Domenica, 25 Settembre 2011| Il portale di riferimento per gli immigrati in Italia
username   password [?]
 
 

Sentenza n. 7519 del 22 settembre 2011 Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Archiviazione/rigetto della richiesta di emersione dal lavoro domestico irregolare - mancata presentazione della datrice di lavoro presso gli uffici della Questura

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio


(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2149 del 2011, proposto da:
*****, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Angelelli, con domicilio eletto presso Mario Antonio Angelelli in Roma, viale Carso,23;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Dello, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Questura di Roma, Prefettura di Roma;

per l'annullamento

del provvedimento dello Sportello Unico per l'Immigrazione di Roma avuto a conoscenza il 14-12-2010, con il quale veniva decretata l'archiviazione/rigetto della richiesta di emersione dal lavoro domestico irregolare;

nonché avverso

l’illegittimo silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rilascio di permesso di soggiorno sottesa a quella di emersione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2011 il dott. Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Con il ricorso in esame il Sig. *****, premesso di aver svolto attività lavorativa irregolare alle dipendenze della Sig.ra ***** Cassoni come badante della di lei madre, impugna il provvedimento di archiviazione e/o rigetto ed agisce in giudizio per la dichiarazione dell’illegittimità del silenzio-inadempimento dell’istanza di emersione presentata a suo favore ai sensi della legge n. 102/2009 adottato dall’Ufficio Unico per l’Immigrazione presso la Prefettura di Roma a seguito della mancata presentazione della datrice di lavoro presso gli uffici della Questura, ove era stata ripetutamente convocata. Agisce altresì per ottenere la declaratoria dell’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rilascio di permesso di soggiorno sottesa a quella di emersione.

Il deducente rappresenta che il rapporto di lavoro irregolare in questione s’è interrotto nel mese di settembre 2009, quando la datrice di lavoro, a causa di un diverbio – conseguito alla minaccia della datrice di lavoro di non presentarsi alla convocazione se egli non avesse corrisposto la somma di Euro 3.000 – lo allontanava forzatamente dall’appartamento ove prestava servizio e nel quale era riuscito a rientrare per recuperare i propri effetti personali solo a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine.

A seguito di formale tentativo obbligatorio di conciliazione, il ricorrente comunicava all’Ufficio Unico per l’Immigrazione l’avvio della vertenza di lavoro, chiedendo contestualmente d’essere avvertito delle successive convocazioni per il completamento della procedura di emersione, e solo a seguito di accesso agli atti veniva a conoscenza dell’intervenuta adozione del provvedimento impugnato.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione del comma 7 dell'art. 1 ter della L. 102/2009. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

La disposizione in parola prevede l’archiviazione solo per il caso in cui entrambe le parti arbitrariamente non si presentino alla convocazione per la stipula del “contratto di soggiorno” in quanto mera presa d’atto del difetto di interesse di queste alla conclusione della procedura.

Illegittimamente la PA ha disposto l’archiviazione in presenza di una situazione fattuale diversa rispetto a quella contemplata dall’art. 7 precitato, in cui, invece il ricorrente ha manifestato un persistente interesse alla sua regolarizzazione, ed ha fatto dipendere le sorti di questo dall’arbitrio del datore di lavoro.

2) Quanto al silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rilascio di permesso di soggiorno sottesa a quella di emersione, il ricorrente sostiene che l’istanza di emersione avrebbe “natura composita, poiché la sua attivazione è giustificata dall’aspirazione ad aggiudicarsi due diversi beni della vita e cioè, in particolare,: la compiuta regolarizzazione del rapporto lavorativo ed; 2) il permesso di soggiorno per il lavoratore extracomunitario”. Ne consegue che l’Amministrazione non poteva limitarsi a decidere l’istanza di emersione, ma era tenuta altresì, ai sensi dall’art. 2 della legge n. 241/90, a pronunciarsi sulla spettanza o meno del permesso di soggiorno per attesa occupazione.

3) Il ricorrente, invocando un isolato precedente (TAR Lombardia, sentenza breve n. 7528 del 13.12.2010), ritiene che, a seguito della presentazione della domanda di emersione, una volta dimostrata l’effettiva esistenza di idoneo rapporto lavorativo, si configuri automaticamente in capo al lavoratore il diritto a vedere regolarizzata la propria posizione tramite il rilascio di permesso di soggiorno, a pena, altrimenti, di irragionevolezza ed illegittimità costituzionale dell’intero impianto normativo, in particolare per contrasto con gli artt. 3, 15 e 35 Cost., anche perché espone questi a gravi conseguenze penali a seguito di una mera condotta omissiva da parte di soggetto terzo (mancata presentazione in Prefettura del datore di lavoro).

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente, che resiste solo formalmente.

Con ordinanza n. 1584 del 28.4.2011 l’istanza di sospensiva è stata accolta ai fini del riesame, sulla base della considerazione che “nella specie la transazione sopravvenuta tra le parti costituisce, oltre che la circostanza che il datore di lavoro ha giustificato con certificato medico la mancata presentazione ad una delle convocazioni per la regolarizzazione del rapporto di lavoro, indizio dell’intervenuto rapporto di lavoro”.

Successivamente, tuttavia, essendo intervenuto tra il datore di lavoro ed il ricorrente un atto di transazione relativo al rapporto di lavoro in contestazione, l’Amministrazione resistente ha spontaneamente disposto l’annullamento, in sede di autotutela, dell’atto impugnato ed ha riaperto il procedimento di emersione, sollecitando la Questura di Roma a comunicare il parere di competenza relativamente alla sussistenza di eventuali motivi ostativi, come rappresentato nella nota prot. 129416 del 4.5.2011 (depositata in atti in data 11.7.2011).

All’udienza pubblica del 12.7.2011, dopo approfondita discussione, la causa è trattenuta in decisione.

Il ricorso, nella parte impugnatoria, deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla luce di quanto rappresentato dall’Ufficio Unico per l’Immigrazione presso la Prefettura di Roma nella nota sopraindicata.

Il provvedimento di archiviazione impugnato è infatti stato annullato, in via di autotutela, dall’Amministrazione resistente, a seguito di un fatto nuovo sopravvenuto – e cioè la stipulazione di un atto di transazione tra il ricorrente e la datrice di lavoro – che ha indotto l’Ufficio Unico per l’Immigrazione a ritenere non determinante la mancata presentazione dell’istante (datore di lavoro) alla data fissata per la conclusione del contratto di soggiorno.

Il ricorrente non ha più alcun interesse alla coltivazione del gravame, essendo l’atto lesivo stato eliminato dal mondo giuridico, e pertanto il ricorso va, in parte qua, dichiarato improcedibile.

L’interesse ad evitare un’eventuale, ulteriore sfavorevole provvedimento conclusivo della procedura di emersione, prospettato dal patrono del ricorrente all’udienza pubblica odierna, è d’altronde, allo stato, privo del prescritto carattere di concretezza ed attualità.

Quanto invece alla richiesta di declaratoria dell’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza implicita di rilascio di permesso di soggiorno sottesa a quella di emersione, il ricorso è infondato.

Non può infatti condividersi la prospettazione attorea secondo la quale la domanda di rilascio di permesso di soggiorno per attesa occupazione sarebbe implicita negli atti relativi al procedimento in contestazione ed in particolare sarebbe implicita nell’istanza di emersione, la quale avrebbe “natura composita, poiché la sua attivazione è giustificata dall’aspirazione ad aggiudicarsi due diversi beni della vita e cioè, in particolare: 1) la compiuta regolarizzazione del rapporto lavorativo; 2) il permesso di soggiorno per il lavoratore extracomunitario”.

L’art. 1 ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102 al comma 1 prevede che “Le disposizioni del presente articolo si applicano ai datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero ai datori di lavoro extracomunitari in possesso del titolo di soggiorno” ed al comma 2 dispone che “I datori di lavoro di cui al comma 1 possono dichiarare, dal 1° al 30 settembre 2009, la sussistenza del rapporto di lavoro”.

Tale disposizione attribuisce esclusivamente al datore di lavoro la facoltà di scegliere se continuare nella commissione di un reato – e tal è l’occupazione dei lavoratori stranieri in violazione della normativa sull’immigrazione – oppure se “autodenunciarsi” al fine di godere dei benefici di legge in primis quello dell’immunità per la trasgressione di norme penali e amministrative.

Il lavoratore non risulta contemplato tra i soggetti titolari a promuovere il procedimento di regolarizzazione ed è mero destinatario degli effetti del provvedimento conclusivo del procedimento, rivestendo una posizione che, ad avviso del Collegio, ne legittima la solacomunque la partecipazione procedimentale, potendo eventualmente, in caso di omesso riscontro, da parte del datore di lavoro, della richiesta di integrazioni documentali sollecitata dalla PA, depositare eventuale documentazione in suo possesso.

L’emersione dal lavoro irregolare disciplinata dalla disposizione sopra riportata, lungi dal costituire un diritto soggettivo del lavoratore “in nero” sulla base della mera dimostrazione del rapporto di lavoro “di fatto” intercorso con un datore di lavoro nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore della legge in uno specifico settore di attività lavorativa (quello dell’assistenza alla persona non autosufficiente, in qualità di cd. badante), costituisce invece l’esito di un complesso procedimento amministrativo, che può essere avviato solo dal datore di lavoro mediante la presentazione di un’apposita manifestazione di volontà (l’autodenuncia).

La disciplina della “regolarizzazione” dei lavoratori stranieri assunti in violazione della normativa in materia, pertanto, attribuisce la legittimazione a promuovere la sanatoria dei rapporti di lavoro “in nero” esclusivamente alla parte datoriale – senza sancire alcun obbligo del datore di lavoro di presentare la domanda di emersione, rimanendo questi libero di scegliere se fronteggiare le responsabilità amministrative e penali per l’impiego del lavoratore extracomunitario o avvalersi della possibilità di sanatoria – e non prevede né che lo straniero in possesso del “requisito dell’attività lavorativa prestata nel periodo considerato” possa presentare autonomamente domanda di emersione, né che lo stesso possa in qualche modo opporsi alla richiesta di emersione presentata a suo favore dal datore di lavoro, che rimane unico dominus del procedimento.

In tale prospettiva pertanto va disattesa anche la pretesa del ricorrente, avanzata con il terzo motivo di ricorso, di vedersi riconoscere il beneficio in contestazione sulla sola base della prestazione lavorativa resa “di fatto” in quando questa costituisce solo una delle condizioni prescritte dall’art. 1 ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, che, per la concessione del beneficio dell’emersione, richiede anche ulteriori presupposti, quali, appunto, la presentazione di un atto di manifestazione di volontà in tal senso da parte del datore di lavoro interessato.

A tale atto di manifestazione di volontà del datore di lavoro, che, come si è detto, non deve essere concordato con il lavoratore interessato, non può essere riconosciuto alcun valore di richiesta “implicita” di permesso di soggiorno come pretenderebbe il ricorrente.

La normativa in parola, infatti, configura il procedimento in esame come procedimento di natura complessa composto da una procedura di emersione che si svolge presso lo Sportello Unico dell’Immigrazione, avviata dal datore di lavoro, finalizzata alla “sanatoria” delle violazioni della normativa in materia (di soggiorno, di lavoro e previdenziale), che si conclude con un atto negoziale (stipulazione del contratto di soggiorno tra il datore di lavoro ed il lavoratore interessatoi) – fase necessaria e demandata all’autonomia privata -, che costituisce il presupposto per l’avvio di un’ulteriore procedimento, che è attributo ad altro soggetto istituzionale competente (la Questura) volto al rilascio del permesso di soggiorno per il lavoratore interessato per consentire a questi l’eventuale prosecuzione del rapporto lavorativo con il datore di lavoro in parola, oppure per attesa occupazione, nel caso in cui non sussista la volontà di proseguire detto rapporto.

L’istanza di rilascio del permesso di soggiorno, pertanto, non può ritenersi implicitamente compresa nell’istanza di emersionesanatoria, ma costituisce, invece, una istanza autonoma, attinente ad ulteriore e successiva fase procedimentale, che prende avvio a seguito della stipulazione del contratto di soggiorno, in quanto prima di tale esito la presentazione della domanda di emersione non equivale alla presentazione dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno – non essendo tale effetto riconducibile né alla lettera della disposizione in parola né alla sua ratio - ma, nelle more della conclusione del procedimento in parola, produce, unicamente gli effetti giuridici temporanei previsti rispettivamente dal comma 8 e 10, e cioè la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per la violazione delle norme sulla disciplina dell’immigrazione e del lavoro ed il divieto di espulsione dello straniero (effetti chiaramente volti a conservare lo status quo in pendenza degli accertamenti delle condizioni per la concessione del beneficio di legge), ma che non pongono, sotto il profilo del diritto amministrativo dell’immigrazione, detti soggetti in una posizione diversa, e più titolata, rispetto a qualunque altro datore di lavoro e lavoratore “in nero” che aspiri ad ottenere un permesso di soggiorno.

Tali effetti conservativi temporanei, peraltro, sono strettamente strumentali al perfezionamento della pratica e cessano in caso di conclusione negativa del procedimento o di archiviazione per mancata presentazione delle parti - a cui il comma 9 equipara il caso della mancata presentazione della domanda di emersione - evenienza che, ovviamente, costituisce un efficace deterrente contro i tardivi ripensamenti del datore di lavoro che, nel caso in cui si sia pentito di aver presentato domanda di emersione, potrà ben più ragionevolmente proseguire nell’iter procedimentale, rimanendo sempre libero di licenziare il lavoratore successivamente – essendo il licenziamento ad nutum ammesso nel rapporto di lavoro domestico – anziché non presentarsi ed esporsi alle responsabilità, civili ed anche penali, dell’aver impiegato alle sue dipendenze un clandestino e civili nei confronti dell’interessato inutilmente coinvolto in un procedimento di autodenuncia che l’ha danneggiato.

Solo alla positiva conclusione di tale procedimento complesso si producono gli effetti giuridici previsti dalla normativa in esame e cioè, sul piano penale, l’immunità del datore di lavoro (e del lavoratore) per i reati concernenti l’immigrazione e la legislazione sul lavoro, e sul piano amministrativo, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro da parte della Questura competente; condizione, quest’ultima, che consente allo straniero di godere appieno di tutti i benefici di legge riconosciuti a chi è in possesso di un valido titolo per la permanenza in Italia dal t.u.sull’immigrazione, tra cui la possibilità di rinnovo anche a titolo di “attesa occupazione” previsto in caso di perdita di lavoro dall’art. 22 comma 11 del d.lvo n. 286/98.

Ne consegue che, siccome nella fattispecie in esame, l’iter del procedimento di emersione non s’era ancora concluso con la stipulazione del contratto di soggiorno che, come s’è detto, costituisce il presupposto per il passaggio alla fase successiva, che prende avvio con l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno, non sussisteva in capo all’Amministrazione procedente alcun obbligo di pronunciarsi su un’istanza di permesso di soggiorno che, allo stato, non era affatto più che implicita maera del tutto inesistente.

Il ricorso risulta pertanto, in parte qua, infondato e va respinto.

Sussistono, tuttavia, attesa la natura interpretativa della controversia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile ed in parte lo rigetta, come indicato in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2011    

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/09/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Giovedì, 22 Settembre 2011

 
 
Newsletter

Iscriviti alla newsletter, sarai aggiornato sulle ultime notizie.

Iscriviti »
Help.Immigrazione

E' un nuovo canale dove potrai trovare tutte le risposte alle tue domande.

Frequently Asked Questions (FAQ) »
Contattaci

Puoi contattarci compilando il modulo sottostante.

Online contact form »