Articolo per Micromega

 

Introduzione

DallĠinizio dellĠanno ad oggi pi di 1500 persone morte nel tentativo di attraversare il mediterraneo per costruirsi, da questa parte del mare nostrum, un futuro migliore.

La guerra in Libia ha costretto quasi 700 mila persone alla fuga. Di queste pi di 290 mila sono andate in Tunisia e oltre 220 mila in Egitto. Due paesi in difficoltˆ che non hanno per˜ chiuso le loro frontiere a chi cercava protezione. In Italia meno di 26 mila arrivi hanno fatto scattare una emergenza straordinaria e il governo ha parlato di esodo biblico.[1]

La vera emergenza  rappresentata da chi non vuole assumersi le proprie responsabilitˆ internazionali e non dal flusso di poche migliaia di persone. Sono le leggi, le scelte dei governi e le pratiche concrete di gestione dellĠimmigrazione che determinano le tragedie alle quali assistiamo quotidianamente.

LĠItalia  caratterizzata da sempre da una forte politicizzazione del tema dellĠimmigrazione. Questo ha indotto il Parlamento, i governi, le forze politiche e, con differenze importanti, ma non per questo con provvedimenti meno gravi, gli amministratori locali e regionali[2], ad affrontare le problematiche relative alla presenza di persone di origine straniera pi per rispondere alla rappresentazione pubblica del fenomeno che non alla realtˆ dei fatti.

Si pu˜ dire che non cĠ argomento per il quale, soprattutto negli ultimi 10 anni, non ci sia stata una distanza pi profonda tra la realtˆ e la sua rappresentazione.

Questo ha influito tra lĠaltro su una legislazione che, secondo i giuristi,  la pi instabile dal dopoguerra ad oggi, ovvero  la materia su cui cĠ meno certezza del diritto nellĠItalia repubblicana.

La combinazione di rappresentazione pubblica distorta e strumentale, legislazione inefficace e instabile, pratiche concrete discriminatorie della pubblica amministrazione, fa di quello italiano, un ÒmodelloÓ che potremmo chiamare a discriminazione diffusa.

 

Si pu˜ intervenire per costruire le condizioni per un inversione di tendenza, agendo su pi piani: quello legislativo, quello culturale, quello delle concrete pratiche amministrative nel rapporto tra Stato e stranieri e infine su quello della rappresentazione pubblica.

 

1.                LĠimmigrazione reale: conoscere per capire ed intervenire

Sapere quanti sono i migranti e come si  evoluta la loro presenza negli ultimi 20 anni serve a capire bene il fenomeno e ad inquadrarlo in maniera corretta rispetto ad una rappresentazione pubblica che ne ha sempre distorto le caratteristiche per fini politici.

Oggi, secondo gli ultimi dati pubblicati dallĠISTAT, ci sono in Italia circa 4,5 milioni di stranieri[3].

Tra questi, va detto, oltre a quelli non appartenenti allĠUE, ci sono anche i cittadini e le cittadine dei 27 Paesi dellĠUnione. Il primo gruppo nazionale, oramai da alcuni anni,  quello dei rumeni (quasi un milione), che sono entrati a far parte dei paesi membri nel 2007.

A proposito di numeri  utile spendere qualche parola sulle stime riguardanti gli irregolari, trattandosi di una questione che ha un forte peso sia nel discorso pubblico sullĠimmigrazione che sulle scelte politiche e legislative in questa materia. A tal proposito infatti vengono per lo pi riferiti dati sovrastimati. Questo per avvalorare la tesi - utilizzata in maniera sapiente da tanti anni per raccogliere consensi elettorali - di un Paese invaso e di una presenza rilevante di persone di origine straniera ÒillegaliÓ.[4]

Questa tesi ha portato fino allĠintroduzione di una nuova fattispecie di reato nel cosiddetto pacchetto sicurezza.[5]

Ma quanti sono gli irregolari e come  possibile stimarli? A questa domanda hanno risposto da tempo molti studiosi ed  facile comprendere che, in un Paese nel quale periodicamente si ricorre alle sanatorie per consentire lĠemersione del lavoro nero, soprattutto dei migranti, la stima pi corretta la si pu˜ fare solo attraverso i numeri delle sanatorie. Una valutazione combinata dei dati sulle sanatorie e di quelli dei decreti flussi, in particolare degli ultimi anni, portano a stimare la percentuale di persone in posizione irregolare presente nel nostro Paese tra il 10% e il 20% dei regolarmente presenti.[6]

A questa breve analisi sui numeri si pu˜ aggiungere una considerazione difficilmente contestabile: la differenza tra regolari e irregolari non dipende dalla libera scelta dello straniero, ma dal caso del tutto accidentale di trovarsi o meno nelle fortunata condizione di accedere ad una delle tante sanatorie che hanno caratterizzato la storia dellĠimmigrazione in Italia dal 1986 ad oggi.

La legge in vigore, ossia il Testo Unico sullĠimmigrazione, come modificato dalle innumerevoli riforme succedutesi dal 1998 ad oggi, non prevede lĠingresso per il motivo principale per il quale arrivano gli stranieri, ossia per ricerca di lavoro. La via principale prevista dalla legge (a onor del vero anche dalla formulazione originaria della Turco Napolitano, che per˜ prevedeva una forma, poco utilizzata, di ingresso attraverso la figura dello sponsor)  lĠingresso per lavoro (cio bisogna dimostrare di avere un lavoro ancor prima di arrivare in Italia), attraverso il meccanismo della chiamata diretta nominativa: lĠincontro, improbabile per la quasi totalitˆ dei lavori che svolgono i migranti, tra domanda e offerta di lavoro a livello planetario e quindi a distanza.[7]

Una ipocrisia che ha costretto negli anni milioni di persone a entrare per motivi diversi o irregolarmente, vivere per lunghi periodi senza permesso di soggiorno, ricattabili e in condizioni di estrema debolezza sociale.

 

2.                Una legislazione sullĠimmigrazione giusta ed efficace

Come abbiamo appena visto la legge che regola ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia  il T.U. sullĠimmigrazione come modificato dai successivi interventi legislativi (D.Lgs. n.286/98).

Una delle ultime modifiche di rilievo in questo senso  quella che cancella la pur esigua possibilitˆ di ingresso per ricerca di lavoro rappresentata dallo sponsor[8], confinando in tal modo lĠunica possibilitˆ di ingresso nel mondo del lavoro alla chiamata diretta nominativa, attraverso le quote annuali.

Questa scelta contenuta nella legge ha costretto e costringe le persone ad aggirare le norme o a non rispettarle. Gran parte dei migranti oggi presenti per lavoro[9] sono entrati con un visto che non consente di lavorare (soprattutto turismo, ma non solo) e rimasti in Italia irregolarmente (sono i cosiddetti overstayers) dopo aver trovato un lavoro, in attesa della successiva sanatoria che puntualmente  arrivata (lĠultima, la sesta, risale al 2009).

Per superare questo paradosso sarebbe sufficiente introdurre, con una proposta di riforma legislativa, la possibilitˆ per gli aspiranti migranti, di entrare per ricerca di lavoro. Questo non vorrebbe dire aprire le frontiere a tutti, come spesso si cerca di far credere allĠopinione pubblica, bens“ partire dalla realtˆ, per orientarla e governarla.

LĠingresso per ricerca di lavoro potrebbe tener conto dellĠandamento della domanda di lavoro, attraverso la definizione di quote annuali, magari modificabili durante lĠanno se le condizioni lo richiedono.[10]

Cio si potrebbe ricorrere alle quote, come giˆ previsto dalla legge, e sulla base di quelle consentire lĠingresso di persone in cerca di lavoro, con un relativo permesso di soggiorno della durata di un anno.

Fermo restando che ogni condizione in pi da rispettare per accedere ad un documento diventa sempre - come dimostra la storia dellĠimmigrazione di questi ultimi venti anni - causa di ricatti e truffe, si potrebbe introdurre come condizione unica per coloro che vogliono entrare per ricerca di lavoro, la dimostrazione di potersi mantenere autonomamente. I dati personali, salvo la possibilitˆ di verificare lĠidentitˆ del richiedente, potrebbero essere autocertificati e poi confermati formalmente dopo lĠarrivo in Italia.

Allo stesso tempo bisognerebbe garantire automaticamente, senza il passaggio dalle rappresentanze consolari, lĠinvio dei documenti di ingresso (visto) per via postale, centralizzandone la gestione in Italia, ad esempio attraverso una banca dati ed un sistema unico nazionale di richiesta e rilascio dei visti, cercando peraltro di limitare al massimo lĠutilizzo di questĠultimi. Si risparmierebbero in tal modo tempo e risorse, rendendo il richiedente sottoposto solo alle norme e non alla volontˆ dei politici o dei funzionari. In caso di irregolaritˆ la persona sarebbe pi facilmente rintracciabile, in quanto lĠamministrazione pubblica disporrebbe di tutti i dati.

Allo stesso tempo si renderebbe conveniente e possibile il rispetto delle regole, a differenza dellĠattuale situazione che produce irregolaritˆ.

A questa modalitˆ si potrebbe affiancare una novitˆ, non prevista attualmente dalla legge, consentendo la conversione di un permesso di soggiorno di tipo breve in permesso per lavoro, qualora lo straniero dimostri di rispettare le condizioni previste per il rilascio del titolo di soggiorno che vuole ottenere.

In tal modo la percentuale di irregolaritˆ sarebbe molto limitata e la si potrebbe gestire pi facilmente, con meno oneri per la pubblica amministrazione.

Rimarrebbe certamente un percentuale di irregolari per i quali, anche nellĠattuale legislazione europea[11], molto criticata e criticabile, sono giˆ previste misure che ne tutelano in parte i diritti e che consentono una differenziazione degli interventi a seconda dei casi. In particolare la cosiddetta ÒDirettiva RimpatriÓ prevede misure che vanno dal rimpatrio volontario alla espulsione coatta con il ricorso alla detenzione amministrativa in centri per stranieri (prevista solo come extrema ratio), passando da una gamma di misure intermedie meno pesanti.

Ancor prima delle misure volte a reprimere lĠimmigrazione irregolare, sarebbe necessario e urgente mettere in atto meccanismi volti a consentire, ove le condizioni lo consentano, allo straniero di uscire dalla condizione di irregolaritˆ.

Si tratterebbe cio di autorizzarne la regolarizzazione, nel caso in cui si possa dimostrare, con la necessari documentazione, di essere in possesso dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, ad esempio, per lavoro, anche nei casi di conflittualitˆ con il datore di lavoro.[12]

Per la residua fascia di irregolaritˆ, per la quale oggi si ricorre praticamente sempre allĠallontanamento coatto[13], i dati a nostra disposizione, non solo a livello nazionale ma anche sul piano internazionale, dimostrano che la detenzione amministrativa, che lede lĠart.13 della nostra Costituzione[14], oltre ad essere ingiusta non ha nessuna efficacia. Essa rappresenta la misura esemplare del diritto speciale dellĠimmigrazione[15] e per questo il primo atto di una stagione di governo alternativa a quella che abbiamo vissuto in questi anni, dovrebbe iniziare con la sua abolizione.[16]

Il ricorso ad altre misure, che non ledono la libertˆ personale, ricercando la collaborazione dello straniero irregolare, attraverso una modalitˆ premiale, consentirebbe certamente di ottenere risultati migliori.[17]

Discorso a parte merita il diritto dĠasilo, per il quale oggi in Italia non cĠ un quadro legislativo definito. La normativa in vigore sul diritto dĠasilo  frutto del recepimento delle direttive europee in materia e di una serie di provvedimenti parziali che mostrano periodicamente i loro limiti e le contraddizioni di un modello tutto rivolto a arginare gli abusi e non a riconoscere il diritto dĠasilo.

Una legge quadro, chiesta da tutti coloro che hanno competenze e esperienza in questa materia, consentirebbe maggior chiarezza e certezza del diritto, evitando situazioni come quella che vede oggi la gestione dei flussi di richiedenti asilo e la loro accoglienza, in continua evoluzione e subordinata allĠevolversi degli eventi.[18]

Un accenno merita la questione dei minori non accompagnati, fenomeno rispetto al quale si  pi volte, in questi anni, soffermata lĠattenzione del legislatore con interventi disordinati. Le alterne vicende intorno allĠart. 32 TU sullĠimmigrazione, che hanno visto dapprima prevedere, poi limitare e ancora ampliare, i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore etˆ, testimoniano lĠincapacitˆ di affrontare con serenitˆ questa materia. Per perseguire il principio del superiore interesse del minore, sarebbe indispensabile mantenere le competenze sui minori stranieri non accompagnati nellĠambito della giurisdizione minorile, eliminando norme e procedure speciali e prevedendo un intervento stabile e adeguato da parte dello stato a sostegno delle misure dĠaccoglienza e integrazione messe in campo dagli enti locale.

Infine, per quanto riguarda la gestione dei valichi di frontiera, sulla base dellĠesperienza di questi anni, sarebbe indispensabile istituire un organismo indipendente per la tutela dei diritti delle persone straniere che attraversano le frontiere.[19] I valichi di frontiera sono infatti luoghi nei quali la legge non viene rispettata proprio per lĠimpossibilitˆ di accesso della societˆ civile e di organismi indipendenti.[20]

 

3.    I diritti di cittadinanza (giuridica, sociale e politica)

Oggi lĠItalia  un Paese che produce stranieri. I circa 78 mila bambini nati da genitori non italiani nel 2010, vivranno da stranieri nel Paese nel quale sono nati e vivono, fino a 18 anni, spesso anche molto oltre. Una intera generazione che rischia di crescere sentendosi ed essendo percepita come estranea e distante dai propri coetanei di nazionalitˆ italiana. Una situazione che pu˜ produrre, ed in parte ha giˆ prodotto, diseguaglianze, separazione, conflitti sociali e razzismo.

La soluzione, almeno sul piano giuridico, pu˜ essere rappresentata da una riforma della legge sulla cittadinanza che introduca lo ius soli, superando lo ius sanguinis.[21] La cittadinanza cio legata non pi allĠappartenenza Òdi sangueÓ, ma al luogo nel quale si nasce e si vive.[22] Inoltre bisognerebbe fare in modo che la procedura per ottenere la cittadinanza sia determinata esclusivamente dalla legge e non dalla discrezionalitˆ della pubblica amministrazione, come  oggi. Si dovrebbe cio rendere quello alla cittadinanza un diritto soggettivo, trasferendo le competenze sul territorio, ossia ai sindaci.

 

Cambiare rotta  possibile in materia di immigrazione. Ma difficilmente si avrˆ un cambiamento reale e stabile senza un protagonismo dei migranti. Per questo ogni percorso di partecipazione e di autoorganizzazione va sostenuto, nella consapevolezza che la condizione di discriminazione profonda che vivono le persone di origine straniera nel nostro Paese difficilmente consente loro di scegliere la via dellĠimpegno sociale.

La prima riforma da fare in questo senso  ratificare la lettera C della Convenzione di Strasburgo del 1992 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale. Ci˜ consentirebbe di riconoscere agli stranieri residenti il diritto di voto alle elezioni amministrative e regionali. In tal senso si  mossa fin dalla scorsa legislatura lĠANCI, con una proposta di legge sulla quale i promotori della campagna ÒLĠItalia sono anchĠioÓ, stanno raccogliendo le 50 mila firme necessarie alla presentazione di una legge di iniziativa popolare.

 

Negli ultimi anni lĠaccesso al sistema di welfare per gli stranieri  diventato sempre pi difficile per lĠintroduzione, in misura crescente, di condizioni che rappresentano dei veri ostacoli. Forme di discriminazione pi o meno esplicite che negano concretamente lĠart.3 della nostra Costituzione. In tal senso  importante rafforzare tutte gli strumenti e le misure volte a monitorare, promuovere e sostenere lĠuguaglianza concreta tra italiani e migranti[23], anche attraverso campagne di sensibilizzazione culturale che mirino a rendere impopolare ogni forma di discriminazione e a demolire i discorsi pubblici che giustificano o addirittura propongono la diseguaglianza come soluzione dei problemi della nostra societˆ.

 

Il sistema dĠaccoglienza italiano per rifugiati e richiedenti asilo, pur avendo sperimentato in questi anni un modello dĠeccellenza (SPRAR: Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), a causa della pesante insufficienza di risorse e del continuo ricorso a iniziative dĠemergenza (emergenze inventate), ha prodotto ingiustizie e ghetti, spingendo decine di migliaia di richiedenti asilo e rifugiati a cercare fuori dal circuito pubblico una risposta alle loro giuste esigenze dĠaccoglienza.

é necessario superare lĠattuale fase nella quale lĠemergenza  lĠunico orizzonte allĠinterno del quale si muove lo Stato e, partendo dalle esperienze positive messe in campo in questi anni, costruire un sistema unico nazionale di accoglienza e integrazione che dia risposte sia ai richiedenti asilo che ai rifugiati (questĠultimi oggi si trovano senza alcun sostegno specifico da parte dello Stato) con lĠimplementazione di un fondo nazionale dimensionato sulla base della realtˆ del fenomeno.[24]

 

Per combattere la creazione di ghetti nelle cittˆ e impedire che intere generazioni di ragazzi e ragazze di origine straniera crescano in condizione di grave discriminazione,  possibile prevedere interventi straordinari volti a sostenere le comunitˆ migranti nel loro percorsi di integrazione.

Si pensi ad esempio a Programmi di Azione Speciale per sostenere lĠemancipazione femminile. Oppure a Zone di Intervento Straordinario, laddove la forte presenza di migranti e le difficoltˆ delle famiglie, cos“ come le condizioni e/o le caratteristiche del territorio, potrebbero richiedere un intervento eccezionale dello Stato.

In tal senso  utile sottolineare come i programmi per lĠinsegnamento della lingua italiana , come avviane altrove nel mondo, devono essere predisposti dallo Stato e resi accessibili a tutti. La lingua cio pu˜ diventare anche un obbligo, ma a condizione che la pubblica amministrazione renda possibile seguire i corsi senza oneri per lo straniero. Il modello potrebbe essere quello delle 150 ore per i lavoratori che, nel caso di persone arrivate da poco per lavoro, permetterebbe di apprendere lĠitaliano, indispensabile per vivere nel nostro Paese, senza dover rinunciare a lavorare e senza doversi sottoporre ad esami e condizioni che troppo spesso e facilmente si traducono in ricatti e truffe.

 

Le misure qui suggerite avrebbero la necessitˆ di essere sostenute, in alcuni casi, con risorse specifiche. Pur mantenendo la scelta di considerare gli interventi per le persone di origine straniera inserite a pieno titolo in quelli degli ambiti generali delle politiche di governo di un territorio o del Paese, non  possibile sostenere realmente i percorsi d integrazione dei migranti e delle loro famiglie senza interventi specifici. Si pensi ad esempio allĠinsegnamento della lingua italiana come L2 per i lavoratori e le lavoratrici straniere. Se  vero che possono essere sostenuti dagli interventi relativi allĠeducazione permanente per tutti,  anche vero che, il numero di presenze e la necessitˆ di una gestione di orari e luoghi flessibile, suggerisce di mettere in campo misure specifiche. Per questo  necessario ripristinare il Fondo Nazionale per le politiche migratorie[25]. Contestualmente  necessario avviare processi e percorsi di consultazione delle organizzazioni sociali impegnate in questo ambito, delle associazioni e reti di migranti, nonchŽ delle amministrazioni coinvolte nella gestione dei servizi e delle politiche territoriali, per consentire scelte che siano sempre condivise e che poggino sulle tante esperienze e competenze presenti oggi nel paese.

Si pu˜ concludere ribadendo che senza la partecipazione diretta dei migrati, difficilmente si potrˆ ottenere una reale modifica della condizione che essi vivono nel nostro Paese, che  argomento che riguarda la democrazia di tutti. Per questo una delle misure da prendere per sostenere i percorsi di integrazione  quella di favorire e sostenere le tante forme di partecipazione e organizzazione. Senza partecipazione infatti la democrazia rischia di essere solo una brutta copia di se stessa.

 



[1] Dati OIM aggiornati al 14 settembre scorso www.oim.int.

[2] A seguito della legge 125/2008, si  assistito nel nostro Paese ad una proliferazione di ordinanze sindacali che, partendo da presunte emergenze legate alla sicurezza urbana, sono intervenute sempre per limitare le libertˆ personali ed in alcuni casi con iniziative esplicitamente (cd. anti-burka, anti-kebab) o implicitamente (nei provvedimenti contro la mendicitˆ, i lavavetri o la prostituzione) discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri. Per una analisi di alcune ordinanze di questo tipo, si rinvia al numero monografico della rivista ÒLe RegioniÓ, n.1-2/2010.

[3] Secondo lĠISTAT (cfr. www.demo.istat.it), al primo gennaio 2011 gli stranieri regolarmente residenti in Italia sono 4.570.317 (7,5% circa della popolazione).

[4] Viene usato infatti spesso il termine ÒclandestiniÓ, che ha assunto con gli anni una forte connotazione negativa, fino a essere largamente sovrapposto, nel discorso pubblico sullĠimmigrazione, con lĠidea di illegalitˆ e addirittura di criminalitˆ.

[5] Si tratta di una serie di provvedimento, tra i quali la legge 94/2009 ha, tra le altre misure, introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale

[6] Si veda lo studio pubblicato di recente da SOPEMI ÒInternational Migration Outlook 2010Ó, sullĠimmigrazione nei Paesi OCSE (per una sintesi http://www.oecd.org/dataoecd/12/24/45613085.pdf). Si veda altres“ lĠultima edizione del dossier statistico Immigrazione di Caritas/Migrantes 2010 – IDOS edizioni 2010.

[7] Chi assumerebbe una baby sitter, collaboratrice domestica o un operaio, garantendo in teoria stipendio e alloggio per un anno, senza averlo mai visto?

[8] La modifica che cancella lo sponsor  contenuta nella L.189/2002, cosiddetta Bossi Fini.

[9] é bene ricordare che la maggioranza dei migranti sono presenti per lavoro. I dati disponibili per il 2009 riportano il 46% dei permessi, per lavoro stabile e il 39% circa  presente per motivi di ricongiungimento familiare (il che prevede la presenza in Italia di una persona che lavori). Pi dellĠ85% delle presenze  quindi direttamente o indirettamente legata al lavoro. Un dato abbastanza stabile negli anni.

[10] La Òlibertˆ di circolazioneÓ in questo senso rappresenta non uno slogan, quanto la proposta concreta di permettere alle persone di spostarsi senza doversi affidare ai trafficanti o dover aggirare la legge, ma presentandosi alle frontiere con i propri documenti, come fa ogni europeo che vuol andare in Africa o in Sudamerica. Le regole vigenti, essendo impraticabili e quindi ideologiche, producono morti e irregolari, aiutando di fatto i trafficanti. Regole praticabili che consentano alle persone di muoversi liberamente rappresentano lĠunica risposta concreta, non ideologica.

[11] Si veda la cosiddetta Direttiva ÒRimpatriÓ n.2008/115/CE.

[12] Andrebbe contemplato cio anche il caso di lavoratori sfruttati e ricattati, come succede in tanti ambiti, dallĠagricoltura allĠedilizia, ai quali si potrebbe allargare la previsione di legge contenuta nellĠart.18 del T.U. sullĠimmigrazione, consentendo di ottenere un permesso di soggiorno a seguito di una denuncia o dellĠavvio di una vertenza. Oggi chi, in posizione irregolare, denuncia il proprio datore di lavoro, pu˜ ottenere quanto gli  dovuto dal giudice del lavoro, ma viene espulso per irregolaritˆ del soggiorno, la qual cosa, come si intuisce, impedisce lĠavvio di tante vertenze a seguito di situazioni di sfruttamento al limite della schiavit.

[13] Nonostante la Direttiva Rimpatri, recepita con Decreto Legge del 23 giugno 2011 n.89, preveda solo marginalmente misure di rimpatrio immediato e coatto.

[14] Su questo argomento la letteratura  molto ampia e nonostante la Corte Costituzionale non sia mai intervenuta in maniera esplicita per bloccare il ricorso alla detenzione dellĠespellendo, ha raccomandato in pi di una sentenza di utilizzare la limitazione della libertˆ personale in maniera non generalizzata e non ordinaria.

[15] Si veda A.Caputo, ÒDiritto e procedura penale dellĠimmigrazioneÓ, Giappichelli Editore, 2006.

[16] Sul punto sia permesso un rinvio a F.Miraglia, ÒCPT: utili o inutili? UnĠanalisi del sistema della detenzione amministrativa e dei suoi effettiÓ, in Studi sulla questione criminale, Anno II, n.1, 2007.

[17] Tale affermazione  dimostrata dai dati disponibili sugli allontanamenti ordinati dal questore senza divieto di reingresso, che negli anni scorsi, quando si ricorreva ampiamente a questa procedura, hanno dato risultati molto positivi: lo straniero irregolare, invitato ad allontanarsi, nella speranza di poter far rientro regolarmente, non rischiando, come avviene con lĠespulsione, un divieto di rientro per 10 anni, accetta pi facilmente di tornare nel Paese dĠorigine.

[18] Si pensi ad esempio al fatto che, dallĠinizio dellĠanno, lĠarrivo dei giovani tunisini prima e dei profughi di guerra dalla Libia dopo,  stato affidato prima al Prefetto di Palermo e poi alla Protezione Civile, pur essendo operante un sistema di centri per richiedenti asilo (CARA) ed una ottima rete di accoglienza diffusa ma insufficiente (SPRAR).

[19] La legge francese, ad esempio, ha consentito la creazione di un organismo, ANAFƒ, costituito da ong, che ha accesso alle zone dĠattesa dei valichi.

[20] In molti valichi esistono giˆ oggi servizi di orientamento e informazione per richiedenti asilo. Tuttavia nelle zone di arrivo dei voli internazionali, gli operatori di questi servizi, possono accedere solo se chiamati dalle forze dellĠordine. Motivi di sicurezza a volte, ma pi spesso il silenzio, nascondono respingimenti e rimpatri attuati senza rispettare le norme in vigore.

[21] Interessante a questo proposito G.Tintori, ÒNuovi italiani e italiani nel mondo. Il nodo della cittadinanzaÓ, in Annali, Storia DĠItalia, Vol. 24, Einaudi, Torino, 2009.

[22] é utile segnalare la campagna sulla cittadinanza in corso, promossa da un ampio cartello di organizzazioni sociali, si veda www.litaliasonoanchio.it, che ha promosso due leggi di iniziativa popolare: una di riforma della cittadinanza ed una per il riconoscimento del diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri residenti.

[23] Con decreto legislativo n.215 del 2003  stato istituito in Italia lĠUfficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (www.unar.it) per ottemperare a quanto disposto dalla Direttiva Europea n.200/43. Anche se negli ultimi anni questo ufficio ha cominciato a interpretare il proprio mandato in maniera pi adeguata ai problemi connessi al razzismo, rimane un vizio di fondo rappresentato dalla stretta relazione con il governo, che non consente di operare con lĠindipendenza necessaria.

[24] Si tratterebbe di dimensionare il Fondo nazionale per il diritto dĠAsilo sulla base delle domande dĠasilo presentate nellĠanno precedente e dei progetti di accoglienza attivi, prevedendo anche un capitolo di spesa per le emergenze, la cui gestione non pu˜ essere improvvisata o lasciata al caso.

[25] Art. 45 T.U. sullĠimmigrazione.