11 maggio 2011

Quel «No» sulle baracche ferma le ruspe Alemanno: «Rimane chi va a scuola»
Corriere Roma 10 maggio 2011
Salvati dallo sgombero da una scritta sulla baracca: un «No» tracciato con vernice rossa. Tutto intorno, altre abitazioni di fortuna distrutte, rase al suolo, le persone evacuate. Riprendono nella Capitale gli sgomberi dei campi nomadi abusivi, dopo la tregua concessa dal sindaco tra Pasqua e l'inizio di maggio. Ma i nomadi che hanno i bambini iscritti a scuola, sono stati «graziati» dal Comune: possono rimanere negli accampamenti abusivi fino alla fine dell'anno scolastico dei figli. Con il marchio sulla baracca e la distruzione fuori.
E' accaduto anche lunedì, durante lo sgombero alla Magliana, dove alle 19 di sera si vedeva «un panorama surreale con 14 baracche rimaste in piedi come funghi in mezzo alle macerie e con la gente che stava lì a recuperare chi il materasso, chi una tenda per passare la notte» denuncia l'associazione Arpj.tetto, una onlus che offre assistenza ai minori che vivono in condizioni di disagio socio economico e cura un progetto di prescolarizzazione, rivolto ai bambini rom e alle loro famiglie. Dopo la bonifica nell'insediamento «Canneto-Candoni2» alla Magliana. era stato proprio il sindaco Gianni Alemanno a sottolineare come «nello sgombero di campi nomadi abusivi massima attenzione viene rivolta a evitare di spostare famiglie con bambini scolarizzati per consentire a questi ragazzi di completare l'anno scolastico». Un proposito nobile e civile, che viene incontro alle richieste più volte avanzate in tal senso da Caritas e Comunità di Sant'Egidio. Lascia perplessi, tuttavia, la modalità della «tutela» offerta ai minori in età scolastica: non è certo un bello spettacolo vedere scritte sulle baracche e ruspe che, tutto intorno, distruggono ogni cosa. L'operazione nell'area fra il XV e il XII Municipio, sotto al viadotto della Magliana e in via Asciano era stata definita da Ciardi, delegato del Sindaco alla Sicurezza: «Un'attività quanto mai necessaria alla luce della grave situazione ambientale e igienico-sanitaria presente in queste aree». E dopo le polemiche fra mondo cattolico e Campidoglio seguite all'occupazione di oltre un centinaio di nomadi alla vigilia di Pasqua della basilica di San Paolo, la nuova mossa del sindaco solleva una nuova ondata di proteste, proprio per le modalità di attuazione del piano «sgomberi con tutela».
«Si è materializzata una nuova frontiera del diritto, un inedito criterio di separazione fra rom buoni e rom cattivi» dicono da Arpj.tetto. «I “NO” segnati con vernice rossa su alcune delle baracche del campo hanno infatti garantito a una decina di famiglie la possibilità di avere ancora un tetto sulle loro teste. Per gli altri invece nessuna alternativa e nessuna clemenza». E ancora: «Poco importa che fra questi tanti altri ci siano numerose famiglie con bambini troppo piccoli per essere inseriti a scuola. Poco importa anche di quelle famiglie i cui bambini sono in cura negli ospedali del quartiere oppure frequentano la scuola materna: comunque non si tratta di scuola dell'obbligo e quindi nessun dovere nei loro confronti per l'amministrazione». Per l'associazione Arpj.tetto lo sgombero di lunedì è stato uno spartiacque nella storia capitolina degli sgomberi, un pericoloso precedente da cui prendere le distanze. «In questo modo è stata fornita una sorta di autorizzazione a rimanere lì. Se i rom non possono stare nei campi perchè sono insicuri, in questo caso si è data l'autorizzazione a queste famiglie a rimanere in una situazione di insicurezza. Siccome vanno a scuola non possono esserci incendi? Vanno a scuola i bambini e quel campo non è più insicuro? Che l'immondizia non è più immondizia? Che i topi non sono più topi?». A queste domande non c'è risposta, spiega l'associazione in una lettera.


Profughi. Zanonato (Anci): "Da alcune regioni del Nord nessuna collaborazione"
"Colmare questo ritardo per affrontare problemi"
Stranieri in Italia 10 maggio 2011
Nella gestione dell'accoglienza degli immigrati del Nord Africa manca concertazione e collaborazione con i sindaci da parte di alcune Regioni, specialmente del Nord Italia.
A denunciare all'ADNKRONOS questa criticita' e' il primo cittadino di Padova e vicepresidente Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), Flavio Zanonato, che per l'associazione ha la delega all'Immigrazione.
''La collaborazione tra il commissario straordinario prefetto Gabrielli e l'associazione nazionale dei Comuni italiani e' stata fin qui positiva - sottolinea Zanonato - Sono state ascoltate le nostre proposte di implementazione del Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati e c'e' stata disponibilita' da parte della Protezione civile a coinvolgere i Comuni nella gestione dell'emergenza".
"Purtroppo la stessa collaborazione non sempre si verifica a livello regionale, in particolare nel Nord Italia, e manca tuttora un percorso di condivisione con le amministrazioni comunali, che spesso si trovano a gestire situazioni difficili senza essere state consultate - conclude il vicepresidente Anci - Ci auguriamo che questo ritardo da parte di diverse Regioni venga presto colmato e di poter affrontare, insieme, i delicati problemi che abbiamo di fronte e che rischiano di aumentare nel prossimo futuro".



Europa, populismi sociali crescono
Anna Maria Merlo
il Manifesto 11 maggio 2011
JEAN-YVES CAMUS «Il problema essenziale è l'evoluzione ideologica della destra di governo. Chi minaccia di più l'Italia oggi, Berlusconi o Fini?»
Per il politologo francese la sinistra s'attarda sul «fascismo», mentre la novità è che l'Ue ultraliberista nega ogni altra identità e su questo la destra al potere si fa indirizzare ormai dall'estrema destra PARIGI. La minaccia della presenza di Marine Le Pen al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi che avranno luogo tra un anno sta scombussolando la destra tradizionale in Francia, che rincorre l'estrema destra sul terreno delle politiche identitarie e anti-immigrazione. Il Fronte nazionale è radicato in Francia da tempo, ma adesso l'estrema destra è in crescita in molti altri paesi europei. Con un cocktail di populismo e xenofobia, paralizza la politica. C'è d'aver paura per il futuro dell'Europa? Lo chiediamo al politologo Jean-Yves Camus, politologo, esperto di estrema destra.
I diversi partiti di estrema destra che in questo periodo crescono nei vari paesi europei - l'ultimo esempio è il partito dei «Veri finlandesi» - hanno qualcosa in comune tra loro? È l'effetto della crisi economica?
Ci sono effettivamente dei punti comuni. A cominciare da un'agenda politica identitaria, che non credo sia principalmente conseguenza della crisi economica. Mi sembra un grande errore di analisi di vedere nella crescita del populismo una conseguenza quasi automatica della crisi, anche se ci sono dei punti di contatto. Il fenomeno non riguarda soltanto regioni in crisi, come dimostra la Lega in Italia, l'Udc in Svizzera o il caso della Scandinavia. La Finlandia, anche se subisce la recessione, o la Danimarca, anche se non è più ricca come una volta, non sono zone povere. Al di là degli aspetti economici, c'è una crisi di identità europea, che risulta dal fatto che parte della popolazione ha difficoltà ad ammettere che la società sta diventando, in modo definitivo, multiculturale, nel senso che si tratta di società dove vivono individui di origine, cultura, religione, etnia diverse. L'estrema destra critica questa immigrazione di popolamento. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che queste persone sono destinate a rimanere, che non è mai successo nella storia che dei movimenti migratori massicci siano stati temporanei.
Lo straniero diventa il nuovo paradigma della paura?
L'Europa, dopo il '45 e fino agli anni '90 è vissuta in uno schema intellettuale confortevole di guerra fredda, con un nemico identificabile, l'Urss e il comunismo. Oggi lo schema amico/nemico si è spostato su altro obiettivo, riprendendo però il vecchio schema: pericolo esterno (era l'Urss, oggi sono l'islam e il fondamentalismo) e pericolo interno (erano i partito comunisti, oggi sono gli immigrati di religione musulmana).
L'Unione europea non ha la forza di rispondere?
Di fronte a ciò, l'Unione europea non offre un'identità forte. È un'Europa di mercato, uno spazio di circolazione di merci, capitali e servizi. Non è possibile creare un'identità europea sul modello ultraliberista. Sul lungo periodo ci si può interrogare sul senso di una costruzione europea che si sostituisca alle realtà nazionali, mentre la nazione resta la scala dove vive la maggior parte dei cittadini. Trovo che la scomparsa delle nazioni e l'utopia di creare una popolazione europea siano pericolose, soprattutto se basate sul modello e l'ideologia ultraliberista, dove tutto sarebbe indifferenziato. La difficoltà della democrazia è riuscire a conciliare l'esigenza di eguaglianza, l'adesione a valori universali, con quello che mi sembra essere la necessità di preservare le diverse culture, l'autonomia delle scelte dei cittadini, in un quadro che resterebbe nazionale. Se non ci sarà un profondo riorientamento delle politiche della Ue si andrà verso un rafforzamento del populismo, poiché gli elettori condannano un progetto europeo che non ha una dimensione sociale. Il Fronte nazionale è diventato il primo partito operaio, dei disoccupati, lo sarà della classe media in futuro, colpita dal declassamento, dal sentimento che il periodo migliore è ormai dietro le spalle, convinta che regni l'insicurezza su tutti i fronti, dall'economia ai diritti acquisiti. Sarebbe necessario un rinnovamento del software della sinistra, per trarre le conseguenze dalle sconfitte della socialdemocrazia nei vari paesi, in un contesto dove le istituzioni europee, a cominciare dalla Commissione, mancano di legittimità democratica.
Italia e Francia si scontrano sui tunisini, la guerra in Libia divide... L'unica risposta sembra dover fare dei passi indietro sulla costruzione europea.
Il problema è che non c'è unità sui principali problemi, dall'immigrazione alla politica estera. L'Ue dà l'impressione di essere un mostro freddo, una macchina per mettere in opera uno spazio di libera circolazione di merci e capitali, i cui beneficiari principali sono un'oligarchia tecnico-politica disincarnata e il capitale finanziario.
Come mai la sinistra non sembra riuscire a modificare la deriva all'estrema destra? E al tempo stesso perché la destra tradizionale corre dietro alle tesi estremiste?
A me sembra che affrontare il fenomeno dell'estrema destra in termini di antifascismo tradizionale sia obsoleto. Continuare ad assimilare i movimenti attuali con l'estrema destra tradizionale è sconnesso dalla realtà. Questi movimenti, dai Veri finlandesi al Fronte nazionale non sono fascisti, anche se questo non vuol dire che non ci sia una dimensione autoritaria al loro interno. Uno dei punti più interessanti è vedere come la destra conservatrice e l'estrema destra si uniscono in parte sulle questioni identitarie, mentre restano opposte sull'economia, sull'Europa, perché rappresentano settori sociali e settori capitalistici diversi. La destra conservatrice, Sarkozy o Berlusconi, sono più legati al mondo dell'impresa e al capitale internazionale, mentre il Fronte nazionale, la Lega o l'estrema destra fiamminga, lo sono al capitale nazionale. Nel futuro, la questione della differenza tra i due tipi di capitale e di finanza a cui le due destre sono legate sarà centrale. Questo spiega come il piccolo imprenditore voti Marine Le Pen che se la prende con la mondializzazione liberista, con la finanza ridotta a un casinò. La critica alla finanziarizzazione dell'economia può evidentemente anche essere fatta da sinistra... Ma qui si paga la fine delle ideologie, che riguarda anche la destra tradizionale, che ha voluto cancellare l'ideologia a profitto dello stato visto come un'impresa.
Quale è il maggior rischio?
Mi chiedo se l'ottica della sinistra di focalizzarsi sull'estrema destra non ci impedisca di vedere che il problema essenziale è l'evoluzione ideologica della destra conservatrice. Chi minaccia di più l'Italia oggi, Berlusconi o Fini? Credo sia Berlusconi. Anche in Francia, il nodo principale è l'indurimento ideologico della destra di governo, altrettanto che le prospettive elettorali del Fronte nazionale. Fa paura il modo in cui la destra accetta di farsi indirizzare dall'estrema destra sulle questioni identitarie. Lo si è visto in Svizzera con i referendum sui minareti e sugli stranieri delinquenti proposti dai populisti elvetici dell'Udc, ma votati da un elettorato non Udc.
Jean-Yves Camus, 53 anni, politologo specialista dell'estrema destra e dei nazionalismi in Europa, ricercatore associato all'Iris (Istituto di relazioni internazionali e strategiche), è autore, tra le molte pubblicazioni, di «Estremismi in Francia: bisogna averne paura?» (Milan, 2006) e de «Il Mondo ebreo» (Milan, 2008), scritto in collaborazione con Annie-Paule Derczansky. Jean-Ives Camus ha contribuito alla redazione del «Dizionario dell'estrema destra» (Larousse, 2007) e ha curato il volume «Gli estremismi, dall'Atlantico agli Urali» (Editions de l'Aube, 1996-1998).
Collabora regolarmente con i media, da «Le Monde Diplomatique» a «Charlie Hebdo», e al sito Internet Rue89. jean-Ives Camus è stato ricercatore per il Centro di ricerca e azione sul razzismo e l'antisemitismo. Dal 2002 al 2004 ha lavorato per la Svizzera a un progetto di ricerca sull'Estremismo di destra. È membro dell'European Consortium of Political Research e della task Force on Antisemitism dell'European Jewish Congress.
All'Istituto di relazioni internazionali e strategiche (Iris) ha diretto un progetto di ricerca realizzato per la Fra (Agenzia sui diritti fondamentali dell'Unione euroopea), sull'analisi dell'islamofobia nella stampa francese.



Immigrazione, Maroni: lasciati soli
il Tempo 11 maggio 2011
"Noi siamo stati lasciati soli ad affrontare l'emergenza immigrazione: l'Europa non dà risposte e non è bello vedere gli altri Paesi dell'Unione che stanno a guardare". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando a margine di una riunione ministeriale del G8 a Parigi dedicata al contrasto al traffico di droga. "Io credo - ha spiegato il ministro - che ci sia un difetto di analisi su quello che sta avvenendo: l'Onu ha detto che ci sono 750mila profughi potenziali in Libia; secondo me sono il doppio e mi chiedo perché l'Europa non si muove per garantire sostegno e creare rapporti con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo in modo da favorire condizioni di stabilità per il futuro". Dopodomani nel corso della riunione dei ministri dell'Interno europei a Bruxelles, ha aggiunto, "tornerò a sollecitare risposte".
RICONOSCIMENTO PER I SOCCORRITORI "Lodo tutti coloro che si sono battuti in mare per salvare vite umane, quelle dei migranti nel barcone arrivato a Lampedusa qualche giorno fa. Per loro proporrò al presidente della Repubblica di assegnare un riconoscimento", ha detto poi Maroni, a Parigi prima della riunione del G8 dedicata al contrasto del traffico di droga.



Friedrich: «Non criticate l'Europa. In Italia avete avuto solo 25 mila arrivi»
Corriere.it 11maggio 2011
«L'Italia non ha alcun motivo di lamentarsi per la mancanza di solidarietà» da parte dell'Europa sulla vicenda degli immigrati arrivati sulle coste meridionali. Lo ha detto il ministro dell'Interno tedesco, Hans-Peter Friedrich al quotidiano francese Le Figaro. «Dall'inizio delle proteste» nel Nordafrica «in Italia sono arrivati appena 25mila immigrati», ha sottolineato. «Un grande Paese come l'Italia può accogliere senza grande difficoltà i 10.000-12.000 rifugiati che hanno chiesto di restare sul suo territorio. La solidarietà implica anche che si deve adempiere ai propri obblighi», ha aggiunto.
ASILO - Le critiche del ministro degli interni tedesco arrivano il giorno dopo l'audizione alla commissione Affari esteri alla Camera di Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. La commissaria ha dato un quadro degli arrivi e delle domande di asilo in Italia e nei Paesi vicini: «nel 2010 in Francia le domande di asilo sono state 48 mila, in Germania 42 mila, in Italia solo 8.200». In totale, ha riferito Laura Boldrini, in Germania ci sono 600 mila rifugiati, in Francia 200 mila, nel Regno Unito 300 mila, in Italia 55 mila. Insomma il nostro paese «non è tra i più esposti, ci potrebbe essere per questo riluttanza in Unione europea per una suddivisione», visto che negli altri paesi ci sono già «numeri ben più importanti».



"Gli immigrati non arriveranno, allarmismi irresponsabili"
Simone Marcelli
ViterboOggi 11 maggio 2011
A Montefiascone operazione verità sulla vicenda immmigrati presso la struttura “Raggio di Sole”, dove sono stati alloggiati i ventisei tunisini incensurati giunti dal centro di Castelnuovo di Porto.
Presenti Aldo Forte, assessore regionale alle Politiche sociali e famiglia, Gianmaria Santucci, assessore provinciale ai Lavori pubblici e alla Viabilità, Francesco Tarricone, viceprefetto e Commissario straordinario del Comune di Montefiascone.
Immediate le precisazioni: gli immigrati sono venitsei, tutti tunisini. Per questo motivo non devono esser considerati profughi di guerra e, soprattutto, non aumenteranno di numero.
Il 5 aprile scorso, infatti, il governo italiano ha siglato un accordo con la Tunisia. In base a questo, tutti i tunisini giunti in italia precedentemente a quella data  hanno ricevuto la cittadinanza provvisoria per sei mesi, secondo quanto previsto dal trattato di Schengen; tutti coloro i quali sono giunti o giungeranno dopo tale data, sono destinati ad essere immediatamente rimpatriati. Gli immigrati, in quanto cittadini provvisori a tutti gli effetti, possono circolare liberamente entro i confini nazionali e, in casi certificati, anche entro quelli dei paesi firmatari del trattato. I tunisini, la quale sussistenza costerà circa quaranta euro al giorno ciascuno, sono stati forniti di tessera sanitaria per l’assistenza medica.
Grande la premura degli assessori di confutare notizie erronee ed allarmanti: “chi dice che arriveranno ottocento immigrati, dice inesattezze inventate. I dati certi li possiedono solo le istituzioni competenti, informate volta per volta dal Governo centrale. Ognuno si prenda la responsabilità di ciò che afferma: gli allarmismi ed i catastrofismi possono costituire un grave danno all’economia locale.”
Bisogna ricordare, infatti, che il fantasma di un’immigrazione disordinata ed incontrollabile potrebbe scoraggiare lo sviluppo del turismo, motore fondamentale del territorio del Viterbese.
Del resto, false sono anche le notizie in merito alla disposizione di immigrati a Tarquinia in tendopoli: come si sa, il campo è stato allestito per una normale esercitazione militare. I presiedenti sottolineano: “l’esperienza di Manduria ha fatto escludere categoricamente futuri allestimenti di tendopoli.”
Imminente la promulgazione di un bando, al fine di trovare strutture adeguate ad ospitare altri piccoli gruppi di immigrati, ora distribuiti nel resto del territorio nazionale. Fino ad ora, comunque, Raggio di Sole si è presentata come l’unica struttura idonea e disponibile nella zona.
"Diversa è la situazione dei richiedenti asilo – chiarisce l’assessore Santucci -, che sono libici in fuga dalla guerra. Di loro nella Tuscia non ne arriverà neanche uno, né a Tarquinia, né sul lago di Bolsena né altrove: il Viterbese non può accoglierli perché sul territorio non esistono strutture adatte ad ospitarli per anni. Se mai in futuro qualcuno risponderà al bando della Regione Lazio faremo le opportune valutazioni, ma ora queste situazioni di disponibilità all’accoglienza non ci sono. Non siamo in grado ad oggi di fornire questo tipo di servizio, perciò non posso che smentire categoricamente notizie relative a 800 arrivi sul lago di Bolsena e a case confiscate a privati cittadini per accogliere rifugiati libici a Tarquinia. Nella Tuscia non sorgeranno mai tendopoli, né campi come quelli di Manduria: le tende montate a Tarquinia che tanto hanno allarmato qualcuno non sono che un’esercitazione militare”.
Alla fine i protagonisti della vicenda, i giovani tunisini giunti in Italia attraversando pericolosamente il mare, si avvicinano timidamente e ribadiscono ciò che li ha spinti ad attraversare il mare, lasciare i loro affetti e sfidare i pericoli:  “Noi qui stiamo bene - dicono -  sono tutti molto gentili. Sogniamo di trovare un lavoro, ma sappiamo che è molto difficile".



Se il corso di laurea per maestri dimentica la storia delle religioni
Alberto Melloni
Corriere della Sera 11 maggio 2011
I simboli religiosi che la storia o la disciplina personale depositano nello spazio pubblico europeo sono ormai numerosi. Controversi o accettati, essi parlano di una differenza che, se non viene compresa con strumenti appropriati, diventa muta o minacciosa: strumenti che dovrebbe fornire la scuola. Dovrebbe, sì: perché proprio in questi giorni, mentre le università stanno riformando i corsi di laurea da cui usciranno maestri e maestre seguendo le ferme indicazioni di un decreto ministeriale, si è vista la falla. A coloro che nelle scuole pubbliche o private daranno i fondamenti della «convivenza di culture e religioni diverse» , si deve insegnare, dice il decreto, un po’ di storia greca o romana o medievale o moderna o contemporanea. Ma la storia religiosa— quella del cristianesimo o dell’islam o dell’ebraismo — invece, no: non è necessaria. Tecnicamente non verrà vietato farla in un corsetto opzionale. Ma al ministero e alle sue procedure informatiche non interessa neppure saperlo. Tutti sanno che gli insegnanti delle elementari sono la prima linea dell’alfabetizzazione del pluralismo religioso e che solo a loro, per disciplina concordataria, è concesso insegnare religione col beneplacito dell’autorità ecclesiastica: ma sui contenuti dovranno arrangiarsi. Giorgio Israel, che ha presieduto la commissione che ha riformato i corsi, spiegava a un convegno del Vicariato di Roma che l’omissione era stata fortuita e che sarebbe stata sanata da una rettifica di cui— mentre incombono le scadenze delle università — non si vede l’ombra. Così tutto tace. Le autorità ecclesiastiche sembra non si siano accorte di nulla. I protestanti, le comunità ebraiche, i musulmani pure. La maggioranza, a cui non è detto stia bene così, ha altro per la testa. L’opposizione non ha voglia neppure di chiedere perché. Così i crocifissi che l’Europa ha deciso di lasciare nelle nostre aule rimarranno: oggetti illeggibili, senza storia, appesi sopra teste vuote.

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