Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 27 ottobre 2011)

 

Stranieri regolari verso quota 5 milioni: nel 2010 oltre 335 mila in più  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sommario

 

o      Dipartimento Politiche Migratorie – Appuntamenti                                                                      pag. 2

o      Società - Dossier immigrazione Caritas / Migrantes: gli stranieri regolari verso quota 5 milioni   pag. 2

o      Immigrati e scuola –  711 mila alunni stranieri                                                                             pag. 3

o      Mediterraneo – Rinnovati di 6 mesi i permessi umanitari                                                                       pag. 4

o      Società – Niente pillole, siamo migranti                                                                                      pag. 5

o      Società – Lampedusa: “vivere i confini dell’altro”                                                                      pag. 6

o      Dai Territori – Ricongiungere l’integrazione, convegno UIL di Roma e del Lazio e Ital                pag. 7

o      The Economist -  Britain ponders copy harsh Danish policies on immigration                           pag.  9

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it    

                                                                                             n. 320



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


Roma, 27 ottobre 2011, ore 10.30 – Teatro Orione

Presentazione del dossier statistico immigrazione di Caritas / Migrantes

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Roma, 10 novembre 2011, ore 11 Largo Chigi, 19

Unar: riunione cabina di regia delle parti sociali

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Bruxelles, 10 novembre 2011, ore 09.00

CES - Riunione Gruppo Migrazione e Inclusione  

(Giuseppe Casucci)

Bergamo, 10 novembre 2011, ore 9.00

Incontro UILTA e ITAL

(Guglielmo Loy)

Varsavia, 21 – 22 novembre 2011

Fundamental Rights Conference 2011:  'Rights and Dignity of irregular migrants'

(Giuseppe Casucci)


 

Società


Dossier Statistico Immigrazione 2011 – Caritas / Migrantes

I cittadini stranieri in Italia vicino alla quota di 5 milioni.

Nonostante la crisi, l’aumento è stato di 335.258 residenti nel 2010. Ma a 684 mila non è stato rinnovato il permesso di soggiorno perché hanno perso il lavoro.


 

Roma, 27 ottobre 2011 (Adnkronos) -Non sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno dando luogo ad una invasione di carattere religioso, non consumano risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi, non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e, al contrario, sono un efficace ammortizzatore demografico e occupazionale. E' quanto emerge dal 21° Dossier Statistico 2011 sull'Immigrazione redatto da Caritas - Migrantes, che fotografa la presenza di cittadini stranieri nel nostro paese, da cui risulta che nell'ultimo anno la presenza di cittadini stranieri in Italia e' aumentata di 335.258 unità. In totale, rileva il rapporto Caritas - Migrantes, sono poco più di quattro milioni e mezzo, per la precisione 4.570.317, i cittadini stranieri residenti in Italia. La loro incidenza sulla popolazione totale, pari a 60.626.442, e' del 7,5% ed ''esercitano un ruolo rilevante nel supplire alla carenze strutturali a livello demografico e occupazionale''. Nell'ultimo anno l'aumento, nonostante la crisi, e' stato di 335.258 unità, al netto delle oltre 100mila cancellazioni dall'anagrafe, di cui 33mila per trasferimento all'estero e 74mila per irreperibilità, e dei 66mila casi di acquisizione della cittadinanza.  Nel frattempo, pero, centinaia di migliaia di persone hanno perso l’autorizzazione a rimanere in Italia, perché sono scaduti ben 684.413 permessi di lavoro (2/3 per lavoro e 1/3 per famiglia). Viene anche accreditata la presenza di circa mezzo milione di persone in posizione irregolare. Ai residenti, secondo la stima del Dossier, bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti ma non ancora registrate in anagrafe, per una stima totale di 4.968.000 persone. Il numero degli immigrati, rileva il Dossier e' quasi uguale a quello dello scorso anno ma, avverte, ''non deve sfuggire che le nuove presenze sono state oltre mezzo milione, tra regolarizzati e nuovi venuti, a fronte di altrettanti immigrati la cui autorizzazione al soggiorno e' venuta a cessare, a prescindere dal fatto che siano rimpatriati o siano scivolati nell'irregolarità. Questa rotazione -  avverte ancora il Dossier -deve indurre a riflettere sugli effetti pesantemente negativi della precarietà dei titoli di soggiorno e sulle modifiche normative necessarie per porvi rimedio ''. La presenza degli immigrati sul territorio italiano e' più consistente nelle regioni del Nord-Ovest, dove e' del 35%, segue il Nord-Est con il 26,3%, il Centro con il 25,2% e il Sud e Isole con il 13,5%. In lieve superiorità numerica le donne, che rappresentano il 51,8% del totale mentre i minori sono il 21,7%. Tra le prime cinque collettività per numero di residenti, rileva ancora il Dossier, si trovano la Romania, con 968.576 presenze, seguita dall'Albania, con 482.627, il Marocco con 452.424, la Cina con 209.934 e l'Ucraina con 200.730 presenze. Gli stranieri, rileva ancora il Dossier, la cui età media' e di 32 anni, contro i 44 degli italiani, si caratterizzano per la forte incidenza di minori (21,7%) e delle persone in età lavorativa (78,8%) mentre gli ultra 65enni superano di poco il 2% ( sono, invece, un quinto della popolazione italiana). In altri termini, gli stranieri sono appena 1 ogni 100 tra gli anziani, ma oltre un decimo dei minori

e dei giovani (18-39 anni).

Scarica:

Scheda di sintesi

Principali dati


 

Immigrati e scuola

  


Rapporto Miur-Ismu. Tante le difficoltà che incontrano tra i banchi

Immigrati, 711 mila alunni stranieri (8%)

Vivono al Nord e scelgono le professionali. In media, i bocciati sono il doppio degli italiani


Milano, 24 ottobre 2011 - Sono sempre più numerosi gli stranieri tra i banchi delle scuole italiane, anche se la crescita rallenta un po' rispetto agli anni scorsi. Ma fanno la fatica di sempre, pur orientandosi, per lo più, verso scuole «più facili», o quelle che i loro coetanei del Belpaese snobbano un po'. Scuole pubbliche, naturalmente (85,8%), eccetto che per le materne (nelle private se ne contano 135.632, pari al 35,3% di tutti i bambini stranieri da 3 a 6 anni; sono solo il 4,2% alle elementari, il 3,3% alle medie, il 3,9% alle superiori). E il divario si fa più evidente nella scuola secondaria, dove i bocciati sono il doppio degli italiani.

IL RAPPORTO - Questo il quadro tratteggiato nel rapporto «Alunni con cittadinanza non italiana 2010-2011» presentato a Milano dal Ministero dell'Istruzione e dalla fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità): sono 711mila gli alunni stranieri in Italia, pari al 7,9% di tutti gli studenti, dalla scuola d'infanzia fino ai licei e agli istituti tecnici. In tutto, sono 37.454 in più rispetto all'anno scolastico precedente. Ma si tratta di una crescita più contenuta rispetto al passato: fino al 2009 c'erano incrementi doppi, circa 60/70mila alunni all'anno. Aumenta invece sensibilmente il numero degli studenti di cittadinanza straniera nati in Italia, i cosiddetti «G2»: nell'anno scolastico 2009/2010 sono 263.524, pari al 39,12% di tutti gli studenti stranieri con un aumento del 13,1% rispetto all'anno precedente. Scuola dell'infanzia ed elementari accolgono la stragrande maggioranza dei G2: circa l'80%. La popolazione scolastica straniera sta diventando quindi sempre più «made in Italy», soprattutto nella scuola dell'infanzia e alle elementari, dove nel 2009/2010 i nuovi entrati sono 44.232, di cui soltanto 13.711 provenienti direttamente dall'estero.

UNO SU TRE ALLE ELEMENTARI - I numeri: nelle scuole primarie siedono in 254.644, pari al 35,8% del totale. Il 22,3% si trova alle medie, il 21,6 alle superiori e il 20,3 nelle scuole materne. Degno di nota le differenze con l'anno scolastico precedente per quanto riguarda le elementari, quando erano ben il 42,8%, e alle superiori dove raggiungevano appena il 14%. Arrivati alle scuole secondarie di secondo grado (nel 2010/2011 sono 153.513) scelgono gli istituti professionali il 40,4%, i tecnici il 38%, i licei il 18,7% e gli artistici il 2,9%. Poco più delle metà (50,3%) sono femmine, con punte del 70% nei licei.

ROMENI IN TESTA - Per quanto riguarda le nazionalità degli alunni, i romeni si confermano, per il quinto anno consecutivo il gruppo più numeroso nelle scuole italiane (126.452); seguono gli albanesi (99.205) e i marocchini (92.542). Tra le novità più rilevanti c'è l'incremento degli alunni provenienti dalla Moldavia che passano da 12.543 nel 2007/08 agli attuali 20.580. Rilevanti anche gli incrementi di alunni dall'India e dell'Ucraina.
La regione con più alunni stranieri in valori assoluti è la Lombardia, con il 24,3% del totale di studenti (173.051) con cittadinanza non italiana; seguono il Veneto, con l'11,9% (84.914 studenti), e l'Emilia Romagna con l'11,6% (82.634). Le province che accolgono il maggior numero di studenti stranieri sono: Milano (64.934), Roma (52.599), Torino (33.920), Brescia (30.605), Bergamo (20.961).

TECNICI E PROFESSIONALI - Il rapporto completo sarà disponibile a partire dalla fine di novembre. Tra i dati più interessanti resi disponibili ci sono quelli relativi alla scelta dell'indirizzo scolastico, gli stranieri guardano con più favore degli autoctoni gli Istituti professionali e tecnici: se ne contano 153.513 (mentre gli italiani sono 2.510.171), 10.289 in più rispetto all'anno scolastico precedente, con un'incidenza sul totale degli studenti del 5,8%. Di questi 153.513, ben 62.080 frequentano un istituto professionale, 58.340 un istituto tecnico e soltanto 28.675 siede sul banco di un liceo e ancor meno (4.418) si è rivolto alla formazione artistica. Di tutt'altro segno, ovviamente, la scelta degli italiani che prediligono i licei (43,9% contro il 18,7% degli stranieri), in secondo luogo gli istituti tecnici (33,2% contro 38%) e soltanto in ultimo i professionali (19,2% contro il 40,4% degli stranieri). Se si approfondisce, però, il dato degli stranieri che si rivolge all'istruzione liceale, si scopre che di quei 28.675 ben il 70,3% è costituito da ragazze e il 12,2% da nati in Italia; percentuali che si ripresentano nell'istruzione artistica con il 66,7% di ragazze e l'11,6% di nati in Italia.

PIÙ BOCCIATI - Non poche le difficoltà che i ragazzi venuti da fuori incontrano tra i banchi: nell'anno scolastico 2009-2010 il 12,2% è stato bocciato (contro il 4% dei compagni italiani) alle medie mentre nelle superiori stessa sorte è toccata al 30% (14,1% tra gli italiani) con punte del 37,5% in prima. Risultato: nelle scuole secondarie di primo grado gli alunni stranieri in ritardo con gli anni sono il 49,1% e in quelle di secondo grado sono addirittura il 71,3%. Ed è proprio negli istituti professionali che si concentrano i problemi: nel 2010/2011 gli alunni stranieri iscritti erano 62.080 e i bocciati raggiungono il 34,2% contro il 24,6% dei coetanei italiani. Tra i banchi dei professionali, inoltre, siedono 8.100 studenti stranieri che hanno dai 20 anni in su, segno delle difficoltà che hanno incontrato nella loro vita scolastica. Va un po' meglio negli istituti tecnici, dove gli iscritti stranieri sono 58.340 e i bocciati arrivano al 29,9%. La «strage» di studenti stranieri avviene soprattutto nelle classi prime. Alle medie (anno scolastico 2009/2010) il 14,7% ha dovuto ripetere l'anno contro il 4,6% dei compagni italiani. Alle superiori si arriva al 37,5% contro il 15%.


 

Emergenza Mediterraneo


Permessi di soggiorno umanitari

Rinnovati di altri sei mesi i permessi per protezione temporanea ai migranti del Nord Africa


In una circolare del Ministero dell’Interno, datata 8 ottobre, il Viminale specifica le condizioni con le quali viene rinnovato di altri sei mesi il permesso per protezione temporanea concesso dal Governo ai migranti del Nord Africa arrivati in Italia tra il 1° gennaio al 05 aprile 2011. Com’è noto, con il DPCM del 6 ottobre 2011, il Governo ha prorogato lo stato di emergenza umanitaria in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa (fino al 31 dicembre 2012) ed ha prorogato altresì di ulteriori sei mesi la durata dei permessi di soggiorno per motivi umanitari ex art. 20 D.lgs 286/98, legati a questo stato di emergenza rilasciati in base al DPCM del 5 aprile 2011. Chi è in Italia con il permesso ricevuto in aprile, potrà dunque continuare a risiedere qui legalmente per altri sei mesi. Sarebbe bene comunque rinnovare il primo permesso scaduto, anche ai fini di una eventuale conversione in permesso di lavoro. Il Viminale ha spiegato che per il rinnovo si segue la stessa procedura del primo rilascio: la domanda è gratuita e si presenta direttamente in Questura, così come quella per rinnovare il “titolo di viaggio” rilasciato a chi era senza documenti di identità. Le pratiche andranno trattate dagli uffici immigrazione “con la necessaria celerità”, e il nuovo permesso, promette il Ministero, arriverà “entro 2/3 giorni dalla data di autorizzazione”. Sarebbe bene, comunque, che il Ministero desse qualche chiarimento ulteriore sulla procedura riguardante le conversioni dei permessi umanitari. Infatti, se è vero che chi trova lavoro  potrà richiedere la conversione del permesso, la posizione delle Questure non è univoca sul altri tipi di conversioni, come quelle per motivi familiari o di studio. In allegato

Scarica la circolare del Ministero dell’Interno

Scarica il DPCM 6 ottobre 2011 Proroga dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari. (11A13231) (GU n. 235 del 8-10-2011).



Permessi di soggiorno. “Legittimamente in Italia” anche chi attende rilascio o rinnovo

http://www.stranieriinitalia.it/


Roma, 20 ottobre 2011 - Lo prevede un articolo della bozza del decreto sviluppo che modificherà il Testo Unico sull’Immigrazione. Potrebbe sancire, una volta per tutte, il valore del cedolino

Roma – 20 ottobre 2011 – Chi ha in tasca la ricevuta della domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno è a tutti gli effetti un immigrato regolare. Lo spiegò già nel 2006 una direttiva dell’allora ministro dell’interno Giuliano Amato, ma presto potrebbe sancirlo una volta per tutte anche il Testo Unico sull’immigrazione. Un modo per togliere ogni dubbio a qualche sbadato ufficio della pubblica amministrazione, ma anche ai datori di lavoro che, di fronte all’esibizione del cosiddetto “cedolino”, spesso non sanno come comportarsi. La novità è nella bozza del Decreto Legge sullo sviluppo a cui sta lavorando il governo. Dice che il lavoratore straniero “in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno“ può “legittimamente soggiornare in Italia e svolgere l'attività lavorativa”. Questo “fino ad un'eventuale comunicazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l'indicazione dell'esistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso o al rinnovo”.

Per usufruire di questa possibilità, il lavoratore deve aver chiesto il primo rilascio del permesso quando ha firmato il contratto di soggiorno oppure deve aver presentato domanda di rinnovo entro sessanta giorni dalla scadenza del documento. Naturalmente, per dimostrarlo, dovrà avere con se la ricevuta con la data. Cioè il solito cedolino. Parliamo di una bozza, che comunque potrebbe essere modificata o addirittura scomparire. Per saperne di più non rimane che aspettare il varo definitivo del tanto atteso Decreto Sviluppo.

Elvio Pasca


 

 

Società

 


“Vivere i confini dell’Altro”

Meeting su ecologia e migrazione. Lampedusa, 13 – 15 ottobre 2011


Lampedusa, 15 ottobre 2011 - Problemi ambientali  legati alla desertificazione, alle carestie ed alla crisi economica globale, unitamente a problemi di carattere  socio-politico,  hanno determinato un imponente movimento di gente proveniente dall’Africa Sub – Sahariana diretti verso il  nord Africa. Il fenomeno dell’ immigrazione per mare è , altresì, aumentato di pari passo con la chiusura delle frontiere degli Stati europei, che hanno adottato un regime di visti per l’ingresso particolarmente restrittivo verso i Paesi poveri.  Da allora il mare viene attraversato da circa 60 mila persone ogni anno, con imbarcazioni di fortuna, spesso vecchi pescherecci, barche in vetroresina o gommoni, per raggiungere le coste della Spagna, dell’Italia e della Grecia, spesso punto di passaggio verso altri Paesi UE. A Lampedusa, primo approdo europeo per le migliaia di cittadini stranieri   costretti ad abbandonare la propria terra,  si è tenuto - dal 13 al 15 ottobre 2011 - un meeting nazionale che ha cercato di focalizzare il rapporto tra Ambiente ed immigrazione. Nel corso della tre giorni, esperti di Fare Ambiente, Istituzioni locali e Associazionismo di volontariato si sono incontrati per discutere delle tematiche correlate all’impatto dell’immigrazione in questa piccola isola. “Accoglienza,integrazione, tutela dell’ambiente e  delle tradizioni” il tema dell’incontro al quale SOS Razzismo Italia ha contribuito  con un  intervento puntuale legato ai problemi dell’ ecologia e delle migrazioni. L’emigrazione dei nostri connazionali all’estero e l’immigrazione straniera in Italia,  intese come principio di costruzione di un’ecologia delle culture,  è  l’opportunità per   pensare all’ecologia in relazione con le diverse culture. In un tempo in cui il legame con la terra non è più un fare quotidiano, i migranti ci accompagnano all’ origine del significato  di “ vivere i confini dell’altro”. Così esordisce Angela Scalzo, segretario generale  dell’Associazione! Operare tra ecologia e intercultura costringe, infatti, ad un avanzare insieme ad altri, in una incessante opera di mediazione tra differenti persone,  varie culture,  diverse lingue, più religioni, eterogenei saperi.  E’ proprio attraverso il lavoro comune  che nasce la proposta di  percorsi che uniscano politiche sociali e sostenibili da un lato, ambientali ed ecologiche dall'altro, con l’intento di promuovere un’interazione fra autoctoni e migranti. Il dramma dell’immigrazione, per il quale Lampedusa è conosciuta in tutta Italia, e nell’Europa intera,   l’essere comunità capace di ridare speranza,  troppo  spesso, però,  alla ribalta delle cronache nazionali per la trasformazione dei centri di accoglienza in centri di detenzione,  fa si  che l’Europa, ma soprattutto l'Italia,  appaiano  divise:  tra chi adotta politiche  per frenare l’inevitabile processo del migrare, alimentando di conseguenza l'odio e la paura, e chi, quotidianamente,  dimostra che si può convivere e crescere in una società multietnica.  L'Europa, purtroppo, sta  proteggendo  i propri confini, non i profughi, né i rifugiati. I morti del Mediterraneo (16 mila dal 1988) sono, quindi,  vittime di una fallita assistenza.   La morte ormai è di casa nel nostro Mare Nostrum.  Ma quello che fa più male ed inaccettabile  è che la tragedia dei migranti venga vissuta  come se si trattasse di un destino inesorabile. L’Italia adotta misure  di rientro incondizionato, forzato  e l'Europa osserva, restando immobile, atterrita dalla possibilità che andando incontro e aiutando  i migranti,  possa indurne altri ad azzardare la traversata. L’Europa,  per tutti i migranti di mare,  è Lampedusa perché è proprio qui, in questa piccola isola che i superstiti, quelli che giungono  sfiancati da giorni e giorni passati in balia del mare, vengono accolti. Dissetati, rifocillati e  curati. Con i già carenti mezzi che l’isola, riesce ad offrire attraverso il poliambulatorio, come testimonia l’operato del responsabile, ma anche attraverso il ruolo della cittadinanza tutta , come ha evidenziato il nuovo assessore all’ambiente.  Cambiare politica, allora, sostituendola con una politica di accoglienza che rispetti l’isola ed i suoi abitanti e che  offra solidarietà a chi è costretto  ad abbandonare la sua terra, magari facendo del FRONTEX (agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne) non una  sentinella terrestre e marittima ma un guardacoste in grado di  offrire  un primo soccorso in mare, è quello che SOS Razzismo  si auspica. Il metodo della detenzione sistematica degli stranieri irregolari ha fallito. Noi  diciamo che non  solo non  riteniamo giusto  detenere  chi non ha commesso alcun reato,  ma   troviamo illogico   detenere una persona per sei mesi in questi  luoghi senza  futuro alcuno,  se non per  un rimpatrio forzato. E per andare avanti,   guardando l’Europa,  noi pensiamo  che  qualche  piccola misura aiuterebbe a sbloccare  la questione:

·       A partire dall’immediata  sospensione  della Convenzione di Dublino,  che  fa si che i richiedenti asilo restino bloccati nel primo paese di arrivo,  prendendo il via    proprio dal  nostro paese e dalla Grecia che  non riescono a far fronte  in maniera efficace  all’importante  afflusso di richiedenti asilo.

·       A seguire con un  reale inserimento  dei rifugiati e dei richiedenti asilo  nell’intero territorio del Unione europea.

·       A  sancire la proibizione di  negoziare con   gli stati  terzi che non  hanno sottoscritto neanche la Convenzione di Ginevra , e la Libia era uno di questi!

·       E, last but not least, ad accelerare  l’approvazione  della legislazione europea già in discussione da anni.

Per noi si tratta delle prime, necessarie, richieste per dare inizio alla “nostra primavera”, per permettere alla “Porta d’Europa dalla quale sta passando il futuro del   nostro mondo”,  di avere il giusto valore e riconoscimento.


 

 

 

 

 

 


Pari Opportunità: Unar, è boom di segnalazioni su casi di discriminazioni razziali


(ASCA) - Roma, 20 ottobre 2011 - Nel 2010 l'Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali (Unar) ha ricevuto 766 segnalazioni relative ad eventi di discriminazione, un numero più che doppio rispetto all'anno precedente, quando le denunce furono 373. Il numero per il 2001 supera quota 800, solo per i primi nove mesi. Sono i dati contenuti nella relazione al Parlamento messa a punto dallo stesso ufficio e presentata oggi dal direttore Massiliano Monnanni, in occasione della conclusione della ''Settimana contro la violenza''. Le segnalazioni che, nel 2010, l'ufficio ha considerato pertinenti sono state 540, duecento in più del 2009. Il 75% dei casi si e' chiuso attraverso una conciliazione tra le parti e il maggior numero (109, pari al 20,2%) ha riguardato l'ambito dei mass-media che, rispetto al 2009, detiene un'incidenza quasi raddoppiata. Questo dato, si legge nella relazione, ''rappresenta un immediato riscontro dell'azione di monitoraggio intrapresa dall'Unar nei confronti di giornali, web e mezzi di comunicazione in genere''. Sempre nel 2010, il secondo ambito di discriminazione e' stata la ''vita pubblica'' con una percentuale molto simile a quella dei precedenti 12 mesi.
map/sam/ss


 


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Niente pillole siamo migranti

SANITA'. Secondo uno studio della Società italiana di farmacia ospedaliera, i cinque milioni di stranieri residenti in Italia pesano solo per il due per cento sulla spesa farmaceutica globale.

Di Federico Tulli


Roma, 20 ottobre 2011 - Lavoratori infaticabili e in buona salute, i migranti che vivono in Italia farebbero la felicità di qualsiasi ministro dell’Economia (e della Sanità) del pianeta. Producono l’11,1 per cento della ricchezza nazionale, pur essendo solo il 7,2 per cento dei cittadini residenti, e incidono solo per il due per cento sulla spesa farmacologica globale. Sono i risultati più significativi emersi dal 32esimo congresso nazionale della Sifo (Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie) che si è chiuso ieri a Firenze. «Il farmaco - ha spiegato la presidente Sifo Laura Fabrizio - può essere un tracciante dello stato di salute delle persone». Attraverso questo particolare filtro si riesce infatti a inquadrare da un’angolazione poco esplorata la spesa che più incide sulle nostre imposte, prosciugando mediamente l’80 per cento delle risorse nei bilanci regionali (oltre 100 miliardi l’anno). Gli esperti riuniti nel capoluogo toscano, elaborando i dati dell’Osservatorio sulla prescrizione farmaceutica della popolazione immigrata, hanno calcolato che circa il 15 per cento degli “italiani” riceve più di dieci farmaci nel corso di un anno. Mentre il 50 per cento degli immigrati solamente uno. Sul consumo farmaceutico incide soprattutto la cura di malattie cardiovascolari, pertanto la ragione principale di una differenza così notevole va ricercata nella giovane età media dei migranti residenti, che non supera i 36 anni. I medici della Sifo hanno quindi evidenziato l’importanza di monitorare al meglio questo fenomeno per far emergere dal confronto con i dati epidemiologici, i bisogni inevasi. Anche alla luce delle differenze nei livelli e nell’organizzazione dell’assistenza sanitaria delle Regioni coinvolte. Ma non è solo una questione di soldi. «Gli studi finora condotti - conclude Laura Fabrizio - hanno utilizzato le schede di dimissione ospedaliera.  
Poco è stato fatto con le prescrizioni farmaceutiche. Probabilmente perché la molteplicità di attori coinvolti, la frammentazione dei percorsi assistenziali dovuta anche all’elevata mobilità della migrazione e la frequente mancanza di un regolare permesso di soggiorno rendono difficile seguire nel tempo il grado di accesso alle cure. Va inoltre sottolineato che la differenziazione delle politiche regionali sul farmaco ha creato disuguaglianze tra cittadini italiani ma ancor più tra gli immigrati, nei livelli di assistenza e continuità delle terapie». Secondo l’esperta è pertanto «necessario implementare le politiche di inclusione sanitaria, adottate dall’Italia sin dal 1995, che garantiscono a tutti, immigrati regolari e non, la tutela della salute».


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dai territori

 


Ricongiungere l’integrazione, il convegno Uil di Roma e del Lazio e Ital

Di Alice Rinaldi


Roma, 20 ottobre 2011 - Si è tenuto ieri, mercoledì 19 ottobre 2011, presso il palazzo della Provincia di Roma, il convegno “Ricongiungere l’integrazione. Ricongiungimento familiare per gli immigrati: esperienze a confronto” organizzato dalla sigla sindacale Uil (Unione Italiana del Lavoro) con Ital, il suo patronato, istituto che esercita la funzione di rappresentanza e tutela di tutti i cittadini presenti sul territorio dello stato.

L’obiettivo del convegno e del ricongiungimento – sottolinea Rosella Giangrazi, segretaria regionale Uil Roma e Lazio – è “far sentire gli immigrati a casa” perché se vivono qui non sono più ospiti. “E ci si sente a casa stando con la propria famiglia. La famiglia non è un fatto ideologico, ma un insieme di affetti”. Per questo è necessario “aprirci al mondo per considerare ‘famiglia’ non solo quella a cui siamo culturalmente abituati: considerare finalmente la ‘famiglia transnazionale’”.

“Ricongiungere o separare? Inserire o integrare? La scelta mi sembra ovvia”, dice Alberto Sera, vice presidente Ital-Uil. Luigi Scardaone, segretario generale Uil Roma e Lazio, intende sfatare una serie di stereotipi: “70mila posti di lavoro sono morti per mestiere: muratori, minatori… lavori che gli italiani realmente non vogliono più fare”. Inoltre è vero che gli immigrati “contribuiscono alle pensioni: se un immigrato non rimane 10 anni in Italia, perde i suoi contributi che vengono versati agli italiani”. È dunque “un atto di civiltà” combattere per i ricongiungimenti familiari.

Confronto tra politiche. L’assessore alle politiche sociali e famiglia della Regione Lazio, Aldo Forte, prende parola citando il film “Cose dell’altro mondo” di Francesco Patierno che si domanda “cosa succederebbe se domani non ci fossero più immigrati?” rispondendo che “il Lazio sarebbe una regione più povera”… ma si alza subito la polemica contro “chi predica bene per captatio benevolentiae e per fare bella figura a un convegno e poi su questi temi sparge politica del terrore”. Ben più sincero e concreto sembra infatti il discorso di Claudio Cecchini, stesso assessore ma alla Provincia: occuparsi di ricongiungimenti familiari è un “contributo alla stabilità, un modo per ridurre i danni della separazione: bambini lasciati piccolissimi che diventano degli sconosciuti, nuovi legami, nuovi figli, rapporti da ricostruire da zero. Serve educazione della pubblica opinione, fare queste iniziative fuori da Palazzo Valentini. Solo così la politica, che altrimenti non dimostra coraggio, si muoverà!”

‘Mio’ diventa ‘noi’. Antonio Ricci del Dossier Caritas Migrantes, sottolinea altri aspetti: “i ricongiungimenti mancati, ci sono almeno 600mila donne dei servizi alla famiglia che non riescono ad ottenerli, accontentandosi solo del cosiddetto ‘ricongiungimento di ritorno’, le visite a Natale. Invece permettere che una famiglia si riunisca è una ricchezza: “è stato provato che è una prevenzione della devianza, perché grazie a questo si costruisce il comune senso di appartenenza che crea corresponsabilità, il ‘mio’ che diventa ‘noi’”.

Mohammed e Rosita raccontano le loro esperienze personali. Mohammed sottolinea le falle e l’enormità temporale che passa per la richiesta di un ricongiungimento (“può succedere che stai chiedendo il ricongiungimento di tua moglie, ma passa talmente tanto tempo che nel frattempo può nascere un figlio e bisogna fare la pratica da capo”). Rosita, peruviana, da 21 anni in Italia, clandestina per tre anni, ha scelto la ‘via informale’: il passaggio clandestino attraverso le frontiere. “Noi, io e mia madre, non potevamo vivere senza mio padre e le mie sorelle piccole, e se lo Stato non ti aiuta usiamo il ‘nostro modo’ e il nostro modo è pagare tanti soldi e rischiare”.

I desideri degli immigrati. Ricerca svolta su un campione di 120 immigrati di varia provenienza e presentata al Convegno da Pilar Saravia, resp.le immigrazione per la Uil di Roma e del Lazio. Alla domanda “il suo partner è in Italia?”, il 48% ha risposto sì, il 72% della stessa nazionalità, il 15% italiano (che sale al 27% per i latinoamericani, nessuno tra gli africani), il 12% di altra nazionalità. Il 75% ha dei figli (per l’Est Europa il 100%) e non si tratta di famiglie molto numerose come si potrebbe pensare. I figli che hanno meno di 18 anni sono l’80%. Il 52% degli immigrati ha un titolo di scuola superiore. I motivi della spinta migratoria sono al 72% di lavoro, ma colpisce il dato degli africani: 61% per “ricerca di democrazia”. Dalle risposte inoltre si evidenzia che l’Italia è una scelta e non un caso: il 42% la conosceva già. Il 70% aveva già qualcuno in Italia, il che conferma il “modello migratorio a catena” più sicuro. Il 100% ha una permanenza legale in Italia per lavoro o asilo politico. Al paese di origine si invia tra il 10 e il 20% dei propri guadagni, si comunica quasi al 100% con il telefono, si ritorna ogni 2-3 anni (38%). Alla domanda “cosa le manca di più del suo paese d’origine?”, il 35% risponde “odori e colori”, il 30% gli amici, il 21% la cultura, il 12% il carattere delle persone. Alla domanda aperta “quali desideri per il suo futuro in Italia?” per l’America Latina sono legati soprattutto alla famiglia e ai sentimenti (“portare mia figlia e avere tempo per stare con lei”); per l’Asia legati all’Italia (“una vita bella e pacifica”); desideri legati alla famiglia per l’Africa (“un cambiamento per l’Italia oltre che per la mia famiglia”) e l’Est Europa (“vedere la famiglia riunita”).

Due iniziative. Il progetto Ritrovarsi per costruire finanziato dalla Presidenza del consiglio dei Ministri con il partneriato del Centro Astalli di Roma, ha l’obiettivo di favorire il processo di riunificazione familiare di 300 rifugiati e persone con protezione sussidiaria. Il progetto garantisce: supporto legale, supporto sociale, sostegno alla creazione di micro-impresa, orientamento e supporto nella ricerca alloggiativa autonoma. Il coordinamento centrale del progetto è presso il Cir (Centro Italiano per i Rifugiati) www.cir-onlus.org. Affitti in nero: basta! Da luglio 2011 l’Uniat (Unione Nazionale Inquilini Ambiente e Territorio) offre assistenza completa per chi intende uscire dall’affitto in nero perché non solo è giusto ma anche conveniente. Info 06. 27858102. Le conclusioni spettano a Guglielmo Loy, segretario confederale Uil: “parlare di cose vere è il primo passo fondamentale per arrivare al cambiamento, soprattutto in un paese dalla doppia morale come il nostro. Dovremmo abbandonare tutte queste ultime leggi ostentatamente ‘cattive’ e troppo burocratiche, rafforzando anzitutto il valore e i diritti della carta di soggiorno. Si tratta di una battaglia sindacale perché se non sì dà nulla alle persone è ovvio che queste poi scelgano le vie più semplici per sopravvivere”.


 

 

 

 


Milano: Consiglio comunale propone l’abbonamento ridotto per gli immigrati irregolari.
Nella discussione sulla modifica dei prezzi dei trasporti pubblici, la maggioranza chiede di inserire la possibilità di effettuare l’abbonamento anche con documenti non in regola.


Milano, 21 ottobre 2011 - La possibilità dell’abbonamento dei mezzi pubblici ridotto anche per gli stranieri irregolari. È quanto prevede una proposta della maggioranza in Consiglio comunale di Milano, presentata da Luca Gibillini, che propone di estendere agli immigrati irregolari la possibilità di sottoscrivere abbonamenti all’Atm, l’azienda dei trasporti pubblici milanesi. Lo stesso sindaco, Giuliano Pisapia, non ha escluso modifiche in questa direzione alla delibera in discussione sui trasporti pubblici. Attualmente per il rilascio delle tessere elettroniche, l’Atm chiede un documento d’identità valido e il codice fiscale. Il Consiglio comunale ha approvato due giorni fa la delibera che concede a tutti i residenti a Milano con età superiore ai 65 anni e reddito Isee inferiore ai 16.000 euro la possibilità di viaggiare gratis, l’estensione a tutti i giovani fino a 26 anni, anche lavoratori, dell’abbonamento mensile ridotto prima riservato ai soli studenti. Il testo prevede anche la possibilità di utilizzare nelle domeniche a piedi programmate dal Comune il biglietto ordinario da 1,50 euro per tutto il giorno, la riduzione del 50% (150 euro anziché 300) del prezzo dell’abbonamento annuale per i genitori con famiglie numerose e la possibilità di trasportare gratuitamente le biciclette su tutte le linee della metropolitana dall’inizio del servizio alle 7 e dalle 20 alla fine del servizio.
(Red.)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foreign Press

 


Britain ponders copying harsh Danish policies on immigration

Oct 13th 2011, 16:26 by Bagehot


IN THIS week's print column, I look at big changes underway in the most sensitive area of immigration policy: the rules covering the right to bring foreigners into Britain as spouses or family dependents. Here it is: A WALL map of Britain, annotated with felt-tip warnings, dominates the bland offices of Karma Nirvana, the country’s only national helpline for victims of forced marriage. “Think Risks”, says one warning, and “Determine Safe Areas”. Callers—who numbered more than 5,000 last year, most of them women and half under 21—may well be in physical danger. Following threats, the helpline recently moved to anonymous offices somewhere outside Leeds, flanked by soot-blackened terraces and a multicultural takeaway (offerings include “Doner Chapattis” and pizza). Inside, staff discuss a new case: a 20-year-old taken to Pakistan for a “holiday” only to be bullied into a village marriage. Her family planned to keep her abroad until she turned 21, the minimum age for sponsoring a spouse’s visa (a rule introduced in 2008 to deter forced marriages). Somehow, she found funds for a flight home. The charity advises on how to find a refuge and seek an Islamic divorce. The mood is discreetly calm. Such calm is deceptive. Rules on family migration (covering immigrants from outside the European Union) are entering a period of upheaval. On October 12th the Supreme Court struck down the rule that when a foreigner marries a Briton both must be 21 or more to settle together in Britain. Citing the European Convention of Human Rights, judges called the rule a disproportionate “sledgehammer” to crack a nut of unproven size.

Two days earlier, the prime minister, David Cameron, used a speech to unveil big changes in family migration policy, all tightening controls. Nastily, he asked the public to shop suspected illegal immigrants to the authorities. On a more paternalistic note, he announced new criminal penalties related to forced marriage and a longer probation period before settlement rights are granted to a foreign spouse (to make marriages of convenience less convenient). He declared that family migrants must not be a “burden on the taxpayer”. He proposed raising the income threshold for sponsoring a foreign spouse, currently linked to the level at which welfare kicks in, to a hurdle at once higher and vaguer: showing that migrant families will not just “scrape by”. Last year Britain granted nearly 50,000 family migration visas, he said, yet a big majority of sponsors had post-tax earnings below £20,000 a year: incomes “this low” pose an “obvious” risk to taxpayers. That sounds objective enough. Yet dig deeper into government consultation documents and speak to Whitehall insiders and something messier swims into view. The philosophical underpinnings of family migration policy are shifting, towards a belief that, even for British citizens, importing foreigners to create a family in Britain is a privilege that must be earned, not a right. A similar debate already rages on the European continent. A British government consultation that closed earlier this month examined tough Dutch age thresholds and income tests, and asked for comments on a ferocious rule in Denmark, requiring a mixed Danish-foreign couple to show that their combined attachment to Denmark is “considerably greater” than to any other country. The Danish model is probably too radical for Britain, says a Whitehall source: but the government does believe that someone who wants to marry a foreigner must earn enough to support him or her—or move.

The perils of neat immigration arguments

What the British measures lack in ferocity, they make up for in hypocrisy. Ostensibly neutral tests involving income or age are not neutral at all. The top five nationalities granted British visas for marriage and partnership in 2010 were Pakistani, Indian, American, Nepalese and Bangladeshi. American applicants are mostly over 30 and earn more than the British median income. South Asian applicants are typically much younger, their sponsors are poorer, and they are less likely to work than their British peers. Privately, government sources admit that economic concerns are linked to worries about the number of second- or third-generation British Asians who send home to the subcontinent for spouses, a phenomenon that a senior figure says “perpetuates deprivation through new generations” as young men, especially, seek brides who are more “passive” than British-reared women. Nor are forced marriages (which should not be confused with arranged marriages) a geographically neutral phenomenon: two-thirds of calls to Karma Nirvana involve South Asians. In short, measures that appear to apply to migrants as a whole are actually directed at a particular group. Is that unfair? Not always but sometimes. Karma Nirvana’s staff are convincing when they say criminalising forced marriage is overdue. Only then, they argue, will, for instance, headmasters feel able to hunt for missing teenage pupils without fearing accusations of racism: “I have no choice,” they can say, “it is the law.” The charity is dismayed by the ruling on age thresholds, arguing that at 21 women are much likelier to resist a forced marriage. But a blanket ban that forces all international couples apart until both turn 21 feels disproportionate, even though it may help some vulnerable people. If the government is proposing income tests to tackle a different worry—some British Asians prefer spouses from ancestral villages—that feels unfair (millions of Britons “scrape by” on less than £20,000 a year; the rich can still import village brides). Better, probably, to plug away at integration and enforcing existing immigration controls: Keith Vaz, a Labour MP, says he has “hundreds” of British Indian constituents tricked into sham marriages, unable to interest officials in deporting ex-spouses. It is understandable that ministers worry about South Asians’ failure to integrate. But they should address the problem directly, instead of through rules that, by appearing to aim at a different target, may prove both unfair and ineffective.