Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
10 settembre 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Consiglio UE: l’Italia rispetti
i diritti delle minoranze
pag. 2
o
Tassa sulle rimesse: una
misura inutile e propagandistica pag. 2
o
Rimesse nel mirino: ogni
anno 6,4 miliardi di euro pag. 3
o
Società – Il giudice:
non chiamate gli stranieri extra comunitari pag. 4
o
Società – Universitari
stranieri: sì del Governo a 50 mila ingressi
pag. 5
o
Società – Arficani in
attesa di asilo nel CARA di Anguillara pag. 5
o
Lampedusa – Da mesi
respingimenti in mare pag. 7
o
UNAR– I risultati
dell’osservatorio per la sicurezza contro le discriminazioni pag. 9
o
Dai territori – La
top 10 degli immigrati in Italia pag.
10
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 316
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 08 settembre 2011, ore
10.30
Incontro con Romulo
Salvator, delegato del sindaco su immigrazione
(Giuseppe Casucci)
Danzica (Polonia), 13 – 14
settembre 2011
Seminario OIL: “Lavoro
dignitoso per i migranti in situazioni di precarietà nella UE a 27”
(Giuseppe Casucci)
STRASBURGO,
07 settembre 2011 (Reuters) - Il Commissario del
Consiglio Europeo per i diritti umani, Thomas Hammarberg, ha espresso grande
preoccupazione per la situazione dei Rom e degli immigrati in Italia e ha
invitato le autorità italiane a rispettare maggiormente i diritti delle
minoranze. Lo si legge nella relazione che lo stesso Hammarberg ha presentato
oggi dopo la sua visita in Italia del 26 e 27 maggio, durante la quale ha
discusso della situazione della minoranza Rom e dei migranti nordafricani. "La
situazione dei Rom e dei Sinti in Italia rimane un motivo di grande
preoccupazione. C'è bisogno di uno spostamento di attenzione dalle misure
coercitive come gli sgomberi forzati e le espulsioni verso l'integrazione
sociale, e la lotta a contro la discriminazione degli immigrati", ha detto
Hammarberg, che ha lamentato la violazione dei diritti umani in alcuni episodi
di sgomberi avvenuti in Italia. "Le autorità italiane dovrebbero agire in
conformità con gli standard internazionali e del Consiglio Europeo per quanto
riguarda abitazioni e sgomberi, e dovrebbero riportare la situazione pienamente
in linea con la Carta Sociale Europea".
Hammarberg ha
anche espresso preoccupazione per gli slogan politici razzisti e xenofobi e ha
ribadito la necessità di misure efficaci per contrastare questo fenomeno, comprese
iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici e la vigorosa
attuazione delle leggi contro i reati legati al razzismo. Alcuni episodi di
violenza nei confronti dei Rom, ha detto Hammarberg, a volte anche perpetrati
da funzionari di sicurezza, segnalano la necessità per le autorità di
migliorare la risposta alla violenza derivata da motivazioni razziste. "E'
necessario migliorare la gestione dei reati a sfondo razzista e combattere gli
episodi cattiva condotta, legati al razzismo, da parte della polizia. In
particolare, il sistema di monitoraggio degli incidenti a sfondo razziale
dovrebbe essere più flessibile e più attento alle necessità della
vittima". Il Commissario ha ribadito la sua raccomandazione alle autorità
italiane affinché queste ultime affrontino la situazione di molti apolidi Rom
arrivati in Italia dall'ex Yugoslavia e dei loro discendenti, che sono ormai
quasi 15.000. Hammarberg ha invocato una strategia nazionale per l'integrazione
di Rom e Sinti che sia di supporto agli sforzi degli attori locali e regionali
in questo campo, e ha suggerito come primo passo la creazione di una task forze
a livello nazionale che garantisca questo supporto. "I sempre più
frequenti arrivi dal Nord Africa sottolineano la necessità per Italia e Europa
di fare di più per assicurare il rispetto dei diritti dei migranti, compresi i
richiedenti asilo".
La
disposizione contenuta nella manovra economica del Governo di tassare del 2%
gli invii di denaro all’estero per tutte le persone sprovviste di codice
fiscale e sanitario, appare incomprensibile e propagandistica e rischia –
se non precisata - di penalizzare solo i turisti presenti nel Paese
eventualmente interessati a trasferimento di denaro. In effetti, una legge
dello stato ed approvata da questa maggioranza, la n. 94 del 2009, già
impedisce agli immigrati irregolari di far uso degli strumenti legali di
trasferimento finanziario, tramite banche o money transfer, per cui la norma
attuale appare inefficace nei confronti di chi è privo di permesso di soggiorno
che, come noto, ricorre a canali informali di trasferimento delle rimesse o a
prestanome di comodo. Il dispositivo, dunque, appare destinato a non produrre
alcun risultato, tranne forse scoraggiare ulteriormente il turismo straniero in
Italia. vSe si volesse combattere davvero il lavoro irregolare, basterebbe ad
esempio applicare la direttiva CE n.52 (entrata in vigore lo scorso luglio)
volta a colpire chi sfrutta il lavoro etnico in nero. Roma, 7 settembre 2011
Di Fabrizio Caccia
Roma,
4 settembre 2011 - Per colpa della crisi economica, già l' anno scorso gli
stranieri che vivono e lavorano in Italia si videro costretti a inviare alle
proprie famiglie in patria meno risparmi del solito: in tutto circa 6,4
miliardi di euro di rimesse (meno 5,4 per cento rispetto al 2009), facendo
registrare per la prima volta un calo allarmante. Che succederà, adesso, con l'
introduzione della nuova tassa del 2% sul money transfer prevista dalla manovra
del governo? Marco Marcocci, 48 anni, è uno studioso di migrant banking, cui ha
dedicato un libro e poi anche un sito (www.migrantiebanche.it). Sulla sua
scrivania campeggia una ponderosa ricerca della Fondazione «Leone Moressa»,
istituto nato nel 2002 che sforna ogni anno statistiche interessanti legate
alla presenza degli stranieri in Italia. Mediamente - secondo questa ricerca -
ogni straniero che vive qui da noi invia nel proprio Paese 1.508 euro all'
anno, destinati per lo più in Asia e in Cina. Si stima che i cinesi che
risiedono in Italia riescano a mantenere oltre mezzo milione di connazionali in
patria. E ancora: sono Roma, Milano, Napoli e Firenze le province da cui
defluisce il maggior importo di rimesse verso l' estero attraverso i canali di
intermediazione regolare (banche, poste, sportelli di money transfer). E dunque
adesso che succederà? «Io credo che la nuova tassa produrrà un gettito davvero
irrisorio per le casse dello Stato - dice Marcocci -. Perché quelli in regola,
con il codice fiscale e l' iscrizione all' Inps (nel 2008 erano 2.727.254 i
lavoratori stranieri assicurati) non saranno soggetti alla nuova imposta.
Mentre chi non ha il permesso di soggiorno, chi lavora in nero e via dicendo
continuerà a servirsi come oggi dei canali cosiddetti informali. E si stima che
le rimesse irregolari raggiungano cifre ben più alte...». Già, i canali
informali: come i tanti cittadini dell' Est che affidano i loro soldi ad amici
e conoscenti che tornano a casa in auto o in pullman. O come i latinoamericani
che ricorrono a corrieri che lavorano per conto di agenzie e viaggiano in aereo
senza dichiarare la somma che esportano. Eppoi ci sono le carte di credito
prepagate e spedite oltreoceano per posta ordinaria. Sono tanti i sistemi: ci
sono i «banchieri di strada», che raccolgono qui in Italia il denaro dei
connazionali e poi danno l' ordine in patria di versare alle loro famiglie
delle somme (quasi) corrispondenti. Ma soprattutto non bisogna dimenticare i
tanti money transfer (erano 687 nel 2002, sono diventati oltre 34 mila nel
2010) allocati qui in Italia presso phone center, Internet point, centri
commerciali, cartolerie, dove gli addetti sono molto spesso essi stessi
cittadini stranieri. «È così - conferma Bachcu, 45 anni, presidente dell'
associazione dei bengalesi a Roma Dhuumcatu -. Gli addetti al money transfer
non sono pubblici ufficiali, perciò oggi basta presentare un documento, pure
semplicemente il proprio passaporto, e si ha diritto a mandare i soldi all'
estero. E poi chiunque in Italia, anche i 700 mila stranieri che non hanno
ancora il permesso di soggiorno, può procurarsi un codice fiscale: basta andare
su Internet, seguire le istruzioni su come calcolarlo e poi stampare. Io credo
perciò che non cambierà proprio nulla. Falso allarme. È solo propaganda
leghista contro gli stranieri...». La senatrice del Pd, Anna Maria Carloni, ha
parlato di «accanimento verso i deboli» a proposito dell' emendamento della
Lega che ha previsto la nuova tassa. «Anch' io resto sorpreso - conclude Marco
Marcocci di «Migranti e Banche» -. Il governo italiano, alla Conferenza
internazionale di Roma che si tenne nel novembre 2009, elaborò un progetto da
presentare al G8 dell' Aquila per ridurre drasticamente il costo delle rimesse
degli immigrati, al fine di non distogliere risorse ai loro Paesi d' origine.
Bisognerebbe piuttosto proseguire in quella direzione».
Immigrati, la svolta del giudice: "Non chiamateli più
extracomunitari"
Circolare del
procuratore capo di Savona: "Termine sgradevole, definiteli soltanto
stranieri"
Le parole
nascono neutre, spiega il docente di Lettere Vittorio Coletti, ma con il tempo
ed un uso sbagliato possono diventare cattive e fare del male. E' per questa
ragione che il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha deciso di
compiere un passo tanto semplice all'apparenza quanto radicale per il fine che
si prefigge. Nei prossimi giorni firmerà una circolare con cui chiederà a tutti
gli uffici di polizia giudiziaria e in genere delle forze dell'ordine che con
la procura hanno rapporti quotidiani, di depennare dalle loro relazioni e
denunce il termine "extracomunitario". “Credo che la parola abbia ormai
assunto un'accezione negativa che trovo sgradevole - spiega il procuratore
Granero - quindi chiederò ai vari uffici di utilizzare il termine
"cittadino straniero", anche per rendere più omogenei gli atti visto
che viene abitualmente adoperato quello di "cittadino
italiano"".
Le segnalazioni, i verbali di arresto o di sequestro di merce contraffatta nei
confronti di "cittadini stranieri", ma anche le denunce presentate in
qualità di parti offese da nordafricani, sudamericani, asiatici, dovranno fare
a meno di un vocabolo ormai utilizzato automaticamente.
Il magistrato, visto il ruolo, non si spinge oltre nelle spiegazioni, ma la
modifica che verrà introdotta all'interno di rapporti provenienti da polizia,
carabinieri, guardia di finanza, vigili urbani, rappresenta comunque una
piccola rivoluzione, non solo lessicale. Lo pensa Vittorio Coletti
docente
universitario del dipartimento di italianistica alla facoltà di Lettere:
"Quello del procuratore Granero è un gesto di grande civiltà. Quando una
parola assume una connotazione così negativa, che per molti va quasi ad
identificarsi automaticamente con chi delinque, è giusto che chi rappresenti la
legge opti per espressioni più neutre". Per Coletti extracomunitario in
origine era un termine privo di sfumature. "Purtroppo - continua il
docente - nella storia tutti i nomi utilizzati per indicare gli stranieri,
hanno avuto un valore negativo, basti pensare al termine "barbaro"
usato dai greci. Extracomunitario nasce negli anni '80 per indicare persone non
appartenenti all'Unione europea, ma è finito a rappresentare quella parte di
cittadini che vengono da noi a cercare lavoro e che hanno cultura, tradizioni e
comportamenti diversi dai nostri. Nessuno pensa che sia extracomunitario uno
statunitense o un canadese. E proprio perché ha assunto forte connotazione di
tipo culturale ed economico, non è più una parola neutra". C'è da
chiedersi se un'operazione di questo tipo, che riguarda esclusivamente la
lingua e la scelta delle parole, possa portare cambiamenti concreti nel
quotidiano rapporto tra cittadini italiani e stranieri. "Bene ha fatto - è
convinto Coletti - il procuratore a chiedere una generica indicazione di
cittadino straniero, sperando che questo faccia capire che la differenza non è
di luogo di provenienza ma attiene al modo con cui ci si rapporta. In genere la
lingua non precede e non orienta mai i comportamenti delle persone, piuttosto
li riflette dopo. Speriamo quindi che la scelta della procura di Savona aiuti
in parte a capire, ad avere un atteggiamento non preventivamente discriminatorio".
Totalmente d'accordo con l'iniziativa del collega Granero è anche Francesco
Pinto, presidente della sezione ligure dell'Anm, l'Associazione Nazionale
Magistrati. "In generale direi che è senz'altro una direttiva utile -
commenta Pinto - . Nello specifico aggiungo che la decisione del procuratore
Granero riveste anche un'importante valenza tecnica, visto che sembra
uniformarsi agli indirizzi della Corte di Giustizia Europea la quale, in più
occasioni, ha sottolineato come vadano eliminate anche le discriminazioni
lessicali. Dal punto di vista terminologico credo anche io che, con il passare
del tempo, l'espressione extracomunitario abbia ormai acquisito un'accezione
vagamente razzista, ed è quindi positiva e da apprezzare la decisione del collega
di Savona".
Pubblicato il
decreto con il tetto massimo dei visti. Ma riguarda lo scorso anno accademico e
gli interessati sono arrivati in Italia un anno fa
Di Elvio Pasca
Roma, 2
settembre 2011 - Sono 48.877 i visti d'ingresso a disposizione degli studenti
extracomunitari per l'anno accademico 2010/2011, 42.482 riservati a chi si
iscrive in un'università, gli altri 6.395 mila a chi ha scelto accademie di
arti drammatiche, danza e belle arti o conservatori. A fissare i numeri è un
decreto arrivato mercoledì scorso in Gazzetta Ufficiale, emanato dal ministero
degli Esteri di concerto con il Viminale e il ministero dell'Istruzione. Un
testo che però arriva abbondantemente in ritardo rispetto agli studenti e che
avrà ben poche ricadute pratiche. Il numero di visti ricalca la disponibilità
di posti riservata dagli atenei italiani agli studenti stranieri residenti
all'estero, dal momento che quelli che sono già regolarmente in Italia possono
iscriversi a parità di condizioni con gli italiani. La partita però è già
chiusa, perché le preiscrizioni dall'estero per l’anno accademico 2010/2011
andavano fatte a maggio 2010 e gli studenti ammessi sono in Italia dal
settembre dello scorso anno. Il governo si è limita quindi a fissare un tetto
massimo, più che sufficiente per coprire tutte le domande di visto di ingresso
per studio presentate ai consolati. Basti pensare che gli stranieri che
complessivamente sono iscritti alle università italiane, tra vecchi e nuovi
arrivi, sono circa sessantamila.
Roma - (Ign) - Da oltre un mese i
ragazzi, partiti anni fa dalla Nigeria, dal Ghana, dal Mali, aspettano l'esito
della domanda in un Centro di accoglienza a 45 km da Roma che un tempo era un
agriturismo
Roma,
4 sett. (Ign) - Una sola speranza: ottenere l’asilo politico. Da oltre un mese
92 ragazzi africani aspettano l’esito della loro domanda in un ex agriturismo
trasformato in Centro d’accoglienza per richiedenti asilo (Cara) a 45
chilometri da Roma, nelle campagne che circondano il lago di Bracciano. Le telecamere Adnkronos sono entrate nel centro - il
video andrà in onda mercoledì prossimo sul Rotocalco Adnkronos e sul sito Ign -
per raccontare le loro storie e i loro sogni. Partiti anni fa dalla Nigeria,
dal Ghana, dal Mali, dalla guerra permanente della Somalia. Molti di loro hanno
lavorato in Libia ma poi la guerra è arrivata anche là. “Io vengo dalla Nigeria
– racconta Kingsley, 27 anni e un filo di voce –
Ho lasciato il mio Paese nel 2008 per andare in Libia. Quando sono partito
avevo appena perso mia madre. Eravamo rimasti in sei a casa, tutti orfani e non
avevamo la possibilità di sopravvivere”. Negli occhi scuri di Kingsley ora è
come se si riaprisse uno squarcio su un luogo della memoria che i giorni
passati a cercare di sopravvivere avevano allontanato. “Avevo un grande negozio
di elettrodomestici in Nigeria – racconta fissandosi le mani – ma me lo hanno bruciato. Non avevamo assistenza dal
governo, nessun aiuto. Io avevo degli amici che lavoravano in Libia, mi hanno
detto che avrebbero potuto darmi una mano se fossi andato lì, che era un Pese
dove si poteva lavorare. Così – continua tutto d’un fiato – con il loro aiuto sono andato in Libia e ho lavorato per due anni,
un buon lavoro ma poi è arrivata la guerra. Sono scappato. Il 5 maggio sono
arrivato in Italia”. Rialza la testa, lo sguardo è stanco come se quel percorso
lo avesse appena fatto una seconda volta. “Ringrazio Dio – dice - di
avermi fatto attraversare vivo il mare. Ringrazio anche il governo italiano per
avermi salvato quando eravamo ancora sulla barca”. Kingsley come gli altri è
arrivato al C.a.r.a di Anguillara Sabazia da Lampedusa, dopo essere passato per
un altro centro a Civitavecchia. Oggi vive qui, in una struttura composta di
piccole case affiancate una all’altra dove i migranti sono stati divisi per
nazionalità, rispettando i legami che nel frattempo si sono
venuti a creare tra loro. Intorno, un giardino ampio, un campo di
calcetto, una piscina senz’acqua, il prato protetto dalle siepi dove ogni tanto
qualcuno si ritira a pregare con lo sguardo diretto verso La Mecca.
Mentre
Kingley racconta, arrivano le risate del gruppo che nella stanza accanto fa
lezione di italiano. “Hanno tutti una gran voglia di imparare la lingua –
spiega la direttrice del centro Grazia Verdone –
hanno fretta di inserirsi. E noi li aiutiamo facendogli corsi di educazione
civica e ambientale, mettendogli a disposizione un avvocato che li segue nelle
pratiche e li prepara al colloquio che dovranno sostenere davanti alla
commissione che decide se accogliere o meno la loro richiesta di asilo”.
Intanto nel piazzale di fronte all’ufficio Monday,
la camicia bianca senza maniche e lo sguardo cupo, cammina su e giù. E’ un
ragazzone alto, ha muscoli da atleta, di quei tipi che nei film americani farebbero
la parte del bullo di Harlem. Ad un tratto si ferma, entra dritto nell’ufficio
dove Kingsley ha appena finito di raccontare la sua storia. “Voglio parlare
anch’io”, dice. E non è una domanda. Davanti al microfono acceso è un fiume in
piena: “Abbiamo lavorato in Libia ma tutto per noi è stato
sempre molto duro: non c’è rispetto per i diritti umani, non c’è un buon
livello di vita. Noi abbiamo sopportato perché non volevamo tornare nel nostro
Paese. In Libia molte persone sono state uccise, le donne sono state stuprate,
abusate, rapite. Non c’è stata nessun’altra opzione che decidere di partire per
l’Europa. Quando siamo arrivati qui – continua con la voce tesa –
l’Italia ci ha accolto e siamo molto contenti che ci abbiano dato una casa, che
si siano presi cura di noi. Ma questo – dice – non è tutto ciò di
cui abbiamo bisogno. Ciò di cui abbiamo bisogno è libertà,
rispetto dei diritti umani. Noi siamo neri, voi siete bianchi, ma siamo
figli di un unico Dio. Lasciateci dimostrare l’amore di questa differenza”.
Quello di Monday è un appello agli italiani, una richiesta di accoglienza a
quelle persone che talvolta li guardano con sospetto. “L’Europa si è fatta
carico di noi – spiega - perché questa è la nostra ultima speranza. Molta gente è morta in mare, molta gente è morta in Libia, molta
gente è morta nel deserto. Noi – scandisce – siamo gli unici
sopravvissuti e se l’Italia non ci accetta per noi è finita. Il mio sogno di
tutti i giorni – aggiunge con voce morbida, quasi malinconica – è
vivere in un posto dove la gente mi ama e dove io posso fare qualcosa per loro
e loro qualcosa per me”. Alza lo sguardo, scatta in piedi, ora negli occhi non
c’è più nulla del bullo di Harlem: sta sorridendo, liberato. Come Monday tutti
sanno che fuori al cancello del centro c’è una realtà meno protetta di quella
in cui vivono in questi giorni. Vogliono lavorare ma sanno che anche per gli
italiani oggi è difficile trovare un impiego. “Loro però hanno tutti un
mestiere in mano – spiega Anna Maria Brundu che
tra le altre cose gli insegna italiano – ci sono ingegneri meccanici,
falegnami specializzati, elettricisti, panettieri, musicisti. Tutti sono
giovani tra i 25 e i 35 anni e conoscono almeno due lingue, o l’inglese o il
francese a seconda del Paese di provenienza”. Nel centro ci sono anche donne, o
per meglio dire ragazzine. In tutto sono 37, quattro sono
incinte e una è qui con il marito e il figlioletto di un anno appena compiuto.
Sono più schive degli uomini, nessuna ha voglia di parlare. Meglio che a farlo,
se ci sono, siano i compagni. “Ringrazio l’Italia per aver accolto me, mia
moglie e mio figlio – dice Ilori – Speriamo che la commissione
possa accogliere la nostra richiesta. Io sono un meccanico, ho già fatto questo
lavoro in Libia e spero di poter trovare un lavoro anche qui
per poter mantenere la mia famiglia. Noi - dice con le mani intrecciate
sul petto come in una preghiera – ci impegniamo a imparare l’italiano per
poter lavorare e inserirci nella vostra società rispettando le leggi e le
consuetudini italiane”.
Emergenza Mediterraneo
Lampedusa,
da mesi respingimenti in mare. Ecco come l’Italia viola le leggi internazionali
(www.terrelibere.org) Da mesi l`Italia
effettua respingimenti in mare tra Lampedusa e Tunisia. Un salvataggio diventa
respingimento dopo una telefonata. Un profugo saharawi potrà chiedere asilo
solo perché si è gettato in mare rompendosi una gamba. Un tunisino viene fatto
sbarcare perché si è portato da casa la carrozzina. Il governo rischia la
condanna a Strasburgo per i respingimenti del 2009. Maroni si vanta delle
espulsioni. E a Lampedusa le notizie sono censurate e l`isola è blindata.
Di Antonello Mangano, Terre
Libere
LAMPEDUSA
(AG), settembre 2011 - “Abbiamo scritto alle autorità competenti esprimendo
preoccupazione per l`avvenuto respingimento. La nostra posizione rimane la
stessa: no ai respingimenti`, ci dice Laura Boldrini, portavoce dell`ACNUR,
l`agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati. “Chiediamo semplicemente
l`accesso al territorio, la procedura di identificazione, l`accesso alla
procedura di asilo e – in caso negativo – il provvedimento di
respingimento`. La richiesta è molto chiara: “Chiediamo solo l`applicazione
della legge. Anche se sappiamo che i tunisini sono spesso migranti economici,
l`esame deve comunque essere individuale poiché la legge non ammette
provvedimenti collettivi di allontanamento dal territorio`. Qualche giorno fa
un singolare episodio a Lampedusa ha svelato che l`Italia ha ripreso la pratica
illegale dei respingimenti collettivi. Una motovedetta della Finanza entra in
porto e riprende il mare a tutta velocità. Sul molo un cordone di polizia tiene
indietro gli operatori delle associazioni umanitarie, con l`eccezione di un
medico dell`Ordine di Malta che sale sui natanti e constata che ci sono sette
persone in precarie condizioni fisiche. In mare aperto, centoquattro migranti
venivano invece trasferiti a bordo di una motovedetta tunisina. Tra i sette
malati, due donne, un minore, un uomo in barella e un paraplegico, partito
direttamente con la carrozzina. Un evento di soccorso – la barca era in
avaria e imbarcava acqua – che diventa un respingimento dopo un ordine
che arriva dal Viminale. Perché si tratta di pratiche illegali? Uno straniero
ha il diritto di accedere alla pratica dell`asilo, poi sarà la commissione
italiana a decidere se accordarlo o meno. Il nostro governo è già sotto
processo per i respingimenti del 2009, quando i profughi delle guerre del Corno
d`Africa furono ricacciati in Libia in seguito agli accordi tra Berlusconi e
Gheddafi. Il procedimento è in pieno svolgimento per violazione della
Convenzione di Ginevra e della Convenzione europea dei diritti dell`uomo. Si
attende la sentenza. Anche in questo caso sono stati stipulati accordi
bilaterali, ma con il governo provvisorio tunisino, mai legittimato dalle urne.
I tunisini sono ritenuti “migranti economici`, dunque non potrebbero accedere
all`asilo. Ma per legge l`esame deve avvenire sulla base della storia individuale
e non per provenienza etnica. E poi non è detto che su una barca che viene
dalla Tunisia ci siano solo tunisini. Nel corso del respingimento citato,
infatti, un uomo si è gettato in mare durante il trasbordo, appena ha capito
che stava per tornare indietro. Nella caduta si è ferito alla caviglia. E`
stato soccorso e l`unità della Marina Militare è rientrata alle cinque del
mattino. Il profugo ha poi dichiarato di essere saharawi, dunque è un
potenziale richiedente asilo che potrà accedere alla procedura solo perché è
sfuggito al respingimento tuffandosi in piena notte. Il popolo del Sahara
occidentale lotta per l`indipendenza già dalla decolonizzazione spagnola ed è
perseguitato dal Marocco che non riconosce il piccolo stato tra deserto e
oceano Atlantico.
Per tutti gli altri il diritto
di chiedere asilo è stato cancellato da uno sguardo. Il personale che partecipa
ai soccorsi ci spiega cosa succede in questi casi. Se arrivano ordini dall`alto
si procede al respingimento. “Quanto arrivano da ovest supponiamo che siano
tunisini. Dalla carnagione si riesce intuitivamente a capire se sono
maghrebini. Distinguiamo i tratti somatici dei somali da quelli dei tunisini`.
Ma come riconoscere un saharawi? La vera identificazione si può fare solo a
terra. E così un`occhiata – o una telefonata in ritardo - decide il
destino delle persone. Tutte le fonti interpellate – dagli operatori
umanitari ai testimoni, fino ai protagonisti del soccorso – ci confermano
il contrasto tra leggi del mare (l`obbligo di salvare vite umane) e ordini
“romani`, in questo caso giunti con un ritardo che ha permesso almeno di
sbarcare i migranti visibilmente malati. E` palpabile la tensione tra il dovere
di obbedire e l`etica di uomini che hanno scelto come mestiere il salvataggio
in mare. Il respingimento del 21 agosto non è un caso isolato. Da mesi viene
attuata questa politica. La barca viene solitamente individuata dai
pattugliatori che quotidianamente scandagliano il mare. Un lavoro costante che
coinvolge le unità della Finanza, della Capitaneria e quelle della Marina
Militare in missione presso le coste tunisine (due navi a rotazione e un aereo
Atlantic). I comunicati ufficiali dello Stato maggiore della Difesa parlano
genericamente di “sorveglianza per l`emergenza immigrazione in applicazione
dell`intesa italo-tunisina`. Se ci sono segnali di pericolo (nave alla deriva o
che imbarca acqua) si attiva la procedura SAR (Search and Rescue), per cui i
migranti vengono soccorsi. In caso contrario, si trasbordano i migranti sulle
navi della Marina e quindi sulle motovedette tunisine. “Non saprei dire quanto
i respingimenti frenano il flusso di tunisini`, ci dicono. “Dal Ministero
dell`Interno ci sono delle questioni di ordine pubblico. Se prevedono che
queste persone non devono venire, perché ci sono dei motivi sopra di me,
solitamente ci danno delle indicazioni`. Ordini che permettono a Maroni –
come avvenuto qualche giorno fa al Meeting di Rimini – di vantarsi dei
numeri (13 mila rimpatri in 6 mesi, ma i dati sono evidentemente falsati dai
respingimenti) e presentarsi alla base leghista come freno all`immigrazione.
Dal primo al 21 agosto sono sbarcate a Lampedusa 4.637 persone dalla rotta
libica e appena 497 dalla Tunisia. Con condizioni meteomare ideali e una
distanza di poche miglia, si tratta di un numero ridicolo. Lo scorso due agosto
il Parlamento ha approvato un decreto proposto da Maroni che permette la
detenzione in un CIE (Centri di identificazione) fino a un anno e mezzo.
Dunque, per conoscere l`identità di un migrante possono bastare pochi minuti in
mezzo al mare e un`occhiata. Oppure servono 18 mesi in una struttura detentiva
e una sequenza interminabile di documenti che viaggiano dai consolati. Molti
“ospiti` dei CIE hanno subito condanne penali, dunque dovrebbero essere già
abbondantemente identificati. E invece vengono ulteriormente trattenuti.
A Lampedusa sono arrivati e
arrivano centinaia di giornalisti da tutto il mondo. La ricerca e la verifica
delle notizie, nel corso del tempo, è diventata sempre più difficile. E`
praticamente impossibile parlare coi migranti, rinchiusi nella vallone del
centro di accoglienza, da cui teoricamente potrebbero uscire. La struttura è
protetta dai corpi militari e da un check point come fosse la più segreta delle
basi militari. Nei centri per migranti non si entra in seguito alla circolare
di marzo che permette l`ingresso solo alle associazioni umanitarie. “Stanno
rinchiusi perché così le procedure sono più rapide. Non abbiamo niente da
nascondere`, ci dicono i responsabili degli enti gestori. Sta di fatto che
nessuno sa cosa succede dall`altra parte delle sbarre e vengono fuori solo le
notizie più gravi, come la sassaiola di ieri messa in atto dai tunisini che si
oppongono al rimpatrio. I migranti erano usciti dal centro e avevano inscenato
una protesta al molo. Sono stati riaccompagnati dentro, dove hanno continuato
la rivolta. Nell`isola nessuno rilascia dichiarazioni, né tra i corpi militari
né tra le organizzazioni umanitarie. Tutti parlano a livello informale, anche
per ore, e poi ci rimandano all`ufficio stampa nazionale, l`unico abilitato a
parlare. Gli effetti possono essere curiosi. Da Roma, l`ufficio stampa della
Guardia di Finanza conferma il respingimento ma smentisce la manovra al porto,
che però è confermata dalle riprese effettuate dagli inviati di Sky e dalle
foto di un free lance. “Io le dico quello che so da Roma... So quello che è
stato riportato dai miei colleghi...`. Quelli che in loco hanno visto non
possono parlare, coloro che sono abilitati a parlare non hanno potuto vedere. A
Lampedusa la verità è nascosta da una ragione di Stato che si confonde con gli
interessi di pochi politici. La legalità è sospesa e sono in vigore le
procedure di emergenza. Decine di camionette militari e posti di blocco
garantiscono la tranquillità dei turisti lombardi e veneti e l`invisibilità dei
migranti. I militari sorvegliano persino il deposito dei barconi degli
immigrati. Le convenzioni internazionali vengono violate. E finora nessuno
trova niente da ridire, fatta eccezione per un comunicato dell`Arci e per la
protesta dell`Acnur che riportiamo per la prima volta.
Osservatorio
per la sicurezza contro gli atti discriminatori: risultati e prospettive ad un
anno dalla costituzione!
Il 5 settembre nella sala Da
Gasperi della Scuola Superiore di Polizia si è tenuto l’incontro promosso dall’Ufficio Nazionale Anti
discriminazioni Razziali (UNAR ) e dall'Osservatorio per la sicurezza contro
gli atti discriminatori (Oscad) relativamente all’attività svolta, risultati e
prospettive, ad un anno dalla sua
costituzione. 129 le segnalazioni pervenute, da ottobre ad agosto di questo
anno, delle quali il 44% concernenti atti di discriminatori costituenti
reato; 26% concernenti atti discriminatori già definiti,; il 18% concernenti atti discriminatori
trattati mentre il 16% inviate
alla polizia postale (segnalazioni quest’ultime in continua crescita).
L’OSCAD è stato istituito allo scopo di
agevolare i soggetti facenti parte di minoranze nel concreto godimento del
diritto all'uguaglianza dinanzi alla legge ed alla protezione contro le
discriminazioni. Rimuovere gli ostacoli che impediscono la fruizione di tale
diritto universale, riconosciuto dalla "Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo" nonché da varie Convenzioni europee ed internazionali,
è segno del livello di civiltà di un Paese e costituisce, pertanto, un
obiettivo da perseguire con determinazione. L'OSCAD, incardinato nell'ambito
del Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale della polizia
criminale, è presieduto dal prefetto Francesco Cirillo, vice direttore generale
della pubblica sicurezza - direttore centrale della polizia criminale, ed è
composto da autorevoli rappresentanti della Polizia di Stato e dell'Arma dei
Carabinieri.
In particolare l'OSCAD:
Ø mantiene
rapporti con le associazioni rappresentative degli interessi lesi dalle varie
tipologie di discriminazione e con le altre istituzioni, pubbliche e private,
che si occupano di contrasto alle discriminazioni.
In particolare, sono stabiliti stretti contatti con l'Ufficio per la promozione
della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla
razza o l'origine etnica (UNAR) del Dipartimento per le pari opportunità della
Presidenza del consiglio dei ministri, con il quale è stato siglato, il 7
aprile 2011, un protocollo di intesa finalizzato a definire i contenuti del
rapporto di collaborazione tra i due organismi, allo scopo di ottimizzarne i
risultati;
Ø riceve
le segnalazioni di atti discriminatori attinenti alla sfera della sicurezza, da
parte di istituzioni, associazioni di categoria e privati cittadini, per
monitorare efficacemente i fenomeni di discriminazione determinati da origine
etnica o razziale, credo religioso, orientamento sessuale, handicap:
Alla riunione dove hanno
partecipato attivamente i
Sindacati e le Associazioni
nazionali di settore è stata presentata, altresì, l’attività del Contact Center UNAR e l’illustrazione
dell’imminente avvio di una campagna di comunicazione istituzionale contro il
razzismo in collaborazione con l’OSCAD.
Nel
Lazio l'incremento annuale di immigrati, alla fine del 2009, è stato del 10,6%,
quasi due punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. Si colloca
oltre la media nazionale anche l'incidenza degli immigrati sui residenti (8,8%
vs 7,0%). Sono questi alcuni dati presentati dall'Assessorato Politiche Sociali
e Famiglia della Regione Lazio su una ricerca, affidata al Centro Studi e
Ricerche Idos sulla mobilità umana nell'odierno contesto regionale. La maggior
parte degli immigrati arriva nel Lazio dal continente europeo (62%), con la
prevalenza dei cittadini comunitari (48,3%) sui non comunitari. Il 10,8% è
composto da africani, mentre il 17,8% è costituito da asiatici. I romeni
(179.469 in tutta la regione) sono la prima collettività in ciascuna delle
cinque Province laziali. Gli albanesi (22.344) si collocano al 2° posto in tre
province (Frosinone, Rieti, Viterbo), così come lo sono gli indiani a Latina e
i filippini a Roma (rispettivamente 11.708 e 29.746 in tutta la Regione). A
concorrere per il terzo e il quarto posto nel Lazio sono, a seconda dei
contesti provinciali, i marocchini (10.774), gli ucraini (17.142), i macedoni
(6.783) e polacchi (23.826): questi ultimi, come anche i filippini, sono
maggiormente concentrati nella Provincia di Roma. I filippini sono la seconda
collettività, seppure sei volte di meno rispetto ai romeni. Di questi, nel
Lazio, quasi i due terzi sono di fede cristiana. Altro dato da tenere in
considerazione, da tempo è in atto una tendenza centrifuga che da Roma sta
portando gli immigrati a stabilizzarsi nei comuni limitrofi, ma anche verso le
altre province laziali, come attesta il fatto che nella provincia di Roma nel
periodo 2002-2009 la presenza è cresciuta in misura più contenuta (+86,7%) rispetto
alle altre (Frosinone +221,6%, Rieti +276,8%, Latina +278,2% e Rieti +300%).
«Nel Lazio – sottolinea l'Assessore alle Politiche sociali e Famiglia,
Aldo Forte – l'immigrazione è ormai un elemento strutturale e radicato
territorialmente. Da qui l'importanza di uno studio come questo, che nasce
dall'esigenza di analizzare come il fenomeno migratorio si sia diversificato
negli anni e quali caratteristiche abbia assunto nelle diverse province del
Lazio». Mar. Sta.
Ancona, 06 settembre 2011 - Il 21%
degli stranieri presenti in Italia nel 2010 provengono dalla Romania. Per un
totale di 887.763. Un dato che li colloca al primo posto tra tutti i gruppi
etnici che vivono nel nostro Paese. I marocchini, che fino al 1999 si erano
aggiudicati questo primato, scivolano in terza posizione con il 10,2%. E’ uno
dei risultati emersi da una ricerca realizzata dal Dipartimento di Economia
dell’Università Politecnica delle Marche.
Aduc –Immigrazione
Oltre 24
mila gli immigrati accolti nell’ambito del piano del Dipartimento della
protezione civile.
21.139
quelli ospitati dalle regioni: Lombardia, Sicilia e Lazio quelle con il più
alto numero.
Roma,
7 settembre 2011 - Sono 21.139 gli immigrati che hanno trovato ospitalità nelle
regioni italiane in base al piano di emergenza predisposto dal Dipartimento
della protezione civile; 3.477 sono quelli ospiti nei Centri di prima
accoglienza ed in attesa di definizione della pratica di protezione, per un
totale di 24.616 gli immigrati assistiti sul territorio nazionale. Con 2.989
presenze, con i dati aggiornati al 5 settembre, è la Lombardia a guidare la
speciale classifica delle regioni con il più alto numero di immigrati accolti
sul proprio territorio. La Sicilia ne accoglie 2.220; 1.674 il Veneto; 475 sono
gli ospiti del Friuli Venezia Giulia; 1.630 in Emilia Romagna; 1.253 in
Toscana; 349 in Umbria; 571 nelle Marche; 2.086 nel Lazio. Il Molise ne ospita
114; la Campania 2.125; 1.288 in Puglia, 252 in Basilicata; 851 in Calabria;
584 in Sardegna; il Piemonte ospita 1.670 immigrati; 46 la Val d'Aosta; 559 la
Liguria; 214 la provincia autonoma di Trento,; 189 la provincia autonoma di
Bolzano. I Centri di accoglienza vedono invece 3.477 presenze, così
distribuite: 200 a Campochiaro (Cb), 675 a Manduria (Ta), 1.777 a Mineo (Ct) e
825 a Lampedusa (Ag).
(Red.)