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Sentenza n. 1133 del 27 ottobre 2011 Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

Rigetto della domanda tesa ad ottenere la concessione del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo per lavoro subordinato per insufficienza del reddito

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte


(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1043 del 2010, proposto da:*****, rappresentata e difesa dall'avv. Elena Cristaldi, con domicilio eletto presso Elena Cristaldi in Torino, piazza Solferino, 9;

contro

MINISTERO DELL'INTERNO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l'annullamento

del provvedimento di rigetto del Questore della Provincia di Torino Prot. n. *** del 28/06/2010 notificato in data 09/07/10 della domanda tesa ad ottenere la concessione del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo per lavoro subordinato, nonchè di tutti gli atti prodromici e consequenziali comunque connessi con il provvedimento di rigetto di cui sopra.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2011 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La sig.ra *****, di cittadinanza bosniaca, ha presentato istanza alla Questura di Torino per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Con provvedimento n. ***, del 28 giugno 2010, la Questura ha rigettato l’istanza motivando in base all’insufficienza del reddito della richiedente. Come si legge nel provvedimento l’interessata ha prodotto un modello CUD (anno 2009) da cui si ricava un reddito di euro 7.694,00, “insufficiente come indicato dall’art. 9 in combinato con l’art. 29 del D.L.vo 286/98 come modificato dal D.L.vo 160/2008, al sostentamento di un nucleo familiare composto da quattro persone e, pertanto, a soddisfare uno dei requisiti fondamentali previsti per l’ottenimento dell’autorizzazione richiesta”.

2. Avverso tale diniego la sig.ra Ahmetovic ha proposto impugnazione giurisdizionale, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare.

Nel ricorso, pur riferendo di avere “tre figli minori a carico, uno solo minore degli anni 14”, con conseguente reddito minimo di riferimento di euro 13.374,47 (ricavato dall’importo annuo dell’assegno sociale, che per l’anno 2009 è stato di euro 5.349,89, aumentato della metà per ogni familiare convivente, così come previsto dall’art. 29, comma 3, lett. b, del d.lgs. n. 286 del 1998, quale richiamato dall’art. 9, comma 1, del medesimo d.lgs.), la ricorrente sostiene di possedere comunque un reddito superiore a tale soglia: alla somma indicata dal CUD 2009, infatti, sarebbe “necessario aggiungere l’ammontare degli assegni familiari che vengono mensilmente corrisposti alla ricorrente”, pari ad euro 595,84 mensili. Ne discenderebbe “la manifesta illogicità, la manifesta ingiustizia e soprattutto l’erroneo presupposto di fatto che hanno indotto la Questura di Torino a rigettare l’istanza”, in uno con il vizio di difetto di motivazione.

3. A seguito di ordinanza istruttoria emessa da questo TAR, n. 754/i/2010 (con la quale si chiedeva all’amministrazione intimata di depositare, in particolare, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e la conseguente risposta dell’interessata), si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, con contestuale deposito di alcuni documenti (tra i quali una relazione sui fatti di causa, predisposta dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino) ma senza quelli che questo TAR aveva specificamente chiesto.

Successivamente, la ricorrente ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

4. Con ordinanza n. 868 del 2010 questo TAR ha accolto la domanda cautelare, ritenendo la sussistenza, ad un primo sommario esame, del fumus boni iuris.

Con memoria depositata in data 2 settembre 2011 la ricorrente ha ribadito le proprie argomentazioni in diritto.

Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2011, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Il ricorso è fondato, dovendosi in questa sede confermare la valutazione già resa da questo TAR nella sede sommaria dell’incidente cautelare.

Deve preliminarmente osservarsi che il godimento degli assegni familiari da parte della ricorrente costituisce circostanza sicuramente nota all’amministrazione già durante la pendenza del procedimento amministrativo volto al rilascio del permesso di soggiorno CE che era stato richiesto. Ciò discende sia dal fatto che, in sede di relazione sui fatti di causa, l’amministrazione non ha eccepito la mancata produzione degli assegni familiari nella sede procedimentale (unicamente limitandosi a replicare alle argomentazioni in diritto della ricorrente, argomentazioni che davano per scontato che quegli assegni fossero già conosciuti dall’amministrazione), sia dalla circostanza che l’apposita istruttoria giurisdizionale ordinata da questo TAR non ha prodotto alcun risultato utile per siffatta verifica: se ne deve dedurre, in applicazione del principio di non contestazione (art. 64, comma 2, cod. proc. amm.), che tali assegni hanno formato oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione ancor prima dell’adozione dell’atto di diniego qui impugnato.

Ciò premesso, osserva il Collegio – sulla scorta di un costante orientamento giurisprudenziale – che il reddito di riferimento per la valutazione delle concrete possibilità di dignitosa sopravvivenza di uno straniero in Italia è quello derivante non solo dal lavoro esercitato, ma anche da ogni altra fonte legittima (come già prevedeva l’art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 416 del 1989, convertito in legge n. 39 del 1990): la ratio sottesa è quella di assicurare che lo straniero abbia i mezzi indispensabili per un dignitoso sostentamento, impedendogli così di dedicarsi ad attività illecite o criminose (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5495 del 2004; TAR Toscana, sez. I, n. 450 del 2002). Nell’attuale quadro normativo l’assunto è confermato dall’art. 29, comma 3, lett. b, del d.lgs. n. 286 del 1998, laddove si indica il “reddito minimo annuo” che deve dimostrare l’immigrato come “derivante da fonti lecite”, quindi non necessariamente dal reddito da lavoro che è possibile individuare in base al CUD.

Ne consegue che se – come nella presente fattispecie – l’interessato riesca a dimostrare il possesso del reddito minimo anche avvalendosi di voci reddituali diverse da quelle da lavoro, purché ovviamente “lecite”, come ad esempio i proventi dell’assegno familiare mensile, ciò deve ritenersi del tutto idoneo ad integrare il requisito richiesto dalla legge.

Non vale replicare – come fa la Questura nella relazione citata – che, in base all’art. 2, comma 9, del decreto-legge n. 69 del 1988, convertito in legge n. 153 del 1988, l’importo dell’assegno familiare non è da computare nel reddito familiare. E’ evidente, infatti, che tale previsione ha un ambito di applicazione unicamente di natura previdenziale, essendo volta a stabilire, ai soli fini previdenziali, qual è la base di calcolo per l’ammontare dell’assegno familiare stesso. Al di fuori dell’ambito strettamente previdenziale, ed a maggior ragione nel momento in cui si debba stabilire l’ammontare monetario del reddito di una persona fisica per saggiarne le possibilità di mantenimento e di dignitosa sopravvivenza nella società, non può non riconoscersi – in linea con la ratio delle disposizioni sull’immigrazione, prima segnalata – che anche l’assegno familiare percepito mensilmente possa utilmente concorrere al concetto di “reddito derivante da fonti lecite” previsto dalla legge.

6. Il ricorso, pertanto, è da accogliere, con annullamento del diniego impugnato.

In esecuzione della presente sentenza l’amministrazione dovrà quindi ripronunciarsi sull’originaria istanza presentata dalla ricorrente, considerando senz’altro soddisfatto il requisito reddituale di cui all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998.

Le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti, in considerazione della natura della presente controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Accoglie

il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento n. ***, del 28 giugno 2010, della Questura di Torino.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011        
                 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/10/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Giovedì, 27 Ottobre 2011

 
 
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