DALL'EMERGENZA UMANITARIA ALLO STATO
D'ECCEZIONE
1. E' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 100
del 2 maggio 2011 l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (OPCM)
n. 3935 del 21 aprile 2011nella quale si individuano tre nuovi centri di
identificazione ed espulsione temporanei. L'ordinanza contiene ulteriori disposizioni urgenti dirette
a fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in
relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord
Africa. I nuovi CIET (Centri di identificazione ed espulsione temporanei)
saranno ( anzi sono gi) ubicati
nei comuni di Santa Maria Capua Vetere, di Palazzo San Gervasio e di
Trapani localita' Kinisia, dove peraltro gi esiste un imponente centro di
detenzione, in localit Milo, finito da mesi, ma ancora inattivo, vuoto,
probabilmente per ragioni legate alle contese locali sulla sua gestione ed agli
allacciamenti delle fogne che il comune di Trapani non avrebbe ancora
predisposto.
Nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri,
i tre nuovi centri di identificazione ed espulsione temporanei vengono
attivati, visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data
12 febbraio 2011, con cui e' stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2011, lo
stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione
all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del nord Africa;
visto l'Accordo di Cooperazione del 5 aprile 2011 tra i Ministri dell'Interno
di Italia e Tunisia disciplinante tra l'altro le azioni di rimpatrio e di
trattenimento dei cittadini tunisini irregolarmente presenti sul territorio
italiano; e soprattuttoconsiderato che nei confronti degli stranieri che non
si trovano nelle condizioni di accoglienza di cui all'art. 2 del citato decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 5 aprile 2011, trovano applicazione
le disposizioni di cui agli articoli 10, 13 e 14 del decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286; Considerata l'urgente necessita' di dover trattenere gli
stranieri che non si trovano nelle gia' citate condizioni di accoglienza di
cui all'art. 2 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 5 aprile 2011, nei centri di
identificazione ed espulsione (CIE).
Si assiste dunque, come avevamo anticipato e come era
largamente prevedibile, alla trasformazione dei centri di accoglienza in centri
di detenzione, per ratificare gli abusi che sono stati commessi in precedenza,
come nel caso delle convalide fasulle a Santa Maria Capua Vetere, o per prepararsi
ai prossimi arrivi, quando il tempo migliorer, e si dovr riempire anche la
tendopoli di Kinisia a Trapani, dopo
che il CARA di Salina Grande stato impropriamente utilizzato anche a
fini detentivi, come nel caso delle decine di tunisini richiusi da settimane
nella sala palestra in attesa dell'esecuzione delle misure di allontanamento
forzato.
Su richiesta del ministero dell'interno e di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze si cos disposta l'attivazione
dei tre nuovi centri di detenzione amministrativa. Secondo l'ordinanza Al fine
di trattenere gli stranieri che non si trovano nelle condizioni di accoglienza
di cui all'art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 aprile 2001, le strutture
temporanee gia' esistenti, attivate per l'accoglienza dal Commissario delegato
per l'emergenza umanitaria di cui alle ordinanze del Presidente del Consiglio n. 3924 del 18 febbraio 2011
e n. 3925 del 23 febbraio 2011 articolo 17, nel comune di Santa Maria Capua
Vetere (CE) - Caserma Fornaci e Parisi (ex Andolfato), nel comune di Palazzo
San Gervasio (PZ) e nel comune di Trapani localita' Kinisia, operano, a far
data dalla presente ordinanza e fino a cessate esigenze, e comunque non oltre
il 31dicembre 2011, come centri di identificazione e di espulsione nel numero
massimo di 500 posti da ripartire nelle predette strutture. I costi complessivi
per l'attivazione e la gestione delle nuove strutture dovrebbero ammontare a
dieci milioni di euro e le nuove strutture dovrebbero essere chiuse al 31
dicembre 2011.
Quanto deciso dall'ordinanza del Presidente del
Consiglio, soprattutto per lo statuto giuridico delle nove strutture e per la
incerta identificazione dei soggetti che dovrebbero esservi rinchiusi, o
restarvi rinchiusi, risulta in collisione con le previsione della Direttiva
Rimpatri n. 115 del 2008 sulla quale si recentemente espressa la Corte di
Giustizia dell'Unione Europea, affermando che
lart. 6, n. 1, di detta direttiva prevede anzitutto,
in via principale, lobbligo per gli Stati membri di adottare una decisione di
rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui
soggiorno nel loro territorio sia irregolare.
Nellambito di questa prima fase della procedura di rimpatrio va accordata
priorit, salvo eccezioni, allesecuzione volontaria dellobbligo derivante
dalla decisione di rimpatrio; in tal senso, lart. 7, n. 1, della direttiva
2008/115 dispone che detta decisione fissa per la partenza volontaria un
periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni.
Risulta dallart. 7, nn. 3 e 4, di detta direttiva che solo in circostanze
particolari, per esempio se sussiste rischio di fuga, gli Stati membri possono,
da un lato, imporre al destinatario di una decisione di rimpatrio lobbligo di
presentarsi periodicamente alle autorit, di prestare una garanzia finanziaria
adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo
oppure, dallaltro, concedere un termine per la partenza volontaria inferiore a
sette giorni o addirittura non accordare alcun termine.
In questultima ipotesi, ma anche nel caso in cui lobbligo di rimpatrio non
sia stato adempiuto entro il termine concesso per la partenza volontaria,
risulta dallart. 8, nn. 1 e 4, della direttiva 2008/115 che, al fine di assicurare
lefficacia delle procedure di rimpatrio, tali disposizioni impongono allo
Stato membro, che ha adottato una decisione di rimpatrio nei confronti di un
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, lobbligo di
procedere allallontanamento, prendendo tutte le misure necessarie, comprese,
alloccorrenza, misure coercitive, in maniera proporzionata e nel rispetto, in
particolare, dei diritti fondamentali.
Al riguardo, discende dal sedicesimo considerando di detta direttiva nonch dal
testo del suo art. 15, n. 1, che gli Stati membri devono procedere
allallontanamento mediante le misure meno coercitive possibili. Solo qualora
lesecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi,
valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal comportamento
dellinteressato, detti Stati possono privare questultimo della libert
ricorrendo al trattenimento.
Conformemente allart. 15, n. 1, secondo comma, della direttiva 2008/115, tale
privazione della libert deve avere durata quanto pi breve possibile e
protrarsi solo per il tempo necessario allespletamento diligente delle
modalit di rimpatrio. Ai sensi dei nn. 3 e 4 di detto art. 15, tale privazione
della libert riesaminata ad intervalli ragionevoli e deve cessare appena
risulti che non esiste pi una prospettiva ragionevole di allontanamento. I nn.
5 e 6 del medesimo articolo fissano la sua durata massima in 18 mesi, termine
tassativo per tutti gli Stati membri. Lart. 16, n. 1, di detta direttiva, inoltre,
prescrive che gli interessati siano collocati in un centro apposito e, in ogni
caso, separati dai detenuti di diritto comune.
Emerge da quanto precede che la successione delle fasi della procedura di
rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione
delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio,
gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libert dellinteressato
- la concessione di un termine per la sua partenza volontaria - alla misura che
maggiormente limita la sua libert - il trattenimento in un apposito centro -,
fermo restando in tutte le fasi di detta procedura lobbligo di osservare il
principio di proporzionalit.
Perfino il ricorso a questultima misura, la pi restrittiva della libert che
la direttiva consente nellambito di una procedura di allontanamento coattivo,
appare strettamente regolamentato, in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta
direttiva, segnatamente allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti
fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi.
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In particolare, la durata massima prevista allart. 15, nn. 5 e 6, della
direttiva 2008/115 ha lo scopo di limitare la privazione della libert dei
cittadini di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo (sentenza 30
novembre 2009, causa C 357/09 PPU, Kadzoev, Racc. pag. I 11189, punto 56). La
direttiva 2008/115 intende cos tener conto sia della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti delluomo, secondo la quale il principio di proporzionalit
esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione
o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire
non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito (v., in
particolare, Corte eur. D.U, sentenza Saadi c. Regno Unito del 29 gennaio 2008,
non ancora pubblicata nel Recueil des arrts et dcisions, 72 e 74), sia
dellottavo dei Venti orientamenti sul rimpatrio forzato adottati il 4 maggio
2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio dEuropa, ai quali la direttiva fa
riferimento nel terzo considerando. Secondo tale principio, il trattenimento
ai fini dellallontanamento deve essere quanto pi breve possibile.
L'ordinanza che istituisce i nuovi CIE temporanei
conferma e aggrava la vigente disciplina in materia di respingimenti,
espulsione e detenzione amministrativa ed
appare dunque in contrasto con quanto previsto dalla direttiva
comunitaria 2008/115/CE. In tutti i procedimenti di convalida del trattenimento
che si svolgeranno all'interno dei nuovi campi di detenzione l'assenza del
criterio della proporzionalit ed il carattere automatico dell'allontanamento
forzato dovranno costituire motivo di opposizione, se occorre fino al giudizio
davanti alla Corte di Cassazione, o per successive richieste di sospensiva per
ulteriori questioni pregiudiziali da rivolgere alla Corte di Giustizia di
Lussemburgo.
Lo stesso tipo di ricorsi dovr essere proposto se il governo dovesse emettere un
decreto legge che modifichi la normativa interna per semplificare le procedure
di allontanamento forzato. Se le nuove norme aventi forza di legge,
probabilmente la riproposizione di quanto anticipato con la infausta circolare
del 17 dicembre 2010, risultassero in contrasto con la direttiva 2008/115/CE e
con la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 28 aprile
scorso, i giudici italiani sarebbero tenuti a disapplicare anche le nuove norme
interne che il governo dovesse riuscire ad introdurre se risultassero ancora in
contrasto con la normativa comunitaria, come appare largamente prevedibile a
fronte delle dichiarazioni di Maroni e dell'OPCM di Berlusconi del 21 aprile
scorso.
Ma oltre all'inasprimento del regime della detenzione
amministrativa e della trasformazione dei CARA in CIE, di fatto come a Salina
Grande a Trapani, oppure sulla base della nuova ordinanza emessa dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri, continuano ad emergere ulteriori profili
di illegittimit che caratterizzano le operazioni di rimpatrio forzato verso la
Tunisia ed altri paesi del Nord-africa.
In un
recente incontro con il console tunisino a Palermo infatti emerso che i
provvedimenti di rimpatrio, eseguiti direttamente da Lampedusa verso Tunisi, e
poi anche da Bologna, siano essi respingimenti differiti o espulsioni, non sono comunque notificati
tempestivamente agli interessati prima dell'avvio delle operazioni di
allontanamento forzato. E' persino
nascosta la destinazione finale ( Tunisia) dei trasferimenti ai quali i
migranti vengono sottoposti, e i provvedimenti relativi vengono consegnati dopo
l'imbarco sugli aerei, con evidente limitazione della libert personale e con
totale privazione di tutti i diritti da riconoscere alle persone soggette al
rimpatrio forzato, in base agli artt.13 e 24 della Costituzione, al Regolamento
delle frontiere Schengen n.562 del 2006. Il Regolamento Schengen impone la
tempestiva notifica di provvedimenti individuali, mentre la direttiva sui
rimpatri n. 2008/115/CE, che limita i casi di rimpatrio forzato, e persino il
diritto interno vigente, presuppongono quanto meno la tempestiva adozione e
notificazione di provvedimenti formali di allontanamento forzato, siano essi
respingimenti differiti disposti dal Questore o espulsioni amministrative
disposte dal Prefetto.
2. Anche se non se parla pi, al di fuori di scarni
comunicati che emana periodicamente il Ministero dell'interno, continuano i
respingimenti sommari verso l'Egitto, con procedure che appaiono ancora in
contrasto con la Direttiva rimpatri e con l'ultima sentenza della Corte di
Giustizia. A differenza di quanto successo con la Tunisia, nei confronti della
quale Maroni sarebbe riuscito a strappare solo il rimpatrio di 800 migranti
arrivati irregolarmente in Italia, e questo spiega adesso perch stanno
attrezzando i nuovi CIE temporanei, mentre gli ultimi voli da Lampedusa con
tunisini da espellere sono partiti verso i CIE di Bologna e di Gradisca
d'Isonzo, gli accordi di riammissione con l'Egitto procedono come ai tempi
della dittatura di Moubarak.
Dal mese di marzo del 2007, in particolare, centinaia di
cittadini egiziani irregolarmente giunti a Lampedusa, o salvati da mezzi della
nostra marina militare e poi condotti nelisola, sono stati rimpatriati in
Egitto, dopo essere stati trasferiti dallisola pelagica allaeroporto di
Catania, definito in queste occasioni come scalo tecnico.
Ancora oggi si loda il salto di qualitnella collaborazione tra Italia ed
Egitto, dopo la chiusura, grazie allintervento in quel paese di unit militari
italiane, nel 2004, della rotta di Suez che aveva comportato la riconsegna al
governo cingalese di migliaia di tamil in fuga dalla guerra civile. Pratiche di
cooperazione di polizia che avevano avuto come conseguenza la tortura e la
morte di molti di coloro che erano stati deportati dal Cairo a Colombo.
Le operazioni di riammissione tra Italia ed Egitto, con voli diretti da Catania e da Roma al Cairo, e oggi da varie citt italiane, sono rese possibili dallaccordo di collaborazione firmato proprio nel gennaio del 2007 dal governo italiano, in persona del sottosegretario agli esteri Intini e alla presenza del viceministro allinterno Lucidi, accordo che, in cambio di qualche migliaio di posti riservati ai lavoratori egiziani nelle quote ammesse annualmente con i decreti flussi, consentiva forme di attribuzione della nazionalit, se non della identit personale e dellet, assai celeri, grazie anche alla collaborazione di funzionari e interpreti egiziani presenti in Italia. Gi nel 2005, peraltro, tra il governo italiano e quello egiziano esisteva un "Accordo di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro", siglato al Cairo il 28 novembre 2005 dallallora ministro del lavoro Roberto Maroni. Nel testo dellaccordo si prevedeva che i due governi, al fine di "gestire in modo efficiente i flussi migratori e prevenire la migrazione illegale", si impegnano a facilitare lincontro tra la domanda e lofferta di lavoratori migranti da e per lEgitto. Il governo italiano, dal canto suo, si impegnava a valutare lattribuzione di una speciale quota annuale per lavoratori migranti egiziani. Nel protocollo esecutivo si legge che il ministero del Lavoro e delle politiche sociali italiano comunicheranno allomologo egiziano i criteri, ai sensi della normativa italiana, per redigere una lista di lavoratori egiziani disponibili a svolgere unattivit lavorativa subordinata anche stagionale in Italia. La lista dovr essere pubblicata sul sito web del ministero del Lavoro italiano.
Basta verificare landamento dei decreti flussi adottati in questi ultimi anni e i ritardi accumulati, e poi controllare il numero di lavoratori egiziani effettivamente entrati in Italia con un visto di ingresso per ragioni di lavoro, per verificare quanto questo accordo possa avere giovato ai lavoratori egiziani, ancora costretti in gran parte a tentare la via dellingresso irregolare. Niente di nuovo dunque, nei comunicati del ministro dellinterno Maroni relative al rimpatrio immediato di alcune decine di migranti egiziani respinti verso lEgitto. I rimpatri da Lampedusa in Egitto, con scalo tecnico a Catania, che per le modalit ed i tempi delle identificazioni e per la motivazione uniforme adottata, possono configurare delle vere e proprie espulsioni collettive, sono dunque in corso da tempo, e vengono pubblicizzati con assiduit che si potrebbe rivolgere ad altre informazioni, solo per camuffare lennesimo fallimento delle politiche di contrasto dellimmigrazione clandestina, ritenuto a torto come lunico strumento di governo del complesso fenomeno delle migrazioni.
I comunicati emessi dal ministero dell'interno sui rimpatri in Egitto, seppure con lo stile dei mattinali di polizia, confermano la sommariet delle procedure adottate, e la rapidit della selezione che affidata alle forze di polizia ha permesso in poche ore di stabilire l'et dei migranti, il loro stato giuridico, la possibilit di un respingimento. NON RISULTA CHE QUALCUNO ABBIA POTUTO PRESENTARE RICHIESTA DI ASILO, probabilmente rappresentanti del consolato egiziano erano gi presenti al momento della prima identificazione. Non si comprende con quali garanzie si siano distinti i minori di et che non potevano essere rimpatriati. E dire che una circolare del 2007 imponeva cautele particolari ai fini del rimpatrio dei soggetti di et apparente prossima ai 18 anni. Anche la Direttiva sui rimpatri stablisce cautele particolari per questi soggetti vulnerabili, a partire dal diritto al ricorso per provare un et diversa da quella risultante da un accertamento sanitario assai affrettato, che pu avere un margine di incertezza di due/tre anni.
Ma anche nel caso degli adulti egiziani, come nel caso degli adulti tunisini che in questi giorni vengono sottoposti ad esecuzioni sommarie, mancano garanzie effettive di difesa e si utilizza lo strumento del respingimento differito disposto dal questore in base all'art. 10 bis del Testo unico 286 del 1998, non a caso richiamato dall'ordinanza del Consiglio dei Ministri che attiva i nuovi centri di identificazione temporanei, un succedaneo del provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto, un autentico espediente che da anni consente allontanamenti forzati somari senza un effettivo controllo del giudice, in contrasto con l'art. 13 della Costituzione.
Si deve purtroppo rilevare come la possibilit di un ricorso giurisdizionale contro il respingimento differito disposto dal Questore, dopo lingresso nel territorio nazionale ( non quindi quello che si realizza materialmente al momento del tentativo di ingresso in frontiera, che rimane un mero comportamento materiale ), sia alquanto teorica. Il provvedimento formale di respingimento emesso dal Questore si dovrebbe impugnare davanti ad un Tribunale Amministrativo, e questo risulta ancora pi difficile, se non del tutto impossibile, quando le misure di allontanamento forzato sono disposte da autorit amministrative che si trovano o si spostano nei luoghi di prima accoglienza, come appunto Lampedusa, luoghi ben lontani dalle sedi presso le quali si potrebbero impugnare i provvedimenti di allontanamento forzato ( basti pensare alla difficolt di sottoscrivere una procura per lavvocato di fiducia ed allassenza di difensori di ufficio, oltre che diuna sede giudiziaria raggiungibile dalla persona interessata, che adesso potr essere detenuta anche nelle nuove tre strutture denominate centri di identificazione ed espulsione temporanei, tutte ubicate- non certo a caso- in luoghi isolati).
Di queste procedure di respingimento differito adottato
con decreto del Questore dovrebbe occuparsi finalmente anche la Corte
Costituzionale, magari in coerenza con quanto affermato nella sentenza n.222
del 2004. Le garanzie di difesa previste per un procedimento di espulsione,
sopratutto nei casi in cui si verifica anche la detenzione amministrativa, non possono essere diverse nei casi di
respingimento differito ai sensi dell'art. 10 comma 2 del T.U. n. 286 del 1998,
anche perch la persona comunque ha fatto comunque ingresso nel territorio
nazionale, a differenza dei casi di respingimento immediato, ed dunque
applicabile anche a chi riceve il provvedimento di respingimento l'art. 2 del
T.U. Sull'immigrazione che riconosce anche agli immigrati irregolari i diritti
fondamentali della persona umana. Quanto previsto dalla legge in materia di
espulsione, con riferimento alle garanzie di difesa delle persone, soprattutto
in caso di trattenimento amministrativo disposto ai sensi dell'art. 14 del T.U.
sull'immigrazione, non pu non valere nei casi di respingimento differito in
frontiera con provvedimento del Questore. Osservava la Corte Costituzionale nel
2004:
La
sentenza n. 105 del 2001 non invest laccompagnamento alla frontiera in s,a
lo consider quale logico presupposto del trattenimento. Tuttavia, quanto in
essa affermato gi preannunciava la soluzione di una eventuale questione di
legittimit costituzionale che avesse avuto ad oggetto laccompagnamento alla
frontiera quale autonoma misura non legata al trattenimento presso i centri di
permanenza temporanei. Lesigenza di colmare un vuoto di tutela ha indotto il
legislatore ad intervenire con il d.l. n. 51 del 2002, il cui art. 2 prevedeva
lobbligo del questore di comunicare il provvedimento con il quale disposto
laccompagnamento alla frontiera immediatamente e, comunque, entro quarantotto
ore dalla sua adozione allufficio del Procuratore della Repubblica presso il
tribunale territorialmente competente. A sua volta, il Procuratore della
Repubblica, verificata la sussistenza dei requisiti, doveva procedere alla
convalida del provvedimento entro le quarantotto ore successive alla
comunicazione. La norma si chiudeva disponendo che: "Il provvedimento
immediatamente esecutivo". Le modifiche apportate in sede di conversione,
con la legge n. 106 del 2002, hanno riguardato anzitutto lautorit giudiziaria
preposta alla convalida – non pi il Procuratore della Repubblica bens
il tribunale, in composizione monocratica, territorialmente competente –
e, poi, la previsione della immediata esecutivit del provvedimento con il
quale disposto laccompagnamento alla frontiera, la quale ora inserita,
come autonomo inciso, subito dopo la prevista comunicazione del provvedimento
al giudice e prima della disciplina della convalida.
Il procedimento regolato dallart. 13, comma 5-bis, contravviene ai princip
affermati da questa Corte nella sentenza sopra ricordata: il provvedimento di
accompagnamento alla frontiera eseguito prima della convalida da parte
dellautorit giudiziaria. Lo straniero viene allontanato coattivamente dal
territorio nazionale senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul
provvedimento restrittivo della sua libert personale. , quindi, vanificata la
garanzia contenuta nel terzo comma dellart. 13 Cost., e cio la perdita di
effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera
dellautorit giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla
libert personale violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo
incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questi
debba essere ascoltato dal giudice, con lassistenza di un difensore. Non
certo in discussione la discrezionalit del legislatore nel configurare uno
schema procedimentale caratterizzato da celerit e articolato sulla sequenza
provvedimento di polizia-convalida del giudice. Vengono qui, daltronde, in
considerazione la sicurezza e lordine pubblico suscettibili di esser
compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo
schema prescelto, in esso devono realizzarsi i princip della tutela
giurisdizionale; non pu, quindi, essere eliminato leffettivo controllo sul
provvedimento de libertate, n pu essere privato linteressato di ogni
garanzia difensiva. Le censure svolte dai remittenti non possono infine essere
superate facendo ricorso alla tesi del c.d. "doppio binario" di
tutela per lo straniero: convalida soltanto "cartolare" del
provvedimento di accompagnamento alla frontiera e successivo ricorso sul
decreto di espulsione con adeguate garanzie difensive. Sarebbe infatti elusa la
portata prescrittiva dellart. 13 Cost., giacch il ricorso sul decreto di
espulsione (art. 13, comma 8) non garantisce immediatamente e direttamente il
bene della libert personale su cui incide laccompagnamento alla frontiera.
3. Con la scusa dell'emergenza umanitaria proveniente dal Nord Africa si stanno violando dunque consolidati principi costituzionali ed adesso anche atti dell'Unione Europea che hanno efficacia vincolante diretta nel nostro ordinamento, come le decisioni della Corte di Giustizia.
Appare anche del tutto arbitraria la fissazione di un
limite di tempo per riconoscere un permesso temporaneo per protezione
umanitaria a coloro che provengono dal Nord Africa , come se, successivamente
al 5 aprile, in questi paesi si fosse verificato un tale miglioramento della
situazione politica e sociale tale da fare venire meno la necessit di
protezione, seppur temporanea, dai cittadini provenienti da questarea.
Come
osserva il CIR in un recente documento, a conferma dellassenza di tale
mutamento sembrano porsi tanto il perpetrarsi di sbarchi di cittadini
appartenenti ai Paesi del Nord Africa, quanto il protrarsi di alcune delle
situazioni di crisi in atto in quellarea. Negare ai cittadini provenienti da
questi Paesi giunti in Italia in seguito alla mortezzanotte del 5 aprile 2011
appare – prosegue il CIR - quindi una decisione priva di argomentazioni
fondate. Allo stesso modo appare meritevole di unulteriore riflessione la
previsione in base alla quale la richiesta del permesso di soggiorno per
protezione umanitaria deve avvenire entro 8 giorni dalla pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale.
In un
contesto di grande emergenza, quale quello che sta caratterizzando lItalia in
questi mesi, otto giorni appaiono come un arco temporale limitato nel quale
fornire informazioni complete ai soggetti interessati circa le caratteristiche
e le modalit di rilascio del suddetto permesso di soggiorno. Appare, infatti,
probabile che non tutti i cittadini provenienti dal Nord Africa abbiano avuto
modo di conoscere e di usufruire della facolt loro riconosciuta. Tale
circostanza impone una riflessione, in quanto mal si comprende perch una volta
riconosciuti a dei soggetti alcuni diritti non si conceda loro contestualmente
le condizioni necessarie per il loro godimento.
Alla
luce di quanto detto, il CIR ritiene opportuno che le previsioni di cui sopra
fossero oggetto di una integrazione, nellottica di riconoscere il diritto a
richiedere il rilascio del permesso di soggiorno umanitario di cui al DPCM a
tutti i cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa che hanno continuato a
giungere in Italia successivamente al 5 aprile e che continueranno a farlo,
senza la necessit di indicare a priori un limite temporale. Quando avverranno
le condizioni per porre fine al riconoscimento della protezione temporanea, si
dovrebbe emanare un successivo decreto con lindicazione chiara del limite
temporale, come peraltro gi avvenuto nella crisi del Kosovo.
Sarebbe,
inoltre, auspicabile – prosegue il CIR- che il termine di otto giorni di
cui sopra fosse prorogato, al fine di permettere a tutti i soggetti aventi
diritto al rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi del decreto, di
poterne usufruire.
Occorre
dunque chiedere con forza la riapertura dei termini per la richiesta della
protezione umanitaria prevista dal DPCM del 5 aprile scorso ed il rispetto per
tutti i migranti sottoposti ad allontanamento forzato delle garanzie
procedurali previste dalla Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE e ribadite dalla
sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile scorso..
4. Malgrado i tentativi di
avanzamento verso la democrazia nei principali paesi del Nord Africa continuano
a restare in vigore e vengono applicati gli accordi di riammissione conclusi
con le precedenti dittature. Anche nel caso della Libia molti ( dalle parti
della Lega esplicitamente) rimpiangono la collaborazione assicurata dal 2009 da
Gheddafi, e auspicano di praticare ancora respingimenti collettivi in mare e la
delocalizzazione dei centri di detenzione in Libia, dopo la fine delle
ostilit, quale che sia l'autorit nazionale che si potr insediare su quei
territori. Intanto la situazione dei migranti economici, come dei potenziali
richiedenti asilo, se appare certo diversa rispetto al passato, soprattutto in
Libia a causa del conflitto in corso, risulta ancora molto critica in Egitto ed
in Tunisia. Qui rispetto all'emigrazione ed alla riammissione degli
irregolari rimangono ombre e
contraddizioni evidenti, in quanto esiste la possibilit, dopo il primo
rimpatrio, se si al secondo tentativo,di essere condotti in Tribunale ed
essere condannati ad una pena pecuniaria. E la guerra in Libia aggrava la
situazione di incertezza politica e sociale in Tunisia, paese molto pi piccolo
e povero dell'Italia, che costretto ad accogliere oltre cento mila migranti
in fuga dalla Libia. Sembra comunque che il governo provvisorio tunisino cerchi
di gestire la politica di riammissione con la preoccupazione di non creare
troppo malcontento all'interno del paese, dove anche per effetto della guerra
in Libia, c' una grave crisi occupazionale, soprattutto nel settore turistico,
e le rimesse degli emigrati potrebbero sostenere interi bilanci familiari. In
questo senso appare assai importante la conferma di un tetto massimo al numero
dei tunisini ( 800) che potranno essere rimpatriati sommariamente in base agli
accordi imposti da Maroni e Berlusconi alle autorit tunisine, che avrebbero
invece escluso espulsioni di massa e quei respingimenti collettivi in mare che
l'Italia ha invece concordato con Gheddafi negli anni precedenti.
Rimane
compito dei movimenti italiani creare un collegamento con le associazioni dei
paesi della riva sud del Mediterraneo per monitorare e denunciare le
innumerevoli violazioni dei diritti fondamentali della persona poste in essere
dalle autorit italiane. Occorre
anche, sul nostro territorio, proseguire il lavoro di monitoraggio e di
denuncia in tutti i luoghi di detenzione e di deportazione, al fine di
informare l'opinione pubblica, ed anche allo scopo di fornire a tutti gli
immigrati tunisini, e di altre nazionalit, ogni possibile assistenza legale e
ogni supporto in termini di accoglienza e di inclusione.
Fulvio
Vassallo Paleologo
Universit
di Palermo