Servizio anti-discriminazioni

 

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                                                                                                         Trieste, 29 marzo 2012

 

 

Preg.mo Prof. Francesco Profumo

Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Capo Segreteria: Dott.ssa Francesca BASILICO
e-mail:
caposegreteria.ministro@istruzione.it

 

e p.c.

Preg.mo Prof. Andrea Riccardi
Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione
Capo della segreteria

D.ssa Paola Cutaia
segreteria.ministroriccardi@governo.it

 

Preg.mo Dott. Massimilano Monnanni

Direttore UNAR

Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali

e-mail: unar@unar.it

 

 Commissione delle Comunità europee

                                   (alla cortese attenzione del Segretario generale)

                                   Rue de la Loi, 200

                                   B-1049 Bruxelles

                                   BELGIO

 

 

____________________________________________

OGGETTO: Profili discriminatori contrari al diritto dell’Unione europea e al diritto nazionale della normativa in materia di borse di studio per il perfezionamento all’estero (art. 5 c. 2 legge 30 novembre 1989, n. 398).

           

Il servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione)  è un network di avvocati e consulenti legali operanti nel settore del diritto dell’immigrazione e dell’asilo e del diritto   anti-discriminatorio italiano ed europeo.

 

Si scrive la presente con riferimento alla normativa nazionale in materia di borse di studio per il perfezionamento all’estero, di cui all’art. 5  della legge 30 novembre 1989, n. 398 (“Norme in materia di borse di studio universitarie”, pubblicata in G.U. 14.12.1989, n. 291).

Detto articolo, al comma 2, prevede il requisito della cittadinanza italiana ai fini dell’accesso a tale beneficio (“Al concorso, per titoli ed esami, sono ammessi i laureati di cittadinanza italiana di età non superiore ai ventinove anni, che documentino un impegno formale di attività di perfezionamento presso istituzioni estere ed internazionali di livello universitario, con relativa indicazione dei corsi e della durata”).

A tutt’oggi, non risulta che tale norma e relativa clausola di cittadinanza italiana sia stata emendata nonostante l’evidente contrasto innanzitutto con il principio di libera circolazione, uguaglianza e parità di trattamento  dei cittadini di Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari di cui alle norme di fonte primaria e derivata del diritto dell’Unione europea ed anche, come vedremo, con altre norme di diritto dell’Unione europea concernenti il principio di parità di trattamento a favore di talune categorie di cittadini di Stati terzi non membri dell’Unione europea.

 

La mancata espressa abrogazione di tale clausola di cittadinanza da parte del legislatore italiano appare costituire una fonte di confusione ed incertezza nella corretta applicazione del rapporto tra fonti legislative interne e fonti di derivazione comunitaria.

 

Dopo aver compiuto un sommario monitoraggio delle prassi in uso in diversi Atenei italiani, emerge infatti una situazione diversificata, riassumibile nelle seguenti fattispecie:

 

a)                                      atenei che continuano ad applicare integralmente la clausola di cittadinanza italiana ai fini dell’accesso a tali borse di studio, escludendo dunque non solo i cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea, ma anche gli stessi cittadini di Paesi membri dell’UE e i loro familiari; [1]

b)                                      atenei che disapplicano la clausola di cittadinanza italiana nei confronti dei soli cittadini di altri Paesi membri dell’UE, ammettendo quest’ultimi a parità di condizioni con i cittadini italiani e senza restrizioni aggiuntive;[2]

c)                                      atenei che disapplicano la clausola di cittadinanza italiana nei confronti dei soli cittadini di altri Paesi membri dell’UE, ammettendo quest’ultimi al beneficio tuttavia a condizioni aggiuntive e più restrittive rispetto  a quelle previste per i cittadini italiani. [3]

 

Si ritiene che detta situazione configuri profili discriminatori in  violazione di norme del diritto dell’Unione europea che, avendo  efficacia diretta ed immediata nell’ordinamento italiano, implicherebbero la  conseguente necessità di disapplicazione della clausola di cittadinanza italiana di cui all’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89.

 

La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha chiarito da lungo tempo ormai come  non sia compatibile con le norme di diritto comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori di Paesi membri e dei loro familiari, indipendentemente dalla cittadinanza di questi ultimi, e sul corrispondente principio di parità di trattamento nell’accesso ai benefici e alle prestazioni sociali e, specificamente a quelli relativi all’istruzione, una normativa nazionale che limiti tale parità di trattamento ai soli sussidi all’istruzione impartita nel Paese ospitante, escludendo invece i sussidi per la partecipazione a corsi di istruzione e perfezionamento in Paesi esteri, ivi compresa la situazione in cui il cittadino comunitario residente nel Paese ospitante o il suo familiare richiedano un sussidio per la partecipazione a corsi di istruzione nel Paese di cui possiedano la cittadinanza. Si veda in proposito  la sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Carmina di Leo, cittadina italiana residente in Germania, contro il Land di Berlino,  dd. 13.11.1990, causa C-308/89.

 

L’art. 45 del TFUE (già art. 39 TCE), infatti,  assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea” ed afferma l’esigenza che a tal fine sia assicurata “l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”.

L’art. 49 del TFUE (ex art. 43 del TCE), che tutela il diritto di stabilimento all’interno dell’Unione, vieta “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro”.

Al fine della realizzazione dei principi di libertà di circolazione e di stabilimento dei lavoratori all’interno della Comunità europea, è stato approvato  il Regolamento comunitario n. 1612/1968 (ora sostituito dal Regolamento UE n. 492/2011 dd. 5 aprile 2011) che, all’art. 7 c. 2, ha sancito il principio di parità di trattamento tra lavoratori nazionali e lavoratori di altri Stati membri in materia di vantaggi sociali e fiscali. Ulteriormente, l’art. 12 del regolamento comunitario n. 1612/68 (ora Regolamento UE n. 492/2011 dd. 05.04.2011) dispone che i figli di un lavoratore comunitario hanno accesso, alle stesse condizioni dei cittadini del Paese ospitante, ai corsi di istruzione, qualora risiedano nel territorio dello stesso Stato e tale condizione di parità di trattamento deve estendersi a tutti i provvedimenti miranti a facilitare la frequenza dei corsi di insegnamento, ivi compresi gli aiuti, i sussidi e le borse di studio (vedi sentenza CGE 15.03.1989, causa Echternach e Moritz, cause 389/87 e 390/87).

La citata sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Di Leo contro Germania ha dunque chiarito che il diniego all’ accesso di un familiare di cittadino comunitario ad un sussidio per la frequenza di un corso di istruzione da svolgersi nel Paese di origine del cittadino comunitario quando tale sussidio invece sarebbe concesso al cittadino nazionale, costituisce una violazione non solo dell’art. 12 del Regolamento CE n. 1612/68 (ora art. 10 Regolamento UE n. 492/2011), ma anche dell’art. 7 c. 2 del medesimo regolamento perché una discriminazione   avverso i familiari del cittadino comunitario rispetto all’accesso ad un beneficio sociale finisce per discriminare i cittadini comunitari medesimi che li hanno a carico. [4]

Dalla constatazione del contrasto della norma nazionale  con il principio di parità di trattamento tra cittadini nazionali e cittadini di altri Paesi dell’Unione europea e loro familiari nell’accesso alle prestazioni e ai vantaggi sociali, inclusi quelli in materia di accesso all’istruzione, rileva l’obbligo dell’amministrazione di disapplicare la norma interna difforme.

L’obbligo per gli Stati membri di attuare una direttiva e di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima vale infatti per tutti gli organi di detti Stati, ivi comprese dunque le autorità ministeriali e le Università. L’obbligo di disapplicazione costituisce principio recepito anche dalla nostra Corte Costituzionale che, a far data dalla storica sentenza dell’8 giugno 1984 n. 170 (Granital c. Ministero delle Finanze),  ha affermato che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la normativa nazionale posteriore configgente con le disposizioni di un regolamento comunitario senza l’obbligo di un preventivo giudizio di legittimità costituzionale. Il giudice delle leggi ha altresì riconosciuto l’immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie anche in relazione alle “statuizioni risultanti (…) dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia” (C.Cost. 23.04.1985, n. 113), chiarendo che il giudice nazionale non deve applicare le norme interne allorchè queste siano incompatibili (oltre che con regolamenti) anche con le norme comunitarie produttive di effetti diretti, quali le disposizioni contenute nei trattati dell’Unione (C.Cost. n. 389/1989) e quelle contenute nelle direttive comunitarie (C.Cost.  2.02.1990 n. 64 e C.Cost. 18.04.1991, n. 168).  Inoltre, ha ulteriormente specificato che “l’applicazione della normativa comunitaria direttamente efficace all’interno dell’ordinamento italiano non dà luogo ad ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibili, ma produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi” (C.Cost. 11.07.1989, n. 389) e che tale obbligo investe anche gli organi amministrativi e non soltanto quelli giurisdizionali.

 

Sotto questo profilo, si rileva dunque l’illegittimità dei regolamenti e dei bandi universitari che nel prevedere i requisiti soggettivi per l’accesso alle borse di studio per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, contemplino una clausola di cittadinanza italiana che esclude i cittadini di Paesi membri dell’Unione europea e/o i loro familiari, indipendentemente dalla  cittadinanza di quest’ultimi,  ovvero preveda per i cittadini di Paesi membri dell’Unione europea e i loro familiari condizioni aggiuntive e maggiormente restrittive rispetto a quelle previste per i cittadini nazionali, inclusa la clausola  per cui l’istruzione non deve svolgersi nel Paese di provenienza del cittadino comunitario.

 

La condizione di piena e perfetta parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani nell’accesso alle borse di studio per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero deve essere inoltre assicurata anche ai familiari, comunitari o extracomunitari,  di cittadini italiani. L’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 prevede, infatti,  l’estensione delle norme previste dal decreto attuativo della direttiva europea  in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari anche ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana: “Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana”.

Dal significato  letterale della norma  ne deriva un’interpretazione della equiparazione della condizione dei familiari dei cittadini italiani a quella dei familiari di cittadini comunitari estensibile a tutte le disposizioni contenute nel decreto e nella normativa comunitaria e  non solo a quelle in materia di soggiorno. Pertanto, anche i familiari (ad es. il coniuge o i figli del coniuge) dei cittadini italiani godono del principio di parità di trattamento nell’accesso ai benefici e alle prestazioni sociali, incluse quelle concernenti l’accesso all’istruzione superiore. Del resto, la  norma di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 deve intendersi quale espressione del divieto di “discriminazioni a rovescio”.[5]

La questione dei profili discriminatori contrari al diritto dell’Unione europea della normativa nazionale di cui alla legge n. 398/1989 e conseguenti prassi degli Atenei italiani rileva anche riguardo a  talune categorie di cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea tutelati dal diritto UE.

Oltre ai familiari extracomunitari di cittadini di Paesi membri UE, di cui abbiamo già trattato in precedenza, ha qui rilievo la normativa europea in materia di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

L’art 11 (rubricato appunto “parità di trattamento”) comma 1 lettera b) della direttiva 2003/109/CE , relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (d’ora in poi, per brevità, “lungo soggiornanti”) prevede quanto segue:

"Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda…l’istruzione e la formazione professionale, compresi gli assegni scolastici e le borse di studio secondo il diritto nazionale”.

L’art. 11 c. 3 lett b) della direttiva medesima ha previsto   quale unica limitazione concessa agli Stati membri riguardo al principio di parità di trattamento dei lungo soggiornanti rispetto ai cittadini nazionali nell’accesso all’istruzione, quella della prova del possesso delle adeguate conoscenze linguistiche.[6]

Non vi è ragione per ritenere che il principio di parità di trattamento nell’accesso all’istruzione e relativi benefici, sussidi e borse di studio previsto a favore dei cittadini di Paesi terzi lungo soggiornanti possa essere interpretato in maniera difforme rispetto a quanto sancito per i cittadini dell’Unione europea e  i loro familiari.

La giurisprudenza comunitaria ha chiarito che l’estensione dell’interpretazione di una disposizione del Trattato europeo, quale il divieto di discriminazioni su basi di nazionalità tra cittadini dell’Unione europea e la parità di trattamento nelle materie coperte dal diritto comunitario, a disposizioni, redatte in termini analoghi o simili, figuranti in altre norme di diritto comunitario,  dipende in particolare dallo scopo perseguito da ciascuna di tale disposizioni nel suo ambito specifico (ad es. sentenza B. Pokrzeptowicz-Meyer c. Germania, 29 gennaio 2002, causa C-162/00, paragrafo 33). Orbene, nel considerando n. 4 alla direttiva europea n. 109/2003, si legge che finalità della direttiva medesima è l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo, la quale  costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale e dunque un obiettivo fondamentale dell’Unione europea medesima. Tale finalità verrebbe ovviamente vanificata   se il principio della parità di trattamento in materia di accesso all’istruzione superiore venisse interpretato in  maniera restrittiva, con l’esclusione di talune opportunità previste per i cittadini italiani.

Ogni dubbio in proposito, tuttavia, viene risolto dalla stessa direttiva comunitaria, il quale al considerando n. 15 introduttivo al testo viene specificato quanto segue: “Per quanto riguarda la concessione delle borse di studio, gli Stati membri possono tener conto del fatto che i cittadini dell'Unione possono beneficiare di tali prestazioni nel paese d'origine”.  In sostanza, lo stesso legislatore comunitario suggerisce agli Stati membri di interpretare il principio di parità di trattamento nell’accesso dei lungo soggiornanti alle borse di studio e ai sussidi per l’istruzione superiore allo stesso modo di quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea a favore dei cittadini di Paesi membri UE e loro familiari nella già ricordata sentenza Di Leo contro Germania, applicandolo anche ai benefici per corsi di perfezionamento e attività di istruzione nel Paese di origine dello straniero.[7]

 

Si ritiene, peraltro, che l’esclusione dal beneficio delle borse di studio per il perfezionamento all’estero degli stranieri cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia titolari di uno dei permessi di soggiorno menzionati nell’art. 39 c. 5 del d.lgs. n. 286/98, anche se non lungo soggiornanti, possa ritenersi in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 39 c. 1 del citato d.lgs. n. 286/98 (“In materia di accesso all’istruzione universitaria e di relativi interventi per il diritto allo studio è assicurata la parità di trattamento tra lo straniero ed il cittadino, nei limiti e con le modalità di cui al presente articolo”). Né potrebbe essere addotto quale motivo di giustificazione per l’esclusione dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia dal beneficio delle borse di studio per il perfezionamento all’estero, il disposto normativo  a carattere generale di cui all’art. 13 c. 4 del d. P.R. n. 394/99 e successive modifiche, per cui il permesso di soggiorno non può essere rinnovato o prorogato quando risulti che lo straniero ha interrotto il suo soggiorno in Italia per un periodo continuativo di oltre sei mesi. Il Ministero dell’Interno ha già avuto modo di chiarire, con circolare  n. 400/A/2010/12.214.39 dd.  15.09.2010, [8] che, in ottemperanza all’art. 8 della  direttiva 2004/114/CE sulla mobilità degli studenti cittadini di Paesi terzi, il soggiorno all’estero per il regolare svolgimento di un programma di studi accademici  rientra tra quei gravi e comprovati motivi per i quali lo straniero regolarmente soggiornante in Italia è legittimato a chiedere la deroga dall’applicazione del periodo massimo di assenza continuativa dal territorio nazionale ai fini della proroga o rinnovo del permesso di soggiorno.

L’art. 5 c. 2 della legge  30 novembre 1989, n. 398, potrebbe dunque ritenersi implicitamente abrogato per effetto dell’entrata in vigore della  normativa del T.U. immigrazione, in quanto incompatibile con quest’ultima, secondo i principi generali dell’applicazione delle leggi di cui all’art. 15 c.c.  Ne deriverebbe che l’applicazione della  clausola di cittadinanza italiana di cui all’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89  potrebbe configurare una discriminazione vietata dall’art. 43 del T.U. immigrazione con particolare riferimento ai commi 1 e  comma 2 lett. c): “In ogni caso compie un atto di discriminazione …chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio,, all’istruzione,  alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia solo in ragione della sua condizione di straniero o appartenente ad una determinata razza, religione , etnia o nazionalità”.

 

Alla luce di quanto sopra, si chiede al Ministro per l’Università e la  Ricerca Scientifica di emanare una direttiva amministrativa agli Atenei italiani affinché la norma di cui all’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89 concernente la clausola di cittadinanza italiana per l’accesso alle borse di studio per il perfezionamento all’estero venga disapplicata per contrasto con la normativa dell’Unione europea e le norme di cui al T.U. immigrazione.

 

Si trasmette la presente segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità affinché possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare una raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto del recepimento della  direttiva europea n. 2000/43/CE.

 

Preso atto che  l’art. 5 c. 2 della legge n. 398/89  trova applicazione negli Atenei italiani, sebbene con modalità diversificate e non omogenee, ma che ugualmente sono suscettibili di determinare  una  violazione del diritto dell’Unione europea con riferimento al principio di parità di trattamento previsto a favore delle menzionate categorie di cittadini dell’Unione europea e di Paesi terzi, SI CHIEDE con la presente alla Commissione europea, sussistendone i presupposti, di avviare le opportune indagini  preliminari all’eventuale avvio di un procedimento di infrazione a carico della Repubblica Italiana per violazione degli obblighi al rispetto del diritto dell’Unione europea.

 

 

p. il Servizio anti-discriminazioni dell’ASGI

dott. Walter Citti

 

 

 

 



[1] In tal senso vedasi a solo titolo di  esempio:  Regolamento per il conferimento delle borse di studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, art. 12 c. 1,  al link:  http://www.sssup.it/UploadDocs/10942_Regolamento_per_il_conferimento_di_borse_di_studio.pdf   ;  Università degli Studi di Palermo, decreto n. 1783/2011 dd. 01.09.2011, relativo al bando di concorso per l’attribuzione di n. 56 borse di studio, di durata semestrale, per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, art. 2 c. 2, al link: http://portale.unipa.it/architettura/home/bandi/altro/allegati/20110923-BANDO_PERFEST__2011_2783.pdf    ; Regolamento per l’assegnazione delle borse di studio dell’Università degli Studi di Perugia, art. 3 punto b),  al link:   http://www.unipg.it/studenti/dottorati/docs_perfezionamentoEsteroRegolamento.pdf   ;

[2] In tale senso, vedasi a solo titolo di esempio: Regolamento dell’Università di Teramo per la attribuzione delle borse di studio di cui alla legge 30.11.1989, n. 398, cap. III, art. 11,  al link:  http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/Regolamento_per_la_attribuzione_delle_borse_di_studio_di_cui_alla_legge_30.11.1989_n._398.pdf    ; Concorso per l’assegnazione di n. 10 borse  di studio per il perfezionamento all’estero di neolaureati magistrali o laureati ante DM 509/99- bando 2011 dell’Università di Camerino,  art. 2,  al link: http://web.unicam.it/unicam/G_BANDI/BandoLaureati2011.pdf       .

[3] E’ il caso del bandi di concorso recentemente indetto e tuttora aperto dall’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma per il conferimento di n. 448 mensilità di borse di studio per la frequenza di corsi o attività di perfezionamento all’estero, come da D.R. n. 717, al cui art. 3 c. 2 si prevede il requisito del “possesso della cittadinanza italiana”, con l’equiparazione prevista per i “cittadini della Repubblica di San Marino e del Vaticano”, nonché  per i “cittadini comunitari” purchè “svolgano l’attività di perfezionamento in paesi diversi da quello di provenienza”. ( al link:  http://www.uniroma1.it/sites/default/files/allegati/Bando_di_concorso_perfez_2012.pdf      ).

[4] Sulla questione, si veda il recente procedimento di infrazione del diritto UE avviato dalla Commissione europea in relazione ad una legislazione dei Paesi Bassi che subordina l’accesso alla borse di studio universitarie per studi compiuti all’estero ad una requisito di anzianità di residenza triennale nei Paesi Bassi nei sei anni precedenti. Secondo la Commissione europea, tale legislazione viola il principio di uguaglianza tra cittadini di Paesi membri dell’UE, costituendo una discriminazione indiretta, in quanto il requisito di anzianità di residenza è suscettibile di essere soddisfatto in misura proporzionalmente maggiore dai cittadini nazionali rispetto a quelli di altri Paesi membri dell’UE ed esclude tout court i cittadini UE frontalieri. L’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea, nel suo parere reso il 16 febbraio 2012, ha ritenuto che la legislazione dei Paesi Bassi configuri una discriminazione indiretta vietata dal diritto UE. Si veda in proposito al link: http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2012-02/cp120010en.pdf

[5] Con due importanti sentenze, la Corte Costituzionale ha infatti stabilito che, in caso di deteriore trattamento della situazione puramente interna riferita al cittadino italiano rispetto a quella applicabile all’omologa situazione disciplinata dal diritto comunitario, alla luce del principio costituzionale di eguaglianza, la posizione soggettiva garantita dal diritto comunitario sarà l’elemento su cui misurare anche la disciplina riservata alla situazione nazionale (Corte Costituzionale, sent. 16.06.1995, n. 249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n. 443). In altri termini il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione vieta le “discriminazioni a rovescio”, quelle cioè che si verificherebbero in danno del cittadino italiano quando, per effetto di una norma comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbe in Italia di un trattamento più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno. Il divieto di discriminazioni a rovescio è stato di recente riaffermato con l’art. 14 bis della legge 7.7.2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008): “1. Le norme italiane di recepimento e di attuazione di norme e principi della Comunità europea e dell’Unione europea assicurano la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’UE residenti o stabiliti nel territorio nazionale e non possono in ogni caso comportare un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

2. Nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o stabiliti nel territorio nazionale”.

 

[6] L'Italia ha recepito questa direttiva con il D.lgs 3/2007 che ha sostituito l'art 9 del TU immigrazione. Il testo modificato dell'art 9 TU immigrazione prevede che il titolare del permesso per lungo soggiornanti può "usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazione in materia sanitaria, scolastica e sociale… salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale".

 

[7] Sull’idoneità del preambolo di un atto comunitario a precisarne il contenuto, si veda la sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 10.01.2006 nel caso IATA e ELFAAA contro Department of Transport United Kingdom, causa C-344/04, paragrafo 76.

[8] Testo disponibile al link: http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2010/settembre/circ-interno-15-9-2010.pdf