Ordinanza n. 189 del 28 ottobre 2010 Giudi di pace di Lentini (GU n. 40 del 21-9-2011 )
Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di offensivita' - Disparita' di trattamento rispetto alle analoghe condotte poste in essere dai destinatari dei provvedimenti di respingimento...
(Atto di promovimento) .
I Pubblici Ministeri, letti gli atti del procedimento a carico di ***, imputato in ordine al reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, osservano
Premessa in fatto
In data ***, il cittadino extracomunitari veniva deferito all'A.G. per aver commesso il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, per essersi introdotto/intrattenuto illegalmente nel territorio nazionale in violazione della normativa in materia di immigrazione e soggiorno degli stranieri.
In data ***, il predettp cittadino extracomunitario veniva presentato davanti al Giudice di pace di Lentini per la celebrazione del giudizio.
Con la presente memoria si intendono evidenziare diversi profili di illegittimita' costituzionale della norma prima citata - nella quale viene sanzionato il reato di «ingresso e soggiorno, illegale nello Stato» -, da ritenersi rilevanti nel caso di specie per i motivi che di seguito si preciseranno.
Breve analisi del testo dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998.
La legge n. 94/2009 ha introdotto nel cono del d.lgs. n. 286/1998 l'art. 10-bis, che prevede il reato di «ingresso e soggiorno illegale nello Stato», stabilendo, al comma 1, che:
«Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro».
La norma richiamata prevede, dunque, una fattispecie di reato di tipo contravvenzionale, descrivendo due condotte alternative (ingresso o trattenimento nel territorio italiano) commesse in violazione delle disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo n. 286/1998 ovvero nell'art. 1 della legge n. 68/2008, che disciplina i soggiorni di breve durata degli stranieri «per visite, affari, turismo e studio».
Considerato che l'art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 286/1998 stabilisce che lo stesso decreto si applica solo ai cittadini extracomunitari e agli apolidi, il reato di cui all'art. 10-bis puo' essere commesso solo da parte di queste due categorie di persone (con esclusione, dunque, dei cittadini comunitari, che pure sarebbero ricompresi nel concetto piu' ampio di «stranieri»).
Si tratta, pertanto, di un reato proprio, riferibile ad una precisa categoria di soggetti attivi.
Le due alternative condotte incriminate dall'art. 10-bis, inoltre, fanno capo a due distinte categorie di reato: l'ingresso e', infatti, reato istantaneo, che si consuma con l'introduzione dello straniero nel territorio nazionale; il trattenimento invece, reato permanente.
Il comma 2 dell'art. 10-bis cit. prevede un'eccezione che limita l'ambito di applicabilita' della norma, stabilendo che: «Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento sensi dell'art. 10, comma 1».
A sua volta, l'art. 10-bis, comma del d.lgs. n. 286/1998 prevede che: «La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato».
Dunque, la norma di cui all'art. 10-bis, comma 1 del T.U. Immigrazione non si applica a coloro che siano stati respinti presso i valichi dalla polizia di frontiera per assenza dei requisiti di ammissione al territorio nazionale.
Il fatto di non essere destinatari di un decreto di respingimento (emesso dalla polizia di frontiera) deve ritenersi, come e' stato notato dalla dottrina che ha analizzato in prima battuta le novita' introdotte dalla legge n. 94/2009, un elemento negativo del fatto, che incide sulla individuazione e descrizione del fatto tipico sanzionato dalla norma citata. Escludendo, infatti, l'applicabilita' della norma incriminatrice ai destinatari del provvedimento di respingimento della polizia di frontiera, nega la configurabilita' stessa del reato nell'ipotesi in cui la condotta di cui al comma 1 sia posta in essere da tale categoria di soggetti. Il comma 2, dunque, non introduce una condizione di punibilita' (elemento che incide sulla sanzionabilita' della condotta e che si pone all'esterno
del fatto tipico), ma restringe la portata della norma escludendo la stessa sussistenza della condotta di rilevanza penale.
I commi 4, 5 e 6 dell'art. 10-bis regolamentano i rapporti tra procedimento penale e procedura amministrativa di respingimento e di protezione internazionale, sancendo che:
«4. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non e richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'art. 13, comma 3, da parte dell'autorita' giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'art. 10, comma 2, all'autorita' giudiziaria competente all'accertamento del reato.
5. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'art. 13, comma 14, si applica l'art. 345 del codice di procedura penale.
6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento e' sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'art. 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a
procedere».
Secondo tali disposizioni, il giudice procedente deve, dunque, emettere sentenza di non luogo a procedere nei casi:
in cui acquisisca notizia dell'espulsione o del respingimento;
in cui acquisisca notizia dell'accoglimento, a favore dello straniero, della domanda di protezione internazionale (la mera presentazione della domanda di asilo determina la sospensione del procedimento penale).
Profili di illegittimita' costituzionale.
1. - Violazione del principio di offensivita' (artt. 25, 27 e 13 Cost.).
E' ormai riconosciuto, quale fondamentale principio immanente al sistema della legislazione penale, il c.d. principio di offensivita' (nullum crimen sine iniuria), cui viene riconosciuta valenza costituzionale, quale corollario del principio di legalita', ancorche' non sia espressamente contemplato da una precisa disposizione della Carta Fondamentale.
Il principio richiamato, infatti, troverebbe il suo fondamento giuridico:
nell'art. 13 Cost., che implicitamente stabilisce che la compressione della liberta' personale puo' avvenire solo in presenza della lesione ad un bene giuridico di pari rango;
nell'art. 25, comma 2 Cost., che correla la sanzione penale ad un «fatto», ossia ad una condotta materiale e non alla mera disobbedienza di precetti;
nella distinzione tra pene e misure di sicurezza di cui agli artt. 25 e 27 Cost.;
nella funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 Cost.
La giurisprudenza della Suprema Corte riconosce ormai pacificamente la valenza costituzionale di tale principio, anche sulla base di varie pronunce della Consulta, asserendo la necessita', ai fini della sussistenza di condotte di rilevanza penale, e dunque di reati, che in concreto sia ravvisabile una sia pur minima lesione (anche nella forma della messa in pericolo) di beni giuridici meritevoli, di tutela (cfr. Cass. n. 12210/07 in materia di reati di
falso; Cass. 8142/06 in materia di sostanze stupefacenti o Cass. 9216/05 in materia di peculato d'uso).
Il riconoscimento della valenza costituzionale del principio di offensivita' comporta non soltanto l'esclusione della responsabilita' penale quando una condotta, astrattamente riconducibile ad una fattispecie penale, si riveli in concreto non lesiva del bene giuridico tutelato, ma anche l'inammissibilita' (nel senso di incompatibilita' con la Carta costituzionale) di norme penali che incrimino comportamenti insuscettibili, anche in astratto, di arrecare lesione ad un bene giuridico meritevole di salvaguardia.
In virtu' del principio di offensita', infatti, la sanzione penale non puo' essere correlata alla mera violazione di precetti o tantomeno ad una condizione soggettiva o ad uno status, ma deve essere posta a tutela di beni giuridici protetti e riconosciuti dall'ordinamento (il principio e' implicitamente richiamato nella ordinanza n. 279 del 30 giugno 1999, nella quale la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di illegittimita' costituzionale sollevate in relazione agli artt. 13 e 14 d.lgs. n. 541/1992, mettendo in evidenza che la violazione delle norme sulla consegna dei campioni di medicinali omeopatici non e infrazione formale, ma, condotta in grado di mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norrna).
La sanzione penale, dunque, non puo' essere correlata alla mera disobbedienza di precetti di carattere amministrativo, nel caso in cui tale disobbedienza non comporti l'automatica lesione di beni giuridici di per se' meritevoli di tutela.
Cio' premesso, appare di fondamentale rilevanza, ai fini della corretta interpretazione della norma di cui all'art. 10-bis prima citato, nonche' ai fini della valutazione della sua compatibilita' con i principi della Carta Costituzionale, l'individuazione del bene giuridico che la norma stessa intende tutelare attraverso l'attribuzione del carattere di rilevanza penale alla condotta di ingresso o trattenimento del clandestino sul territorio nazionale.
Con la ormai notissima sentenza n. 5 del 2004, la Corte costituzionale, nell'esaminare alcune questioni di legittimita' costituzionale sollevate in relazione all'art. 14 comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998, aveva tracciato alcuni fondamentali principi in materia di rapporti tra la normativa sull'immigazione e sulla condizione dello straniero, in Italia e la Carta Fondanentale.
In particolare, la Corte aveva evidenziato che «la norma incriminatrice, mirando a rendere effettivo il provvedimento di espulsione, persegue l'obiettivo di rimuovere situazioni di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato», riconoscendo che «rientra nel piu' generale potere» del legislatore la facolta' «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati (cfr. sentenza n. 105 del 2001). Rilevava in proposito la Corte che l'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286 sanziona, in tale ambito, la violazione di un provvedimento che ha «come presupposto, a mente dell'art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs, n. 286 del
1998, motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nel caso di espulsione disposta dal Ministro dell'interno; ovvero, la condizione di clandestinita' (ingresso nel territorio dello Stato con elusione dei controlli di frontiera), irregolarita' (carenza di valido permesso di soggiorno) o pericolosita' sociale dello straniero (appartenenza a talune delle categorie indicate nell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nell'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575), nel caso di espulsione disposta dal prefetto».
Secondo, dunque, la Corte costituzionale la regolamentazione della materia dell'immigrazione non attiene ad un unico interesse di rilevanza giuridica, ma afferisce ad una molteplicita' di interessi pubblici che necessariamente sono connessi all'introduzione ed alla permanenza degli stranieri sul territorio nazionale (che possono andare dall'esigenza di tutela dell'ordine o della sicurezza pubblica fino a quella di far fronte alla pericolosita' dello straniero desumibile dall'appartenenza di quest'ultimo ad alcune categorie di soggetti).
La Consulta, tra l'altro, riconosce il potere del legislatore di regolamentare la materia dell'immigrazione anche in funzione di controllo dei flussi migratori (controllo che afferisce in generale all'interesse dell'ordine pubblico), in maniera tale da attuare la selezione e monitoraggio (sia in senso quantitativo che qualitativo, attraverso l'indicazione delle categorie di soggetti esclusi dalle possibilita' di ingresso in Italia) degli stranieri che possano avere accesso e permanere nel territorio dello Stato.
Tale regolamentazione, prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009, e' avvenuta attraverso norme di carattere amministrativo, con previsione di meccanismi diretti a favorire l'espulsione dello straniero nel caso in cui lo stesso si introduca o permanga irregolarmente nel territorio dello Stato.
Tali norme erano espressione dell'aspirazione dello Stato a imporre limiti e verifiche all'accesso e alla permanenza dello straniero nel territorio italiano, in maniera tale da verificare se questi avesse determinati requisiti (per es. sul piano morale ovvero delle risorse economiche) per potere vivere all'interno dei confini italiani.
L'art. 10-bis ribalta l'approccio sino ad ora scelto dal legislatore in materia di immigrazione.
Mentre, infatti, in passato, il meccanismo sanzionatorio di tipo penale veniva avviato solo in presenza di un provvedimento dell'autorita' amministrativa rimasto inottemperato (come nel caso dell'art. 14, comma 5-ter), dunque in una fase avanzata rispetto al verificarsi della mera condizione di irregolarita' (per es. dall'ingresso o dalla cessazione di validita' dei titoli di permanenza sul territorio nazionale), con la legge n. 94/2009, la soglia della rilevanza penale viene anticipata gia' a quella fase, nella quale difetta un provvedimento amministrativo violato o addirittura il contatto tra lo straniero e la p.a. (dunque mai investita del compito di valutare in concreto la singola posizione dell'irregolare).
Resta da chiedersi se tale anticipazione della soglia di tutela possa essere ritenuta compatibile con i principi e con le norme costituzionali, ed in particolare con il principio di offensivita'.
L'arretramento della rilevanza penale ad una fase in cui manca un provvedimento di espulsione o che intimi l'allontanamento dal territorio dello Stato implica che la sanzione penale sia direttamente collegata alla mera e formale violazione delle norme amministrative in materia di ingresso e soggiorno in Italia, con la conseguenza che ad essere punita e una condizione soggettiva (quella, indiscriminata, propria dello straniero irregolare) piuttosto che un
comportamento che sia lesivo di un preciso bene giuridico. Bene giuridico che, si badi, deve avere pari rango rispetto a quello della liberta' personale, suscettibile di potenziale compressione anche nel caso in cui la pena sia di tipo pecuniario (nell'ipotesi di eventuale conversione).
Al contrario, punendo la mera violazione delle norme amministrative, la sanzione penale, nell'art. 10-bis cit., e irrogata a prescindere dalla concreta messa in pericolo degli interessi di rilevanza pubblica che la legislazione in materia di immigrazione intende tutelare. Non puo', infatti, ritenersi che la normativa sull'immigrazione sia fine a se stessa, ma che sia meramente strumentale alla tutela di interessi pubblici di vario genere (per es. sicurezza pubblica) che possono essere offesi dalla presenza in Italia di cittadini extracomunitari. Come messo in evidenza dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 5/2004, tali interessi vengono in evidenza solo a seguito di una valutazione, eseguita dall'autorita' amministrativa, della concreta situazione dello straniero irregolare, valutazione che si trasfonde in un eventuale provvedimento di espulsione di volta in volta diversamente motivato.
Solo alla violazione di tale provvedimento (e non anche alle norme che regolamentano la materia dell'immigrazione) puo' seguire un trattamento sanzionatorio di tipo penale.
Deve in ogni caso, escludersi la possibilita' di invocare finalita' di garanzia della collettivita' da una presunta pericolosita' sociale dello straniero irregolare.
Non puo' ritenersi, infatti, che, la mera violazione delle norme amministrative in materia di immigrazione riveli in se la pericolosita' sociale dello straniero, da valutarsi in concreto in relazione alla singola situazione di volta in volta presa in considerazione. In questo senso sia la Corte costituzionale che la giurisprudenza amministrativa hanno, in varie pronunce ed a vari fini, evidenziato che la condizione di clandestinita' non implica in
se' e per se', una valutazione di pericolosita' sociale che deve essere ritenuta in concreto, anche a prescindere dall'essere stato lo straniero coinvolto a vario titoli in procedimenti penali (cfr., per es. Corte cost. n. 78/2005; n. 22/2007).
L'art. 10-bis e' dunque norma che si pone in contrasto con le norme costituzionali nelle quali si sostanzia principio di offensita' e, come tale, deve essere espunto dall'ordinamento.
2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio di ragionevolezza. Disparita' di trattamento tra i destinatari di decreti di respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 1, d.lgs. n. 286/1998 (extracomunitari ed apolidi) che non siano tali.
Appare del tutto irragionevole e tale da integrare una ingiustificata discriminazione, la disparita' di trattamento che la norma dispensa agli stranieri i quali, pur violando le disposizioni di ingresso e trattenimento nel territorio italiano, siano destinatari di un decreto di respingimento della polizia di
frontiera, rispetto a coloro che abbiano commesso la medesima condotta ma non siano stati respinti presso i valichi.
La conseguenza e' che identiche condotte di ingresso e trattenimento nel territorio dello Stato diventano o meno di penale rilevanza a seconda che siano state comesse dall'una o dall'altra categoria di soggetti (stranieri che non siano destinatari di decreti di respingimento della polizia di frontiera e stranieri da quest'ultima respinti).
E' noto che la diversita' di trattamento di situazioni analoghe puo' essere compatibile con la Costituzione ed in particolare con l'art. 3, solo nel caso in cui sussistano elementi fattuali che differenzino le situazioni medesime in maniera tale che la disparita' di disciplina possa essere ritenuta «ragionevole», ossia giustificata dall'esigenza di salvaguardare, attraverso una difforme regolamentazione, interessi meritevoli di tutela.
Tali presupposti non si verificano nel caso preso in esame, in cui la differenza di regolamentazione della condotta a seconda se lo straniero sia o meno destinatario di provvedimento di respingimento della polizia di frontiera appare del tutto priva di giustificazioni.
Deve, infatti, rilevarsi che il respingimento stesso non si pone all'esterno del fatto tipico come mera condizione di punibilita' di un reato completo in tutti i suoi presupposti oggettivi, bensi' quale elemento negativo del fatto, incidendo sulla ravvisabilita' stessa della condotta di rilevanza penale. Orbene, appare del tutto irragionevole che il reato possa ritenersi integrato se commesso da soggetti che non siano destinatari di decreti di respingimento della
polizia di frontiera e invece non sussista il fatto tipico in caso contrario. Una stessa condotta, infatti, subisce un diverso trattamento a seconda che intervenga o meno il provvedimento amministrativo di cui all'art. 10, comma 1, senza che sussistano ragioni di discriminazione tra le due diverse ipotesi.
La distinzione tra fatti di rilevanza penale e fatti irrilevanti, peraltro, e' affidata ad eventi che sfuggono totalmente al dominio del soggetto agente, e dunque alla sua possibilita' di autodeterminazione: la circostanza, infatti, che lo straniero sia o meno respinto alla frontiera dipende da fattori puramente casuali ed incontrollabili da parte dell'autore della condotta.
In proposito di rileva che:
il reato di cui all'art. 10-bis - in relazione alla condotta di ingresso - e', come si e' detto, reato istantaneo e prescinde dagli eventi successivi alla sua consumazione, addirittura dalla regolarizzazione della posizione dello straniero sul territorio per qualsivoglia motivo o dal suo volontario allontanamento. Nel caso, dunque, dei soggetti respinti dalla polizia di frontiera, la condotta descritta dal comma 1 dell'art. 10-bis si e' materialmente perfezionata, ma il legislatore esclude la sussistenza del reato, cosi' discriminando coloro che si rendano autori di condotte analoghe senza essere destinatari dei provvedimenti di cui all'art. 10, comma 1, T.U. Immigrazione;
non puo' sostenersi che l'eccezione sia motivata dal fatto che gli stranieri, nei casi di cui al comma 1 dell'art. 10, «si presentino» ai valichi di frontiera (ossia ai punti di controllo ufficiali di frontiera), palesandosi alle autorita' deputato ai controlli: l'art. 10, comma 1, infatti, si applica a tutti coloro che
si trovino nelle aree dei valichi indipendentemente dal fatto che si sottopongano volontariamente alle verifiche della polizia (si pensi a coloro che viaggino clandestinamente o occultando la propria persona su autocarri o navi che transitino dai valichi di frontiera e vengano fermati dalla polizia).
Il rilievo della descritta disparita' di trattamento puo' avere quale unica conseguenza, quella della caducazione della norma incriminatrice, visto che la Corte costituzionale non puo', in virtu' del principio di riserva di legge, estendere l'ambito di applicazione della norma penale a condotte che non siano in essa ricomprese.
3. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio di ragionevolezza. Disparita' di trattamento tra i destinatari di decreti di espulsione e di respingimento ex art. 10, comma 2, d.lgs. n. 286/1998 e gli stranieri (extracomunitari ed apolidi) che non siano tali.
Come si e gia' detto, i commi 5 e 6 dell'art. 10-bis cita impongono al Giudice procedente l'emissione di sentenza di non luogo a procedere nell'ipotesi di esecuzione di provvedimenti di espulsione dello straniero o di respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 2, T.U. Immigrazione.
In relazione a tale parte della norma possono muoversi rilievi analoghi a quelli gia' messi in evidenza nel precedente paragrafo.
La disposizione, infatti, introduce una irragionevole disparita' di trattamento di situazioni perfettamente sovrapponibili, imponendo al Giudice una sentenza di proscioglimento a seconda che intervengano eventi del tutto indipendenti dall'azione e dalla volonta' dello straniero irregolare, determinando una selezione tra condotte rilevanti e condotte irrilevanti, che dipende da fattori puramente casuali, in ogni caso estranei alla sfera di controllo dell'agente.
Irragionevole, peraltro, appare il difforme trattamento che la legge penale riserva ai destinatari dei decreti di respingimento emessi dalla polizia di frontiera e quelli dei decreti di espulsione o di respingimento emessi dal Questore: nella prima, ipotesi il fatto di reato non sussiste, non venendosi a integrare il fatto tipico sanzionato penalmente, nelle altre due ipotesi opera una mera condizione di punibilita', che rende inefficace la pena per un reato
completo in tutti i suoi, elementi costitutivi.
Si osserva, peraltro, che le disposizioni che escludono la sussistenza o la punibilita' del reato appaiono del tutto irragionevoli se valutate in comparazione con le norme che regolamentano, in via amministrativa, la procedura di esplusione e respingimento.
Si prenda in considerazione, in particolare, l'art. 19, d.lgs. n. 286/1998, rubricato «Divieti di espulsione e di respingimento».
La norma appena citata, oltre, a vietare l'espulsione verso Stati in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione, esclude l'espulsione nei confronti di alcune categorie di soggetti (minori di 18 anni, stranieri in possesso di carta di soggiorno, stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalita' italiana, donne in stato di gravidanza o nel periodo di puerperio - categoria alla quale e' stata affiancata dalla Corte
costituzionale anche quella del marito convivente della donna -).
La ratio del divieto di espulsione e', in queste ipotesi, quella di preservare da tale provvedimento soggetti che, pur permanendo irregolarmente nel territorio dello Stato, si trovino in situazione particolari meritevoli di tutela (dovute, per es., a rapporti affettivi e di sangue con cittadini italiani ovvero alla nascita - imminente o appena avvenuta di un figlio). Tale disposizione mal si concilia - determinando situazioni di inaudite disparita' di trattamento - con il disposto dell'art. 10-bis, che esclude la sussistenza del reato o la sua punibilita' nei casi in cui intervenga un provvedimento di espulsione e/o respingimento, secondo le modalita' e con le distinzioni prima richiamate.
La combinazione tra le due norme (art. 10-bis e art. 19 del T.U. Immigrazione) comporta, in maniera del tutto irrazionale, che la norma incriminatrice del reato di clandestinita' sia applicabile, con le conseguenze sanzionatone che ne derivano, proprio nelle ipotesi che il legislatore ritiene di discriminare, escludendo la possibilita' di espulsione, in ragione della sussistenza di interessi o di esigenze primarie dello straniero ritenuti meritevoli di tutela e tali da impedire o rendere inopportuna la procedura di allontanamento dal territorio dello Stato.
Anche in questo caso, il rilievo della violazione dell'art. 3 Cost. comporta la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice, con sua conseguente caducazione.
4. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio della ragionevolezza. Disparita' di trattamento tra gli autori della condotta di cui all'art. 4, comma 5-ter e gli stranieri (extracomunitari ed apolidi) irregolari.
L'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998, cosi' come modificato dalla legge n. 94/2009, prevede che:
«Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine impartito dal
questore ai sensi del comma 5-bis, e' punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l'espulsione e' stata disposta perche' il permesso di soggiorno e' scaduto da piu' di sessanta giorni e non e' stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno e' stata rifiutata, ovvero se lo straniero si e' trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell'art. 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68».
Il reato disciplinato dalla norma appena richiamata punisce la condotta di chi, entrato irregolarmente nel territorio dello Stato ovvero privo dei titoli di soggiorno precedentemente legittimamente ottenuti e diventati inefficaci, non ottemperi, a seguito dell'espulsione, all'ordine di allontanamento impartito dal Questore (provvedimento emesso, ai sensi dell'art. 5-bis, nel caso in cui non sia stato possibile il trattenimento presso un centro di
identificazione e di espulsione o non sia stato possibile l'accompagnamento alla frontiera).
La Corte costituzionale si e' piu' volte pronunciata sulla formula del «giustificato motivo», mettendo in evidenza nella citata sentenza n. 5/2004, che «formule ad essa equivalenti od omologhe - «senza giusta causa», «senza giusto motivo», «senza necessita'»,
«arbitrariamente», ecc. - compaiono con particolare frequenza nel corpo di norme incriminatrici, ubicate tanto all'interno dei codici (cfr. artt. 616, 618, 619, 620, 621, 622, 633, 652, 727, 731 cod. pen.; artt. 111, 113, 117, 123, 124, 125, 147, 148, 151, 243 cod. pen. mil. pace; artt, 63, 94, 96, 100, 101, 126, 145, 146, 151, 168, 170, 184, 185, 218, 221, 222 cod. pen. mil. guerra) che in leggi speciali (cfr., ex plurimis, art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110; art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152; art. 180 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58; art. 56 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274;
nonche' art. 6, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998), e descrittive di reati di natura non soltanto commissiva, ma anche omissiva, quale quello in esame (cfr., ad esempio, artt. 652 e 731 cod. pen.; artt. 113, 117, 123, 125, 147, 148, 151, 243 cod. pen. mil. pace; art. 108 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; art. 89 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998)».
La Corte ha precisato che «dette clausole sono destinate in linea di massima a fungere da "valvola di sicurezza" del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente "inesegibile" in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessita' di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori».
Deve, pertanto, escludersi che la clausola del «giustificato motivo» coincida con l'ambito di applicazione delle cause di giustificazione (ed in particolare dello stato di necessita'), che, in virtu' di disposizioni generali, si applicano in ogni caso a tutti i reati, (cosi' la Corte: «la clausola in questione ... non puo' essere ritenuta evocativa delle sole cause di giustificazione in senso tecnico - lettura che la renderebbe pleonastica, posto che le scriminanti opererebbero comunque, in quanto istituti di ordine generale -»).
La Consulta, in proposito, rileva, nell'individuare il senso e il contenuto della formula predetta, che essa «ha ... riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempire all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenza che riflettano la condizione del "migrante economico", sebbene espressive di istanze in se' per se'
pienamente legittime, sempre che - come e' ovvio - non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall'ordinamento».
La medesima clausola - che esclude la configurabilita' stessa del reato in presenza di presupposti di inesigibilita' della condotta criminosa (la Corte parla di «elemento negativo del fatto tipico») - non compare nell'art. 10-bis del T.U. Immigrazione. Tale mancata previsione comporta, immotivatamente e irragionevolmente, che il reato meno grave (quello c.d. di «clandestinita'») abbia un trattamento piu' severo. Il reato di cui all'art. 10-bis e', infatti,
di tipo contravvenzionale e comunque relativo ad una fase antecedente a quella dell'irrogazione di un provvedimento di intimazione a lasciare il territorio nazionale: l'autore del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, infatti, non solo si trattiene nello Stato in violazione delle norme in materia di immigrazione, ma, avendo ricevuto un ordine di allontanamento da parte dell'autorita' amministrativa a seguito dell'accertamento della sua condizione di irregolarita', rimane inadempiente al provvedimento. Orbene, nella seconda ipotesi, espressione di maggiore disvalore, e relativa ad fase piu' avanzata della permanenza irregolare dello straniero nel territorio, possono valere ad escludere la sussistenza del reato, al di la' delle cause di giustificazione, situazioni che rendano impossibile o difficoltoso l'abbandono del territorio, che non rilevano nel caso del reato di mera clandestinita'.
La scelta legislativa e', dunque, in palese contrasto con il principio di uguaglianza, manifestando la sua illegittimita' costituzionale.
5. - Rilevanza della questione nel caso di specie.
Le questioni di illegittimita' costituzionale appenda indicate sono rilevanti in relazione al presente giudizio, in quanto la caducazione della norma di cui all'art. 10-bis comporterebbe la necessaria assoluzione dell'imputat.. . Ad analoga pronuncia assolutoria non potrebbe pervenirsi nell'ipotesi in cui intervenisse pronuncia di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice citata.
Chiedono che il Giudice di Pace di Lentini, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sollevi la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 286/1998 e 62-bis del decreto legislativo n. 274/2000, introdotti dall'art. 1, commi 16 e 17 della legge n. 94/2009, per contrasto con gli artt. 3, 13, 25, 27 della Costituzione, ordinando la sospensione del giudizio in corso e rimettendo gli atti alla Corte costituzionale per il relativo giudizio di legittimita'.
Siracusa, addi' 28 ottobre 2010
(GU n. 40 del 21-9-2011 )
Mercoledì, 21 Settembre 2011