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Ordinanza n. 189 del 28 ottobre 2010 Giudi di pace di Lentini (GU n. 40 del 21-9-2011 )

Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di offensivita' - Disparita' di trattamento rispetto alle analoghe condotte poste in essere dai destinatari dei provvedimenti di respingimento...

     

(Atto di promovimento)  .     

    Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di offensivita' - Disparita' di trattamento rispetto alle analoghe condotte poste in essere dai destinatari dei provvedimenti di respingimento disposti dalla polizia di frontiera e dal questore (ai sensi, rispettivamente, del comma 1 e del comma 2 dell'art. 10 del d.lgs. n. 286 del 1998) - Disparita' di trattamento rispetto alla fattispecie analoga di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, artt. 10-bis (aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94) e 16, comma 1 (come modificato dall'art. 1, comma 16, lett. b), della legge 15 luglio 2009, n. 94); decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 62-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 17, lett. d), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 3, 13, 25 e 27. (GU n. 40 del 21-9-2011 )

IL TRIBUNALE
 
    I Pubblici Ministeri, letti gli atti del procedimento a carico di ***, imputato in ordine al reato di cui all'art. 10-bis,  d.lgs.  n. 286/1998, osservano
 
Premessa in fatto
 
    In  data ***,  il cittadino extracomunitari veniva deferito all'A.G. per aver commesso il reato di cui all'art.  10-bis d.lgs.   n.   286/1998,   per   essersi   introdotto/intrattenuto illegalmente nel territorio nazionale in violazione  della  normativa in materia di immigrazione e soggiorno degli stranieri.
    In data ***, il predettp cittadino extracomunitario  veniva presentato davanti al Giudice di pace di Lentini per la celebrazione del giudizio.
    Con la presente memoria si intendono evidenziare diversi  profili di illegittimita' costituzionale della norma  prima  citata  -  nella quale viene sanzionato il reato di «ingresso  e  soggiorno,  illegale nello Stato» -, da ritenersi rilevanti  nel  caso  di  specie  per  i motivi che di seguito si preciseranno.
    Breve analisi del testo dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998.
    La legge n. 94/2009 ha introdotto nel cono del d.lgs. n. 286/1998 l'art. 10-bis, che prevede il reato di «ingresso e soggiorno illegale nello Stato», stabilendo, al comma 1, che:
    «Salvo che il fatto costituisca piu' grave  reato,  lo  straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio  dello  Stato,  in violazione delle disposizioni del presente  testo  unico  nonche'  di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro».
    La norma richiamata prevede, dunque, una fattispecie di reato  di tipo  contravvenzionale,   descrivendo   due   condotte   alternative (ingresso  o  trattenimento  nel  territorio  italiano)  commesse  in violazione  delle  disposizioni  contenute   nello   stesso   decreto legislativo n. 286/1998 ovvero nell'art. 1 della  legge  n.  68/2008, che disciplina i soggiorni  di  breve  durata  degli  stranieri  «per visite, affari, turismo e studio».
    Considerato  che  l'art.  1  comma  2  del  d.lgs.  n.   286/1998 stabilisce che  lo  stesso  decreto  si  applica  solo  ai  cittadini extracomunitari e agli apolidi, il reato di cui all'art. 10-bis  puo' essere commesso solo da parte di queste due categorie di persone (con esclusione, dunque, dei  cittadini  comunitari,  che  pure  sarebbero ricompresi nel concetto piu' ampio di «stranieri»).
    Si tratta, pertanto, di  un  reato  proprio,  riferibile  ad  una precisa categoria di soggetti attivi.
    Le  due  alternative  condotte  incriminate   dall'art.   10-bis, inoltre, fanno capo a due distinte categorie di reato: l'ingresso e', infatti, reato istantaneo, che si consuma  con  l'introduzione  dello straniero nel territorio nazionale; il  trattenimento  invece,  reato permanente.
    Il comma 2 dell'art. 10-bis cit. prevede un'eccezione che  limita l'ambito  di  applicabilita'  della  norma,   stabilendo   che:   «Le disposizioni di cui al  comma  1  non  si  applicano  allo  straniero destinatario del provvedimento di respingimento  sensi dell'art.  10, comma 1».
    A sua volta, l'art. 10-bis, comma del d.lgs. n. 286/1998  prevede che:  «La  polizia  di  frontiera  respinge  gli  stranieri  che   si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti  richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato».
    Dunque, la norma  di  cui  all'art.  10-bis,  comma  1  del  T.U. Immigrazione non si applica a coloro che siano stati respinti  presso i valichi dalla polizia di frontiera per  assenza  dei  requisiti  di ammissione al territorio nazionale.
    Il fatto di non essere destinatari di un decreto di respingimento (emesso dalla polizia di frontiera) deve  ritenersi,  come  e'  stato notato dalla dottrina che ha analizzato in prima battuta  le  novita' introdotte dalla legge n. 94/2009, un elemento  negativo  del  fatto, che incide  sulla  individuazione  e  descrizione  del  fatto  tipico sanzionato dalla norma citata. Escludendo, infatti,  l'applicabilita' della  norma  incriminatrice  ai  destinatari  del  provvedimento  di respingimento della polizia di frontiera,  nega  la  configurabilita' stessa del reato nell'ipotesi in cui la condotta di cui  al  comma  1 sia posta in essere da  tale  categoria  di  soggetti.  Il  comma  2, dunque, non introduce una condizione  di  punibilita'  (elemento  che incide sulla sanzionabilita' della condotta e che si pone all'esterno
del fatto tipico), ma restringe la portata della norma escludendo  la stessa sussistenza della condotta di rilevanza penale.
    I commi 4, 5 e 6 dell'art. 10-bis regolamentano  i  rapporti  tra procedimento penale e procedura amministrativa di respingimento e  di protezione internazionale, sancendo che:
    «4.  Ai  fini  dell'esecuzione  dell'espulsione  dello  straniero denunciato ai sensi del comma 1 non e richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'art. 13, comma 3, da parte dell'autorita' giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore  comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'art.  10,   comma   2,   all'autorita'   giudiziaria   competente all'accertamento del reato.

    5.   Il   giudice,   acquisita   la    notizia    dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'art. 10,  comma  2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero  rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima  del  termine  previsto dall'art. 13, comma 14, si applica l'art. 345 del codice di procedura penale.

    6. Nel  caso  di  presentazione  di  una  domanda  di  protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 19  novembre  2007,  n. 251, il procedimento  e'  sospeso.  Acquisita  la  comunicazione  del riconoscimento della protezione  internazionale  di  cui  al  decreto legislativo 19  novembre  2007,  n.  251,  ovvero  del  rilascio  del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'art. 5, comma  6,  del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di  non  luogo  a
procedere». 
    Secondo tali disposizioni, il giudice  procedente  deve,  dunque, emettere sentenza di non luogo a procedere nei casi:
        in   cui   acquisisca   notizia   dell'espulsione    o    del respingimento;
        in cui acquisisca notizia dell'accoglimento, a  favore  dello straniero,  della  domanda  di  protezione  internazionale  (la  mera presentazione della domanda di asilo  determina  la  sospensione  del procedimento penale).

    Profili di illegittimita' costituzionale.
    1. - Violazione del principio di offensivita' (artt. 25, 27 e  13 Cost.).
    E' ormai riconosciuto, quale fondamentale principio immanente  al sistema della legislazione penale, il c.d. principio di  offensivita' (nullum  crimen  sine  iniuria),  cui  viene   riconosciuta   valenza costituzionale,  quale  corollario  del   principio   di   legalita', ancorche'  non  sia  espressamente   contemplato   da   una   precisa disposizione della Carta Fondamentale.
    Il principio richiamato, infatti, troverebbe  il  suo  fondamento giuridico:
        nell'art. 13 Cost.,  che  implicitamente  stabilisce  che  la compressione della liberta' personale puo' avvenire solo in  presenza della lesione ad un bene giuridico di pari rango;
        nell'art. 25, comma 2 Cost., che correla la  sanzione  penale ad un «fatto», ossia ad  una  condotta  materiale  e  non  alla  mera disobbedienza di precetti;
        nella distinzione tra pene e misure di sicurezza di cui  agli artt. 25 e 27 Cost.;
        nella funzione rieducativa della pena  di  cui  all'art.  27, comma 3 Cost.
    La   giurisprudenza   della   Suprema   Corte   riconosce   ormai pacificamente la valenza  costituzionale  di  tale  principio,  anche sulla base di varie pronunce della Consulta, asserendo la necessita', ai fini della sussistenza di condotte di rilevanza penale,  e  dunque di reati, che in concreto sia ravvisabile una sia pur minima  lesione (anche nella  forma  della  messa  in  pericolo)  di  beni  giuridici meritevoli, di tutela (cfr. Cass. n. 12210/07 in materia di reati  di
falso; Cass. 8142/06 in materia  di  sostanze  stupefacenti  o  Cass. 9216/05 in materia di peculato d'uso).
    Il riconoscimento della valenza costituzionale del  principio  di offensivita' comporta non soltanto l'esclusione della responsabilita' penale  quando  una  condotta,  astrattamente  riconducibile  ad  una fattispecie penale,  si  riveli  in  concreto  non  lesiva  del  bene giuridico  tutelato,  ma  anche  l'inammissibilita'  (nel  senso   di incompatibilita' con la Carta costituzionale)  di  norme  penali  che incrimino  comportamenti  insuscettibili,  anche  in   astratto,   di arrecare lesione ad un bene giuridico meritevole di salvaguardia.
    In virtu' del  principio  di  offensita',  infatti,  la  sanzione penale non puo' essere correlata alla mera violazione di  precetti  o tantomeno ad una condizione soggettiva  o  ad  uno  status,  ma  deve essere posta a tutela  di  beni  giuridici  protetti  e  riconosciuti dall'ordinamento (il principio  e'  implicitamente  richiamato  nella ordinanza n. 279  del  30  giugno  1999,  nella  quale  la  Corte  ha dichiarato   la   manifesta   infondatezza   delle    questioni    di illegittimita' costituzionale sollevate in relazione agli artt. 13  e 14 d.lgs. n. 541/1992, mettendo in evidenza che la  violazione  delle norme sulla consegna dei campioni  di  medicinali  omeopatici  non  e infrazione formale, ma, condotta in  grado  di  mettere  in  pericolo l'interesse protetto dalla norrna).
    La sanzione penale, dunque, non puo' essere correlata  alla  mera disobbedienza di precetti di carattere amministrativo,  nel  caso  in cui tale disobbedienza non  comporti  l'automatica  lesione  di  beni giuridici di per se' meritevoli di tutela.
    Cio' premesso, appare di fondamentale rilevanza,  ai  fini  della corretta interpretazione della norma di  cui  all'art.  10-bis  prima citato, nonche' ai fini della valutazione  della  sua  compatibilita' con i principi della Carta Costituzionale, l'individuazione del  bene giuridico  che  la   norma   stessa   intende   tutelare   attraverso l'attribuzione del carattere di rilevanza  penale  alla  condotta  di ingresso o trattenimento del clandestino sul territorio nazionale.
    Con  la  ormai  notissima  sentenza  n.  5  del  2004,  la  Corte costituzionale,  nell'esaminare  alcune  questioni  di   legittimita' costituzionale sollevate in relazione all'art.  14  comma  5-ter  del d.lgs. n. 286/1998, aveva tracciato alcuni fondamentali  principi  in materia  di  rapporti  tra  la  normativa  sull'immigazione  e  sulla condizione dello straniero, in Italia e la Carta Fondanentale.

    In  particolare,  la  Corte  aveva  evidenziato  che  «la   norma incriminatrice, mirando  a  rendere  effettivo  il  provvedimento  di espulsione,  persegue  l'obiettivo   di   rimuovere   situazioni   di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero  nel territorio dello Stato», riconoscendo che «rientra nel piu'  generale potere»  del  legislatore  la  facolta'  «di  regolare   la   materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici  interessi  pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi  a  flussi  migratori incontrollati (cfr. sentenza n. 105 del 2001). Rilevava in  proposito la Corte che l'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n.  286  sanziona,  in tale  ambito,  la  violazione  di  un  provvedimento  che  ha   «come presupposto, a mente dell'art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs, n. 286 del
1998, motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nel  caso di  espulsione  disposta  dal  Ministro  dell'interno;   ovvero,   la condizione di clandestinita' (ingresso nel territorio dello Stato con elusione dei  controlli  di  frontiera),  irregolarita'  (carenza  di valido permesso di soggiorno) o pericolosita' sociale dello straniero (appartenenza a talune delle categorie  indicate  nell'art.  1  della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nell'art. 1 della legge 31  maggio 1965, n. 575), nel caso di espulsione disposta dal prefetto».

    Secondo, dunque,  la  Corte  costituzionale  la  regolamentazione della materia dell'immigrazione non attiene ad un unico interesse  di rilevanza giuridica, ma afferisce ad una molteplicita'  di  interessi pubblici che necessariamente sono connessi all'introduzione  ed  alla permanenza degli stranieri  sul  territorio  nazionale  (che  possono andare dall'esigenza di tutela dell'ordine o della sicurezza pubblica fino a quella  di  far  fronte  alla  pericolosita'  dello  straniero desumibile dall'appartenenza di quest'ultimo ad alcune  categorie  di soggetti).
    La Consulta, tra l'altro, riconosce il potere del legislatore  di regolamentare la  materia  dell'immigrazione  anche  in  funzione  di controllo dei flussi migratori (controllo che afferisce  in  generale all'interesse dell'ordine pubblico), in maniera tale  da  attuare  la selezione e monitoraggio (sia in senso quantitativo che  qualitativo, attraverso l'indicazione delle categorie di  soggetti  esclusi  dalle possibilita' di ingresso in Italia) degli stranieri che possano avere accesso e permanere nel territorio dello Stato.
    Tale regolamentazione, prima dell'entrata in vigore  della  legge n. 94/2009, e' avvenuta attraverso norme di carattere amministrativo, con previsione di meccanismi diretti a  favorire  l'espulsione  dello straniero  nel  caso  in  cui  lo  stesso  si  introduca  o  permanga irregolarmente nel territorio dello Stato.
    Tali norme  erano  espressione  dell'aspirazione  dello  Stato  a imporre limiti  e  verifiche  all'accesso  e  alla  permanenza  dello straniero nel territorio italiano, in maniera tale da  verificare  se questi avesse determinati requisiti (per es. sul piano morale  ovvero delle risorse economiche) per potere vivere all'interno  dei  confini italiani.
    L'art.  10-bis  ribalta  l'approccio  sino  ad  ora  scelto   dal legislatore in materia di immigrazione.
    Mentre, infatti, in passato, il meccanismo sanzionatorio di  tipo penale  veniva  avviato  solo  in  presenza   di   un   provvedimento dell'autorita' amministrativa rimasto inottemperato  (come  nel  caso dell'art. 14, comma 5-ter), dunque in una fase avanzata  rispetto  al verificarsi  della  mera  condizione  di   irregolarita'   (per   es. dall'ingresso  o  dalla  cessazione  di  validita'  dei   titoli   di permanenza sul territorio nazionale), con la  legge  n.  94/2009,  la soglia della rilevanza penale viene anticipata gia'  a  quella  fase, nella  quale  difetta  un  provvedimento  amministrativo  violato   o addirittura il contatto tra  lo  straniero  e  la  p.a.  (dunque  mai investita del compito di valutare in concreto  la  singola  posizione dell'irregolare).
    Resta da chiedersi se tale anticipazione della soglia  di  tutela possa essere ritenuta compatibile con  i  principi  e  con  le  norme costituzionali, ed in particolare con il principio di offensivita'. 
    L'arretramento della rilevanza penale ad una fase in cui manca un provvedimento  di  espulsione  o  che  intimi  l'allontanamento   dal territorio  dello  Stato  implica  che   la   sanzione   penale   sia direttamente collegata alla mera e  formale  violazione  delle  norme amministrative in materia di ingresso e soggiorno in Italia,  con  la conseguenza che ad essere punita e una condizione soggettiva (quella, indiscriminata, propria dello straniero irregolare) piuttosto che  un
comportamento che sia lesivo  di  un  preciso  bene  giuridico.  Bene giuridico che, si badi, deve avere pari rango rispetto a quello della liberta' personale, suscettibile di potenziale compressione anche nel caso in cui la pena sia di tipo pecuniario (nell'ipotesi di eventuale conversione).
    Al  contrario,   punendo   la   mera   violazione   delle   norme amministrative, la sanzione penale, nell'art. 10-bis cit., e irrogata a prescindere dalla concreta messa in  pericolo  degli  interessi  di rilevanza pubblica che la legislazione  in  materia  di  immigrazione intende tutelare. Non  puo',  infatti,  ritenersi  che  la  normativa sull'immigrazione  sia  fine  a  se  stessa,  ma  che  sia  meramente strumentale alla tutela di interessi pubblici di  vario  genere  (per es. sicurezza pubblica) che possono essere offesi dalla  presenza  in Italia di cittadini extracomunitari. Come  messo  in  evidenza  dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 5/2004, tali  interessi vengono in evidenza solo  a  seguito  di  una  valutazione,  eseguita dall'autorita'  amministrativa,  della  concreta   situazione   dello straniero irregolare, valutazione che si trasfonde  in  un  eventuale provvedimento di espulsione di volta in volta diversamente  motivato.
Solo alla violazione di tale provvedimento (e non  anche  alle  norme che regolamentano  la  materia  dell'immigrazione)  puo'  seguire  un trattamento sanzionatorio di tipo penale.
    Deve  in  ogni  caso,  escludersi  la  possibilita'  di  invocare finalita'  di  garanzia   della   collettivita'   da   una   presunta pericolosita' sociale dello straniero irregolare.
    Non puo' ritenersi, infatti, che, la mera violazione delle  norme amministrative  in  materia  di  immigrazione   riveli   in   se   la pericolosita' sociale dello straniero, da valutarsi  in  concreto  in relazione  alla  singola  situazione  di  volta  in  volta  presa  in considerazione. In questo senso sia la Corte  costituzionale  che  la giurisprudenza amministrativa hanno, in  varie  pronunce  ed  a  vari fini, evidenziato che la condizione di clandestinita' non implica  in
se' e per se', una valutazione  di  pericolosita'  sociale  che  deve essere ritenuta in concreto, anche a prescindere dall'essere stato lo straniero coinvolto a vario titoli in procedimenti penali (cfr.,  per es. Corte cost. n. 78/2005; n. 22/2007).

    L'art. 10-bis e' dunque norma che si pone  in  contrasto  con  le norme costituzionali nelle quali si sostanzia principio di offensita' e, come tale, deve essere espunto dall'ordinamento.
    2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio di ragionevolezza.  Disparita'  di  trattamento  tra  i  destinatari  di decreti di respingimento ai sensi dell'art. 10, comma  1,  d.lgs.  n. 286/1998 (extracomunitari ed apolidi) che non siano tali. 
    Appare  del  tutto  irragionevole  e  tale   da   integrare   una ingiustificata discriminazione, la disparita' di trattamento  che  la norma dispensa agli stranieri i quali, pur violando  le  disposizioni di  ingresso  e  trattenimento   nel   territorio   italiano,   siano destinatari  di  un  decreto  di  respingimento  della   polizia   di
frontiera,  rispetto  a  coloro  che  abbiano  commesso  la  medesima condotta ma non siano stati respinti presso i valichi.
    La  conseguenza  e'  che  identiche  condotte   di   ingresso   e trattenimento nel territorio dello Stato diventano o meno  di  penale rilevanza a seconda che siano state  comesse  dall'una  o  dall'altra categoria di soggetti (stranieri che non siano destinatari di decreti di  respingimento  della  polizia  di  frontiera   e   stranieri   da quest'ultima respinti).
    E' noto che la diversita' di trattamento di  situazioni  analoghe puo' essere compatibile con la Costituzione  ed  in  particolare  con l'art. 3, solo nel caso  in  cui  sussistano  elementi  fattuali  che differenzino le situazioni medesime in maniera tale che la disparita' di disciplina possa essere ritenuta «ragionevole», ossia giustificata dall'esigenza   di    salvaguardare,    attraverso    una    difforme regolamentazione, interessi meritevoli di tutela. 
    Tali presupposti non si verificano nel caso preso  in  esame,  in cui la differenza di regolamentazione della condotta a seconda se  lo straniero sia o meno destinatario di provvedimento  di  respingimento della polizia di frontiera appare del tutto priva di giustificazioni.
Deve, infatti, rilevarsi che il  respingimento  stesso  non  si  pone all'esterno del fatto tipico come mera condizione di  punibilita'  di un reato completo in tutti i suoi presupposti oggettivi, bensi' quale elemento negativo del fatto, incidendo  sulla  ravvisabilita'  stessa della  condotta  di  rilevanza  penale.  Orbene,  appare  del   tutto irragionevole che il reato possa ritenersi integrato se  commesso  da soggetti che non siano destinatari di decreti di respingimento  della
polizia di frontiera e invece non sussista il fatto  tipico  in  caso contrario.  Una  stessa  condotta,  infatti,   subisce   un   diverso trattamento  a  seconda  che  intervenga  o  meno  il   provvedimento amministrativo di cui all'art. 10,  comma  1,  senza  che  sussistano ragioni di discriminazione tra le due diverse ipotesi.
    La distinzione tra fatti di rilevanza penale e fatti irrilevanti, peraltro, e' affidata ad eventi che sfuggono  totalmente  al  dominio del  soggetto   agente,   e   dunque   alla   sua   possibilita'   di autodeterminazione: la circostanza, infatti, che lo straniero  sia  o meno respinto alla frontiera dipende da fattori puramente casuali  ed incontrollabili da parte dell'autore della condotta.

    In proposito di rileva che:
        il reato di cui all'art. 10-bis - in relazione alla  condotta di ingresso - e', come si e'  detto,  reato  istantaneo  e  prescinde dagli eventi successivi  alla  sua  consumazione,  addirittura  dalla regolarizzazione della posizione dello straniero sul  territorio  per qualsivoglia motivo o dal suo volontario  allontanamento.  Nel  caso, dunque, dei soggetti respinti dalla polizia di frontiera, la condotta descritta  dal  comma  1  dell'art.  10-bis   si   e'   materialmente perfezionata, ma il legislatore esclude  la  sussistenza  del  reato, cosi' discriminando coloro che si rendano autori di condotte analoghe senza essere destinatari dei provvedimenti di cui all'art. 10,  comma 1, T.U. Immigrazione;
        non puo' sostenersi che l'eccezione sia  motivata  dal  fatto che gli stranieri, nei casi di cui  al  comma  1  dell'art.  10,  «si presentino» ai valichi di frontiera  (ossia  ai  punti  di  controllo ufficiali di  frontiera),  palesandosi  alle  autorita'  deputato  ai controlli: l'art. 10, comma 1, infatti, si applica a tutti coloro che
si trovino nelle aree dei valichi indipendentemente dal fatto che  si sottopongano volontariamente alle verifiche della polizia (si pensi a coloro che viaggino clandestinamente o occultando la propria  persona su autocarri o navi che transitino dai valichi di frontiera e vengano fermati dalla polizia).
    Il rilievo della descritta disparita' di trattamento  puo'  avere quale  unica  conseguenza,  quella  della  caducazione  della   norma incriminatrice, visto che la Corte costituzionale non puo', in virtu' del principio di riserva di legge, estendere l'ambito di applicazione della norma penale a condotte che non siano in essa ricomprese.

    3. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio di ragionevolezza.  Disparita'  di  trattamento  tra  i  destinatari  di decreti di espulsione e di respingimento ex art. 10, comma 2,  d.lgs. n. 286/1998 e gli stranieri  (extracomunitari  ed  apolidi)  che  non siano tali.
    Come si e gia' detto,  i  commi  5  e  6  dell'art.  10-bis  cita impongono al Giudice procedente l'emissione di sentenza di non  luogo a procedere nell'ipotesi di esecuzione di provvedimenti di espulsione dello straniero o di respingimento ai sensi dell'art.  10,  comma  2, T.U. Immigrazione.
    In relazione a tale parte della norma  possono  muoversi  rilievi analoghi a quelli gia' messi in evidenza nel precedente paragrafo.
    La disposizione, infatti, introduce una irragionevole  disparita' di trattamento di situazioni perfettamente sovrapponibili,  imponendo al Giudice una sentenza di proscioglimento a seconda che intervengano eventi del tutto indipendenti  dall'azione  e  dalla  volonta'  dello straniero  irregolare,  determinando  una  selezione   tra   condotte rilevanti e condotte irrilevanti, che dipende  da  fattori  puramente casuali, in ogni caso estranei alla sfera di controllo dell'agente.
    Irragionevole, peraltro, appare il difforme  trattamento  che  la legge penale riserva ai  destinatari  dei  decreti  di  respingimento emessi dalla polizia di frontiera e quelli dei decreti di  espulsione o di respingimento emessi dal Questore: nella prima, ipotesi il fatto di reato non sussiste, non venendosi  a  integrare  il  fatto  tipico sanzionato  penalmente,  nelle  altre  due  ipotesi  opera  una  mera condizione di punibilita', che rende inefficace la pena per un  reato
completo in tutti i suoi, elementi costitutivi. 
    Si osserva,  peraltro,  che  le  disposizioni  che  escludono  la sussistenza  o  la  punibilita'  del   reato   appaiono   del   tutto irragionevoli  se  valutate  in  comparazione  con   le   norme   che regolamentano, in via amministrativa, la procedura  di  esplusione  e respingimento.
    Si prenda in considerazione, in particolare, l'art. 19, d.lgs. n. 286/1998, rubricato «Divieti di espulsione e di respingimento».
    La norma appena citata, oltre, a vietare l'espulsione verso Stati in cui lo straniero possa essere  oggetto  di  persecuzione,  esclude l'espulsione nei confronti di alcune categorie di soggetti (minori di 18 anni, stranieri in  possesso  di  carta  di  soggiorno,  stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o  con  il  coniuge  di nazionalita' italiana, donne in stato di gravidanza o nel periodo  di puerperio - categoria alla quale  e'  stata  affiancata  dalla  Corte
costituzionale anche quella del marito convivente della donna -). 
La ratio del divieto di espulsione e',  in  queste  ipotesi,  quella  di preservare  da  tale  provvedimento  soggetti  che,  pur   permanendo irregolarmente nel territorio dello Stato, si trovino  in  situazione particolari  meritevoli  di  tutela  (dovute,  per  es.,  a  rapporti affettivi e di sangue con cittadini italiani ovvero  alla  nascita  - imminente o appena avvenuta di un figlio). Tale disposizione  mal  si concilia  -  determinando  situazioni  di  inaudite   disparita'   di trattamento - con  il  disposto  dell'art.  10-bis,  che  esclude  la sussistenza del reato o la sua punibilita' nei casi in cui intervenga un  provvedimento  di  espulsione  e/o  respingimento,   secondo   le modalita' e con le distinzioni prima richiamate.
    La combinazione tra le due norme (art. 10-bis e art. 19 del  T.U. Immigrazione) comporta, in maniera  del  tutto  irrazionale,  che  la norma incriminatrice del reato di clandestinita' sia applicabile, con le conseguenze sanzionatone che ne derivano,  proprio  nelle  ipotesi che  il  legislatore   ritiene   di   discriminare,   escludendo   la possibilita' di espulsione, in ragione della sussistenza di interessi o di esigenze primarie dello straniero ritenuti meritevoli di  tutela e  tali  da  impedire  o  rendere   inopportuna   la   procedura   di allontanamento dal territorio dello Stato. 
    Anche in questo caso, il rilievo  della  violazione  dell'art.  3 Cost. comporta  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale della norma incriminatrice, con sua conseguente caducazione.

    4. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione  e  del  principio della ragionevolezza. Disparita' di trattamento tra gli autori  della condotta  di  cui  all'art.  4,   comma   5-ter   e   gli   stranieri (extracomunitari ed apolidi) irregolari.
    L'art. 14,  comma  5-ter  del  d.lgs.  n.  286/1998,  cosi'  come modificato dalla legge n. 94/2009, prevede che:
    «Lo straniero che senza giustificato motivo permane  illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine  impartito  dal
questore ai sensi del comma 5-bis, e' punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto  il  permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto  in  assenza  di  cause  di  forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato  o  annullato.
Si applica la pena della  reclusione  da  sei  mesi  ad  un  anno  se l'espulsione e' stata disposta perche' il permesso  di  soggiorno  e' scaduto da piu' di sessanta  giorni  e  non  e'  stato  richiesto  il rinnovo, ovvero se la richiesta del  titolo  di  soggiorno  e'  stata rifiutata, ovvero se lo straniero si  e'  trattenuto  nel  territorio dello Stato in violazione dell'art. 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68».
    Il reato disciplinato dalla norma appena  richiamata  punisce  la condotta di chi, entrato irregolarmente nel  territorio  dello  Stato ovvero privo dei titoli di soggiorno  precedentemente  legittimamente ottenuti  e  diventati   inefficaci,   non   ottemperi,   a   seguito dell'espulsione, all'ordine di allontanamento impartito dal  Questore (provvedimento emesso, ai sensi dell'art. 5-bis, nel caso in cui  non sia  stato  possibile  il   trattenimento   presso   un   centro   di
identificazione  e  di  espulsione  o   non   sia   stato   possibile l'accompagnamento alla frontiera).

    La Corte  costituzionale  si  e'  piu'  volte  pronunciata  sulla formula del «giustificato motivo», mettendo in evidenza nella  citata sentenza n. 5/2004, che «formule ad essa equivalenti  od  omologhe  - «senza giusta causa»,  «senza  giusto  motivo»,  «senza  necessita'»,
«arbitrariamente», ecc. - compaiono  con  particolare  frequenza  nel corpo di norme incriminatrici, ubicate tanto all'interno  dei  codici (cfr. artt. 616, 618, 619, 620, 621, 622, 633,  652,  727,  731  cod. pen.; artt. 111, 113, 117, 123, 124, 125, 147,  148,  151,  243  cod. pen. mil. pace; artt, 63, 94, 96, 100, 101, 126, 145, 146, 151,  168, 170, 184, 185, 218, 221, 222 cod. pen.  mil.  guerra)  che  in  leggi speciali (cfr., ex plurimis, art. 4 della legge 18  aprile  1975,  n. 110; art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152; art. 180  del  d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58; art. 56 del d.lgs. 28 agosto 2000,  n.  274;
nonche' art. 6, comma 3, dello stesso d.lgs.  n.  286  del  1998),  e descrittive di reati di natura  non  soltanto  commissiva,  ma  anche omissiva, quale quello in esame (cfr., ad esempio, artt.  652  e  731 cod. pen.; artt. 113, 117, 123, 125, 147, 148,  151,  243  cod.  pen. mil. pace; art. 108 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.  361;  art.  89  del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998)».
    La Corte ha precisato che «dette clausole sono destinate in linea di massima  a  fungere  da  "valvola  di  sicurezza"  del  meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorche' -  anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto  appaia  concretamente  "inesegibile"  in ragione, a seconda dei  casi,  di  situazioni  ostative  a  carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessita' di tutelare  interessi  confliggenti,  con  rango  pari  o superiore rispetto a quello protetto dalla norma  incriminatrice,  in un ragionevole bilanciamento di valori».
    Deve, pertanto, escludersi  che  la  clausola  del  «giustificato motivo»  coincida  con  l'ambito  di  applicazione  delle  cause   di giustificazione (ed in particolare dello stato di  necessita'),  che, in virtu' di disposizioni generali, si applicano in ogni caso a tutti i reati, (cosi' la Corte: «la clausola  in  questione  ...  non  puo' essere ritenuta evocativa delle  sole  cause  di  giustificazione  in senso tecnico - lettura che la renderebbe pleonastica, posto  che  le scriminanti opererebbero  comunque,  in  quanto  istituti  di  ordine generale -»).
    La Consulta, in proposito, rileva, nell'individuare il senso e il contenuto della  formula  predetta,  che  essa  «ha  ...  riguardo  a situazioni ostative di  particolare  pregnanza,  che  incidano  sulla stessa   possibilita',   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempire all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o pericolosa; non anche ad esigenza che riflettano  la  condizione  del "migrante economico", sebbene espressive di istanze in  se'  per  se'
pienamente legittime, sempre che - come  e'  ovvio  -  non  ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall'ordinamento».
    La medesima clausola - che esclude la configurabilita' stessa del reato in presenza di presupposti  di  inesigibilita'  della  condotta criminosa (la Corte parla di «elemento negativo del fatto tipico»)  - non compare nell'art. 10-bis  del  T.U.  Immigrazione.  Tale  mancata previsione comporta,  immotivatamente  e  irragionevolmente,  che  il reato  meno  grave  (quello  c.d.  di  «clandestinita'»)   abbia   un trattamento piu' severo. Il reato di cui all'art. 10-bis e', infatti,
di tipo contravvenzionale e comunque relativo ad una fase antecedente a quella  dell'irrogazione  di  un  provvedimento  di  intimazione  a lasciare il territorio nazionale: l'autore del reato di cui  all'art. 14, comma 5-ter, infatti,  non  solo  si  trattiene  nello  Stato  in violazione  delle  norme  in  materia  di  immigrazione,  ma,  avendo ricevuto  un  ordine  di  allontanamento  da   parte   dell'autorita' amministrativa a seguito dell'accertamento della  sua  condizione  di irregolarita', rimane inadempiente al  provvedimento.  Orbene,  nella seconda ipotesi, espressione di maggiore  disvalore,  e  relativa  ad fase piu' avanzata della permanenza irregolare  dello  straniero  nel territorio, possono valere ad escludere la sussistenza del reato,  al di  la'  delle  cause  di  giustificazione,  situazioni  che  rendano impossibile  o  difficoltoso  l'abbandono  del  territorio,  che  non rilevano nel caso del reato di mera clandestinita'.
    La scelta legislativa e', dunque,  in  palese  contrasto  con  il principio  di  uguaglianza,  manifestando   la   sua   illegittimita' costituzionale.

    5. - Rilevanza della questione nel caso di specie.
    Le questioni di illegittimita'  costituzionale  appenda  indicate sono rilevanti in  relazione  al  presente  giudizio,  in  quanto  la caducazione della norma  di  cui  all'art.  10-bis  comporterebbe  la necessaria  assoluzione  dell'imputat..  .   Ad   analoga   pronuncia assolutoria non potrebbe pervenirsi nell'ipotesi in cui  intervenisse pronuncia di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice citata.

P. Q. M.
 
    Chiedono che  il  Giudice  di  Pace  di  Lentini,  ritenutane  la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sollevi  la  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1,  ultimo periodo, del decreto legislativo n. 286/1998  e  62-bis  del  decreto legislativo n. 274/2000, introdotti dall'art. 1, commi 16 e 17  della legge n. 94/2009, per contrasto con gli artt. 3,  13,  25,  27  della Costituzione, ordinando  la  sospensione  del  giudizio  in  corso  e rimettendo  gli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  il  relativo giudizio di legittimita'.

        Siracusa, addi' 28 ottobre 2010
 
I procuratori della Repubblica: Rossi - Corselli

(GU n. 40 del 21-9-2011 )

 

Mercoledì, 21 Settembre 2011

 
 
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