima degli irregolari (già
compresa nel totale) si assesta a quota 47mila. Ma la provincia di Milano
(+94%) è quella che negli ultimi 10 anni ha registrato il minor aumento di
presenze straniere, meno di un terzo rispetto a Lodi (+330%) e Pavia (+320%). I
dati emergono dal 12° rapporto sull’immigrazione, presentato ieri a Palazzo
Isimbardi, sede della Provincia, grazie al contributo dell’Osservatorio
regionale per l’integrazione e la multi etnicità (Orim) e della Fondazione
Ismu.
La
Lombardia conferma il primato della presenza di stranieri:
al 1 luglio 2010 se ne contavano 1,2 milioni. Da inizio 2001, sul territorio
lombardo, il numero di immigrati è cresciuto del 183%, con le punte nelle
province di Lodi (+330%), Pavia (+320%), Mantova (+272%), Sondrio (+267%) e
Cremona (+256%).
A
fronte della stretta sui clandestini e delle regolarizzazioni, a
Milano città gli irregolari sono comunque scesi di un terzo, dal 18,8% del 2009
al 12,8%, la stima è oggi di 31.300 unità. Migliore la situazione in Provincia,
dove si passa dal 13,5 al 9%, con una presenza di irregolari a luglio 2010
intorno alle 16.300 unità.
Cresce
comunque, sia nel capoluogo che in Provincia, il livello
di integrazione (Milano città +0,026%, altri comuni milanesi +0,021%), che
resta comunque tra i più bassi della Regione per diversi motivi: continuità dei
flussi (il tasso di integrazione cresce anche il relazione alla permanenza),
stato civile, la regolarità del soggiorno, la stabilità residenziale, la
garanzia di un lavoro e di un’abitazione adeguata, la conoscenza dell’italiano
e l’abitudine al suo utilizzo, il livello d’informazione sugli avvenimenti
italiani, le relazioni con la popolazione autoctona e con le altre comunità.
Circa
le appartenenze religiose, a Milano città c’è l’incidenza minima
regionale di musulmani (26,1%, a fronte di una media lombarda del 40,2%) e
massima regionale di cattolici (42,9%, contro una media del 26,5%). Dietro alla
città di Milano, il resto dei Comuni della provincia è al secondo posto fra i
territori lombardi per più alta quota di cattolici (34,4%)
A
Milano resta la massima quota di laureati stranieri, (22,2%, a
fronte di una media regionale del 15,2%). Tra i lavoratori, nel capoluogo le
quote più basse di operai generici nell’industria (5,4%, a fronte di una media
regionale del 13,9%), ma le più alte di impiegati (5,5% contro 2,9%) e di
domestici fissi (7,1% vs 4,3%). Nel resto della provincia il picco di domestici
a ore (10,4%, a fronte di una media lombarda del 6,9%) e di lavori
intellettuali (5,8% contro 3,5%).
I
dati, spiega il presidente dalla Provincia, Guido Podestà
«dimostrano che il nostro territorio, tradizionalmente vocato all’integrazione,
ha offerto tantissimo nell’ultimo decennio in termini di accoglienza». «Il
rapporto - aggiunge Massimo Pagani, assessore provinciale alle Politiche
sociali - conferma la Regione e la Provincia come comunità dove l’accoglienza e
l’integrazione siano riuscite a far fronte a ingressi importanti e unici a
livello nazionale».
Tunisia:
Sindacato UGTT Chiede sostegno all’Italia
Roma, 4
maggio 2011 - Un’economia tunisina che non torni a crescere “potrebbe causare
l’aborto della Rivoluzione dei Gelsomini. Per questo, se si investe oggi in
Tunisia, si investe anche nella rivoluzione e quindi si diventa suoi partner”.
Lo ha detto Habib Jerjir, vicesegretario generale del Ugtt (Union Générale
Tunisienne du Travail) di Tunisi, il sindacato tunisino che con una sua
delegazione, composta anche dal segretario generale Noureddine Tabboubi e dal
vice segretario Zied Lakhdhar, questa mattina ha tenuto una conferenza stampa
presso la sede nazionale della Uil. La prima visita all’estero compiuta
dall’Ugtt dopo la rivoluzione del gennaio scorso è stata resa possibile
dall’impegno e dall’intermediazione della Uil - i due sindacati intrattengono
rapporti da altre 20 anni - e prevede una serie di incontri che si protrarranno
fino al 9 maggio con il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della
Provincia di Roma Nicola Zingaretti, l’assessore regionale al Lavoro Mariella
Zezza e alcune associazioni imprenditoriali. Per la Uil erano presenti
all’incontro il segretario generale di Roma e del Lazio Luigi Scardaone, la
segretaria confederale responsabile delle politiche internazionali Anna Rea, il
Segretario Confederale con delega per l’immigrazione Guglielmo Loy e il
responsabile del dipartimento internazionale di Roma e del Lazio, Francesco
Fatiga. Il sindacato tunisino, che è stato una delle forze trainanti della
lotta per la libertà e per la conquista di un nuovo modello istituzionale, è
attualmente impegnato nell’affrontare i problemi occupazionali e di gestione
sociale che affliggono il Paese. Il vicesegretario Zied Lakhdhar ha affermato:
“Contiamo sul vostro appoggio per sostenere la Tunisia in questa fase di
transizione. Abbiamo bisogno di investimenti e sostegno in vista della stagione
turistica. Da noi - aggiunge - ci sono 400 mila famiglie che vivono con il
turismo e il fallimento della stagione inciderebbe anche sulla stabilità
politica e ostacolerebbe il processo di transizione democratica, dando fiato
alle forze controrivoluzionarie, che nel Paese ancora ci sono”. Habib Jerjir
aggiunge poi che oltre alla temuta riduzione del turismo europeo, a causa degli
eventi in corso nel Nord Africa “abbiamo perso anche i molti turisti libici che
venivano in vacanza da noi”. Ad aumentare l’instabilità nel paese contribuisce
anche “il problema dei rifugiati somali ed etiopi, che ha un enorme impatto
sulla nostra economia”. Riguardo invece ai flussi migratori verso l’Italia,
Lakhdar è cosciente del fatto che “dovremo cercare di fare del nostro meglio, e
lo faremo, per migliorare e regolarizzare il flusso dei nostri cittadini in
Italia”. Nel corso della conferenza stampa si è parlato anche del Processo di Barcellona
- noto anche come Partenariato euro mediterraneo: il nome con cui si indica la
strategia comune europea per la regione mediterranea - A tal proposito Zied
Lakhdhar ha parlato di “un insuccesso del Processo, che è legato alla mancata
risoluzione della questione israelo-palestinese e dalla mancanza di
geopolitiche di equità tra le due sponde del Mediterraneo”. La segretaria
confederale responsabile delle politiche internazionali Anna Rea è concorde con
le ragioni espresse dal suo collega tunisino, aggiungendo che esiste il
problema di “un’Europa che va avanti a due velocità, dove quella del Nord pesa
maggiormente dal punto di vista politico ed economico”. Di fronte a questo
squilibrio però “Le rivoluzioni del Nord Africa possono incidere positivamente,
favorendo un riequilibrio dei rapporti all’interno di un’Europa e che non sia
più quindi unidirezionale”. Il segretario generale della Uil di Roma e del
Lazio Luigi Scardaone ha ricordato che nella giornata di oggi la delegazione
tunisina incontrerà la Camera di Commercio di Roma, mentre domani sarà la volta
del confronto con il sindaco Alemanno, nella mattina, e con il presidente
Zingaretti, nel pomeriggio. Venerdì 6 maggio poi sarà la volta dell’incontro
con l’assessore regionale al lavoro Mariella Zezza. “Abbiamo ricevuto risposte
positive dagli enti locali - dichiara Scardaone - Quello che intendiamo
sostenere è un percorso che ci porti a formare i lavoratori tunisini nel loro
paese, favorendo occasioni per lo sviluppo sul territorio”. Scardaone afferma
poi che dai contatti avuti con istituzioni e associazioni prima degli incontri
dei prossimi giorni “abbiamo avuto rassicurazioni circa la possibilità di
realizzare un progetto: ci sono imprese disponibili a scommettere sul Maghreb,
portando lavoro. Questo - conclude - è il nostro modo stare loro vicino: non
solo quindi a parole, ma con l’operatività”. (Kat)
Discriminazioni
Rc auto più care per gli stranieri. Le assicurazioni non
mollano
Dopo il caso Genialloyd c’è ancora
chi, difeso dall’Ania, ha tariffe maggiorate. L’avvocato Guariso: "Illegale, è una discriminazione"
Di Marco Iorio, www.stranieriinitalia.it
Roma – 5 maggio 2011 – Qualche mese fa la Genialloyd
ha promesso di “eliminare il parametro della nazionalità tra i criteri
utilizzati per la determinazione della polizza auto”. Si è chiuso così un
accordo stragiudiziale con un cittadino tunisino che aveva denunciato la
compagnia assicurativa. Pur
risiedendo da diciotto anni in Italia, l’immigrato pagava duecento euro l’anno
in più rispetto agli italiani. In pratica, per il solo fatto di essere nato
all’estero, la compagnia assicurativa lo considerava più pericoloso alla
guida. Forse temendo una condanna per discriminazione, e il conseguente danno
economico e di immagine, Genialloyd ha fatto marcia indietro. Ma quante altre
compagnie assicuratrici hanno deciso di seguire il suo esempio?
Marocchino? 2400 euro
Abbiamo
fatto un’indagine, fingendoci immigrati trentenni che assicurano per la prima
volta un’auto e chiedendo un preventivo online ad un campione di 12 compagnie
(Genertel, Quixa, Directline , Linear, Dialogo, Sara, Zurich,
Antonveneta, Ina assicurazioni, Hdia, Axa, Allianz Subalpina). Abbiamo scoperto
che tre di queste, Quixa, Zurich Connect e Hdi, adottano ancora il criterio
della cittadinanza per variare le loro tariffe. Qualche esempio? A parità di condizioni, cittadinanza
esclusa, con Quixa si possono pagare da 1300 euro annui se si è cittadini
italiani fino a 2400 euro se si è marocchini. Con Zurich Connect gli italiani
pagano poco meno di 1300 euro mentre tutti gli immigrati considerati da noi
(romeni, maroccini, ucraii e albanesi) pagano 1523 euro. Infine, con Hdi gli
italiani pagano 1200 euro, gli albanesi 1600, marocchini, ucraini e romeni
1724. Abbiamo quindi chiesto conto di
questa scelta alle tre compagnie. L’ufficio stampa della Quixa non ci ha ancora
risposto. Hdia ci spiegato invece che abbandonerà presto le tariffe “etniche”:
“Rinunceremo agli effetti della variabile cittadinanza dal primo luglio, con
l’entrata in vigore della prossima tariffa. La rinuncia comporterà di
distribuire su tutti gli assicurati gli effetti della maggior sinistrosità
(documentabile) di alcune cittadinanze, non tutte, diverse dall’italiana”.
Una buona notizia, dunque, per tutti i cittadini
stranieri che in questi anni hanno continuato a pagare diverse centinaia di
euro in più rispetto agli assicurati italiani. Un po’ meno per gli italiani,
sui quali la compagnia, non rinunciando agli introiti, spalmerà la
maggiorazione.
Le assicurazioni: "Con cittadinanza cambia
anche il rischio"
Zurich
Connect, invece, non molla. “Il fattore cittadinanza, secondo comprovate
evidenze statistiche, rappresenta uno dei fattori che predice la rischiosità,
ed entra quindi nella determinazione del premio finale, insieme agli altri
fattori (come età, professione, tipologia di auto, provincia, etc); a tale
elemento, infatti, corrisponde una tipologia di comportamento di guida e,
di conseguenza, una tipologia di rischio.” Una linea difesa anche dall’associazione nazionale
imprese assicuratrici (Ania), che ha partecipato anche a un tavolo
tecnico su questo tema con l’ Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e
l’Istituto di Vigilanza del settore assicurativo. L’Ania ci scrive che “il parametro della nazionalità,
una volta verificata la sua validità su base statistica e ferma la libera
scelta dell’impresa in merito al suo impiego, agisce al pari di tutti gli altri
fattori che differenziano il rischio e che vengono applicati senza alcuna
motivazione discriminatoria riferibile alla persona in sé né tantomeno sulla
base preconcetti di natura etnica o razziale.” L’associazione porta come esempio “la differenziazione
del premio tra assicurati italiani residenti in aree territoriali diverse” che
“deriva essenzialmente dalle differenti attitudini al rischio espresse
dalla frequenza di causare sinistri e dal loro costo medio di risarcimento e
non certo da un atteggiamento discriminatorio delle imprese”.
L'avvocato: "Legge vieta
discriminazioni"
È
davvero così? Le assicurazioni possono fare differenze tra italiani e immigrati
appellandosi alle statistiche sugli incidenti? L’avvocato Alberto
Guariso, che ha seguito il caso Genialloyd, è convinto di no. “Continuare a fare questa differenza tra italiani e
stranieri è incomprensibile e illegale. L’articolo 43 del testo unico per
l’immigrazione è molto chiaro e prevede che per l’accesso a beni e servizi non
si deve fare differenze tra italiani e stranieri. Nel nostro ordinamento giuridico
non sono ammissibili svantaggi di alcun genere, come pagare di più
l'assicurazione, collegati a fattori vietati” dice l’avvocato. “Se si scopre che i calvi fanno più incidenti –
ironizza Guariso - è possibile far pagare di più i calvi, perchè questo non è
un fattore vietato. Se però si scopre che gli stranieri fanno più incidenti,
cosa che peraltro anche nella causa non è stata affatto dimostrata, non è
possibile farli pagare di più, perchè la nazionalità è appunto un criterio che
la legge vieta di utilizzare per differenziare le prestazioni”. A quanto pare, a chi non vuole pagare l’assicurazione
più degli italiani rimangono due strade. Rivolgersi a un giudice o scegliere
una compagnia che non fa differenze.
Foreign Press
The most surprising demographic crisis
DOES China have enough people? The question might seem
absurd. The country has long been famous both for having the world’s largest
population and for having taken draconian measures to restrain its growth.
Though many people, Chinese and outsiders alike, have looked aghast at the
brutal and coercive excesses of the one-child policy, there has also often been
a grudging acknowledgment that China needed to do something to keep its vast
numbers in check.
But new census figures bolster claims made in the past
few years that China is suffering from a demographic problem of a different
sort: too low a birth rate. The latest numbers, released on April 28th and
based on the nationwide census conducted last year, show a total population for
mainland China of 1.34 billion. They also reveal a steep decline in the average
annual population growth rate, down to 0.57% in 2000-10, half the rate of 1.07%
in the previous decade. The data imply that the total fertility rate, which is
the number of children a woman of child-bearing age can expect to have, on
average, during her lifetime, may now be just 1.4, far below the “replacement
rate” of 2.1, which eventually leads to the population stabilising.
Slower growth is matched by a dramatic ageing of the
population. People above the age of 60 now represent 13.3% of the total, up
from 10.3% in 2000 (see chart). In the same period, those under the age of 14
declined from 23% to 17%. A continuation of these trends will place ever
greater burdens on the working young who must support their elderly kin, as
well as on government-run pension and health-care systems. China’s great
“demographic dividend” (a rising share of working-age adults) is almost over.
In addition to skewing the country’s age distribution, the one-child policy has
probably exacerbated its dire gender imbalance. Many more baby boys are born in
China than baby girls. China is not unique in this; other countries, notably
India, have encountered similar problems without coercive population controls.
But Chinese officials do not dispute that the one-child policy has played a
role. China’s strong cultural imperative for male offspring has led many families
to do whatever they must to ensure that their one permissible child is a son.
In the earliest days of the one-child policy, this sometimes meant female
infanticide. As ultrasound technology spread, sex-selective abortions became
widespread. The new census data show that little progress is being made to
counter this troubling trend. Among newborns, there were more than 118 boys for
every 100 girls in 2010. This marks a slight increase over the 2000 level, and
implies that, in about 20 or 25 years’ time, there will not be enough brides
for almost a fifth of today’s baby boys—with the potentially vast
destabilising consequences that could have.
The census results are likely to intensify debate in
China between the powerful population-control bureaucracy and an increasingly
vocal group of academic demographers calling for a relaxation of the one-child
policy. Their disagreement involves not only the policy’s future, but also (as
so often in China) its past. One of the academics, Wang Feng, director of the
Brookings-Tsinghua Centre for Public Policy, argues that China’s demographic
pattern had already changed dramatically by the time the one-child policy began
in 1980. The total fertility rate had been 5.8 in 1950, he notes, and had
declined sharply to 2.3 by 1980, just above replacement level. Other countries
achieved similar declines in fertility during the same period. The crucial
influences, Mr Wang reckons, are the benefits of development, including better
health care and sharp drops in high infant-mortality rates which led people to
have many children in order to ensure that at least some would survive. By
implication, coercive controls had little to do with lowering fertility, which
would have happened anyway. Countries that simply improved access to contraceptives—Thailand
and Indonesia, for instance—did as much to reduce fertility as China,
with its draconian policies. Taiwan, which the government in Beijing regards as
an integral part of China, cut its fertility rate as much as China without population
controls. The government denies the one-child policy was irrelevant. It insists
that, thanks to the policy, 400m births were averted which would otherwise have
taken place, and which the country could not have afforded. Ma Jiantang, head
of China’s National Bureau of Statistics, insisted “the momentum of fast growth
in our population has been controlled effectively thanks to the family-planning
policy.” There are many reasons for the government’s hard-line defence of its
one-child policy. One is a perhaps understandable view that China is unique,
and that other countries’ experience is irrelevant. A second is that, though
the policy may not have done much to push fertility down at first, it might be
keeping it low now. A third is that, if controls were lifted, population growth
might rise. In fact, there is little justification for such fears: in practice,
the one-child policy varies from place to place; it hardly applies to China’s
minorities and is more lightly applied in rural areas—and there is no population
boom in those parts. Anyway, argues Joan Kaufman of the Heller School for
Social Policy and Management at Brandeis University, official support for the
policy is only partly to do with its perceived merits: it is also the product
of resistance by China’s family-planning bureaucracy. This has massive
institutional clout (and local governments have a vested interest in the fines
collected from violators). “The one-child policy is their raison d’être,” says
Ms Kaufman. Mr Wang and his colleagues argue the one-child policy should go.
The target reductions in fertility rates were reached long ago. Current rates,
he says, are below replacement levels and are unsustainable. The time has come
for the first big step: a switch to a two-child policy. Research by his group
suggests few families in China would choose to have more than two. There are
signs that the academics are succeeding in their campaign to make the
population debate less politicised and more evidence-based. Mr Ma of the
National Statistics Bureau spoke not only of adhering to the family-planning
policy, but also of “cautiously and gradually improving the policy to promote
more balanced population growth in the country”. In his comments on the census,
President Hu Jintao included a vague hint that change could be in the offing.
China would maintain a low birth rate, he said. But it would also “stick to and
improve” its current family-planning policy. That hardly seems a nod to a
free-for-all. But perhaps a “two-for-all” may not be out of the question.