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Sentenza n. 4826 del 26 agosto 2011 Consiglio di Stato

Diniego rinnovo permesso di soggiorno - sentenza penale patteggiata per un reato in materia di stupefacenti

     


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 6053 del 2011, proposto da:
*****, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Robol, con domicilio eletto presso Francesco Vannicelli in Roma, via Varrone, 9;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00067/2011, resa tra le parti, concernente DINIEGO RINNOVO PERMESSO DI SOGGIORNO

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2011 il Cons. Pier Giorgio Lignani. Nessuno presente;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

FATTO E DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, cittadino marocchino presente in Italia con regolare permesso di soggiorno, ha chiesto il rinnovo del permesso medesimo, in prossimità della scadenza.

Il rinnovo è stato rifiutato con la motivazione che l’interessato aveva recentemente riportato una sentenza penale “patteggiata” per un reato in materia di stupefacenti e che il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del testo unico n. 286/1998 qualifica i precedenti penali di questo tipo come tassativamente ostativi del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno.

2. L’interessato ha proposto ricorso davanti al Tribunale Amministrativo (T.G.A.) di Trento, ma quest’ultimo con sentenza n. 67 del 28 febbraio 2011 ha respinto il ricorso.

L’interessato propone ora appello davanti al Consiglio di Stato.

In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, assenti le parti, il Collegio ravvisa le condizioni per una definizione immediata della controversia e procede in tal senso.

3. In punto di fatto non è controverso che il ricorrente abbia riportato una sentenza penale “patteggiata” per un reato in materia di stupefacenti. Precisamente la sentenza è stata emessa il 25 marzo 2010, per il reato di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti.

Ma se questo è vero, ne consegue che trova applicazione il combinato disposto degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del testo unico n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002.

Quanto all’interpretazione di queste disposizioni, la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che esse comportano un tassativo divieto di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, senza margini per valutazioni discrezionali riferite alla gravità del reato nel caso concreto, all’indole pericolosa o meno del soggetto, e via dicendo.

Una certa apertura a simili valutazioni discrezionali, semmai, è stata introdotta da una linea giurisprudenziale della VI Sezione del Consiglio di Stato riferita ad una ipotesi peculiare: e cioè al caso che il diniego si basi in concreto su una condanna penale remota nel tempo e sinora mai presa in considerazione a tal fine dall’autorità di pubblica sicurezza. E’ stato osservato che in tale ipotesi l’atteggiamento dell’amministrazione (realizzatosi in rinnovi accordati de plano e reiteratamente) non solo ha ingenerato un certo affidamento, ma ha altresì lasciato nascere e consolidare rilevanti situazioni di fatto (come ad esempio la formazione di una famiglia radicata nel territorio nazionale) che non possono non meritare una certa considerazione.

Questa linea giurisprudenziale, peraltro, non è pertinente nel caso in esame, perché qui la condanna penale è recentissima e ha preceduto solo di alcuni mesi il provvedimento impugnato.

4. Altra questione è quella delle modifiche apportate al citato art. 5, comma 5, dal decreto legislativo n. 5/2007, che vi ha introdotto un temperamento con riguardo ai casi dello straniero che abbia usufruito del ricongiungimento familiare (attivo o passivo), e dello straniero sia presente in Italia da un considerevole periodo di tempo.

Nella specie, peraltro, il ricorrente nulla dice riguardo ad una particolare situazione di famiglia, sicché sotto questo profilo non vi è luogo a discutere. Invece egli invoca la lunga durata della sua presenza in Italia.

In proposito, si osserva che la disposizione introdotta dal d.lgs. n. 5/2007 non specifica quanto debba essere lungo, a questi fini, il periodo di soggiorno in Italia. Tuttavia si può supporre che il legislatore nazionale – pur senza citarla - abbia qui inteso uniformarsi alla direttiva comunitaria n. 109/2003 concernente la tutela dei soggiornanti di lungo periodo. In questa luce però la speciale tutela spetterebbe solo a chi abbia ottenuto formalmente il relativo status con il rilascio dell’apposito titolo (c.d. carta di soggiorno).

A tutto concedere, si può ipotizzare che il d.lgs. n. 5/2007 abbia voluto dare rilievo ad una presenza di durata sufficientemente lunga per poter chiedere la carta di soggiorno, anche a prescindere dal possesso degli ulteriori requisiti per ottenerla. Si tratterebbe dunque della durata di cinque anni.

Nella specie, il ricorrente deduce di essere entrato in Italia e di avere ottenuto il primo permesso di soggiorno nel corso del 2006, mentre il suo permesso di soggiorno scadeva il 3 settembre 2010. La sentenza penale è stata pronunciata il 25 marzo 2010, ed il diniego di permesso di soggiorno è stato emesso dal Questore il 6 dicembre 2010. L’interessato non aveva dunque maturato ancora cinque anni di soggiorno, e mancavano le condizioni perché la Questura si desse carico delle valutazioni (discrezionali) di cui al d.lgs. n. 5/2007.

5. Si deve ora affrontare la questione di costituzionalità, sollevata dal ricorrente nei riguardi della normativa sopra richiamata, nella parte in cui attribuisce alla sentenza penale “patteggiata” gli stessi effetti di una condanna.

La questione, nelle sue varie prospettazioni, appare manifestamente infondata.

In proposito si osserva che gli articoli 444 e 445 del codice di procedura penale delimitano gli effetti pregiudizievoli della sentenza “patteggiata”, fra l’altro escludendo interamente (o quasi) quelli di ordine extrapenale. Si tratta però di norme di legge ordinaria. Pertanto nulla vieta al legislatore ordinario di disporre che per taluni effetti la sentenza “patteggiata” sia equiparata ad una sentenza penale di condanna, modificando così la regola generale dell’irrilevanza contenuta negli artt. 444 e 445. In buona sostanza, è la configurazione stessa dell’istituto del patteggiamento che è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario.

Nondimeno, la giurisprudenza amministrativa (di primo e di secondo grado) si è data carico del problema dell’affidamento del soggetto che abbia accettato un patteggiamento, fidando sull’inesistenza di effetti pregiudizievoli sul piano extrapenale. A questo riguardo, si è affermato che le modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002 non possono essere applicate in danno di chi abbia accettato un patteggiamento prima della loro entrata in vigore.

Nel caso in esame, però, il problema non si pone, perché la sentenza penale è stata pronunciata il 25 marzo 2010 per un fatto-reato verificatosi pochi giorni prima. Si può anche aggiungere che, a quell’epoca, la severità della legge n. 189/2002, per il profilo che qui interessa, era ampiamente conosciuta, avendo dato luogo fra l’altro anche ad una eccezione di costituzionalità (C.Cost. n. 148/2008). Si deve quindi presumere che l’interessato (o per esso il suo difensore), nel momento in cui accettava il patteggiamento, fosse in grado di conoscere e valutare tutti gli effetti favorevoli e sfavorevoli.

Per il resto, non si può che richiamare la già citata sentenza n. 148/2008 della Corte Costituzionale.

6. In conclusione, l’appello va respinto.

Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2011 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Lanfranco Balucani, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Venerdì, 26 Agosto 2011

 
 
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