Il tunisino (storia di Ali)

Racconto di Beppe Casucci

Aristotele (Atene, IV secolo A. C.): Òconoscere noi stessi  la pi difficoltosa delle imprese, in quanto essa non consiste solo nel saper fare buon uso della ragione, ma anche nel riuscire a razionalizzare le nostre paure e le nostre passioni. Se saremo in grado di conoscere e dominare veramente noi stessi, allora potremo capire meglio gli altri e la realtˆ che ci circondaÓ.

 

 

 

 

 

 

 

I . Roma, Via del Tritone ore 14.00

Il giovane uomo dalla pelle scura si fece largo a fatica tra i passeggeri, per sedere esausto nellĠunico posto libero rimasto nel bus urbano n. 95. Non era unĠora di punta ma il mezzo era comunque pieno, come spesso accade a Roma costantemente invasa da visitatori, a prescindere dal periodo dellĠanno o dal clima.

Il suo nome era Ali Trabelsi. Aveva 26 anni e veniva da Tunisi, dove aveva dovuto lasciare la famiglia e tutte le sue radici. Era arrivato in Italia dopo una traversata perigliosa dei 200 chilometri di mare che separano le coste tunisine dallĠisola di Lampedusa, approdo usuale di migranti irregolari e profughi, accatastati a decine su navigli di fortuna.

Era di buona cultura, sportivo e giovane, apparteneva ad una famiglia di commercianti impoveriti dalla crisi economica e dai rivolgimenti sociali che ne erano seguiti contro il dittatoriale regime del Presidente Al“. Dopo molte peripezie, in qualche modo ora era arrivato a Roma; nel suo cuore molte aspettative ed una grande incertezza sul futuro.

Era salito sul mezzo di trasporto urbano, dopo venticinque minuti dĠattesa, alla fermata di via del Tritone, sprovvista di pensilina ed esposta al sole cocente delle due del pomeriggio di una afosa giornata di luglio a Roma. Il sole a picco non concedeva neanche uno spicchio dĠombra al marciapiede e lÔuomo, per sfuggire allĠinsolazione, si era rifugiato nellĠingresso di un negozio dĠabbigliamento, malgrado le occhiate oblique del personale e lo scarso andirivieni dei clienti.

<Non pu˜ rimanere qui>, lĠaveva apostrofato ad un certo punto quella che sembrava essere la gerente del locale: <sta ostruendo lĠentrata e mi allontana i clienti>. Ali si era spostato di lato, senza fare commenti. LĠaltra aveva borbottato qualcosa di spiacevole ed era rientrata nel clima temperato del negozio.

Dopo unĠattesa resa insopportabile dal clima bollente, il bus 95 era arrivato e monsieur Trabelsi vi era entrato con sollievo. A tracolla portava uno zaino con le sue poche appartenenze.

LÔuomo aveva unĠaria trafelata per il lungo bagno sauna e la conseguente disidratazione, ma il portamento rimaneva contenuto e dignitoso, malgrado lĠambiente affollato e le occhiate di fredda indifferenza. Sprofond˜ con evidente sollievo sullĠunico sedile disponibile, estrasse dallo zaino una bottiglietta dĠacqua raccolta in una fontana e sorseggi˜ con parsimonia.

Nella mente aleggiavano muti i ricordi degli ultimi drammatici avvenimenti nel suo Paese e delle varie traversie vissute in Italia: la rivolta del pane, lĠuso dei militari contro la folla, gli amici morti, il fallimento del negozio dÔabbigliamento del padre. La difficoltˆ a trovare lavoro.

Poi la decisione di emigrare assieme ad un cugino e ad alcuni conoscenti. Di lui aveva perso le tracce nelle campagne vicino a Manduria, durante una fuga di alcuni ÒospitiÓ dal Centro di Identificazione ed Espulsione locale. Rivisse durante alcuni attimi lĠinferno della traversata, lĠarrivo a Lampedusa. La gentilezza della popolazione dellĠisola e dei volontari, ma anche il feroce accoglimento da parte di molti mass media italiani e - in qualche caso - il duro trattamento ricevuto da qualche rappresentante delle forze dellĠordine.

Ali si guard˜ attorno con timore e curiositˆ: accanto sedeva un uomo impegnato nella lettura di un libro. Il giovane ne osserv˜ i particolari: era un distinto individuo sulla cinquantina, fornito di completo grigio e cravatta, malgrado il clima bollente. Aveva una calvizie incipiente al di sopra della fronte, il naso era pronunciato ed aquilino, le labbra sottili. I capelli erano scuri e brizzolati, il ventre apparentemente pi prominente per lĠuso di una camicia bianca. Il tunisino lo scrut˜ per alcuni istanti e valut˜ lĠopportunitˆ di chiedergli una informazione, ma la il timore di una brusca risposta e lĠitaliano approssimativo lo fecero esitare. Aveva giˆ avuto qualche esperienza spiacevole in questo senso, con qualche italiano non proprio ospitale.

 

Anche i due sedili opposti erano occupati. Di rimpetto torreggiava una donna corpulenta non pi giovane, mentre - al suo lato - un teenager sembrava immerso nella musica che sgorgava a fiotti dalle cuffie incollate alle orecchie.

Alla fine, comunque si decise. Ali ripose lĠingombrante zaino a fianco del sedile e sussurr˜, a metˆ tra il francese e lĠitaliano: < dans la rue, il y aura plus di quaranta gradi, cĠest terribile>. Il commento cadde praticamente nel vuoto; il vicino di posto, infatti, abbozz˜ una smorfia dĠincomprensione. <Il caldo  tanto>, aggiunse il tunisino a spiegazione . LĠaltro borbott˜ un assenso e poi continu˜ ad ignorarlo.

Leggermente scoraggiato il giovane nordafricano pens˜ a qualcosa che potesse aiutarlo nello stabilire un minimo tema di dialogo. Per semplice curiositˆ, il giovane si sporse in avanti e diede unĠocchiata alla copertina del libro in mano al suo occasionale compagno di bus. Si trattava di ÒUbikÒ, di Philip K. Dick, un classico della fantascienza.

Trabelsi lĠaveva letto di recente. Glie lĠaveva regalato suo fratello che aveva studiato a Cambridge, in Inghilterra e che amava molto gli scrittori americani. In effetti, Ali aveva con sŽ una copia del libro nello zaino, con lÔidea di rileggerlo quando avesse avuto un momento di tranquillitˆ. Il giovane lo estrasse e lo mostr˜ al vicino: era una versione in inglese.

<LĠho letto anche io da poco tempo>, comunic˜ al suo book- mate. LĠaltro non mostr˜ gran che interesse, sorrise obliquamente di nuovo e ritorn˜ al secondo capitolo del libro.

Ali ne ricordava bene la trama, in quanto il racconto lĠaveva notevolmente impressionato. E ne rammentava anche il piacere della lettura, fantastica, scorrevole e ricca di ambiguitˆ, cos“ come era stata la burrascosa esistenza del suo autore, morto tossicodipendente. Come spesso succede ai grandi, durante i suoi 54 anni di vita Dick aveva sofferto a lungo di problemi economici, frutto anche di unĠesistenza alquanto disordinata. E questo, malgrado la sua notorietˆ come scrittore fosse in crescita anche prima della morte avvenuta nel 1982. La fama internazionale era venuta dopo, con la realizzazione da parte di Hollywood del film ÒBlade runnerÒ, con Harrison Ford. Se non ricordava male, una casa cinematografica aveva recentemente programmato una produzione proprio di Ubik, cos“ come era successo con altre opere di Dick, come ÒTotal recallÓ, ÒMinority reportÓ, ÒPaycheckÓ, ÒA scanner darklyÓ e, ultimamente ÒAdjustment BureauÒ, tutte pellicole tratte da libri dello stesso prolifico scrittore.

Anche John Lennon, nel suo periodo newyorkese ne aveva apprezzato le qualitˆ e, per un poĠ aveva accarezzato il progetto di finanziare la produzione di un film, basato su di un altro successo di Dick: ÒLe tre stigmate di Palmer EldrickÓ.

<Che ne pensa di questo libro?>, il giovane tent˜ un nuovo approccio col compagno di viaggio. Questi si distacc˜ per un attimo dalla lettura, lo guard˜ e sorrise ma rimase silenzioso.

<EĠ stupendo - prosegu“ incoraggiato il tunisino - ma anche molto strano ed a tratti incomprensibile>. Il suo tentativo era quello di stabilire un tema di dialogo col vicino di posto. LĠaltro, per˜, borbott˜ che era ancora allĠinizio della lettura, si scus˜ e torn˜ al libro.

Ali apr“ la sua copia e prese a sfogliarla, lesse alcune righe e cominci˜ a ricordare.

 

II. Ubik

La storia di Ubik era ambientata in un futuro indefinito in cui la societˆ  tecnologicamente molto avanzata, ma anche in profonda decadenza. LÔumanitˆ ha ceduto alla tecnologia parte del proprio protagonismo e tutto il lavoro manuale. Ma  una societˆ mercificata e senzĠanima, dove ogni elettrodomestico e perfino le porte, per funzionare, chiedono di essere pagate in anticipo e dove i mass - media utilizzano robot invasivi per turbare la privacy di ognuno e vendere un prodotto informativo interamente composto da pettegolezzi.

<Un rischio non tanto teorico anche nella realtˆ>, rifletteva il giovane tunisino.

Nel mondo di Ubik telepatia ed energia mentale sono molte sviluppate in alcuni individui dotati di questi talenti che li utilizzano anche a fini di spionaggio finanziario, industriale e commerciale. Ci sono dunque Psi e pregogs, ma anche i loro alter ego, antipsi ed anti precogs, utilizzati per contrastare gli uni agli altri.

Il protagonista principale, Joe Chip,  un tecnico impiegato nella Runciter Associates, societˆ di inerziali specializzata in annullare gli effetti dellÔinfluenza dellÔenergia mentale di individui particolarmente dotati. Il suo lavoro: misurare la presenza e lĠintensitˆ di queste influenze, con lĠuso di una sofisticata apparecchiatura specialistica.

Un giorno Joe partecipa, assieme al suo capo- Glen Runciter ed a dieci inerziali, ad una missione sulla Luna dove cadono nella trappola di una societˆ di precogs e vengono coinvolti in unĠesplosione, in cui lĠunica vittima  il titolare della societˆ. I superstiti trasportano il corpo di Glen Runciter a Zurigo, presso la ÒBeloved Brethren, Moratorium per semi viviÓ, dove barlumi di coscienza del cervello possono essere conservati dopo la morte. In quello strano universo, infatti, il cervello del morto pu˜ essere risvegliato e consultato a piacere dai familiari, fino ad esaurimento delle cellule grigie. Dopo lĠesplosione, per˜, Joe Chip ed i suoi compagni cominciano a ad osservare strani fenomeni di regressione e perdita di consistenza della realtˆ: sigarette che si sbriciolano, caff che perde sapore, elenchi telefonici che invecchiano, ascensori ed artefatti che regrediscono a precedenti livelli tecnologici; denaro che va fuori corso. Ed ancora, altri avvenimenti inspiegabili: il volto e messaggi di Runciter cominciano ad apparire attraverso spot pubblicitari in TV e sulle banconote, mentre frasi scritte dal loro capo e riferite allĠincidente sulla Luna, si materializzano in confezioni di prodotti inscatolati settimane prima dellĠattentato. Infine, cosa pi grave, uno alla volta i suoi compagni cominciano ad essere vittime di un fenomeno inspiegabile che li porta - uno dopo lĠaltro - alla consunzione, alla mummificazione ed alla morte.

Dopo molte ipotesi per spiegare il rompicapo di quella situazione, una domanda obbligata si affaccia alle riflessioni dei superstiti del gruppo: chi  morto davvero nellĠesplosione e chi  ancora vivo? CĠ Glen Runciter in animazione sospesa al moratorium, o ci sono Chip ed i suoi compagni? QualĠ la realtˆ e quale il sogno? Joe Chip non conosce le risposte, mentre il susseguirsi degli avvenimenti invia segnali contrastanti e, fino alla fine del libro, una interpretazione univoca  impossibile anche per il lettore.

Nella tormentata e geniale visione del mondo di Dick, dove la societˆ  inevitabilmente condannata al declino, sembrano regnare lĠeterna dualitˆ ed ambiguitˆ che dividono il sogno dalla realtˆ, almeno nella nostra percezione: cosĠ reale e cosa non lo ? CosĠ giusto e cosĠ sbagliato? Ed ancora: quello che facciamo, le nostre scelte, le nostre azioni, influenzano o no il percorso del nostro tempo individuale ? Oppure il tutto  giˆ definito e a noi non resta altro che subire inerti un tracciato esistenziale inamovibile? Domande che lÔumanitˆ si  posta da tempo immemorabile e non dissimili da quelle che il giovane tunisino si riproponeva ogni giorno nel corso della sua personale Odissea.

<Pazzesca la fantasia di questo scrittore>, pens˜ ad alta voce il giovane: <alcuni episodi appaiono frutto di allucinazioni, altri profondamente attuali>. Concluse poi: <certo, la tecnica dello scrittore e la dinamica del racconto lasciano senza fiato>. Malgrado la pertinenza dei commenti, il suo vicino non appariva interessato, nŽ socievole e dopo alcuni mugugni rispose secco: <grazie, ma se continua a parlare, non riesco a concentrami>.

Il suo compagno di viaggio, in effetti, era immerso nella magia del libro: nel terzo capitolo, Joe Chip conosce Patricia Conley, unĠanti precog capace di tornare con la mente al passato e cambiare a piacere avvenimenti personali: con la conseguenza di modificare pezzi di inerente futuro. E questo senza dover viaggiare fisicamente nel tempo. La ragazza - che si rivelerˆ essere unĠinfiltrata nel gruppo, al servizio di una societˆ rivale - mostra a Chip un esempio pratico del suo talento, modificando un aspetto del loro presente e riuscendo a farsi assumere nella ditta Runciter.

 

III. Il centro di Roma in un pomeriggio di luglio

Ali, poco felice dellĠincomunicabilitˆ del vicino, torn˜ faticosamente concentrarsi su quella che era la sua realtˆ. Il mezzo di trasporto era moderno, consumava metano ed era provvisto di climatizzazione. Veniva da Villa Pamphili ed ora scendeva lungo via del Tritone diretto alla Stazione Ostiense: percorso obbligato che scende lungo via del Corso, Piazza Venezia, passa accanto alla Bocca della Veritˆ, costeggia il Lungotevere, attraversa il rione Testaccio per arrivare alla Piramide e, subito dopo, alla stazione Ostiense. Da l“ parte il trenino per la spiaggia ed il comune di Ostia, dovĠ ubicato uno dei rifugi della Caritas per i poveri ed i senza tetto, sempre di pi frequentato da migranti e punto dĠarrivo in cui il nostro protagonista sperava di trovare ristoro e riparo per la notte.

Cos“, almeno gli era stato suggerito da uno dei volontari del CIR a Manduria che gli aveva fornito alcune informazioni e consigli.

Il centro di Roma, a quellĠora post meridiana, era particolarmente trafficato ed il bus procedeva a stento tra semafori e turisti che attraversavano le strade disordinatamente. Grazie al climatizzatore, comunque, dentro il mezzo si riusciva a respirare. Fuori lĠaria sembrava vibrare, scossa dal calore dellĠasfalto, distorcendo la forma delle cose ed annebbiando i pensieri dei malcapitati in giro per Roma.

Frotte di turisti, apparentemente allo sbando, camminavano faticosamente sotto la canicola implacabile, provenienti da Fontana di Trevi e diretti verso Trinitˆ dei Monti. Indossavano grandi cappelli, camicie e magliette colorate e sembravano allegri e rumorosi, malgrado un clima meteo di allerta 3. Qualcuno aveva tentato il bagno nella fontana di Trevi, ma era stato inevitabilmente respinto dai vigili urbani. A tratti, frotte di asiatici, americani e mitteleuropei invadevano la corsia dei bus rendendo il loro incedere ancora pi difficile.

 

Mischiati alla rinfusa ed in continuo movimento sui marciapiedi, circolavano anche molti esemplari di gente comune; uomini e donne che lavorano a luglio e sognano il mare o viaggi esotici. Ma quel giorno, le ferie di agosto sembravano pi lontane della galassia di Andromeda e, nel frattempo, bisognava vivere alla giornata, sperando in qualche temporale o il rifugio effimero dellÔaria condizionata. Dentro lĠautobus, comunque, si era in un altro mondo, climaticamente sopportabile, ancorchŽ umanamente elettrico. Monsieur Trabelsi osservava quegli esemplari di umanitˆ dal finestrino del bus, riflettendo che in una situazione di stress o di estrema difficoltˆ non  inusuale rifugiarsi nei ricordi piacevoli o nella sana fantasia offerta da una buona lettura.

Nel quarto capitolo, a Mr. Chip arriva via posta uno spray di nome Ubik che, utilizzato secondo indicazioni contenute nel pacchetto, ha il potere di rallentare la percezione di regressione della realtˆ. Joe nebulizza la sua persona con lo spray e riesce ad evitare di fare la fine di alcuni dei suoi compagni, in particolare della collega Wendy Wright per la quale aveva un debole. In effetti il corpo di lei, mummificato, viene inspiegabilmente scoperto nellÔarmadio della sua stanza dÔhotel. Una stanza il cui telefono  abilitato solo a ricevere la voce di una sola persona che parla ma non ascolta: Ben Runciter. Il messaggio  sublimale ed insinua indirettamente che Chip stia vivendo in unĠaltra realtˆ, effimera e instabile. Ma anche Ubik soffre gli effetti della regressione temporale della materia in atto in quel mondo crepuscolare ed alla fine Joe comprende che, se si vuole salvare, dovrˆ fare i conti solo su se stesso, sulla sua razionalitˆ e sulle proprie forze.

Un messaggio di Runciter, durante uno spot televisivo, gli consiglia di non separarsi dagli altri, perchŽ il pericolo aumenta con lĠessere soli, come se la consistenza delle cose potesse unicamente dipendere dalla socialitˆ degli uomini. LĠunica speranza di sopravvivenza viene dunque dal rapporto con altri esseri umani. Ali si distacc˜ dal ricordo del quarto capitolo, lasci˜ il mondo di Ubik e torn˜ al proprio, dove la socialitˆ con gli altri passeggeri appariva altrettanto problematica di quella sperimentata da Joe Chip.

 

IV. Storia di Ali

LĠuomo dalla pelle scura, estrasse il fazzoletto e cominci˜ ad asciugarsi il sudore, tra lĠevidente fastidio dei suoi compagni di viaggio. Era vestito con una giacca consunta di jeans leggero, camicia bianca, pantaloni di lino marrone scuro, un berretto dello stesso colore ed una cravatta rosso bordeaux. Ai piedi calzava scarpe da ginnastica logorate dal tempo e dai chilometri. Veniva dai sobborghi di Tunisi e, per farlo, aveva attraversato il Mediterraneo, su di una carretta di fortuna, a suo rischio e pericolo.

NellĠultimo decennio 16 mila persone erano morte nel tentativo di attraversare il ÒMare di MezzoÓ ed emigrare in Europa. A lui era andata bene, anche se il viaggio gli era costato 1500 euro, pagati in anticipo allo scafista, pi altri 1000 euro di debiti contratti in patria; debiti che doveva onorare quanto prima. L“ la sua famiglia aspettava ansiosa qualche risultato dal suo lavoro. Il Presidente Ben Al“ se nĠera andato, ma il futuro della gente rimaneva oscuro, malgrado le promesse del Governo provvisorio. Per questo molti giovani abbandonavano il Paese.

Il viaggio poi era diventato una vera odissea. Dopo una traversata tempestosa, assieme a suo cugino ed altre 34 anime in una bagnarola di 25 metri, Trabelsi era stato gettato in mare dagli scafisti allĠarrivo della guardia costiera maltese. Fortunatamente era stato quasi subito salvato - assieme agli altri sventurati - dagli stessi militari, che avevano anche arrestato gli scafisti. Ma non era stato portato a Malta: ricaricati sulla stessa malconcia barca, lui ed i suoi compagni erano stati scortati fino al limite delle acque territoriali italiane e, di fatto, spediti verso Lampedusa, dovĠerano arrivati senza altri drammi.

In effetti la barca era stata presto intercettata da una nave della Marina italiana che aveva dato loro soccorso e li aveva scortati fino allĠisola.

L“ il giovane era rimasto bloccato per molti giorni al largo della Sicilia, con la minaccia di una espulsione incombente. Poi il miracolo: il trasporto al campo profughi di Manduria in Puglia. La fuga di suo cugino assieme ad altri migranti e, poco dopo, la concessione di un permesso temporaneo per sei mesi e la rimessa in libertˆ.

O, per meglio dire, lĠabbandono a se stesso. Nessuno gli aveva dato soldi, cibo o un biglietto di viaggio. Nessuna indicazione sul dove andare o su quali strutture o istituzioni contare.

Tranne la buona volontˆ di qualche associazione di volontariato, la solidarietˆ del Bel Paese si era ridotta al pur importante permesso. Solo un consiglio era venuto dalla polizia, un consiglio che assomigliava tanto ad una diffida: <se hai parenti in un altro Paese europeo,  meglio che tu vada l“. PerchŽ in Italia - alla scadenza del permesso temporaneo - non si sa cosa succederˆ>. Ali, per˜, preferiva rimanere in Italia e tentare la sorte a Roma o nelle prosperose cittˆ del Nord.

La Francia era lĠultima chance, anche perchŽ voci circolate nel campo profughi a Manduria, raccontavano di difficoltˆ ad espatriare e che le autoritˆ francesi bloccavano tutti al confine di Ventimiglia.

A Trabelsi, inoltre, erano rimasti pochi soldi e per qualche settimana il giovane aveva lavorato nella raccolta di pomodori nelle campagne attorno a Cerignola. Ma l“ la vita era troppo dura, tra orari e condizioni di lavoro inumane, caporali che assomigliavano troppo ai trafficanti di carne umana ed anche agli usurai che minacciavano di perseguitare la sua famiglia se non avesse pagato presto.

Il lavoro era massacrante: 12 - 14 ore al giorno sotto un sole implacabile; un caldo spesso vicino ai 40 gradi, per 25 euro, di cui 5 trattenuti dal caporale. Il costo di un magro vitto veniva trattenuto dal salario dagli stessi aguzzini, ad un prezzo esorbitante; alla sera venivano trasportavi in una baracca indegna dei peggiori sobborghi di Tunisi, anche quella a pagamento, naturalmente.

Di notte Ali dormiva assieme ai suoi compagni di sventura in un pagliericcio dal colore indefinibile, magari dopo essersi lavato con lĠacqua di un pozzo. Erano soprattutto africani a dormire in quella baracca. Migliori condizioni, a quanto sembrava, venivano riservati a migranti arrivati dallĠEuropa dellĠEst, rumeni e moldavi particolarmente. Almeno, quelle erano le voci che circolavano.

Alla mattina, sveglia alle 04.30, colazione con pane, olio, olive, frutta e un poĠ di Coca Cola e, saltuariamente, formaggio. Qualche volta rimediava anche del caff, filtrato alla meglio da un compagno marocchino che possedeva una macchinetta napoletana. E poi via col camion che li portava a quel lavoro forzato che sempre di pi assomigliava ad una moderna schiavit .

Alle 12 un frugale pranzo con acqua, pane olive e formaggio. Solo alla sera erano in grado di prepararsi qualcosa di caldo, pasta o zuppa cucinate alla meglio in fornelli elettrici. Alla domenica il marocchino cucinava Cus Cus, con ingredienti che Ali non riusciva a capire dove recuperasse. Ma soprattutto abbondava molto il vino, per dimenticare una realtˆ insopportabile. Lui per˜ non toccava alcool, secondo le sue tradizioni. Solo acqua o del t caldo. Era davvero inquietante che una simile forma di sfruttamento estremo prosperasse proprio nella terra di Di Vittorio, che tanta parte della sua vita aveva dedicato alle lotte bracciantili.

Qualcuno aveva provato a ribellarsi, ma era stato massacrato di botte e lasciato l“ per terra, esamine ai bordi della proprietˆ, oppure era semplicemente svanito. Alla fine Trabelsi ed alcuni compagni avevano deciso di rinunciare. Ma senza far rumore e senza pretendere nulla, perchŽ alzare la voce, chiedere di essere trattati come esseri umani, poteva essere molto pericoloso nel Sud Italia di inizio 21Ħ secolo. Semplicemente, avevano aspettato il giorno di paga, il sabato. Dopo di che avevano lasciato di notte la baracca, dirigendosi verso Foggia, prima a piedi e poi con un bus che passava per la provinciale. L“ si erano separati, perchŽ alcuni di loro volevano andare in Campania, a Cartel Volturno, alla ricerca di altro lavoro, sicuramente nero. Altri avevano optato per la Francia o il Belgio. Lui, invece, aveva preso un treno per Roma, dopo essersi lavato e cambiato al bagno diurno della stazione di Foggia.

Dopo aver mandato parte del magro salario a casa, gli erano rimasti un poĠ di soldi, ma non molti. Meglio comunque lasciare il Sud Italia e rischiare la fortuna nella capitale. LĠavevano informato che nelle campagne presso Latina avrebbe potuto cercare lavoro, ma aveva anche saputo che quella era unĠarea praticamente riservata a migranti di origine indiana.

Qualcuno gli aveva suggerito il mercato centrale della capitale, dove si poteva lavorare alle prime ore dellĠalba per scaricare le merci. Altro lavoro nero era possibile trovarlo nel settore edilizio. Anche in questo caso per˜ si doveva passare attraverso i cosiddetti caporali, altrimenti si era esclusi. CĠera anche la chance di riuscire a trovare lavoro in qualche ristorante, magari etnico. Se anche a Roma le cose fossero andate male, comunque, cĠera sempre il Nord Italia e, come ultima possibilitˆ, il tunisino avrebbe potuto tentare di passare in Francia o in Belgio, Paesi dove almeno si parla il francese. Aveva uno zio a Marseille: forse lĠavrebbe aiutato. Ma non lo vedeva da anni e Ali non era molto fiducioso di ricevere una buona accoglienza.

Immagini e ricordi aleggiarono per lunghi istanti ai bordi della coscienza, assieme ad una struggente nostalgia di casa, della famiglia, degli amici. Una emozione che poteva assumere la forma di dolore fisico. In quanto irraggiungibili, non erano ricordi piacevoli, ed il giovane tunisino se ne allontan˜ cercando con la mente rifugio sul mondo fantastico di Ubik, Apr“ la sua copia di libro e sfogli˜ il quinto capitolo.

 

V. Tra cruda realtˆ e voglia di allucinazione

Joe Chip decide di recarsi a Des Moines, capitale dello stato dellĠ Iowa, da New York. Deve partecipare al funerale di Ben Runciter, titolare della ditta. Ma la sua realtˆ continua a recedere nella forma della materia e nel tempo, a periodi anteriori la seconda guerra mondiale. La porta del suo appartamento al 37Ħ piano di un grattacielo di New York  lÔunica a non regredire e continua a pretendere di essere pagata per aprirsi. Tutto il resto, invece, assume forme che appartengono al passato: lĠascensore super veloce che lĠaveva portato al suo flat si trasforma in un lift con operatore in divisa che ricordava la prima metˆ del Ô900. Ma assume un aspetto tanto pericolante che Joe decide di scendere utilizzando le scale.

Arrivato al pianterreno, Mr. Chip scopre che la sua BMW si  trasformata in un pezzo dĠantiquariato: una LaSalle dĠepoca, circa 1940, a cambio manuale. Joe si reca allĠaeroporto e baratta lĠauto con un passaggio su di un aereo regredito a biplano biposto, con motore ad elica.

Dopo un viaggio lunghissimo, Joe arriva a Des Moines, dove apprende di essere nel 1939. La sua realtˆ si  apparentemente stabilizzata.

In quella cittˆ, tra la gente, lĠargomento del giorno  lĠimminente probabilitˆ che la Germania entri in guerra. Un tassista gli rivolge alcune domande e quasi subito Joe si rende conto che sua conoscenza della storia futura lo rende sospetto agli occhi degli abitanti di quel mondo da tempo tramontato. Infatti, i dipendenti della Runciter Associates l“ sono degli stranieri anzi, peggio, culturalmente estranei, prigionieri in unĠepoca che non  la loro, con conoscenze, idee e credenze estremamente non convenzionali agli occhi delle persone di quel tempo.

Il gruppo di anti psi ed anti precogs, appare nello Iowa del 1939 eccezionalmente fuori posto, come un cane in chiesa, Considerati magari un gruppo di agenti provocatori stranieri, praticamente dei probabili sabotatori o terroristi.

Joe Chip per il tassista, appare non solo diverso, ma soprattutto fuori contesto, inaffidabile e inevitabilmente sospetto.

 

VI. Tra rifiuto e bisogno di socialitˆ

Ali ritrasse gli occhi dal libro e si guard˜ intorno e, con un sospiro di intuizione, realizz˜ di essere anche lui nellĠambiente romano, simile a Joe Chip. Di attraversare unĠarea potenzialmente inospitale, dove la gente lo considerava uno straniero, un migrante dalla pelle scura, a dir poco diverso ed estraneo. Il giovane tunisino scrut˜ le persone sullÔautobus, posando fugacemente gli occhi sui suoi compagni di viaggio, cercando uno sguardo, anche solo un attimo di attenzione: la prova che anche lui, come gli altri, era l“, esisteva. Non trov˜ nulla di tutto questo. Per gli altri passeggeri, monsieur Trabelsi era solo un africano, sudaticcio e trasandato: un disturbo per la vista e per la coscienza e, come si sa, questĠultima classe dĠimpiccio  considerata forse la pi fastidiosa, soprattutto per chi di coscienza ne possiede poca.

 

Al suo sguardo insistente, il passeggero a fianco distolse infine lĠattenzione dal libro, fingendo di osservare le immagini che si alternavano sul monitor appeso al soffitto, ma soppesando in realtˆ con la coda dellĠocchio lĠuomo al suo lato.

Esibiva un insofferente distacco e pensava: <ma questo cosa vuole, soldi? Proprio qua doveva venire a sedersi Ôsto balubaÉ>. <E guarda come si agita. Mi ha giˆ urtato due volte con il gomito. E Poi ha un sudore acido che sa di rancido. Io non sono razzista, per˜ É.. tutto ha un limite>.

Ali guard˜ di nuovo il compagno di posto abbozzando un nuovo sorriso, ma lĠaltro distolse di colpo il capo e torn˜ apparentemente a leggere.

Nel sesto capitolo Mr. Chip realizza che Patricia non possiede pi il potere di manipolare avvenimenti passati per cambiare il presente. Anzi, nessuno dei suoi colleghi anti psi ed anti precogs  pi in grado di esercitare alcuni dei propri talenti. In ogni caso due forze appaiono essere in azione e contrapposizione in quel mondo in disgregazione: la prima di carattere entropico, capace di esaurire ogni forma di energia e di calore, volta a minare la stessa consistenza della realtˆ e di produrre una fredda dissoluzione dellĠesistenza. La seconda, Ubik, sembrava al contrario opporsi a questo letale processo, riuscire a ritardarne per un poĠ gli effetti. Una forza amica, dunque, volta a preservare la vita, aggrappandosi ad essa in qualsiasi modo ed in qualunque forma.

La perdita dei poteri degli anti precogs porta Joe Chip a considerare la possibilitˆ che siano il suo corpo e quello dei suoi colleghi e giacere in condizione di semi vita al moratorium di Zurigo. E che, al contrario, il funerale di Runciter a Des Moines nello Iowa, sia solo una allucinazione delle loro menti in animazione sospesa. Il sospetto  che quello che esperimentano attorno a loro sia, il prodotto di unĠentitˆ maligna, oppure solo frutto della tenace ostilitˆ delle loro menti ad abbandonare il mondo dei vivi.

Se questa interpretazione fosse vera , comunque, lĠesistenza di Ubik ed i messaggi di Runciter, sarebbero anche il segno che il loro datore di lavoro  forse lĠunica persona del loro gruppo sopravissuta allĠesplosione sulla luna e che i segnali di contatto sono tentativi da lui realizzati al moratorium di Zurigo.

<Ma questa interpretazione, pensa Joe Chip ed Ahmed con lui, non spiega i fenomeni di regressione della realtˆ, nŽ la fredda consistenza del corpo di Runciter concretamente presente nella camera mortuaria di quella cittˆ dello Iowa>.

E soprattutto non spiega Ubik che in nessun caso sarebbe potuto provenire dal mondo dei vivi, essendo fatto di materia concreta.

Dunque, per Chip, unĠaltra interpretazione va ricercata, una logica nel percorso dellĠesistenza individuale di ognuno di loro. Una teoria capace di spiegare, insieme, la regressione della realtˆ e del tempo, la morte progressiva dei suoi colleghi, e lĠazione di Ubik.

Prevale ancora una volta, in questo racconto di Dick, il trionfo dellĠambiguitˆ tra reale e immaginario. Realtˆ e fantasia, sanitˆ mentale ed allucinazione, si mescolano insieme, in una trama complessa ed affascinante. Il dubbio che si insinua nelle menti di Ali e di Joe Chip  che quello che percepiamo del mondo che ci circonda, sia solo una impressione individuale, non necessariamente condivisa dal prossimo. Il tutto  classico della geniale e disturbata mente dellĠautore del libro, ma anche della sfuggevole concezione della realtˆ e della sua evoluzione nel tempo che lĠumanitˆ sperimenta ogni giorno nella vita che considera certa e concreta, tranne nei sogni particolarmente vividi.

 

VII. La facile strada dellĠesclusione delle diversitˆ

Le divagazioni di Ali furono di colpo interrotte e ricondotte alla realtˆ percepibile nellĠautobus numero 95.

La signora, sul sedile di fronte, agit˜ una grande borsa e ne estrasse un ventaglio: <clima africano!>, sentenzi˜ rivolta a tutti, poi sembr˜ accorgersi dellĠuomo seduto di rimpetto, tent˜ di rimediare, ma se ne usc“ con una gaffe ancora peggiore: <io non so come fanno i negri, l“ in Africa, tutti i giorni lˆ con un caldo pazzesco di 50 gradi>, disse fissando lo sguardo sul finestrino al suo lato sinistro, come se il suo interlocutore si trovasse fuori dal bus. <Certo – aggiunse poi accennando uno sguardo verso il tunisino – voi magari sarete pure abituati allĠafa con la giungla, le capanne, i leoni e tutto il resto É>.

 

Poi cap“ di averla detta grossa e rivolse una debole scusa al monitor appeso al soffitto: <non ci faccia caso sa, a me mi escono al naturale>. Infine, concluse contraddicendosi: <da voi  un caldo secco, non  vero?>. Il monitor per˜ rimase indifferente.

Trabelsi sorrise tristemente al razzismo sottinteso ed agli insulti. Evit˜ comunque di rispondere, tornando ai propri gravosi pensieri. Ad un tratto ricord˜ che quel giorno non aveva ancora chiamato a casa e che i suoi cari erano certo in ansia. Estrasse dalla tasca un vecchio modello di Nokia ed una phone card comprata a piazza Barberini: di quelle che con 5 euro parli per ore con il tuo Paese. Chiam˜ il numero verde, una voce registrata rispose; compose poi un lungo PIN ed alla fine il codice paese, quello di Tunisi ed il numero di casa.

Dopo un attimo stava parlando in arabo a voce concitata, come chi teme che la voce venga indebolita dalla distanza. <S“ Halima, sto bene. Ti chiamo da Roma>, diceva: <ora vado al centro di accoglienza della Caritas, dove spero di trovare qualcosa da mangiare e un letto per dormire stanotte. Domani cercher˜ un lavoro, al mercato centrale. Come stanno i bambini?>. Frasi importanti per la sua famiglia, che lui cercava sempre di tranquillizzare anche quando il suo cuore era pesante e la voglia di urlare era forte.

Si sentiva solo, con una limitata ed incerta prospettiva di fronte, un futuro che poteva immaginare a stento solo giorno per giorno. Ali Trabelsi cercava solidarietˆ, uno sguardo amico, o almeno non ostile; magari gente disposta a dare informazioni, o anche solo a rivolgergli la parola. Ma il suo dramma e quello della gente come lui - che pure campeggiava sulle prime pagine dei quotidiani ed in televisione tutti i giorni - era una storia lontana, estranea al privato degli italiani e che - apparentemente - non arrivava allĠanima dei suoi occasionali compagni di viaggio, in quellÔautobus nel cuore di Roma in quella bollente giornata di luglio.

Il suo vicino di posto, anzi, era sempre pi irritato: <Ôsti negri!>, pensava, <educazione manco a parlarne! Starnazzano al cellulare ad alta voce, e non badano certo al fastidio che danno al prossimo>. <Arrivano qui dal Continente Nero e subito vorrebbero farla da padroni. Ecco perchŽ alla fine la gente si stufa>.

 

Aggiunse poi a giustificazione del pensiero poco caritatevole: <con tutti i problemi che abbiamo qui in Italia: dal lavoro che scarseggia, i soldi che non bastano mai, ci manca solo lĠesodo degli africani>. <Ma se continua cos“ - continu˜ accalorandosi a scena muta - mi giro e gli dico di farla finita!>. Questo pensava il signore in abito scuro. Ma, come dice un proverbio: ÒChi far dei fatti vuole, risparmiar deve le paroleÓ. Nella sua testa, invece, di parole ne giravano tante, complice anche la calura. Ma quanto ai fatti, era un altro par di maniche. E meno male! Cos“ si limit˜ a sistemarsi meglio sul sedile sgomitando il suo vicino, che si ritrasse timoroso verso il finestrino.

Il tunisino concluse presto la telefonata. Guard˜ alle informazioni sul monitor e realizz˜, aiutandosi con il francese, che stavano procedendo lungo via del Corso. La signora di fronte, intanto, sĠagitava forsennatamente assieme al ventaglio, guardando in giro e fissando a tratti lo sguardo, con malcelato sospetto, sul suo dirimpettaio. Indossava una parrucca vistosa color ramato, un ampio vestito di cotone color giallo paglierino, con disegni fantasia in violetto. Al collo campeggiava un pezzo di bigiotteria, comprata forse al mercatino di Porta Portese. Le labbra carnose caricavano troppo rossetto, il liner nero degli occhi sembravano richiamare un avviso funebre. Per soprammercato, il pacchiano colore del ridicolo cappellino (verde intenso) era un vero pugno nellĠocchio anche per i gusti meno raffinati. Nondimeno, la donna si sentiva molto Occidentale e molto Cristiana e proprio non tollerava che qualcuno parlasse forestiero e ad alta voce. E meno che meno in una lingua strana come lĠarabo. <Barbari>, pensava tra sŽ, con il forte desiderio di gridarlo al mondo: <ma senti come sĠesprimono Ô sti trogloditi! E proprio qui vengono a farlo, in una cittˆ santa come Roma>.

 

VIII - I barbari e lĠinvenzione dello zero.

Ignorava la versione casareccia di Giovanna dĠArco, che proprio quei barbari avevano raggiunto la civiltˆ allo stesso tempo dei greci, vari secoli prima della nascita di Cristo ed avevano importato in occidente i numeri arabi (soppiantando quelli romani); avevano introdotto lo zero nel sistema di calcolo e, di conseguenza, il sistema numerico decimale. Il tutto appreso dagli indiani, attraverso Alessandro il Macedone, giˆ nel IV secolo avanti Cristo.

Una inezia, lĠinvenzione dello zero, grazie alla quale era stato possibile lo sviluppo della matematica moderna, del calcolo infinitesimale, dellĠalgebra ed oggi dellĠinformatica.

La nostra giunonica matrona, comunque, era decisa a soprassedere sullo zero e sulle sue implicazioni nello sviluppo delle funzioni algebriche, della geometria analitica, delle leggi di Keplero, della fisica einsteniana ed i voli spaziali. La sua malevola attenzione era attirata dallĠuomo di colore seduto di fronte, che aveva osato parlare in pubblico in una lingua sconosciuta, ad alta voce e che le appariva tanto lontano dalla normalitˆ degli altri passeggeri ed in generale degli italiani. PerchŽ  un assioma ormai comprovato che  proprio la paura della diversitˆ, assieme allĠignoranza ed allÔinsicurezza, il germe che porta al vaso di Pandora del sospetto, dellĠemarginazione e del razzismo.

La donna guard˜ Ali di sottecchi, ma si rivolse al giovane seduto accanto a lei, per suggerire: <Certo quando senti uno parlare in arabo, non  che puoi stare proprio tranquilla: si sa che molti di loro vengono da quegli ambienti integralisti, quelli che buttano le bombe>.

<O peggio>, aggiunse, come se al peggio non ci fosse mai fine.

Il ragazzo era immerso nella musica Reggaeton e praticamente non sentiva nulla. LĠaltra continu˜ imperterrita sempre guardando al profilo del suo vicino, ma aggiungendo questa volta una gomitata:

<Si dice che detestino tutti i cristiani, perchŽ sono ancora incazzati per le crociate. Si rende conto di quanto odio debbono avere se dopo mille anni a noi ci chiamano ancora infedeli e crociati? >.

<Sarˆ esagerato forse, ma uno che ne sa?>, concluse cupa. LĠaltro si ritrasse verso il finestrino per lasciare spazio al giunonico esemplare di cristianitˆ.

Dopo lo sfogo volgare, la corpulenta signora tent˜ ancora di rimediare, preoccupata che il potenziale terrorista potesse arrabbiarsi davvero. Il tutto senza per altro riuscirci: <certo, grugn“ a mezza bocca - rivolgendosi incoerentemente alle sue verdi scarpe a tacco lungo - io dico cos“ in generale, senza voler offendere nessuno>.

Torn˜ ad occhieggiare di traverso lĠuomo nero, ma questi era tornato ad immergersi nelle fantasie del libro: strada spesso obbligata per gli esseri umani, specie quando la realtˆ fa schifo e non si riesce a sopportarne a lungo il peso.

Ali alz˜ lo sguardo un attimo alla donna di fronte, ma senza rancore. Avrebbe potuto dirgli che il Corano non insegna certo ad odiare: anzi esattamente il contrario. La filosofia di quel libro, bibbia per un miliardo di mussulmani,  invece volta ad esercitare il bene e la pietˆ tra gli uomini, nonchŽ allĠintima pace dellĠuomo con Dio. Allo stesso modo dellĠinsegnamento del Vangelo e praticamente di tutte le religioni. Ma sarebbe stato inutile, probabilmente. Quel personaggio femminile gli ricordava tanto un episodio del secondo capitolo di Ubik, quando una supposta cliente Zoe Wirt, che assomigliava tanto alla robusta passeggera, si era presentata alla Runciter Ltd, dichiarandosi rappresentante di una societˆ amica, la Stanton Mick, per chiedere lĠaiuto di un corposo gruppo di antipsi da inviare sulle istallazioni lunari e controbilanciare la cattiva influenza di agenti precogs. Anche lei si comportava in modo abbastanza ridicolo e, apparentemente, incoerente: come la passeggera nel sedile di fronte; anche lei sosteneva il suo diritto alla difesa della normalitˆ. Inoltre si agitava come la sua dirimpettaia e, come lei, aveva una voce stridula. Ma in realtˆ non era quello che mostrava essere. TuttĠaltro.

Era doloroso provare sulla propria pelle il rifiuto, il razzismo strisciante, del prossimo, specie in un momento di difficoltˆ. Persone che, culturalmente, il giovane non sentiva essere migliori di lui. Ali aveva studiato ingegneria civile allĠUniversitˆ di Tunisi e si era laureato a pieni voti. Aveva lavorato nel settore delle costruzioni in Tunisi ed era una persona stimata, lui come la sua famiglia. Ma in quellĠautobus si sentiva trattato come fosse un analfabeta; percepiva lĠindifferenza del prossimo, quando non addirittura lĠinsofferenza. E questo, magari per il colore della pelle, per lĠabbigliamento trasandato o la ventura di provenire da un Paese povero, agitato da una rivoluzione democratica.

E tutto in nome della difesa dello status quo, della paura del cambiamento, della conservazione del proprio orticello. Un atteggiamento illogico in un mondo ormai dominato dalla globalizzazione, in cui denaro, merci ma anche le persone si spostavano da una parte allĠaltra del globo ininterrottamente. E come spesso accade, la realtˆ si rivela essere molto diversa da come pu˜ apparire. Ma a che sarebbe servito controbattere lĠignoranza di quella donna e lÔindifferenza degli altri?

Forse solo a creare un clima di scontro, reazioni ancora pi dure, magari lĠintervento della polizia. LĠultima cosa che Ahmed andava cercando.

 

XIX . Una eccezione che conferma la regola?

DĠun tratto una nota diversa cambi˜ il clima di conversazione in quellĠangolo di bus.

<Vergogna>, si interpose un signore in piedi accanto al quartetto: <noi che siamo stati un popolo di emigranti, non dovremmo mai dimenticare la nostra storia>. Era di etˆ senior, certamente oltre i 60, capelli fortemente brizzolati, calzoni di lino blu scuro e una T- Shirt color celeste, a maniche corte. In contrasto con lĠabbigliamento, teneva in mano una ventiquattrore elegante e dallĠaria pesante. <Non si sentono discorsi cos“ stupidi, sibil˜, dai tempi della campagna di Abissinia di Mussolini>.

Si era rivolto alla signora, che rimase a bocca aperta e non ebbe il coraggio di replicare. Poi si rivolse al tunisino, in francese: <Ne pas prter attention ˆ ces rustres, pronunci˜ secco, squadrando gli altri, ma offrendo poi un sorriso al nord africano. EĠ lĠignoranza che li fa parlare e, anche quando non parlano, la diffidenza trasuda dalle loro espressioni>.

<Ce nĠest pas important, merci>, rispose Ali conciliante: <sžrement ils voient trop de gens comme nous>.

<Che ci siano pi immigrati ora, non giustifica la maleducazione, riprese lĠuomo e – aggreg˜ dopo una nuova occhiata intorno – e tantomeno il razzismo>.

Lei  del Nord Africa, vero?>, chiese lĠuomo a Trabelsi. Alla risposta di questi, continu˜: <Sappiamo dai giornali cosa accade nel vostro Paese. Il minimo che noi italiani dovremmo fare, io credo,  non dico appoggiare apertamente, ma almeno mostrare simpatia per la vostra lotta per la democrazia e per il prezzo che state pagando per ottenerla>

<Merci>, fu la risposta parca, ma riconoscente del tunisino.

<Inoltre, aggiunse dopo un attimo lÔuomo ritornando allÔidioma italiano, per fortuna qui il razzismo  punito dalla legge>.

Il clima nella coda del bus era precipitato in un attimo di almeno dieci gradi; e non solo quella atmosferico. Per qualche istante regn˜ intorno un silenzio profondo, seguito subito dopo da un brusio indistinto di commenti.

<Ha ragione>, comment˜ una giovane ragazza seduta in unĠaltra fila: <va bene che fa caldo, ma ci vorrebbe comunque un poĠ di tolleranza per il prossimo>. Fu subito contraddetta da una donna in piedi accanto a lei: <io non so, ma mi pare che a furia di tolleranza qui ci stiamo riempiendo di stranieri. Ed il lavoro per i nostri figli non cĠ>. <E allora?>, chiese accademicamente.

<Ma loro non danno fastidio>, interloqu“ un terzo: <lo sanno tutti che fanno i lavori pi umili e mal pagati, quelli che noi italiani non vogliamo fare pi>.

<E comunque, aggiunse il signore della valigetta, non si dovrebbe mai scendere cos“ in basso nei rapporti tra le persone>. Guard˜ direttamente negli occhi la giunonica signora che, per un attimo, avrebbe voluto sprofondare.

 

X. Arrivano i nostri

Seduta di fronte al tunisino, lei alla fine si decise a reagire e stava per interloquire ma, in quel momento il mezzo raggiunse la fermata di Piazza Venezia. La signora fece una pausa per raccogliere le idee, ma intanto pensava al nord africano con collera. Il bus in parte si svuot˜ e torn˜ a riempirsi. Il gruppo in coda allĠautobus, comunque, rimase intatto. Assieme ai nuovi passeggeri sal“ una equipe di controllori.

A Roma si muovono sempre in tre. Non in coppia come facevano una volta i carabinieri nei paesini di provincia: ma in tre come le porte di un autobus urbano a Roma.

Due erano maschi, avevano oltrepassato i trentĠanni da un pezzo, ed avevano lĠaria di voler essere al mare. Erano entrati dalle due porte laterali, sudavano visibilmente sotto la visiera, congestionati in viso per il grande caldo mentre agitavano un grosso libretto delle multe, come fosse unĠarma impropria. Cominciarono subito il controllo dei titoli di viaggio, convergendo verso il centro del bus.

Il controllore entrato dalla porta posteriore pass˜ accanto al nostro gruppetto comportandosi come se non esistesse, e prosegu“ oltre.

Il terzo funzionario era una donna giovanissima dalla pelle abbronzata ed i capelli neri, in parte nascosti dal berretto regolamentare. Lei entr˜ dallĠuscita centrale, ma prima fece uscire chi voleva scendere. Non sudava per niente malgrado la divisa e la calura e mantenne un comportamento fermo e gentile allo stesso tempo.

Nel bus non mancavano i classici ÒportoghesiÓ ed i controllori ne beccarono due senza titolo di viaggio. Ali il biglietto ce lĠaveva ma, come giˆ detto, era stato per ora ignorato dalle operazioni di controllo. Era apparentemente ignaro dellĠispezione. Rincuorato dai ricordi della lettura di Ubik nonchŽ dalla gentilezza di alcuni dei passeggeri, inizi˜ a dire, rivolto al gruppetto di interlocutori: <io sono profugo>. Si sforz˜ di pensare in italiano e aggiunse: <sono scappato dal mio Paese perchŽ l“ cĠ solo repressione e per i giovani come me non cĠ lavoro, nŽ futuro>.

LĠattenzione del circolo di passeggeri fu catturata dalle parole di Trabelsi, in unĠatmosfera del tutto impermeabile a quanto avveniva nel resto del mezzo.

Il giovane tunisino prosegu“: <Sono giˆ alcuni mesi che sono qui in Italia, ma ho solo guadagnato pochi euro di lavoro duro e la diffidenza degli italiani. EĠ cos“ che proteggete i profughi in Europa?>, termin˜ con una punta polemica.

LÔuomo seduto alla sua sinistra, appoggi˜ il libro e si decise finalmente a parlare, ma lo fece con irritazione: <Non credo che lei sia un profugo>, declam˜. AllÔocchiata di incomprensione del giovane nordafricano, aggiunse: <lei  probabilmente un migrante, magari entrato illegalmente in questo Paese>. <Oppure ce lĠha un permesso?>, chiese. Nel clima di silenzio che si era creato, aggiunse convinto: <il nostro  un Paese civile e non nega i diritti a chi davvero ne ha i titoli>. Guard˜ in volto il suo vicino che si era girato ad ascoltarlo e, al silenzio di questi, aggiunse con una punta di sarcasmo: <magari ora dirˆ che  un turista>.

Ali cerc˜ non senza fatica le parole giuste in italiano: <Il suo paese non  poi cos“ civile come crede, messieur>, fu la sua risposta. <Almeno non nei rapporti tra le persone>, precis˜. <Se sapesse quante angherie ho visto commettere dalle sue autoritˆ nei confronti di persone che nemmeno capivano cosa gli veniva detto. Non conoscevano i propri diritti e nessuno si  curato di informarli>. <Certo, aggiunse, non tutte le cose vengono raccontate dalla stampa italiana>.

Alle occhiate titubanti dei suoi interlocutori, Ali concluse conciliante: <Comunque, non cĠ motivo di essere aggressivi>. Sospir˜ e riprese: <io ce lĠho il permesso. Ma  solo un pezzo di carta, se non trovo la possibilitˆ concreta di lavorare e vivere con dignitˆ>.

 

<Non volevo essere aggressivo>, rispose il vicino: < che fa molto caldo>, aggiunse anche lui accomodante, < che a volte parliamo troppo>.

Ali lo guard˜ un attimo, sorrise, per poi riprendere tristemente: <Capisco, io non sono irritato:  che a volte si pu˜ essere offensivi nella forma, oltre che nella sostanza>. <Anche in quella, soprattutto in quella - aggiunse - si pu˜ essere cinici>. <Da quando sono arrivato, , aggiunse amaro, ma con voce pacata, la gente mi guarda come ad un insetto e si tiene a distanza. Nel migliore dei casi gli italiani non mi parlano. E la police, nous traitŽs comme des chiens>

<La polizia li ha trattati come cani>, spieg˜ il signore in piedi, vedendo le espressioni dĠincomprensione degli altri.

Fu a questo punto che la signora corpulenta esplose in una delle sue tirate, tanto usuali per chi avesse avuto lĠavventura di conoscerla.

<Ma senti un poĠ che pretese!>, tuon˜. <Adesso stai a vedere che dovevamo riceverlo col tappeto rosso>. Seguitava a non volersi rivolgere direttamente a lui, parlando agli altri come se Trabelsi non fosse presente; una grave forma di maleducazione e, insieme, di insicurezza.

<O magari con un lavoro ed una casa pronta>, aggiunse poi rivolgendosi ancora al ragazzo accanto con le cuffie: <ma se non cԏ lavoro nemmeno per i nostri giovani. Non  vero?>. Continu˜ ad ignorare Ahmed ed a parlare col teenager immerso nella sua musica. LĠaltro la guard˜ trasognato, si spost˜ ancor di pi verso il finestrino per lasciare spazio alla giunonica matrona e riprese il filo delle proprie canzoni.

<E poi, aggiunse, dite quel che vi pare, ma io negri come vicini di casa non ce li vorrei proprio!>. <E non perchŽ sia razzista>, concluse un poĠ titubante.

Si guard˜ intorno cercando consensi, ma la gente distolse lo sguardo, come se avesse paura di veder espresso quello che molti comunque pensavano.

Ali riprese tranquillo, senza scomporsi, cercando le parole nel suo limitato vocabolario diĠitaliano <noi, comunque, abbiamo un diverso concetto dellĠospitalitˆ: lÔospite per noi  sacro>. Guard˜ fisso in viso la donna, ma lei distolse seccata lo sguardo. Il tunisino si guard˜ intorno a cercando comprensione o aspettando reazioni. Non ce ne furono e continu˜: <comunque, almeno io cerco di non giudicare il mio prossimo dalle apparenze, nŽ tantomeno di considerarlo un avversario>.

<A me hanno insegnato che lĠospite dopo tre giorni puzza!>, rintuzz˜ stizzita la cicciona.

Ci fu un momento di silenzio carico di tensione. Il signore con la valigetta in piedi, furioso, stava per inveire contro la donna, quanto lĠanticlimax arriv˜ insieme alla verifica dei titoli di viaggio.

La ragazza controllore, infine, si era accorta di quella piccola isola di umanitˆ. Si avvicin˜ allÔuomo con la valigetta e annunci˜ con voce formale: <biglietti, per favore. Siete stati controllati?>.

Questi volse lo sguardo verso di lei, mentre estraeva dalla tasca lĠabbonamento annuale. Lo offr“ alla donna e argoment˜ in contemporanea: <lei qui ha una funzione di pubblico ufficiale, non  vero?>.

<A che proposito?>, volle sapere la brunetta in uniforme.

<LĠatteggiamento e le parole di quella signora - si gir˜ indicando il Giunone - sono stati stato non solo offensivi nei confronti del signore straniero di fronte a lei ma, oserei dire, che hanno violato apertamente le norme contenute nel decreto legislativo 215 che punisce ogni forma di discriminazione>.

La ragazza guard˜ al gruppetto seduto e stava per chiamare i suoi colleghi, poi cambi˜ idea e chiese: <Ma, in concreto che  successo?>.

<Non  successo nulla>, cerc˜ di difendersi la cicciona.

<EĠ successo - prosegu“ deciso lĠuomo con la 24 ore - che questo signore straniero  stato oggetto di ogni forma di maleducazione da parte di questĠaltra donna. E i termini usati hanno avuto a che vedere con il colore della sua pelle, la lingua che parla e con il fatto di non essere italiano>.

Il viso rotondo della matrona seduta era diventato paonazzo, mentre lei cercava di farfugliare qualcosa in sua difesa, ma non riusciva a spiccicare niente di coerente.

<Non credo di essere titolata a trattare questo genere di cose>, si ritrasse la ragazza: <se vuole possiamo chiamare la polizia>. Fece una pausa per riflettere e poi aggiunse>: <comunque, se si tratta solo di maleducazione da parte della signora, dubito che sia il caso>.

LÔaltro replic˜ senza attendere: <Ma lo sa cosa  stato detto in questo autobus?>, lĠuomo si gir˜ per indicare le persone ed entrare nei dettagli, ma Ali- approfittando della fermata di fronte allĠanagrafe, era sceso in fretta. Sia pur provvisto di biglietto e di permesso di soggiorno, lĠultima cosa che voleva era di essere fermato, questionato e magari condotto in qualche posto di polizia. Di questi luoghi, finora, ne aveva giˆ conosciuti molti in Tunisia ed in Italia e non ne aveva un ricordo esattamente piacevole.

Doveva assolutamente trovare lavoro, altrimenti gli usurai che gli avevano prestato i soldi per il viaggio avrebbero iniziato con le minacce e magari le rappresaglie contro la sua famiglia.

 

XI. Conclusioni: tra ipotesi di realtˆ e voglia di sognare

Il tunisino si avvicin˜ allĠinsegna della fermata per vedere quale altro mezzo passava per la stazione della Piramide. Per sicurezza, chiese informazioni ad un astante alla fermata. Si gir˜ poi a guardare per lĠultima volta il n. 95 mentre si allontanava É e rimase di sasso: unÔantica filovia su rotaie, a motore elettrico, prese lĠavvio in direzione Bocca della Veritˆ. In coda al mezzo erano visibili le connessioni con i fili elettrici che correvano al di sopra, parallelamente alle rotaie. In coda, dietro i finestrini, si intravvedeva un bigliettaio in uniforme accomodato su di un sedile ribaltabile in legno, mentre controllava ogni nuovo entrato dallĠingresso posteriore senza porta e consegnava il relativo biglietto.

Trabelsi guard˜ perplesso il mezzo mentre regrediva nella forma e nel tempo e realizz˜ che in fondo Roma ne avrebbe guadagnato in qualitˆ ambientale. Pens˜ al suo consiglio sulla necessitˆ di non giudicare dalle apparenze. Pens˜ anche a Joe Chip e sorrise. Poco dopo sal“ su un doppio filobus n. 30 che passava anchĠesso accanto alla stazione Metro Piramide. Da l“ partiva il trenino per Ostia dove lĠaspettava una nuova odissea. Pag˜ al funzionario un nuovo biglietto in cambio di poche lire, si sistem˜ su un sedile di legno in coda al mezzo e torn˜ ad aprire il libro.

 

NellĠultimo capitolo di Ubik, Joe Chip incontra Ella, moglie di Runciter da anni in animazione sospesa nel moratorium di Zurigo. Da lei vengono tutte le risposte importanti: eccetto Ben Runciter, i partecipanti del gruppo in missione sulla Luna sono davvero tutti morti ed in condizione di semi vita nel moratorium di Zurigo.

Anche in quel mondo crepuscolare, specialmente in esso, le persone dotate di talento mentale sono le uniche a contare. Uno degli ospiti, Jori, particolarmente dotato,  il responsabile sia della finzione di realtˆ che Joe Chip ha creduto di percepire, sia della morte dei suoi colleghi la cui energia mentale  stata assorbita dallo stesso Jori per creare quel simulacro di realtˆ, ma anche per sopravvivere pi a lungo come entitˆ in semivita. Ubik, al contrario,  lo sforzo cerebrale congiunto prodotto da Ella e da altri semivivi, nella lotta contro il potente talento di Jori.

Il libro si conclude allĠinsegna del trionfo dellĠambiguitˆ tra sogno e realtˆ, tra vero e falso, tra normalitˆ e diversitˆ, con Ben Runciter che termina la connessione mentale con Joe Chip nel moratorium per semivivi di Zurigo e si avvia allĠuscita. Ma una finale sorpresa aspetta il lettore: il telefono pubblico appare al titolare della Runciter Associates nella forma di un antico modello a cornetta, con avviamento a manuale ed espelle le sue monete in quanto fuori corso; Ben esamina le banconote del suo portafogli: tutte riportano lĠimmagine serigrafata di Joe Chip.

Al lettore rimane in bocca un sapore strano ed il dubbio di essere stato ingannato. Ma gli vengono anche alcuni possibili suggerimenti: il bisogno di socialitˆ  un valore universale; meglio tenere la mente aperta e non giudicare dalle apparenze. Ed infine: non  saggio discriminare il prossimo anche perchŽ, prima o poi, potrebbe toccare a te. Infatti, potremmo tutti essere nati a posto di Ali Trabelsi, anche se non di Joe Chip.

 

FINE