Servizio anti-discriminazioni
ASGI Sede di Trieste - Strada per Longera 228 – 34128 Trieste
Tel. – Fax 040/368463 – e-mail: antidiscriminazione@asgi.it
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Trieste,
29 marzo 2012
Preg.mo Prof. Francesco Profumo
Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Capo
Segreteria: Dott.ssa Francesca BASILICO
e-mail: caposegreteria.ministro@istruzione.it
e p.c.
D.ssa Paola Cutaia
segreteria.ministroriccardi@governo.it
Preg.mo Dott.
Massimilano Monnanni
Direttore UNAR
Ufficio
Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali
e-mail: unar@unar.it
Commissione delle Comunità europee
(alla
cortese attenzione del Segretario generale)
Rue de la Loi, 200
B-1049
Bruxelles
BELGIO
____________________________________________
OGGETTO: Profili discriminatori contrari al
diritto dell’Unione europea e al diritto nazionale della normativa in materia
di borse di studio per il perfezionamento all’estero (art. 5 c. 2 legge 30
novembre 1989, n. 398).
Il servizio di supporto giuridico
contro le discriminazioni dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici
sull’Immigrazione) è un network di
avvocati e consulenti legali operanti nel settore del diritto dell’immigrazione
e dell’asilo e del diritto
anti-discriminatorio italiano ed europeo.
Si scrive la presente con
riferimento alla normativa nazionale in materia di borse di studio per il
perfezionamento all’estero, di cui all’art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 398 (“Norme in materia
di borse di studio universitarie”,
pubblicata in G.U. 14.12.1989, n. 291).
Detto articolo, al comma 2, prevede il requisito
della cittadinanza italiana ai fini dell’accesso a tale beneficio (“Al
concorso, per titoli ed esami, sono ammessi i laureati di cittadinanza
italiana di età non superiore ai ventinove anni, che documentino un impegno
formale di attività di perfezionamento presso istituzioni estere ed
internazionali di livello universitario, con relativa indicazione dei corsi e
della durata”).
A tutt’oggi, non risulta che tale norma e relativa
clausola di cittadinanza italiana sia stata emendata nonostante l’evidente
contrasto innanzitutto con il principio di libera circolazione, uguaglianza e
parità di trattamento dei
cittadini di Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari di cui alle
norme di fonte primaria e derivata del diritto dell’Unione europea ed anche,
come vedremo, con altre norme di diritto dell’Unione europea concernenti il
principio di parità di trattamento a favore di talune categorie di cittadini di
Stati terzi non membri dell’Unione europea.
La mancata espressa abrogazione
di tale clausola di cittadinanza da parte del legislatore italiano appare
costituire una fonte di confusione ed incertezza nella corretta applicazione
del rapporto tra fonti legislative interne e fonti di derivazione comunitaria.
Dopo aver compiuto un sommario
monitoraggio delle prassi in uso in diversi Atenei italiani, emerge infatti una
situazione diversificata, riassumibile nelle seguenti fattispecie:
a)
atenei che continuano ad
applicare integralmente la clausola di cittadinanza italiana ai fini
dell’accesso a tali borse di studio, escludendo dunque non solo i cittadini di
Paesi terzi non membri dell’Unione europea, ma anche gli stessi cittadini di
Paesi membri dell’UE e i loro familiari; [1]
b)
atenei che disapplicano la
clausola di cittadinanza italiana nei confronti dei soli cittadini di altri
Paesi membri dell’UE, ammettendo quest’ultimi a parità di condizioni con i
cittadini italiani e senza restrizioni aggiuntive;[2]
c)
atenei che disapplicano la
clausola di cittadinanza italiana nei confronti dei soli cittadini di altri
Paesi membri dell’UE, ammettendo quest’ultimi al beneficio tuttavia a
condizioni aggiuntive e più restrittive rispetto a quelle previste per i cittadini italiani. [3]
Si ritiene che detta situazione
configuri profili discriminatori in violazione di norme del diritto dell’Unione europea che,
avendo efficacia diretta ed
immediata nell’ordinamento italiano, implicherebbero la conseguente necessità di disapplicazione
della clausola di cittadinanza italiana di cui all’art. 5 c. 2 della legge n.
398/89.
La giurisprudenza della Corte di
Giustizia europea ha chiarito da lungo tempo ormai come non sia compatibile con le norme di
diritto comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori di Paesi membri e
dei loro familiari, indipendentemente dalla cittadinanza di questi ultimi,
e sul corrispondente principio di parità di trattamento nell’accesso ai
benefici e alle prestazioni sociali e, specificamente a quelli relativi
all’istruzione, una normativa nazionale che limiti tale parità di trattamento
ai soli sussidi all’istruzione impartita nel Paese ospitante, escludendo invece
i sussidi per la partecipazione a corsi di istruzione e perfezionamento in
Paesi esteri, ivi compresa la situazione in cui il cittadino comunitario
residente nel Paese ospitante o il suo familiare richiedano un sussidio per la
partecipazione a corsi di istruzione nel Paese di cui possiedano la
cittadinanza. Si veda in proposito la sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Carmina
di Leo, cittadina italiana
residente in Germania, contro il Land di Berlino, dd. 13.11.1990, causa C-308/89.
L’art. 45 del TFUE (già art. 39
TCE), infatti, “assicura la libera circolazione dei
lavoratori all’interno dell’Unione europea” ed afferma l’esigenza che a tal fine sia assicurata
“l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i
lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e
le altre condizioni di lavoro”.
L’art. 49 del TFUE (ex art. 43 del TCE), che tutela il diritto di stabilimento
all’interno dell’Unione, vieta “le restrizioni alla libertà di stabilimento
dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro”.
Al fine della realizzazione dei
principi di libertà di circolazione e di stabilimento dei lavoratori
all’interno della Comunità europea, è stato approvato il Regolamento comunitario n. 1612/1968 (ora sostituito dal
Regolamento UE n. 492/2011 dd. 5 aprile 2011) che, all’art. 7 c. 2, ha sancito
il principio di parità di trattamento tra lavoratori nazionali e
lavoratori di altri Stati membri in materia di vantaggi sociali e fiscali. Ulteriormente,
l’art. 12 del regolamento comunitario n. 1612/68 (ora Regolamento UE n.
492/2011 dd. 05.04.2011) dispone che i figli di un lavoratore comunitario hanno
accesso, alle stesse condizioni dei cittadini del Paese ospitante, ai corsi di
istruzione, qualora risiedano nel territorio dello stesso Stato e tale
condizione di parità di trattamento deve estendersi a tutti i provvedimenti
miranti a facilitare la frequenza dei corsi di insegnamento, ivi compresi gli
aiuti, i sussidi e le borse di studio (vedi sentenza CGE 15.03.1989, causa Echternach
e Moritz, cause 389/87 e
390/87).
La citata sentenza della Corte di Giustizia europea
nel caso Di Leo contro Germania ha dunque chiarito che il diniego all’ accesso di un familiare di
cittadino comunitario ad un sussidio per la frequenza di un corso di istruzione
da svolgersi nel Paese di origine del cittadino comunitario quando tale
sussidio invece sarebbe concesso al cittadino nazionale, costituisce una
violazione non solo dell’art. 12 del Regolamento CE n. 1612/68 (ora art. 10
Regolamento UE n. 492/2011), ma anche dell’art. 7 c. 2 del medesimo regolamento
perché una discriminazione
avverso i familiari del cittadino comunitario rispetto all’accesso ad un
beneficio sociale finisce per discriminare i cittadini comunitari medesimi che
li hanno a carico. [4]
Dalla constatazione del contrasto della
norma nazionale con il principio
di parità di trattamento tra cittadini nazionali e cittadini di altri Paesi
dell’Unione europea e loro familiari nell’accesso alle prestazioni e ai
vantaggi sociali, inclusi quelli in materia di accesso all’istruzione, rileva
l’obbligo dell’amministrazione di disapplicare la norma interna difforme.
L’obbligo per gli Stati membri di
attuare una direttiva e di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima
vale infatti per tutti gli organi di detti Stati, ivi comprese dunque le
autorità ministeriali e le Università. L’obbligo di disapplicazione
costituisce principio recepito anche dalla nostra Corte Costituzionale che, a
far data dalla storica sentenza dell’8 giugno 1984 n. 170 (Granital c.
Ministero delle Finanze), ha affermato che il giudice nazionale è
tenuto a disapplicare la normativa nazionale posteriore configgente con le
disposizioni di un regolamento comunitario senza l’obbligo di un preventivo
giudizio di legittimità costituzionale. Il giudice delle leggi ha altresì
riconosciuto l’immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie anche in
relazione alle “statuizioni risultanti (…) dalle sentenze interpretative
della Corte di Giustizia”
(C.Cost. 23.04.1985, n. 113), chiarendo che il giudice nazionale non deve
applicare le norme interne allorchè queste siano incompatibili (oltre che con
regolamenti) anche con le norme comunitarie produttive di effetti diretti,
quali le disposizioni contenute nei trattati dell’Unione (C.Cost. n. 389/1989)
e quelle contenute nelle direttive comunitarie (C.Cost. 2.02.1990 n. 64 e C.Cost. 18.04.1991,
n. 168). Inoltre, ha ulteriormente specificato che “l’applicazione
della normativa comunitaria direttamente efficace all’interno dell’ordinamento
italiano non dà luogo ad ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di
caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibili,
ma produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e
nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a
svolgersi” (C.Cost.
11.07.1989, n. 389) e che tale obbligo investe anche gli organi amministrativi
e non soltanto quelli giurisdizionali.
Sotto questo profilo, si rileva
dunque l’illegittimità dei regolamenti e dei bandi universitari che nel
prevedere i requisiti soggettivi per l’accesso alle borse di studio per la
frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, contemplino una
clausola di cittadinanza italiana che esclude i cittadini di Paesi membri dell’Unione
europea e/o i loro familiari, indipendentemente dalla cittadinanza di quest’ultimi, ovvero preveda per i cittadini di Paesi
membri dell’Unione europea e i loro familiari condizioni aggiuntive e
maggiormente restrittive rispetto a quelle previste per i cittadini nazionali,
inclusa la clausola per cui
l’istruzione non deve svolgersi nel Paese di provenienza del cittadino
comunitario.
La condizione
di piena e perfetta parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani
nell’accesso alle borse di studio per la frequenza di corsi o attività di
perfezionamento all’estero deve essere inoltre assicurata anche ai familiari,
comunitari o extracomunitari, di
cittadini italiani. L’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 prevede, infatti, l’estensione delle norme previste dal
decreto attuativo della direttiva europea
in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari
anche ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana: “Le
disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano
ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana”.
Dal significato letterale della norma ne deriva un’interpretazione della
equiparazione della condizione dei familiari dei cittadini italiani a quella
dei familiari di cittadini comunitari estensibile a tutte le disposizioni
contenute nel decreto e nella normativa comunitaria e non solo a quelle in materia di
soggiorno. Pertanto, anche i familiari (ad es. il coniuge o i figli del coniuge)
dei cittadini italiani godono del principio di parità di trattamento nell’accesso
ai benefici e alle prestazioni sociali, incluse quelle concernenti l’accesso
all’istruzione superiore. Del resto, la
norma di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 deve intendersi quale
espressione del divieto di “discriminazioni a rovescio”.[5]
La questione dei profili
discriminatori contrari al diritto dell’Unione europea della normativa
nazionale di cui alla legge n. 398/1989 e conseguenti prassi degli Atenei
italiani rileva anche riguardo a
talune categorie di cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione
europea tutelati dal diritto UE.
Oltre ai familiari extracomunitari
di cittadini di Paesi membri UE, di cui abbiamo già trattato in precedenza, ha
qui rilievo la normativa europea in materia di cittadini di Paesi terzi
soggiornanti di lungo periodo.
L’art 11 (rubricato appunto “parità di trattamento”) comma 1 lettera b) della direttiva
2003/109/CE , relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano
soggiornanti di lungo periodo (d’ora in poi, per brevità, “lungo soggiornanti”)
prevede quanto segue:
“"Il soggiornante di lungo periodo gode
dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda…l’istruzione e la
formazione professionale, compresi gli assegni scolastici e le borse di studio
secondo il diritto nazionale”.
L’art. 11 c. 3 lett b) della direttiva medesima ha
previsto quale unica
limitazione concessa agli Stati membri riguardo al principio di parità di
trattamento dei lungo soggiornanti rispetto ai cittadini nazionali nell’accesso
all’istruzione, quella della prova del possesso delle adeguate conoscenze
linguistiche.[6]
Non vi
è ragione per ritenere che il principio di parità di trattamento nell’accesso
all’istruzione e relativi benefici, sussidi e borse di studio previsto a favore
dei cittadini di Paesi terzi lungo soggiornanti possa essere interpretato in
maniera difforme rispetto a quanto sancito per i cittadini dell’Unione europea
e i loro familiari.
La
giurisprudenza comunitaria ha chiarito che l’estensione dell’interpretazione di
una disposizione del Trattato europeo, quale il divieto di discriminazioni su
basi di nazionalità tra cittadini dell’Unione europea e la parità di
trattamento nelle materie coperte dal diritto comunitario, a disposizioni,
redatte in termini analoghi o simili, figuranti in altre norme di diritto
comunitario, dipende in
particolare dallo scopo perseguito da ciascuna di tale disposizioni nel suo
ambito specifico (ad es. sentenza B. Pokrzeptowicz-Meyer c. Germania, 29 gennaio 2002, causa C-162/00, paragrafo
33). Orbene, nel considerando
n. 4 alla direttiva europea n. 109/2003, si legge che finalità della direttiva
medesima è l’integrazione dei cittadini di Paesi
terzi stabilitisi a titolo duraturo, la quale costituisce un elemento cardine per la promozione della
coesione economica e sociale e dunque un obiettivo fondamentale dell’Unione
europea medesima. Tale finalità verrebbe ovviamente vanificata se il principio della parità di
trattamento in materia di accesso all’istruzione superiore venisse interpretato
in maniera restrittiva, con
l’esclusione di talune opportunità previste per i cittadini italiani.
Ogni dubbio in proposito, tuttavia, viene risolto
dalla stessa direttiva comunitaria, il quale al considerando n. 15 introduttivo
al testo viene specificato quanto segue: “Per quanto riguarda la concessione
delle borse di studio, gli Stati membri possono tener conto del fatto che i
cittadini dell'Unione possono beneficiare di tali prestazioni nel paese
d'origine”. In sostanza, lo stesso legislatore
comunitario suggerisce agli Stati membri di interpretare il principio di parità
di trattamento nell’accesso dei lungo soggiornanti alle borse di studio e ai
sussidi per l’istruzione superiore allo stesso modo di quanto previsto dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia europea a favore dei cittadini di Paesi
membri UE e loro familiari nella già ricordata sentenza Di Leo contro
Germania, applicandolo anche
ai benefici per corsi di perfezionamento e attività di istruzione nel Paese di
origine dello straniero.[7]
Si ritiene, peraltro, che
l’esclusione dal beneficio delle borse di studio per il perfezionamento
all’estero degli stranieri cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione
europea regolarmente soggiornanti in Italia titolari di uno dei permessi di
soggiorno menzionati nell’art. 39 c. 5 del d.lgs. n. 286/98, anche se non lungo
soggiornanti, possa ritenersi in contrasto con il principio di parità di
trattamento di cui all’art. 39 c. 1 del citato d.lgs. n. 286/98 (“In materia
di accesso all’istruzione universitaria e di relativi interventi per il diritto
allo studio è assicurata la parità di trattamento tra lo straniero ed il
cittadino, nei limiti e con le modalità di cui al presente articolo”). Né potrebbe essere addotto quale motivo di
giustificazione per l’esclusione dei cittadini extracomunitari regolarmente
soggiornanti in Italia dal beneficio delle borse di studio per il
perfezionamento all’estero, il disposto normativo a carattere generale di cui all’art. 13 c. 4 del d. P.R. n.
394/99 e successive modifiche, per cui il permesso di soggiorno non può essere
rinnovato o prorogato quando risulti che lo straniero ha interrotto il suo
soggiorno in Italia per un periodo continuativo di oltre sei mesi. Il Ministero
dell’Interno ha già avuto modo di chiarire, con circolare n. 400/A/2010/12.214.39 dd. 15.09.2010, [8]
che, in ottemperanza all’art. 8 della
direttiva 2004/114/CE sulla mobilità degli studenti cittadini di Paesi
terzi, il soggiorno all’estero per il regolare svolgimento di un programma di
studi accademici rientra tra quei
gravi e comprovati motivi per i quali lo straniero regolarmente soggiornante in
Italia è legittimato a chiedere la deroga dall’applicazione del periodo massimo
di assenza continuativa dal territorio nazionale ai fini della proroga o
rinnovo del permesso di soggiorno.
L’art. 5 c. 2 della legge 30 novembre 1989, n. 398, potrebbe
dunque ritenersi implicitamente abrogato per effetto dell’entrata in vigore
della normativa del T.U.
immigrazione, in quanto incompatibile con quest’ultima, secondo i principi
generali dell’applicazione delle leggi di cui all’art. 15 c.c. Ne deriverebbe che l’applicazione
della clausola di cittadinanza
italiana di cui all’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89 potrebbe configurare una discriminazione vietata dall’art.
43 del T.U. immigrazione con particolare riferimento ai commi 1 e comma 2 lett. c): “In ogni caso
compie un atto di discriminazione …chiunque illegittimamente imponga condizioni
più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio,,
all’istruzione, alla formazione e
ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia solo in ragione della sua condizione di straniero o
appartenente ad una determinata razza, religione , etnia o nazionalità”.
Alla luce
di quanto sopra, si chiede al Ministro per l’Università e la Ricerca Scientifica di emanare una
direttiva amministrativa agli Atenei italiani affinché la norma di cui all’art.
5 c. 2 della legge n. 398/89 concernente la clausola di cittadinanza italiana
per l’accesso alle borse di studio per il perfezionamento all’estero venga
disapplicata per contrasto con la normativa dell’Unione europea e le norme di
cui al T.U. immigrazione.
Si trasmette la presente
segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari
Opportunità affinché possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare
una raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative
assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto
Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto
del recepimento della direttiva
europea n. 2000/43/CE.
Preso atto che l’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89 trova applicazione negli Atenei italiani, sebbene con
modalità diversificate e non omogenee, ma che ugualmente sono suscettibili di
determinare una violazione del diritto dell’Unione
europea con riferimento al principio di parità di trattamento previsto a favore
delle menzionate categorie di cittadini dell’Unione europea e di Paesi terzi,
SI CHIEDE con la presente alla Commissione europea, sussistendone i
presupposti, di avviare le opportune indagini preliminari all’eventuale avvio di un procedimento di infrazione a carico della Repubblica
Italiana per violazione degli obblighi al rispetto del diritto dell’Unione europea.
p. il Servizio
anti-discriminazioni dell’ASGI
dott. Walter
Citti
[1] In tal senso vedasi a solo titolo di esempio: Regolamento per il conferimento delle borse di studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, art. 12 c. 1, al link: http://www.sssup.it/UploadDocs/10942_Regolamento_per_il_conferimento_di_borse_di_studio.pdf ; Università degli Studi di Palermo, decreto n. 1783/2011 dd. 01.09.2011, relativo al bando di concorso per l’attribuzione di n. 56 borse di studio, di durata semestrale, per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, art. 2 c. 2, al link: http://portale.unipa.it/architettura/home/bandi/altro/allegati/20110923-BANDO_PERFEST__2011_2783.pdf ; Regolamento per l’assegnazione delle borse di studio dell’Università degli Studi di Perugia, art. 3 punto b), al link: http://www.unipg.it/studenti/dottorati/docs_perfezionamentoEsteroRegolamento.pdf ;
[2] In tale senso, vedasi a solo titolo di esempio: Regolamento
dell’Università di Teramo per la attribuzione delle borse di studio di cui alla
legge 30.11.1989, n. 398, cap. III, art. 11, al link: http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/Regolamento_per_la_attribuzione_delle_borse_di_studio_di_cui_alla_legge_30.11.1989_n._398.pdf ; Concorso per
l’assegnazione di n. 10 borse di
studio per il perfezionamento all’estero di neolaureati magistrali o laureati
ante DM 509/99- bando 2011 dell’Università di Camerino, art. 2, al link: http://web.unicam.it/unicam/G_BANDI/BandoLaureati2011.pdf .
[3] E’ il caso del bandi di concorso recentemente indetto e tuttora aperto dall’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma per il conferimento di n. 448 mensilità di borse di studio per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, come da D.R. n. 717, al cui art. 3 c. 2 si prevede il requisito del “possesso della cittadinanza italiana”, con l’equiparazione prevista per i “cittadini della Repubblica di San Marino e del Vaticano”, nonché per i “cittadini comunitari” purchè “svolgano l’attività di perfezionamento in paesi diversi da quello di provenienza”. ( al link: http://www.uniroma1.it/sites/default/files/allegati/Bando_di_concorso_perfez_2012.pdf ).
[4] Sulla questione, si veda il recente procedimento di infrazione del
diritto UE avviato dalla Commissione europea in relazione ad una legislazione
dei Paesi Bassi che subordina l’accesso alla borse di studio universitarie per
studi compiuti all’estero ad una requisito di anzianità di residenza triennale nei
Paesi Bassi nei sei anni precedenti. Secondo la Commissione europea, tale
legislazione viola il principio di uguaglianza tra cittadini di Paesi membri
dell’UE, costituendo una discriminazione indiretta, in quanto il requisito di
anzianità di residenza è suscettibile di essere soddisfatto in misura
proporzionalmente maggiore dai cittadini nazionali rispetto a quelli di altri
Paesi membri dell’UE ed esclude tout court i
cittadini UE frontalieri. L’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea,
nel suo parere reso il 16 febbraio 2012, ha ritenuto che la legislazione dei
Paesi Bassi configuri una discriminazione indiretta vietata dal diritto UE. Si
veda in proposito al link: http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2012-02/cp120010en.pdf
[5] Con due importanti sentenze, la Corte Costituzionale ha infatti
stabilito che, in caso di deteriore trattamento della situazione puramente
interna riferita al cittadino italiano rispetto a quella applicabile
all’omologa situazione disciplinata dal diritto comunitario, alla luce del
principio costituzionale di eguaglianza, la posizione soggettiva garantita dal
diritto comunitario sarà l’elemento su cui misurare anche la disciplina
riservata alla situazione nazionale (Corte Costituzionale, sent. 16.06.1995, n.
249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n. 443). In altri termini il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione vieta le “discriminazioni a rovescio”,
quelle cioè che si verificherebbero in danno del cittadino italiano quando, per
effetto di una norma comunitaria, una persona o un soggetto comunitario
godrebbe in Italia di un trattamento più favorevole di quello previsto in una
situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma
di diritto interno. Il divieto di discriminazioni a rovescio è stato di recente
riaffermato con l’art. 14 bis della legge 7.7.2009, n. 88 (Legge comunitaria
2008): “1. Le norme italiane di recepimento e di attuazione di norme e
principi della Comunità europea e dell’Unione europea assicurano la parità di
trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati
membri dell’UE residenti o stabiliti nel territorio nazionale e non possono in
ogni caso comportare un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.
2. Nei confronti
dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento
giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori
rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o
stabiliti nel territorio nazionale”.
[6] L'Italia ha recepito questa direttiva con il D.lgs 3/2007 che ha
sostituito l'art 9 del TU immigrazione. Il testo modificato dell'art 9 TU
immigrazione prevede che il titolare del permesso per lungo soggiornanti può
"usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza
sociale, di quelle relative ad erogazione in materia sanitaria, scolastica e
sociale… salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata
l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale".
[7] Sull’idoneità del preambolo di un atto comunitario a precisarne il contenuto, si veda la sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 10.01.2006 nel caso IATA e ELFAAA contro Department of Transport United Kingdom, causa C-344/04, paragrafo 76.
[8] Testo disponibile al link: http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2010/settembre/circ-interno-15-9-2010.pdf