Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 08 marzo 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Lavoro – Immigrati
sotto la lente pag. 2
o
Emergenza Mediterraneo
– Viaggiatori per forza pag. 3
o
Lavoro – Rapporto UIL
sulle comunicazioni obbligatorie pag. 4
o
Mobbing – Le
straniere, gli stranieri ed il mobbing sul lavoro pag. 7
o
Società – Rosarno in
nome dell’accoglienza pag. 7
o
Razzismo – Giro di
vite sui negozi etnici pag. 8
o Foreign Press
– Fear of foreigners
pag. 9
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 306
Dipartimento
Politiche Migratorie: appuntamenti
Parma, 14 marzo 2011 – ore
20
China Blue: “il buono ed il
bello della delocalizzazione”
(Giuseppe Casucci)
Roma, 16 marzo 2011, ore 10
– sede nazionale Confindustria, via dell’Astronomia, sala P
Incontro Cgil, Cisl, UIL con
associazioni imprenditoriali su immigrazione
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 24 marzo 2011, ore 10.00
– sede Ambasciata Britannica in Roma
Conferenza Internazionale su
flussi migratori e politiche di integrazione
(Giuseppe Casucci)
Roma, 5 aprile 2011, ore 09.30
sede UIL Nazionale, sala Bruno Buozzi
Riunione Coordinamento
Nazionale Uil Immigrati
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci,
Angela Scalzo)
Mantova, 7 aprile 2011
Convegno Ital – UIL su
mediazione culturale e apprendimento della lingua italiana
(Guglielmo Loy)
Padova, 8 aprile 2011
Convegno Ital – UIL su
mediazione culturale e apprendimento della lingua italiana
(Guglielmo Loy)
Imprenditori
stranieri in grado di risollevare le sorti delle aziende italiane, stranieri
disoccupati e calo degli ingressi (prima della crisi nell’Africa
settentrionale): negli ultimi tempi la fondazione Leone Moressa ha
studiato a più riprese chi arriva nel nostro Paese da diversi punti di vista, tracciando
così un quadro piuttosto complesso.
I dati. Nel 2010 la fondazione ha contato 29 mila imprenditori
stranieri in più rispetto al 2009, mentre gli italiani sono stati 31 mila in
meno. Tradotto in percentuale, questo significa un +4,9 per cento di immigrati,
contro una riduzione dello 0,4 per cento di italiani. L’indagine ha analizzato
le dinamiche imprenditoriali utilizzando i dati di Infocamere. Nessuna
compensazione. «Nel corso del 2010», si legge nell’indagine,
«l’aumento del numero di imprenditori stranieri è riuscito solo in parte a
compensare la riduzione degli italiani». Dal 2007, infatti, la riduzione nel
numero di imprenditori italiani non è stata bilanciata dal trend positivo degli
immigrati. Nel dettaglio, scrive ancora la fondazione, «se nel 2007 gli
stranieri iscritti alla Camera di commercio sono stati 38 mila in più rispetto
all’anno precedente, gli italiani sono stati 58 mila in meno. Il gap aumenta
nel 2009 dove, a fronte di 23 mila stranieri in più, gli italiani sono
addirittura ridotti di 83 mila unità».
Il
peso degli imprenditori stranieri in Italia è così
aumentato nel corso degli anni. Nel 2006, infatti, erano poco più del 5%,
contro il 6,5% registrato l’anno scorso.
In
conclusione, secondo i ricercatori della fondazione «lo
sviluppo dell’imprenditoria etnica rappresenta una risorsa fondamentale per il
tessuto sociale ed economico del nostro Paese. La possibilità da parte degli
immigrati di creare delle fonti di reddito autonome riduce il rischio di
esclusione sociale. La crisi economica, che ha fatto uscire molti stranieri dai
circuiti del lavoro dipendente, non ha scoraggiato invece la loro capacità di
intrapresa che, nell’attività autonoma trova alternative capaci al mantenimento
del reddito».
Dall’altro
lato, però, è vero anche che un nuovo disoccupato su quattro è straniero. Stando
ancora a una ricerca della fondazione Leone Moressa, infatti, «dall’inizio
della crisi il numero di disoccupati stranieri è aumentato di oltre 95 mila
unità, pari grosso modo ai nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari
previsti dal decreto flussi 2010, che ammontano a quasi cento mila unità. Tra
tutti i soggetti che nel nostro Paese hanno perso il lavoro, il 28,4% è
straniero». L’analisi ha studiato le occupazionali degli stranieri in Italia
nell’ultimo biennio.
In cifre. Il tasso di disoccupazione degli stranieri nel
nostro Paese oggi è pari al 9,8 per cento, contro una media degli italiani del
7,3 per cento. Gli stranieri sono più disoccupati al Nord (10,4 per cento) che
al Centro (9 per cento) o al Sud (9,1 per cento). Complessivamente non hanno un
impiego più di 235 mila e rappresentano il 12,6 per cento di tutti i senza
lavoro in Italia.
«Nel corso dell’ultimo biennio, a causa della crisi», inoltre, «il
numero dei disoccupati stranieri è salito di oltre 95 mila unità, di
cui 68 mila solo al Nord. I nuovi disoccupati stranieri incidono a livello
nazionale per il 28,4 per cento». Percentuale che sale al 30,4 per cento nelle
regioni settentrionali e scende al Centro (23,5 per cento) e nel Mezzogiorno
(26,3 per cento).
La fondazione Leone Moressa, infine, ha analizzato i dati demografici e
le dinamiche migratorie in Italia nell’ultimo biennio. Ne emerge che
«dal 2007 al 2009 a causa della crisi il numero stranieri che si sono iscritti
all’anagrafe dall’estero è diminuito di 108 mila unità (pari al -21,1 per
cento), mentre è aumentato del 58,8 per cento il numero di stranieri che si
sono cancellati dai registri anagrafici per andare via dall’Italia».
Il
saldo migratorio, pur rimanendo positivo (+374.455 unità), è quindi calato e le
minori entrate corrispondono grosso modo ai nuovi ingressi previsti dal decreto
flussi 2010 che ammontano a quasi cento mila unità.
In tutto, gli stranieri residenti in Italia sono aumentati del 23,4 per
cento dal 2007 al 2009, pari a circa 800 mila persone in più.
«L’aumento costante della presenza straniera è dato in prevalenza da un flusso
migratorio sempre positivo», si legge nell’indagine, «ma che negli ultimi due
anni, a causa della crisi, è diminuito: il motivo va trovato sia in una minor
quota di stranieri che preferisce l’Italia (-108mila individui), sia da un
maggior numero di soggetti stranieri che se ne va dal nostro Paese (+11 mila
individui)».
L’analisi. Secondi i ricercatori della fondazione, «il minor
ingresso di stranieri trova nella crisi la sua motivazione principale. Il calo
della produzione, l’aumento della disoccupazione e le difficoltà complessive
hanno reso l’Italia un po’ meno attrattiva nei confronti della popolazione
straniera. In una situazione in cui i flussi di ingresso di stranieri
dall’estero è calato di poco più di 100 mila unità, il Governo prevede
altrettante entrate attraverso il decreto flussi. Questa è solo una
coincidenza, ma anche un sintomo della crisi in atto: le entrate previste di
stranieri non andranno a ripristinare i flussi migratori precrisi, ma risponderanno
a specifiche esigenze del mercato».
Lo studio è stato condotto dalla fondazione Leone Moressa.
Marco Ratti,
Emergenza Mediterraneo
Viaggiatori per forza
Emigranti africani, chi e come sono
Di Sara Della Bella
Le rotte dei
migranti subsahariani |
Non tutti i migranti vogliono
arrivare in Europa, o rimanerci per sempre. Non tutti scappano all'improvviso.
Tanti progettano con razionalità una via di fuga alla miseria, troppi rimangono
vittime di quella tragedia che presenta numeri da guerra, 5000
"clandestini" morti negli ultimi anni. Uno studio che presenta fatti
e numeri su un fenomeno da sempre osservato sull'onda delle emozioni e delle
emergenze stagionali Al contrario di quanto si possa pensare non tutti i
migranti dell’Africa desiderano venire in Europa. Gli stati settentrionali del
continente nero, negli anni si sono trasformati da luoghi di transito in luoghi
di residenza. un fenomeno questo favorito dagli alti costi delle tratte
clandestine e dagli elevati rischi di questi viaggi che scoraggiano i più.
Tanto che “Barca o Barcar”, “Barcellona o la morte” è diventato il motto usato
da molti degli emigranti che consapevoli degli alti rischi decidono di
intraprendere comunque il viaggio alla volta del vecchio continente. Una stima
del CISP, in collaborazione del UNHCR calcola che ogni anno circa 100.000-
120.000 migranti sub sahariani arrivino nei paesi del Maghreb, ma che solo una
parte di questi riesca effettivamente ad attraversare il Mediterraneo. Una
migrazione che conosce un allargamento delle mete, che vede mutare percorsi e
destinazioni verso la Libia, l’Algeria ed il Marocco. Territori che da
protagonisti del transito sono diventati a loro volta vittime dei flussi
migratori. Il dato rilevante e che ci interessa maggiormente è che coloro che
scelgono l’Europa sono le donne e le persone con un alto tasso di istruzione.
Il
fenomeno migratorio è una storia antica, che non è mai stata affrontata con una
politica seria di integrazione, ma che spesso si è limitata a porre dei paletti
e dei veti, chiudendo frontiere ed allestendo centri di
permanenza in attesa dell’espulsione. La rigidità delle frontiere ha costituito
da una parte il calo dei clandestini, ma ha spostato il fenomeno verso altri
territori. Evitare un problema non equivale certo a risolverlo.
La
popolazione africana copre il 14% della popolazione mondiale, ma produce appena
il 4% del Pil in assenza di ogni tipo di sviluppo, è naturale quindi che si
cerchi una fonte di sostentamento e prospettive economiche in
qualche altra parte. Lo stesso studio del Cisp presentato il 15 febbraio 2007 a
Roma, sottolinea che la principale motivazione che spinge ad emigrare riguarda
il fattore economico (92% degli intervistati), mentre solo una bassa
percentuale scappa dai conflitti interni legati alle guerre civili (8% degli
intervistati).
L’Europa
rimane quindi una chimera per i giovani fino a 30 anni, per calare
progressivamente, per i numerosi rischi di un viaggio fatto di incognite. Per
un viaggio che viene preparato negli anni, al fine di raccogliere
i denari necessari all’impresa. Non siamo di fronte ad un’improvvisa voglia di
fuga, ma a progetti familiari fatti di sacrifici alla ricerca di uno sviluppo e
una prospettiva che viene pagata, spesso, correndo rischi assurdi, passando
attraverso meccanismi criminali. Negli ultimi anni si contano circa 5000
vittime dell’emigrazione, proprio come in una guerra, si contano le morti.
E mentre
ci si preoccupa di classificare le migrazioni sub sahariane in categorie: di
transito, pendolare e durevole. Per emigrazione di transito s’intendono quei
flussi che passando per l’Algeria si fermano in attesa di
raccogliere il denaro sufficiente a raggiungere l’Europa.
I
“pendolari” vedono protagonisti i tuareg da sempre in movimento tra le
frontiere del Mali, dell’Algeria, del Niger e della Mauritania. Mentre quando
le frontiere europee si fanno sempre più lontane
allora il flusso viene definito “durevole” perché le popolazioni rimangono
stabilmente in Algeria nonostante i problemi con le popolazioni locali.
E per quanto
raggiungere l’Europa stia diventando sempre più difficile, le popolazione
africana conta 700.000 presenze di cui 220.000 provenienti da aree sub
sahariane. Quasi un terzo della popolazione di immigrati presente nel
nostro Paese proviene dall’Africa.
Un dato
rilevante che impone ai nostri governanti un cambio di strategia in tema di
immigrazione, che non sia solo volto alla chiusura delle frontiere e alla
repressione dei clandestini. E’ necessario avviare un piano di
sviluppo, concertato con la Comunità Europea, rivolto alla collaborazione ed
integrazione delle varie forze in campo. Perché si stima che nel 2050 a fronte
di un progressivo calo demografico europeo andrà aumentando, ancora, la
popolazione africana, per cui sarà necessario un “matrimonio” tra la costa sud
e nord del Mediterraneo. Avvicinare i due continenti con mezzi legali, slegando
i flussi migratori dai pericolosi meccanismi della criminalità organizzata.
Lavoro
Roma, 5 marzo 2011 - Il 2°
Rapporto UIL sulle comunicazioni obbligatorie fotografa il movimento della occupazione,
attraverso l’analisi e la rielaborazione dei dati forniti dal Ministero del
Lavoro sulle «comunicazioni obbligatorie», procedura che tutte le aziende
devono fare nel momento in cui avviano una persona al lavoro o al momento della
cessazione di un rapporto.
L’indagine analizza il periodo temporale che va da gennaio 2008 a giugno 2010.
Oltre al criterio temporale, l’elaborazione contiene 3 sezioni di studio:
analisi «quantitative» (rapporti di lavoro avviati e cessati nei periodi
considerati), «merceologiche» (la movimentazione dei rapporti di lavoro nei
diversi settori produttivi) e «qualitative» (tipologie contrattuali che hanno
caratterizzato tali rapporti di lavoro).
In particolare, per quest’ultima sezione, le diverse tipologie contrattuali
sono state suddivise in 2 macro insiemi:
• «buone forme contrattuali» in cui sono stati collocati i rapporti di lavoro
instaurati con contratto a tempo indeterminato e con contratto di apprendistato
• «deboli forme contrattuali» in cui sono presenti i rapporti di lavoro avviati
con il contratto a tempo determinato, collaborazioni e altre tipologie.
Da
gennaio 2008 a giugno 2010 (30 mesi «pre» e «durante» la crisi)
nel nostro mercato del lavoro sono stati attivati 27.432.356 rapporti di
lavoro. Il 49% ha interessato le donne.
Nel dettaglio, spiega Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL, nel 2008 i
rapporti di lavoro attivati sono stati oltre 13,1 milioni, di cui il 48,5% al
femminile; nel 2009 sono stati 9,4 milioni, equamente distribuiti per entrambi
i generi; nel primo semestre 2010 sono stati 5 milioni, di cui il 48,2% donne.
Del totale dei rapporti attivati in questi 30 mesi, nel Mezzogiorno l’incidenza
è stata del 34%.
Il 73,4% del totale degli avviamenti ha riguardato contratti «deboli» (tempo
determinato, collaborazioni, etc). Di questi il solo contratto a tempo determinato
rappresenta il 64,6%. Il restante 26,6% di attivazioni ha avuto per oggetto
«buone forme» di inserimento lavorativo: il 22,9% a tempo indeterminato e il
3,7% contratti di apprendistato. Nel periodo considerato, i rapporti di lavoro
cessati sono stati 24.499.653. di cui il 48,4% ha coinvolto le donne. Nel solo
Mezzogiorno, l’incidenza delle cessazioni è stata del 38,1%. In particolare,
nel 2008 le cessazioni sono state 11,4 milioni, nel 2009 oltre 9,1 milioni e
nel primo semestre 2010 oltre 4 milioni. In questi 30 mesi, i contratti
«deboli» hanno mostrato la più alta percentuale di cessazioni, il 72% (il tempo
determinato il 64,4%), a fronte del 28% delle buone tipologie contrattuali. Mettendo
a confronto il rapporto tra l’andamento degli avviamenti e quello delle
cessazioni lavorative tra il 2008 (anno pre crisi) ed i 18 mesi, che vanno dal
2009 al primo semestre 2010, in cui la crisi ha mostrato il suo volto peggiore,
si registra un saldo negativo di oltre 563 mila contratti che equivalgono,
secondo nostre stime, a circa 245 mila lavoratori in meno.
CONCLUSIONI
Questi dati sono emblematici nell’evidenziare che qualcosa di non troppo roseo
si è verificato sul fronte occupazionale ovviamente anche a causa della crisi.
E’ significativo, e per nulla rassicurante, il dato che riguarda la tipologia
di avviamento al lavoro, dove ormai i contratti a termine rappresentano la
stragrande maggioranza di forme di entrata nel mercato del lavoro. Così come si
conferma debole l’occupazione nel Mezzogiorno e sempre problematico
l’inserimento dei giovani. A questi numeri «reali» occorre dare risposte
altrettanto concrete e rapide perché è un problema sia di «quantità» che di
«qualità» dell’occupazione, come dimostra l’andamento negativo dei contratti
riferiti a tipologie stabili.
La risposta, conclude Loy, può venire certamente da riforme a costo zero del
nostro mercato del lavoro, ma soprattutto da un massiccio investimento di
risorse in settori strategici quali l’istruzione, la ricerca e la formazione.
E, per dare un futuro alle nuove generazioni, lo strumento principe è
rappresentato da investimenti pubblici mirati al credito d’imposta per nuove
assunzioni finalizzate alla stabilità lavorativa, soprattutto, ma non solo, nel
Mezzogiorno. Da quest’ultimo punto di vista, le risorse ci sono, basti pensare
alle ingenti somme dei Fondi nazionali ed europei che, ancora oggi, hanno un
livello di utilizzo molto modesto.
Infine, una riflessione: da questi dati emerge che non si può sostenere la
virtuosità della buona flessibilità (apprendistato e somministrazione) se, nel
contempo, non si pone un argine all’abuso di forme cattive di flessibilità come
nel caso di moltissime collaborazioni a progetto, i tirocini e gli stage (ma
non solo) che, oggi, sono più utilizzate dello stesso apprendistato.
SCHEDE
SINTETICHE DI APPROFONDIMENTO
E’
interessante confrontare i dati riferiti ad alcuni periodi particolarmente
significativi presi in considerazione dal 2° Rapporto.
ANNO
2009
Nel 2009 i
nuovi rapporti instaurati sono stati in totale 9,3 milioni: il 21,6% a tempo
indeterminato, il 3,1% con contratti di apprendistato, il 66% con contratto a
tempo determinato, l’8,3% con un contratto di collaborazione e l’1% con altre
tipologie contrattuali. In valori assoluti, i nuovi rapporti di lavoro avviati
con buone tipologie contrattuali sono stati 2,3 milioni, mentre i contratti a
termine sono stati oltre 7 milioni.
Il maggior
numero di nuovi rapporti instaurati ha riguardato il Nord (3,9 milioni, a
fronte dei 5,7 milioni del 2008 ), seguito dal Mezzogiorno (3,2 milioni, a
fronte dei 4,4 milioni del 2008) e dal Centro (2,2 milioni, a fronte dei 3
milioni del 2008). I giovani fino a 24 anni, assunti in questo anno, sono stati
il 17% del totale, di cui oltre 885 mila sono uomini e 711 mila sono donne; nella
fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni le assunzioni hanno rappresentato
il 30,8% del totale (di cui il 51% donne); il 44,2% ha interessato la fascia di
età compresa tra i 35 ed i 54 anni; mentre solo l’8% delle assunzioni ha
riguardato gli over 55. E’ il Terziario, che nel 2009 attrae il più alto numero
di avviamenti al lavoro (circa 5,1 milioni pari al 54,5% del totale); la
Pubblica Amministrazione ha attivato 1,6 milioni di rapporti di lavoro;
l’Industria, 1,4 milioni; l’Agricoltura, 1,2 milioni. Dal confronto, tra il
2008 e il 2009, emerge una diminuzione, a livello nazionale, del 28,5% delle
nuove attivazioni di rapporti di lavoro. Per quanto concerne le cessazioni dei
contratti, in valori assoluti, nel 2009, al Nord sono state 3,8 milioni, nel
Mezzogiorno 3,1 milioni, al Centro 2,2 milioni.
Il 31,3% delle cessazioni ha riguardato le «buone» forme contrattuali (il 23,1%
il tempo indeterminato e l’8,2% l’apprendistato). Il 68,7% dei contratti
cessati riguarda contratti a termine (il 64,9% a tempo determinato, il 2,9%
collaborazioni e lo 0,9% altre tipologie contrattuali). Il 15,5% delle
cessazioni ha investito i giovani al di sotto dei 24 anni, il 29,9% la fascia
di età compresa tra i 25 ed i 34 anni; il 44,4% dai 35 ai 54 anni di età ed il
10,2% gli over 55.
Il 51,5% delle cessazioni si è verificato nel settore del Terziario; il 18,3%
nell’Industria; il 16,6% nella Pubblica Amministrazione; il 13,6%
nell’Agricoltura.
I
SEMESTRE 2010
Il I semestre
2010, con 5 milioni di nuovi rapporti di lavoro, registra una leggera ripresa
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+5,3%).
Il 48,2% delle assunzioni ha interessato le donne, il 14,4% sono al di sotto
dei 24 anni.
Nel complesso, i nuovi avviamenti hanno coinvolto il 15,6% dei giovani al di sotto
dei 24 anni; il 35% la fascia di età 25-34 anni; il 45,2% dai 35 ai 54 anni;
l’8,7% gli over 55. Il 77,4% delle assunzioni è avvenuto con tipologie
flessibili (il 66,9% contratto a tempo determinato) con un aumento del 2,1%
rispetto al 2009 e del 7% rispetto al 2008.
Crollano al 19,5% le assunzioni a tempo indeterminato, con una diminuzione del
2,1% rispetto al 2009 e del 5,7% rispetto al 2008. Rimangono stabili al 3,1% le
chiamate con contratto di apprendistato rispetto al 2009, ma con una diminuzione
dell’1,3% rispetto al 2008.
E’ il Terziario il settore trainante con 2,7 milioni di nuovi contratti in
questi primi 6 mesi dell’anno. La Pubblica Amministrazione si attesta a 723
mila, l’Industria a 819 mila e l’Agricoltura a 665 mila.
Una buona performance si registra nel Mezzogiorno, con un aumento del 12% delle
assunzioni rispetto al primo semestre 2009 che compensa, però, soltanto
parzialmente il dato relativo alle assunzioni che si era registrato tra il
primo semestre 2008 e 2009 (-28,9%).
Le cessazioni dei rapporti di lavoro aumentano del 6,7% rispetto allo stesso
periodo del 2009 (al Sud del 13,1%, al Centro del 6,6% e al Nord del 2,2%).
Sale, nel I semestre 2010 al 32,6% la percentuale delle cessazioni con
contratti stabili, aumentando dell’1,3% rispetto al 2009 e del 9,2% rispetto al
2008. In particolare, il tempo indeterminato, con un’incidenza di cessazioni
del 23,5%, mostra un aumento dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2009 e
del 3,9% rispetto al 2008; le cessazioni dei contratti di apprendistato
incidono per il 9,1%, con una crescita delle cessazioni dello 0,9% rispetto al
2009 e del 5,3% rispetto al I semestre 2008. E’ sempre nel Terziario che si
registra il più alto numero di cessazioni, con 2,2 milioni di disdette in
questi primi 6 mesi dell’anno. La P. A. si attesta a 862 mila, l’Industria a
705 mila e l’Agricoltura a 318 mila.
I
LAVORATORI STRANIERI
Del totale
nazionale dei nuovi rapporti avviati nel periodo che va da gennaio 2009 al 30
giugno 2010, il 19% (pari a 2,7 milioni – 1,5 milioni uomini, 1,2 milioni
donne) ha riguardato lavoratori stranieri.
Il 57,2% di questi nuovi rapporti di lavoro ha riguardato il Nord (circa 1,6
milioni di rapporti di lavoro), seguito dal Centro (672 mila) e dal Mezzogiorno
(492 mila). Il 40,6% (pari a circa 1,1 milioni di rapporti) è stato avviato con
«buone» forme contrattuali. Nello specifico: 1 milione con contratti a tempo
indeterminato e 77 mila con contratto di apprendistato. Rispetto alle «deboli»
tipologie contrattuali applicate, che hanno interessato complessivamente 1,6
milioni di rapporti di lavoro, il 95,6% è avvenuto con contratti a tempo
determinato. Analizzando il dato sui rapporti di lavoro terminati con
lavoratori stranieri, si può notare come questi costituiscano il 33,3% del
totale nazionale delle cessazioni del periodo(pari ad oltre 2,1 milioni di
rapporti chiusi). Il 41,9% delle cessazioni ha coinvolto le donne. Il dato per
macro area vede il maggior numero di rapporti di lavoro cessati nel Nord (1,2
milioni), seguito dal Centro (522 mila) e dal Mezzogiorno (372 mila)
Mobbing
Di Un.It.i. Friuli Venezia Giulia
Questo lavoro
rappresenta il quarto volume di una collana che Un.It.I. del Friuli Venezia
Giulia ha voluto dedicare agli stranieri nel mondo del lavoro italiano. Questo
breve lavoro nasce dall’esigenza di offrire una guida quanto più possibile
chiara, dettagliata e allo stesso tempo sintetica sul fenomeno del mobbing,
analizzandolo anche da un punto di vista sistemico. Il disagio
dell’individuo/lavoratore nel moderno “sistema impresa”, infatti, produce
effetti non solo sulla persona, ma anche sull’azienda in cui il fenomeno si
verifica, sulla famiglia e nel contesto sociale.
Tra i fattori
che al giorno d’oggi determinano lo sviluppo del mobbing nel mercato del lavoro
italiano esiste un elemento molto importante, che è legato alla trasformazione
del mondo del lavoro. Da oltre dieci anni, infatti, gli elementi di garanzia e
di tutela del lavoro hanno - per legge - cominciato significativamente a
ridursi; e ciò non soltanto nei confronti del cosiddetto “posto fisso”, ma più
in generale nei confronti del lavoro in sé. Se si riflette sul fatto che l’86%
dei posti di lavoro creati nel 2008 in Italia erano atipici, a part-time o di
tipo precario, si può comprendere come nel Paese sia inevitabilmente aumentato
il rischio di vessazioni in ambito lavorativo.
Inoltre,
all’interno dello scenario sopra tratteggiato, il testo evidenzia come nel
contesto italiano il mobbing riguardi pure i lavoratori stranieri, anche
attraverso forme di vessazione che strumentalmente si riferiscono a loro
specifiche esigenze - venute in rilievo in anni recenti -, che sono legate al
contratto di lavoro. Un.It.I. del Friuli Venezia Giulia, quindi, ha voluto
portare sotto i riflettori il particolare modo con cui gli stranieri rischiano
di essere vessati nel mondo del lavoro italiano, per analizzare un aspetto che
in letteratura non era ancora stato sufficientemente messo in luce.
Lo scopo di
questa guida, quindi, è quello di fornire al lavoratore straniero alcuni
strumenti conoscitivi per consentirgli di:
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la guida in cinque lingue
Società
Rosarno, in nome della accoglienza
Scritto per noi da Melania
Perciballi
Rosarno,
2 marzo 2011 - Per un giorno, il campo
d'accoglienza di Rosarno si è aperto a tutti: regolari e
irregolari, migranti e autoctoni. I volontari dell'Osservatorio migranti
Africalabria ed Equosud hanno fatto del primo marzo, giornata internazionale
dei migranti, un'occasione d'incontro tra gli africani e i rosarnesi. La serata
è stata dedicata a Marcus, morto nel
novembre scorso all'ospedale di Lamezia per una polmonite. In
programma una serata di musica e cucina africana e calabrese. Il campo
d'accoglienza, aperto dal 7 febbraio in località Testa dell'Acqua, accoglie
attualmente 70 migranti regolari,
in 20 container da 5 posti ciascuno. Ad occuparsi della gestione del campo ci
sono i nove volontari dell'associazione 'Il mio amico Jonathan'. I ragazzi che
vivono nel campo sembrano soddisfatti. Qui almeno hanno acqua, elettricità e
riscaldamento. C'è anche un servizio
infermeria, effettuato da un medico volontario di Rosarno. I volontari
dell'associazione offrono anche un assistenza per le pratiche legali e dei
corsi di alfabetizzazione. La pecca maggiore del campo è la mancanza di uno
spazio di socializzazione: tra un container e l'altro, c'è solo una distesa di
sabbia. Le richieste dei volontari e del comune per avere un tendone o un
gazebo da utilizzare per delle attività sono finora rimaste disattese dalla
Regione. Purtroppo, il campo ospita solo una piccola parte dei lavoratori
stagionali che sono arrivati a Rosarno per la raccolta degli agrumi. Altri 700 sono sparsi per la città,
in appartamenti sovraffollati nel centro abitato o in casolari abbandonati
nelle campagne. E qui le condizioni di vita sono molto più precarie. Spesso
sono costretti a fare chilometri a piedi per avere l'acqua. Qualcuno racconta
di andare in treno fino a Reggio Calabria, per poter fare una doccia calda
nella sede della Caritas. E intanto continuano gli arresti a casaccio nella
Piana. L'ultimo alcuni giorni fa: due "irregolari" arrestati nel
casolare in cui vivevano dai carabinieri di Laureana di Borrello, per essere
rilasciati qualche ora dopo con un decreto di espulsione. Ad aiutare i
migranti, ci sono sempre i volontari: l'Osservatorio migranti Africalabria e
Mamma Africa, che con l'aiuto di altre signore rosarnesi e degli scout continua
a preparare fino a 200 pasti ogni domenica. Il martedì e il sabato, c'è invece
la mensa della Caritas a via Convento. Quest'anno, alcuni migranti sono
riusciti ad ottenere un contratto
stagionale, ma spesso i datori di lavoro dichiarano
all'Inps meno giornate di quelle effettivamente svolte. La Flai Cgil ha
finalmente messo in campo un'iniziativa per smascherare questi abusi. "Ma
non è facile dimostrarli", racconta Renato Fida della Flai di Gioia Tauro,
"avremmo i dati ufficiali dell'Inps relativi al primo semestre del 2011,
soltanto nel mese di maggio. E solo allora potremmo contattare i lavoratori per
scoprire se i dati comunicati corrispondono alla realtà. In caso contrario,
sarà il lavoratore a decidere se denunciare. E c'è il rischio che, nel
frattempo, il lavoratore in questione si sia spostato in altre città
d'Italia". Per tutti, con o senza contratto, il problema maggiore è la
mancanza di lavoro. Finita la raccolta delle clementine, a febbraio e marzo
restano solo le arance da industria che, a causa dei prezzi in ribasso, molti proprietari
decidono di lasciare sugli alberi. Quando va bene, si lavora 2 o 3 volte a
settimana. La paga è sempre quella: 25 euro al giorno. E così in molti stanno lasciando Rosarno,
per raggiungere le campagne siciliane o pugliesi, per la semina dei pomodori. E
ormai un'opinione diffusa che non si possa risolvere la situazione dei
migranti, senza risollevare l'economia della Piana. Gli agricoltori affermano
che finché i prezzi resteranno bassi, sarà impossibile retribuire adeguatamente
i lavoratori.
Una strada
per uscire dalla crisi la indica Equosud, un consorzio di piccoli produttori e artigiani calabresi
che si sono uniti per sottrarsi al giogo della grande distribuzione.
Affidandosi alla filiera corta e alla rete dei Gruppi di Acquisto Solidale, Equosud riesce a garantire
prezzi più bassi per i consumatori e più remunerativi per i produttori. I
produttori, a loro volta, devono assicurare la qualità organolettica del
prodotto e la giusta remunerazione dei
lavoratori, ma anche un impegno a difesa del territorio in cui
operano, contro le aggressioni ambientali a cui è sottoposto. La campagna Sos Rosarno, lanciata un mese fa da
Equosud, ha già avuto un riscontro mediatico e commerciale importante. I prezzi
sono di un euro al chilo per le arance da tavola, 80 centesimi per quelle da
succo, 1,20 euro per i mandarini e le clementine. Dopo la vendita a dei
cittadini di Budrio, due camion pieni di arance stanno ora raggiungendo i
Gruppi di acquisto solidale di Roma, Terni, Siena e Brescia.
Razzismo
Lombardia: giro di vite sui negozi
etnici
Proposta di legge per limitare apertura di kebab, call center e
centri massaggi cinesi.
(www.stranieriinitalia.it) Roma
– 7 marzo 2011 - Sarà depositata domani in Consiglio regionale della
Lombardia la proposta di legge della Lega chiamata "Harlem" che punta
a limitare la diffusione di negozi etnici nella regione. "Servirà per
governare meglio il territorio dando alle amministrazioni comunali uno
strumento utile anche sul fronte del controllo della sicurezza". A
dichiararlo è Andrea Gibelli, vicepresidente leghista della Regione Lombardia,
che ha presentato così il progetto Harlem. Secondo il vicepresidente la
proposta “ha lo scopo di evitare che nascano quartieri ghetti”. Una volta
approvato, il progetto di legge consentirà alle amministrazioni comunali di
selezionare le attività commerciali da aprire in una determinata area della
città. E' prevista l'istituzione di registro regionale del commercio ambulante
e i centri massaggi saranno assimilati ai centri estetici con l'apertura
subordinata al possesso dei requisiti professionali del settore. Tra i
firmatari dell’iniziativa anche l’eurodeputato Matteo Salvini della Lega Nord
che ha dichiarato: "Non vogliamo quartieri ghetti, quartieri etnici in cui
ci siano magari sette Kebab uno di fianco all'altro e massaggi cinesi dentro i
quali non sa cosa succeda". "E' anche un problema di sicurezza
– aggiunge Salvini - perchè vicino a questi negozi si affollano delle
persone che non sempre sono compatibili con il tessuto civile della città. Si è
fatta la stessa cosa per i phone center e ha funzionato. Sui centri massaggi
bisogna fare dei controlli, perché se sono dei bordelli vanno chiusi, non
e' possibile che ci siano dei bordelli a Milano". Salvini ha invitato poi
i milanesi "a fare attenzione, se ci sono dei servizi sottocosto, come ad
esempio per i parrucchieri, vuoli dire spesso che ci sono lavoratori in nero e
che la qualità dei prodotti è terribile, il trucco c'è. Quando la Asl fai
controlli sui parrucchieri cinesi sempre scopre che non vanno bene".
Favorevole anche il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, che
ha accolto positivamnete la proposta:”L'idea di dare ai sindaci uno strumento
per regolarizzare o valorizzare le specificità delle diverse aree storiche è
intelligente e interessante”. M.I.
Foreign Press
Fear of foreigners
Mar 3rd 2011 | ROME | The Economist
All washed up and ready to go
NOWHERE has the Libyan uprising caused greater anguish
than inside Silvio Berlusconi’s Italian government. Distress at the death of so
many protesters? Sympathy for the prime minister’s friend and erstwhile ally,
Muammar Qaddafi? Neither, really. What has prompted reactions ranging from
alarm to hysteria is the prospect of a sharp increase in immigration from the
Maghreb. The foreign minister, Franco Frattini, feared “an exodus of Biblical
proportions”. It would bring Italy “to its knees”, said the interior minister,
Roberto Maroni. Mr Frattini talked of 200,000-300,000 arrivals, creating a
future that was “impossible to imagine”. The government has good reason to
worry. The achievement of which it is perhaps proudest is a sharp cut in the
flow of illegal migrants across the Mediterranean (from 36,951 in 2008 to only
4,406 in 2010). It managed this by striking deals with Libya in 2008 and
Tunisia in 2009 under which both countries were paid to clamp down on human
trafficking. The danger is that these agreements will be rendered null by the
chaos. On February 26th Italy declared that its friendship treaty with Libya
was “de facto no longer in operation” (though that was probably to free it from
an obligation not to use force against its former colony: as later became
clear, Italy supports a no-fly zone). The earliest tear in the diplomatic membrane
shielding Italy came after the uprising in Tunisia. More than 5,000 people fled
to the little Italian island of Lampedusa, which is closer to north Africa than
to Sicily. The Italians elicited an outraged response from Tunis when they
suggested intervening militarily to block the boats. But the Tunisians seem to
have tightened their grip and this, assisted by bad weather, stopped the
landfalls until March 1st, when the first of 413 people, mostly Tunisians,
arrived on Lampedusa and a nearly island. Unsurprisingly Mr Maroni failed to
convince his European colleagues in Brussels on February 24th that Italy was
facing a “catastrophic humanitarian crisis”. His real worry is Libya. The total estimated foreign
population there is put as high as 1.5m. There have been reports of sub-Saharan
Africans being attacked and even killed by anti-Qaddafi protesters who mistook
them for mercenaries. Yet it would be absurd to claim that all foreigners in
Libya will go to Italy; most would prefer to return home. There is little
evidence of their fleeing northward so far. The UN High Commissioner for
Refugees says that, of 55,000 people who crossed into Egypt between February
10th and 28th, all but 6,900 were Egyptians or Libyans. Most others were Asian.
The Italian government’s fear is that hundreds of thousands may yet take
advantage of the disorder to embark for Europe. But the disruption may affect
people smugglers as much as anyone. For the moment, the numbers seem bearable
in a country of 60m. Germany’s outgoing interior minister, Thomas de Maizière,
noted that Sweden, with a population of only 9m, took 30,000 asylum-seekers
last year. Where there is a real and immediate humanitarian emergency is on
Tunisia’s border with Libya. On March 1st, in an abrupt and welcome change of
tack, the Italian government announced that it was putting some money into a
humanitarian mission to the area. Mr Maroni said it would provide food and
shelter for 10,000 people, “but also stop them from leaving”.