19 aprile 2012

Migranti imbavagliati e legati. Scandalo sul volo Roma-Tunisi
Sul volo Alitalia, due clandestini scortati dalla polizia con nastro da pacchi sul volto e fascette di plastica ai polsi. E gli agenti che dicono: «È una operazione di routine». La denuncia su Facebook.
l'Unità, 19-04-2012
Ma. Ge.
Una foto shock, che apre uno squarcio su come vengono effettuati i rimpatri degli immigrati irregolari espulsi. «Guardate cosa è accaduto oggi sul volo Roma-Tunisi delle 9,20 Alitalia», scrive postandola su Facebook, l’autore, Francesco Sperandeo, aiuto-regista di fiction, che si trovava su quell’aereo martedì scorso insieme ai «due cittadini tunisini (è la sua supposizione ndr) respinti dall’Italia e trattati in modo disumano» ritratti nella foto: «Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca ai due e fascette in plastica per bloccare i polsi». Con il telefonino, in realtà, il passeggero-reporter è riuscito a fotografarne solo uno. Una foto «rubata» che fa il giro della rete, insieme alla sua denuncia: «Questa è la civiltà e la democrazia europea?», si domanda l’autore, protestando perché alla richiesta di trattare in modo umano i due passeggeri «mi è stato intimato in modo arrogante di tornare al mio posto perché si trattava di una normale operazione di polizia...». «Normale?», replica il regista a mezzo Facebook. «Fate girare e denunciate!».
E se gli altri passeggeri come racconta lo stesso Sperandeo non si sono indignati, la Rete ha fatto il suo dovere. E nel giro di poche ore al coro delle proteste raccolte sul social network, si sono aggiunti uno a uno politici, deputati, senatori. «Come è possibile che in uno Stato di diritto come l'Italia possa accadere una cosa del genere?», si domanda Andrea Sarubbi, annunciando una interrogazione al ministro dell’Interno. «Anche se i rimpatri sono necessari, devono essere effettuati nel rispetto dei diritti umani e non di certo violando la dignità degli immigrati che vengono espulsi dal nostro Paese», attacca Livia Turco, da ex ministro e da responsabile del Forum Immigrazione del Pd, che parla di fatto «inaudito». «Vorremmo che il ministro dell’Interno ci facesse sapere se effettivamente tale prassi sia di routine, come sembrerebbero aver asserito gli stessi agenti di polizia», scandisce il responsabile Sicurezza del Pd Emanuele Fiano: «La nostra opinione è che quanto denunciato sia inammissibile per un Paese civile». È lo stesso presidente della Camera Fini, di lì a poco, a incalzare il governo affinché riferisca in aula «con la massima urgenza».
LA RICOSTRUZIONE DEL VIMINALE
All’ufficio di Polizia di Frontiera, responsabile di quella «normale operazione di polizia» che normale non sembra affatto, il capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli ha chiesto una relazione dettagliata. Una prima ricostruzione, intanto, spiega che i due immigrati, che potrebbero essere algerini, provenivano da Tunisi ed erano diretti in Turchia, con scalo tecnico a Fiumicino: una volta giunti a Roma, però, la mattina del 15 aprile, si sono rifiutati di proseguire il viaggio. «Come accade in questi casi, è scattata la procedura di respingimento che prevede il ritorno alla località di partenza, indipendentemente dalla nazionalità», spiegano dal Viminale. Il giorno dopo quando è stato individuato il primo volo utile per Tunisi, i due avrebbero di nuovo rifiutato l’imbarco, «opponendosi in tutti i modi, mordendosi l'interno della bocca e sputando sangue».
È allora che sarebbe stata loro applicata quella che viene definita «una mascherina sanitaria», successivamente «fissata con lo scotch» perché «i due continuavano a tentare di sfilarsela facendo dei movimenti con la bocca». La misura spiegano dal Viminale -, sarebbe stata presa «per garantire la sicurezza degli altri passeggeri». Una volta effettuato il decollo, «ristabilita la calma», il nastro come ha confermato lo stesso Sperandeo è stato tolto.



Scotch sulla bocca, bufera sul rimpatrio
La foto su Facebook scatena un coro di critiche: “Violata la dignità degli immigrati”
La Stampa, 19-04-2012
francesca paci
Roma -La foto scattata e postata ieri su Facebook dal filmmaker Francesco Sperandeo lascia poco spazio all’interpretazione: si vede un uomo seduto nell’ultima fila di un aereo con del nastro da pacchi sulla bocca mentre un altro, in piedi, lo tiene d’occhio. Gli uomini «imbavagliati» sul volo Roma-Tunisi di martedì alle 9,20 in realtà erano due, come emerso in seguito alla polemica esplosa con la circolazione internettiana dell’immagine: una coppia di cittadini algerini «riaccompagnati» dalle nostre forze dell’ordine all’aeroporto di partenza dopo aver tentato di restare irregolarmente nella Capitale.
«La cosa più grave è stata che tutto è accaduto nella totale indifferenza dei passeggeri» racconta Sperandeo che dopo lo scatto ha tentato di protestare con «i sorveglianti» ricevendo come risposta l’invito a tornare al proprio posto e a non intralciare «una normale operazione di polizia».
I due erano arrivati domenica mattina alle 7 da Tunisi con un volo diretto a Istanbul. Roma doveva essere solo uno scalo tecnico, invece loro non si erano ripresentati all’imbarco e avevano provato a uscire, restando bloccati nel limbo aeroportuale come il protagonista del film di Spielberg The Terminal. La polizia avrebbe allora riproposto la destinazione Istanbul o il ritorno a Tunisi ma di fronte al ripetuto rifiuto di ripartire sarebbe scattato il cosiddetto «respingimento coatto» con tanto di nastro adesivo sulla bocca e mani legate.
«Se fosse confermato quanto denunciato da un passeggero su un volo di linea Roma-Tunisi sul quale venivano rimpatriati due algerini, con nastro da pacchi a tappare la loro bocca, sarebbe inaudito e creerebbe un forte sentimento di sdegno e sconcerto» osserva la responsabile dell’immigrazione del Pd Livia Turco. Il punto non è la legge, insiste la Turco, ma la sua applicazione: «Anche se i rimpatri sono necessari, devono essere effettuati nel rispetto dei diritti umani e non di certo violando la dignità degli immigrati. Che il metodo utilizzato sia una procedura normale, come affermato dai due agenti accompagnatori, non è accettabile».
Per una volta, pur trattandosi del controverso tema dell’immigrazione, la condanna politica è trasversale. «Il governo riferisca al Parlamento sulle immagini che ritraggono due tunisini rimpatriati su un volo di linea Roma-Tunisi» domandano all’unisono Roberto Giachetti del Pd e Flavia Perina di Fli. Ma al pressing per far luce sull’accaduto si associano anche l’Udc Paola Binetti, una «sconcertata» Emma Bonino che aggiunge l’episodio «alla già sconfinata casistica di fatti e situazioni intollerabili per un paese che si fa vanto dei propri standard di civiltà» e il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. «Mi auguro che le immagini possano essere smentite» commenta Lupi facendo eco all’appello di Gianfranco Fini per un chiarimento «con la massima urgenza». La domanda retorica di Francesco Sperandeo che si chiede se «la civiltà e la democrazia europea» siano «un nastro marrone da pacchi attorno al viso e fascette in plastica per bloccare i polsi» approda in Parlamento lasciando i deputati ammutoliti come i due algerini della foto.
In realtà trattandosi di una procedura non autorizzata da alcuna norma e probabilmente «incostituzionale» la parola potrebbe passare alla Cassazione per due distinte ipotesi di reato, l’abuso di autorità, previsto dall’articolo 608 del Codice Penale, e la violenza privata, prevista dall’articolo 610. Se la procura di Roma dovesse decidere di aprire un’indagine, gli eventuali indagati potrebbero rischiare fino a 30 mesi di reclusione nel caso dell’accusa di abuso e fino a quattro anni per violenza privata.



Si ribellano al rimpatrio scotch sulla bocca agli immigrati tunisini
Due algerini imbarcati sul Roma-Tunisi si mordono la lingua e sputano sangue Scatta la procedura di sicurezza, ma la foto di un passeggero scatena le polemiche
il Giornale, 19-04-2012
Tiziana Paolocci
Nastro adesivo sulla bocca, fascette di plastica attorno ai polsi. Così hanno viaggiato mercoledì mattina due immigrati clandestini imbarcati a Fiumicino sul volo Alitalia Roma-Tunisi delle 9.20.
I due, di nazionalità algerina, dovevano essere scortati e rimpatriati dalla polizia, ma sono stati trattati come pacchi non graditi da rispedire al mittente. Il caso è stato denunciato dal regista Francesco Sperandeo, che volava sullo stesso aereo ed è riuscito a scattare una foto emblematica. Un’immagine, che partendo da Facebook in poche ore è rimbalzata su tutti i social network, mettendo in serio imbarazzo il ministero degli Interni.
«Questa è la civiltà e la democrazia europea- dice Sperandeo- E la cosa grave è che tutto è accaduto nella totale indifferenza degli altri passeggeri. Io e il mio collega siamo stati gli unici a protestare, anche se non tutti si sono accorti di quanto accadeva». «Noi, invece prosegue il testimone- ci siamo avvicinati ai poliziotti in borghese che accompagnavano i due stranieri. Abbiamo detto che era indecente e disumano il modo in cui trattavano quelle persone, indipendentemente da ciò che potevano aver fatto. La risposta è stata che si trattava di una normale operazione di polizia. Dopo di che gli agenti ci hanno invitato ad allontanarci e a sederci al nostro posto».
Eppure il nastro marrone da pacchi attorno alla bocca dei due algerini seduti in ultima fila, non è proprio una prassi ortodossa. Anzi. Sul caso, secondo la Cassazione, si profilano due distinte ipotesi di reato: l’abuso di autorità e la violenza privata. Per far chiarezza il capo della polizia, Antonio Manganelli, ha già chiesto una relazione all’Ufficio di polizia di frontiera dell’aeroporto di Fiumicino e successivamente valuterà se disporre altri accertamenti.
Intanto il dipartimento di Pubblica sicurezza ha fatto sapere che i due stranieri provenivano da Tunisi ed erano diretti in Turchia, con scalo tecnico a Fiumicino. Magiunti a Roma la mattina del 15 aprile, si erano rifiutati di proseguire il viaggio. Come accade in questi casi, è scattata la procedura di respingimento che prevede il ritorno alla località di partenza. Il giorno dopo, quando è stato individuato il primo volo utile per Tunisi, i due hanno di nuovo rifiutato l’imbarco, opponendosi in tutti i modi, mordendosi l’interno della bocca e sputando sangue: a questo punto sarebbe stata loro applicata una mascherina sanitaria, successivamente fissata con lo scotch perché entrambi gli stranieri cercavano di sfilarsela facendo dei movimenti con la bocca. La misura, dunque, sarebbe stata presa per garantire la sicurezza degli altri passeggeri: una volta effettuato il decollo e ristabilita la calma, il nastro sarebbe stato tolto.
Ieri anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha chiesto al Governo di riferire con la massima urgenza sulla vicenda, facendo seguito a quanto chiesto dal segretario d’aula del Pd Roberto Giachetti e da altri deputati nel corso della seduta dei capigruppo.
Una cosa è certa: il personale navigante non c’entra nulla con quanto accaduto. La procedura, infatti, prevede che la polizia nei casi di rimpatrio acquisti il biglietto direttamente dalla compagnia aerea. Comandante e pilota vengono avvertiti solo in sala briefing della presenza di eventuali personaggi «scomodi». «Per noi si tratta in ogni caso di passeggeri- sottolinea un comandante, 22 anni di servizio, portavoce dell’Ipa, Italian Pilots Association - L’accordo tra ministero dell’Interno e dei Trasporti stabilisce che, se per motivi di ordine pubblico è necessario rimpatriare un clandestino o trasportare un detenuto, la responsabilità del soggetto spetta al capo scorta, che stabilisce le misure di sicurezza d’adottare. Il comandante può solo rifiutarsi di imbarcare un passeggero qualora abbia sentore che questi costituisca un pericolo o una minaccia per gli altri trasportati».
Il caso è diverso, invece, quando accade qualcosa di inaspettato in volo.Se un«normale»passeggero improvvisamente diventa violento, o è sotto l’effetto di stupefacenti o di alcool, gli assistenti di volo hanno il dovere di comunicarlo al comandante che, effettuato un primo richiamo, decide come intervenire.
«Abbiamo a bordo un constraint kit , con tanto di fasce elastiche per immobilizzare la persona molesta,con l’aiuto degli assistenti di volo e degli altri passeggeri - conclude il comandante membro dell’Ipa - . In casi estremi, qualora il soggetto non fosse gestibile, possiamo chiedere anche di dirottare l’aereo nello scalo più vicino. A quel punto l’Ente di controllo avverte le forze dell’ordine, che prelevano il soggetto in questione».



Dignità violate, è inaccettabile
l'Unità.it, 19-04-2012
Moni Ovadia
È un'immagine che ferisce: quegli immigrati con lo scotch sulla bocca, le mani legate e gli occhi spaventati, la cui foto ha fatto il giro del web, ci dice più di tante parole che cosa siamo. Quale è l'abisso in cui rischiamo di cadere senza più qualsiasi senso di solidarietà e di rispetto umano. L'immigrato vale meno di una merce da spostare da una parte all'altra del mondo. È il segno di un declino spaventoso.
Eppure, un luogo comune assai diffuso e pigramente accettato dai più, è che l'Occidente abbia espunto dal proprio orizzonte quella disumanità che fu l'incunabolo delle atrocità di cui è disseminata la storia del secolo breve. E naturalmente noi italiani, brava gente per definizione, il cui fascismo sarebbe stato un blando autoritarismo che mandava gli oppositori in vacanza al confino nelle belle isole Eolie o nella allora remota Eboli dove però potevano conversare con Cristo, fra tutte le genti civili e umane del civilizzatissimo Occidente saremmo i più bravi e i più umani. Le stragi di Stato sarebbero un incidente di percorso, il bestiale sfruttamento dei lavoratori africani nei nostri campi di pomodori, anomalie, i respingimenti illegali di immigrati mandati alla tortura, alle violenze carnali e alla morte più atroce nei campi di «concentramento», pardon, campi di raccolta dello spietato rais libico a cui si baciavano le mani per l'ottimo lavoro svolto, un dettaglio sgradevole.
Siamo ancora oggi il Paese in cui, in spregio a tutte le convenzioni internazionali, si ammassano i detenuti nelle carceri in condizioni crudeli, siamo ancora il Paese in cui la tortura non è rubricata come reato, siamo il Paese della macelleria messicana in puro stile fascista sudamericano alla Diaz di Genova. Questo è il Paese che ha promulgato una legge per istituire il reato di clandestinità, un'infamia giuridica ed etica. I retori da barzelletta si sbracciano nel dire appassionatamente che siamo un grande Paese. Ma in che film?
Siamo un Paese che annovera grande gente: i magistrati e le forze dell'ordine, servitori dello stato che hanno dato le loro vita per difendere la legalità e per combattere la mafia, i sacerdoti di strada o quelli antimafia che testimoniano la parola di Gesù nella sua autenticità, le miriadi di eroi quotidiani che lavorano onestamente e nel rispetto delle regole in un Paese che però è ancora il regno della corruzione. Quando accadono certi fatti, quando immagini così dure da mandare giù ci toccano e ci sconvolgono, allora pensiamo che l'Italia in quanto nazione nelle sue diffuse strutture pubbliche e private non è un grande Paese. Che è un Paese meschino che defrauda la povera gente, che disprezza i lavoratori, che perseguita lo straniero e che non ha fatto e non vuole fare i conti con il suo retaggio di violenza latente. Aleggia uno spirito di ferocia e di indifferenza che oggi si specchia nei volti umiliati, imbavagliati come si usa nei sequestri, di due immigrati. Due esseri umani la cui dignità è brutalmente violata da chi dovrebbe avere il compito di vegliarla.



L’ipocrisia sui migranti
la Repubblica, 18-04-2012
Vittorio Longhi
Non ho mai visto in Italia un mafioso pluriomicida, uno stragista, un qualunque politico corrotto che venga imbavagliato, legato e mostrato in pubblico in questo modo. Con i migranti invece tutto ciò si può fare. Li si può umiliare.
Le immagini dei due tunisini rimpatriati dalla Polizia perché non in regola con i documenti, al di là dell’indignazione che suscitano (in pochi) per la brutalità, fanno emergere alcune contraddizioni e ipocrisie strutturali di questo paese.
I tunisini non sono considerati potenziali richiedenti asilo, ma migranti economici. Vengono qui nella speranza di trovare un lavoro, a qualunque condizione. L’unico modo legale che hanno di entrare, però, è attraverso il decreto flussi, attraverso le quote, che sono ferme da anni. L’ultimo decreto per i lavoratori non comunitari e non stagionali risale al 2010 e concedeva solo 98 mila permessi, ovvero un sesto delle domande presentate, a dimostrazione di quanto lavoro nero andrebbe regolarizzato oggi.
Il governo Monti ha fatto sapere di recente che non varerà nuovi decreti, quindi non permetterà nuovi ingressi, almeno per ora. Dunque l’Italia non ha bisogno di lavoratori stranieri? Quelli che si trovano qui  e sono senza documenti, devono essere rimandati tutti a casa, come i due tunisini?
Secondo la retorica populista e xenofoba che ha determinato le politiche migratorie degli ultimi anni la risposta è no, non c’è bisogno di nuovi ingressi, anche perché c’è già tanta disoccupazione in Italia. Dunque sì, gli irregolari o “clandestini” vanno rimpatriati e senza tanti  riguardi.
Invece, stando ai dati ufficiali “il fabbisogno complessivo di manodopera straniera al 2015 dovrebbe ammontare a 510 mila unità, che nel 2020 salirebbero a 1 milione e 817 mila lavoratori (ovvero 182 mila entrate medie annue)”.
Le cifre fanno riferimento a un’ipotesi intermedia di domanda di lavoro migrante e sono prese da un rapporto del ministero del Lavoro uscito in sordina l’anno scorso, “L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive”. Quindi 182 mila persone dovrebbero entrare ogni anno, per motivi economici e demografici, perché lo chiedono le imprese, le famiglie e il sistema di welfare.
E non vale più neanche il luogo comune che i migranti rubano posti agli italiani, perché e’ noto da tempo che gli stranieri vanno a occupare fasce del mercato del lavoro a cui gli italiani non sono più interessati. Allora perché non si regolarizzano i migranti già presenti sul territorio, che lavorano comunque, ma in nero? Perché non si riattivano nuovi decreti flussi, basati sui bisogni reali del paese?
Dopo le politiche migratorie irresponsabili e le aberrazioni giuridiche del governo Berlusconi, come il reato di clandestinità o i respingimenti in alto mare, resta da vedere se il nuovo governo sarà capace di gestire la migrazione, la mobilità del lavoro con lucidità e realismo.



Laura Boldrini, portavoce Onu per i rifugiati
"Mai visto niente del genere li hanno trattati come animali"
la Repubblica, 19-04-2012
Caterina Pasolini
ROMA - «È un trattamento scandaloso. Umiliante. Ingiustificato». Pesa le parole Laura Boldrini, portavoce dell'alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ma non nasconde la condanna: dura.
Cosa pensa di quello scotch sulla bocca? «Non ho parole, non avevo mai visto una persona trattata così in Italia: quella mascherina, il nastro adesivo che chiudono la bocca per impedire ogni parola, ogni protesta. Penso a come si devono essere sentiti quegli immigrati e ne sono sicura: umiliati, profondamente».
Le manette? «Quelle di plastica le ho viste diverse volte ai polsi dei rimpatriati.
Capisco che a volte i migranti che non vogliono essere rimpatriati protestino in modo rumoroso, a volte fastidioso per gli altri passeggeri, ma tappare loro la bocca neanche fossero animali non lo accetto. No, non si può proprio».
Sbagliato il modo o il rimpatrio? «È giusto rimandare a casa chi è entrato illegalmente, ma tutto questo va messo in pratica con rispetto e comprensione. In fondo l'unica colpa che hanno queste persone è di aver cercato qui un futuro migliore». Cosa l'ha colpita di più? «L'indifferenza degli altri passeggeri su quel volo. Nessuno, tranne il fotografo, ha reagito. Come se fosse normale un simile trattamento, come se fosse giusto imbavagliare con lo scotch una persona».
Perché tanta indifferenza? «Credo che questi i trattamenti esagerati facciano pensare alla gente che deve aver paura dell'immigrato, che è un essere pericoloso, che il suo timore è giustificato. E quindi alla fine trovano tutto normale, tutto accettabile. È un serpente che si morde la coda».



Quel nastro indegno
il sole, 19-04-2012
Karima Moual
Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca e fascette in plastica per bloccare mani e piedi. Il trattamento riservato ai due tunisini non è degno di un Paese europeo. Viola la dignità delle persone e offende il senso di civiltà di un popolo. Prendersela con le forze dell 'ordine però non ha senso. Nell 'inciviltà di quella foto c'è in realtà il fallimento di una politica dell'immigrazione. Cosa resta davanti a quella immagine dei tanto pubblicizzati rimpatri voluti dal precedente governo? Non basta la faccia feroce per una seria politica e per vere espulsioni. Se vogliamo allontanare chi non ha diritto a stare in Italia, servono intese di riammissione funzionanti con i Paesi di provenienza, politiche concordate per rimpatri assistiti, collaborazione della Ue. Serve serietà non propaganda. I ministri Riccardi e Cancellieri ci diano un occhio. Quel nastro da imballaggio non è degno dei tecnici.



La compassione e le regole
la Repubblica, 19-04-2012
Michela Marzano
LA SICUREZZA innanzitutto. E poi le regole da rispettare e gli ordini da seguire. Ma fin dove? Dove comincia e dove finisce la "normalità"? Imbavagliare con nastro da pacchi due cittadini tunisini che vengono rimpatriati non dovrebbe essere qualcosa di "normale". Anche quando si ritiene "normale" metterli su un aereo per rispedirli nel loro paese. Perché, nonostante tutto, il viso di una persona ha sempre un valore simbolico. È attraverso il viso e la bocca che ognuno di noi esprime la propria soggettività. È attraverso il proprio sguardo che si entra in relazione con gli altri. E la soggettività di un essere umano, anche quando si è commesso un crimine o un delitto, non dovrebbe mai essere negata o cancellata come accade quando, per applicare le procedure ed evitare di creare scompiglio e confusione, si cede alla tentazione di far tacere a tutti i costi, anche con del nastro adesivo. Per garantire il buon funzionamento della società, ciascuno di noi è chiamato a fare il proprio dovere e ad assumersi le responsabilità che gli competono.
Non si tratta qui di negare l'importanza delle regole che, da sempre, rendono possibile il "vivere insieme". Dovere e responsabilità, però, non dovrebbero implicare né un'assenza di compassione, né l'indifferenza. Perché gli esseri umani non sono dei semplici automi, delle macchine che si limitano ad eseguire i programmi con cui sono state concepite. La compassione nei confronti di un'altra persona, però, è possibile solo quando si è capaci di immedesimarsi nell'altro. E, quindi, quando si riconosce l'altro come un essere umano simile a noi. Altrimenti si scivola, anche senza rendersene conto, in una forma di barbarie.
Come ci insegna Hannah Arendt nel 1963, il problema del rapporto tra "dovere" e "umanità" è molto complesso. Perché talvolta accade che, proprio nel nome del dovere, ci si dimentica che chi ci sta accanto è anche lui una persona. È allora che si commette il "male". Paradossalmente nel nome del "bene".
Anche banalmente. Non perché il male, in sé, sia banale. Ma perché può accadere a chiunque di "smettere di pensare" quando si tratta di applicare una regola, e di non sapere più fare la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Umiliare una persona non dovrebbe mai essere giusto, anche in nome della sicurezza e della giustizia. Eppure è proprio di umiliazione che si tratta quando si parla di nastro da pacchi sulla bocca. Questi due tunisini li si doveva, certo, rimpatriare. Si doveva probabilmente immobilizzarli. Ma c'era veramente bisogno di farli tacere imbavagliandoli? Non è solo una questione di "eccessi" o di "misura". È una questione simbolica. Gli esseri umani sono caratterizzati dal linguaggio e dalla parola, come spiega bene Lacan. Perché privarli allora di ciò che li rende umani?



INTERVISTA • Mauro Palma, ex presidente del Consiglio permanente contro la tortura
«Una pratica comune nei Paesi dell'Ue»
il manifesto, 19-04-2012
Ci.Gu.
Mauro Palma è ex presidente dei Consiglio permanente contro la Tortura dei Consiglio d'Europa, e attuale membro presso lo stesso Consiglio (che rappresenta 47 paesi) dell'organismo che si occupa della cooperazione nell'esecuzione della pena Sconcertato dalla foto scattata sul volo Roma-Tunisi, ín cui si vede un immigrato con la bocca fasclata dallo scotch?
È un fatto grave, ma purtroppo non sono completamente stupito. Come Comitato per la prevenzione della tortura ci siamo occupati diverse volte della questione dei metodi coercitivi utilizzati durante le espulsioni. Io non mi occupavo direttamente dell'Italia, ma ho conosciuto casi in Francia, Belgio, Svizzera. Molte denunce sono arrivate fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo, e come sappiamo ci fu anche una donna morta in Bélgio. Per questo eravamo arrivati fino al punto di emanare delle raccomandazioni internazionali, che i governi hanno accettato.
Dunque ci sono delle "regole di ingaggio"?
Le nostre sono soltanto raccomandazioni e purtroppo non sono vincolanti, certamente però una loro lesione può comportare l'apertura di un procedimento presso la Corte europea dei diritti dell'Uomo. Tra l'altro, l'Italia ci ha sempre risposto di avere dei Protocolli interni rispettosi di questi principi. Al paragrafo 36 delle raccomandazioni emanate nel 2003 si legge espressamente che vanno assolutamente vietati tutti i mezzi «volti a ostruire parzialmente o totalmente le vie aeree», cosa già sollecitata nel precedente testo nel 1987. Ricordiamo esplicitamente «i seri incidenti» verificatisi in diversi paesi e «i seri rischi» connessi alla vita della persona che si corrono utlizzando questi metodi.
Il problema però continua. Non c'è qualcosa di sbagliato alla base? Perché I detenuti vengono trasferiti senza nessun problema sui voli di linea e quando si tratta di espulsíoni sí arriva frequentemente a queste situazioni limite?
Certamente questo ennesimo caso dimostra che bisognerebbe interrogarci sulle modalità dei rimpatrio, su come vengono effettuate le espulsioni, su quale sia il rapporto che viene instaurato nei confronti di persone a cui si dice: «Te ne devi andare». Aldilà dei mio pensiero sullo schema respingente delle leggi sull'immigrazione trovo che bisognerebbe impegnarsi molto più di quanto sia stata fatto finora sulla costruzione di un percorso il più possibile condiviso con la persona che si ha di fronte. Non si può dire a qualcuno «fuori», senza dare alcuna alternativa, senza prepararla alla sua futura condizione. Altrimenti ci si troverà di fronte a resistenze e a scontri di questa portata.
Quali controlli si possono mettere in campo?
È una questione delicata. Esistono vari tipi di voli con cui vengono effettuati i rimpatri. Ci sono quelli di linea, i charter dove non ci sono passeggeri e dove evidentemente è difficile avere testimonianze come quella di oggi, e poi ci sono i nuovi voli di Frontex in coordinamento tra diversi stati. L'aereo fa scalo in più aeroporti per caricare persone da espellere verso uno stesso paese. È stato lo stesso responsabile di Frontex l'anno scorso a chiederci una collaborazione, sono preoccupati dalle possibili denunce, che naturalmente ci sono state presentate come «pretestuose». Al momento lo Stato che coordina i rimpatri Frontex dovrebbe nominare un comitato interno di controllo. Noi abbiamo sollevato l'obiezione che questi Comitati non hanno le caratteristiche dell'indipendenza e che un volo di rimpatrio dovrebbe essere considerate come un qualsiasi altro spazio in cui viene limitata la libertà personale. È una discussione che sta andando avanti.



L' intervista / Gaetano Azzariti, giurista e docente alla Sapienza
"Violata anche la Costituzione cosi svanisce la dignità umana"
la Repubblica, 19-04-2012  
ROMA—«Trattare le persone come merci da impacchettare è un pratica degradante che confligge con i diritti inviolabili dell'uomo». Gaetano Azzariti, costituzionalista alla Sapienza di Roma, ha visto la foto shock del migrante con lo scotch sulla bocca:«Se tutto questo venisse confermato saremmo di fronte a una grave violazione dei principi fondamentali della Costituzione».
Ma motivi di ordine pubblico non giustificano talvolta misure straordinarie?
«Oggi si riducono tutti i problemi dell'immigrazione all'ordine pubblico. Ma assolutizzare il valore dell'ordine pubblico e imporre sempre una logica securitaria rischia di far svanire nel nulla la dignità dell'essere umano. A prescindere dai profi- li penali, in questo caso saremmo di fronte aun conflitto di valori e di sistema con l'intera nostra Costituzione, che si oppone a ogni atto degradante».
Quali articoli vede violati?
«I principi fondamentali, come l'articolo 2 che obbliga a garantire i diritti inviolabili di ogni essere umano, che sia ricco o povero, Cittadino o immigrato. E l'articolo 3 che riconosce a tutti pari dignità sociale: non è dunque accettabile che i consociati non rispettino la dignità altrui. Ricordo che da Kant alla Costituzione il valore della dignità umana è assoluto. Oggi siamo invece di fronte al prodotto perverso di una disumanizzazione».
Ci spieghi meglio.
«Si guarda agli uomini come merci e le merci si impacchettano. Le persone invece andrebbero messe nella situazione di non ledere a se stesse e agli altri con modalità che rispettino sempre i diritti umani. Altrimenti, ripeto, si crea un conflitto di fondo con la nostra stessa tradizione costituzionale».



La guerra è finita da un pezzo Mandiamo a casa i profughi libici
Libero, 19-04-2012
GIANANDREA GAIANI
La guerra libica è finita ormai da mesi ma i profughi giunti in Italia ce li terremo ancora a lungo. Il Ministro per la Cooperazione e l'integrazione, Andrea Riccardi, martedi in commissione Diritti umani del Senato ha infatti affermato che «è opportuno procedere a un rinnovo rapido del permesso di soggiorno per le 24.000 persone fuggite dall'emergenza in Libia». Eppure l'emergenza è ufficialmente terminata con la morte di Gheddafi e la vittoria dei nostri "alleati" del Consiglio Nazionale Transitorio il cui successo è stato garantito da 7.700 bombe e missili lanciati dalla Nato tra marzo e ottobre dell'anno scorso, 717 dei quali italiani.
I profughi di guerra, tunisini che con il conflitto non hanno mai avuto a che fare e molti africani e asiatici che lavoravano in Libia, sono ospitati in diverse regioni italiane grazie a permessi temporanei ormai scaduti. «La prosecuzione di questa situazione è un fatto altamente negativo e diseducativo» per i rifugiati, costretti a vivere in «un limbo non felice» a causa della loro assenza di status civile definito, ha precisato Riccardi. Il ministro non spiega però perché, a guerra terminata, queste persone debbano continuare a restare in Italia. Certo in Libia regna il caos con almeno 70 milizie armate si contendo- no il controllo di un territorio feudalizzato dove traffici illeciti e criminalità dilagano incontrastati e gli estremisti islamici acquistano sempre più peso. La morte di Gheddafi ha reso la Libia un Paese peggiore sotto tutti i punti di vista, inclusi i diritti umani tanto cari a Riccardi. La situazione in Libia non coinvolge però i profughi giunti in Italia, tra i quali non vi sono Cittadini libici. Oltre un milione di lavoratori stranieri fuggirono dalla Libia durante il conflitto raggiungendo la Tunisia e l'Egitto da dove vennero rapidamente rimpatriati nei loro Paesi d'origine grazie anche a un ponte aereo internazionale al quale partecipò pure l'Italia.
Oggi però non si comprende perché non si provveda a rimpatriare anche quelli venuti in Italia, non in Libia ma nei loro Paesi d'origine. Più che di rimpatri il ministro Riccardi preferisce parlare di integrazione facendo intravvedere, con il rinnovo del permessi di soggiorno, la possibilita che queste persone possano restare definitivamente in Italia. Un messaggio percepito forte e chiaro dai trafficanti di uomini che nella libia sempre più simile all'Albania degli anni '90 hanno già ripreso a far partire barconi alla volta dell'Italia e che presumibilmente intensificheranno le attività nella stagione estiva. Forse non è un caso che martedi, mentre Riccardi parlava in Senato, a Lampedusa sono iniziati i lavori per il ripristino dei padiglioni del centro di prima accoglienza che erano stati incendiati dagli immigrati.


 

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