10 dicembre 2012

«Il Meeting per i diritti umani dedicato a Dieng»
l'Unità, 10-12-2012  
0ggi al Palamandela di Firenze 10mila ragazzi partecipano al Meeting per i diritti umani che organizziamo ogni anno e che costituisce la tappa collettiva di un percorso di studio e di approfondimento che si svolge nelle scuole medie e superiori di tutte le province della Toscana.
Con i ragazzi parleremo di lavoro, il lavoro che oggi manca e che si fa fatica a trovare, ma anche il lavoro come espressione di risorsa creativa, il lavoro come opportunità, percorso di vita o vocazione, il lavoro specchio di un mondo che cambia e ha bisogno esso stesso di cambiamento.
Io parlerò anche di Modou Samb e Mor Diop, i due giovani senegalesi che il 13 dicembre dell'anno scorso, mentre lavoravano in un mercato della città, restarono vittime di un agguato razzista. Di Sougou Mor e Mbenghe Cheike che rimasero feriti e di Moustapha Dieng, che le pallottole hanno reso tetraplegico.
Credo sia importante parlarne ai giovani, tenere viva l'attenzione su questi fatti. Il 17 dicembre dell'anno scorso, parlando alla grande manifestazione organizzata dopo i tragici fatti dalla comunità senegalese, mi sono chiesto se le istituzioni abbiano combattuto con sufficiente rigore il razzismo. E me lo chiedo ancora oggi, leggendo dei tanti, troppi episodi di violenza, segregazione, esclusione che si ripetono nel nostro paese.
Quanto è accaduto a Firenze un anno fa è frutto di una cultura, di una ideologia che spingono alla violenza fascista e razzista e che purtroppo continuano a scorrere nelle vene più nascoste della nostra comunità. Solo pochi giorni fa un gruppo di esponenti di Forza nuo- va ha tentato una incursione razzista nel teatro di Pontedera in cui era in corso la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria ai figli dei migranti nati in quel comune. I segnali di allarme non cessano di suonare. Dobbiamo ascoltarli.
In questi mesi mi sono impegnato personalmente perché la Toscana costruisse una risposta decisa e diffusa a questi fenomeni e soprat- tutto un clima nuovo di sensibilità e di accoglienza nei confronti dei migranti presenti sul nostro territorio. Ho chiesto in primo luogo al presidente Giorgio Napolitano di riconoscere ai tre senegalesi feriti la cittadinanza italiana, come atto concreto di riconciliazione con la loro comunità. Le ultime notizie di cui sono venuto a conoscenza dicono che il provvedimento, anche se lungo e complesso, è in dirittura di arrivo. Nel frattempo mi sono impegnato perché ai tre giovani feriti fosse rilasciato, come è avvenuto, un regolare permesso di soggiorno.
Con l'accordo dei rappresentanti delia comunità senegalese abbiamo istituito un contributo di solidarietà, che la giunta regionale ha ap- provato di recente, e che ammonta a 20.000 euro per ciascuna delle famiglie di Modou Samb e Mor Diop e 20.000 euro per Moustapha Dieng, che purtroppo è ancora in cura presso un ospedale fiorentino. In altri casi che riguarda- vano lavoratori italiani siamo inter- venuti con simili contribuiti: abbiamo voluto trattare questi uomini come lavoratori italiani.
Ciò che abbiamo fatto è stato semplicemente doveroso e dovuto, ma fa anche parte di quello spirito solidale, umano e civile che è nella mente e nei cuori dei toscani. Tuttavia credo anche che molte cose restano da fare. Penso che debba essere abolita la legge contro la clandestinità, perché punisce una condizione, non dei reati. In Toscana abbiamo una legge che garantisce a tutti il diritto di assistenza e di cura e l'abbiamo dovuta difendere davanti alla Corte costituzionale.
Credo anche che i bambini di genitori stranieri che nascono in Italia dovrebbero essere subito italiani e credo che il fatto che il 10% della forza lavoro del nostro paese non abbia diritto di voto costituisca un regresso per la democrazia. Dobbiamo continuare ad essere sempre più vigili per impedire che la cultura razzista e xenófoba si diffonda su internet e in altri ambienti. A un anno dai fatti di Piazza Dalmazia questo è ancora il nostro impegno. Lo dobbiamo a Modou Samb e Mor Diop ma anche a noi stessi



Firenze, quegli spari nel cuore Moustapha un anno dopo
l'Unità, 09-12-2012
Marco Bucciantini
C’è anche l’Italia del 13 dicembre. Ha la pelle nera e gli occhi aperti, come l’altra, nella notte triste. Il pianto fermo sulla riva delle ciglia, per la commozione, per l’ingiusto senso di inadeguatezza, per i ricordi. E per una pallottola nel cuore, oltre il cuore: nella schiena, fra le vertebre, nel midollo spinale.
Moustapha Dieng è un reduce. Partecipò, senza volerlo, senza saperlo, alla guerra di Gianluca Casseri, che il 13 dicembre dell’anno scorso uscì armato dalla sua casa fiorentina in piazza del Terzolle. Dopo un “giro” di pattuglia, tornò verso piazza Dalmazia, intenzionato a uccidere. Lo fece: a bruciapelo. Colpì a morte Samb Modou e Diop Mor. Più lontano, al mercato di San Lorenzo, ferì gravemente Sougou Mor - che ebbe le braccia fracassate, messe come scudo fra sé e i colpi - e Mbenghe Cheike. Poi si rivolse la Smith & Wesson 357 magnum e si sparò, convinto che la sua opera folle, fascista e razzista fosse stata compiuta con maggiore ampiezza: Moustapha Dieng sembrava morto, a terra in un angolo erboso della piazza, senza fiato e senza sguardo. Ma era vivo.
LA SUA VOLONTA'
Moustapha è un ricordo di quel giorno. Come la lapide che il comune ha fissato in quel pezzetto della piazza, in mezzo ai due promettenti alberi, il baobab (pianta della terra d’Africa) e l’Ulivo, con le sue foglioline pacifiche. Poi c’è questo ragazzo un tempo alto, bello, allegro e che adesso può essere seduto o sdraiato, non conosce altre posizioni e non ha passo e sorride, sì, spesso e per rassicurare gli altri, ma non ride più. Il proiettile è il confine della sua vita: è un uomo presente nelle sue facoltà dal punto della lesione in su, è assente dalla ferita in giù. È tetraplegico, il corpo non risponde più al cervello, ai nervi. Solo sfilacciati riflessi che assicurano funzioni vitali. Ha perso la voce, la trachea è stata compromessa e poi trapiantata, ma il suono non arriva alla bocca: per emettere un verso più esasperato che netto serve che qualcuno gli prema con un dito sulla laringe. Ha salvato appena le mani (non le dita, a parte i pollici), e le muove in avanti per salutare, toccando con le nocche delle dita, piegate sul palmo. Gli avambracci poggiano sul sostegno di questa moderna carrozza, molto costosa (sui 40 mila euro), che gli ha donato un’associazione di volontari. Guarda negli occhi, e fa un gesto, l’unico e l’ultimo, avvicinando la mano - sempre stretta - verso il cuore, rimbalzando sullo sterno, per trasmettere affetto. È il suo modo di salutare. Eravamo d’accordo così, un attimo, nessuna faticosa parola. Vedersi, e basta. Perché una cosa ancora può fare, Moustapha: può scegliere: sì o no. È tutto qui la sua libertà, il suo diritto. Ed è piacevole accettarlo: non è più padrone del suo corpo, ma governa ancora la sua volontà. Niente domande, niente foto.



IMMIGRATI: UNAR, NELLA GIORNATA MONDIALE DIRITTI UMANI LE RICETTE PER L'INTEGRAZIONE
(AGENPARL) - Roma, 10 dic - L’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ha organizzato la Giornata mondiale dei diritti umani chiamando gli stessi immigrati a esserne protagonisti e relatori.
Nella Sala Mons. Di Liegro della Provincia di Roma oggi si avvicendano più di venti oratori immigrati, provenienti dai diversi continenti e dalle più diverse professioni.
Sono badanti, imprenditori, mediatori culturali, musicisti,  sindacalisti,  formatori. Nei loro report all'Unar i 'testimoni' mettono in evidenza i passi in avanti fatti e le cose che restano da fare sulla via dell’integrazione, dimostrando una grande maturità di giudizio, tanto nell’apprezzamento quanto nelle istanze.
Partendo dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani gli immigrati  hanno presentato l’elenco dei possibili miglioramenti e le loro indicazioni per una vera integrazione.
Un passaggio obbligato è la burocrazia, veramente pesante quando si unisce a disposizioni restrittive delle quali da tempo si auspica il miglioramento, si tratti di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, di inserimento nel mondo del lavoro, o del mancato riconoscimento delle tutele contrattuali. Il lavoro domestico non può non attirare attenzione, perchéè il comparto in cui confluisce il maggior numero di immigrati, che operano con grande dignità, come è emerso dall’intervento di un “medico-badante”.
Non mancano certo le difficoltà per chi viene a studiare, come sottolinea una dottoranda, sia per quando riguarda l’erogazione della borsa di studio che l’esenzione delle tasse, con un aggrovigliamento di disposizioni e di strutture, sul quale gli stessi italiani non riescono a mettersi d’accordo, senza parlare poi delle difficoltà che si incontrano nel riconoscimento dei titoli di studio.
La partecipazione viene indicata da tutti come il sentiero più promettente.
Conoscersi per riconoscersi, questa la ricetta vincente proposta all'Unar a tutti i livelli: a livello scolastico caratterizzato ancora una forte dispersione, a livello sociale dove permangono ancora pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni e discriminazioni, a livello di genere essendo le donne più fortemente penalizzate, a livello sindacale in cui, nonostante quasi un milione di iscritti, si incontrano a fatica quadri e dirigenti immigrati, a livello religioso dove si registrano aperture promettenti e chiusure inspiegabili e, infine, a livello politico dove il voto alle elezioni amministrative resta un obiettivo ancora lontano.
"Per gli immigrati" ha  affermato Marco De Giorgi, Direttore generale dell'UNAR "convivenza altro non significa che riconoscersi a vicenda nel reciproco rispetto dei diritti, e quindi anche delle diversità, e dei doveri. Per questo, gli immigrati non ritengono accettabile la loro esclusione da alcuni ambiti della vita civile, il permanere della discriminazione nell'accesso ai servizi pubblici, il peso del lavoro sommerso e, specialmente, le remore nel farsi carico, quanto alla cittadinanza, dei diritti dei figli degli immigrati nati in Italia". In apertura, in una giornata così simbolica, i bambini“multinazionale” del Centro didattico interculturale “Celio Azzurro”,  hanno giocosamente riempito la sala dell’incontro con scritte multi colorate dedicate ai 'loro diritti umani' che sono anche una garanzia per i diritti degli adulti.
In un quadro connotato, purtroppo ancora oggi, dalla discriminazione, come raccontano i dati del Contact center dell'Unar, è emersa la figura pragmatica del mediatore culturale accreditato come soggetto di raccordo tra gli italiani e gli immigrati, tra la tradizione e l’innovazione, tra il paese che accoglie e quello di origine. Ma anche di questa professione, nelle testimonianze, sono state ricordate le carenze normative e di tutela, come anche quelle programmatiche, diventate più acute in una fase di crisi che colpisce ancora di più i soggetti vulnerabili che si trovano a forte rischio di esclusione sociale.
In un paese, dove sono confluiti diversi popoli, per gli immigrati le parole d’ordine sono pari opportunità, antidiscriminazione, inclusione, partecipazione, dialogo, rappresentanza, inserimento (o reinserimento come nel caso dei carcerati), impegno comune per il bene dell’Italia.
Le testimonianze degli immigrati, in un contesto ravvivato dal musicista latino-americano Roland Ricaurte (che ha aperto con la bellissima canzone “Uomini in movimento”)  e dalla cora del griot senegalese Pape Kanoute, sono state rese disponibili sul sito del Centro Studi e Ricerche Idos (www.dossierimmigrazione.it), che ha fatto da supporto all’iniziativa.



Sportello mobile per gli immigrati
Il Nolano.it, 10-12-2012
SAVIANO - Informare per integrare. E’ questo l’obiettivo dello sportello informativo mobile che, partito lo scorso giugno, continua a fare tappa nei comuni dell’ambito 11 per fornire un’essenziale servizio ai migranti. Domenica 9 dicembre dalle 10 alle 13 lo sportello è stato nei pressi del Municipio di Saviano con personale specializzato per assistere e informare gratuitamente gli immigrati su diritti e doveri in campi come il lavoro, la sanità, i permessi di soggiorno e il ricongiungimento familiare. “Spesso i migranti che vivono nelle nostre zone – spiega Giovanni Rossi coordinatore dei progetti dell’Onlus La Risposta - pur partecipando attivamente alla vita della comunità, hanno enormi difficoltà perché non conoscono le leggi che li riguardano. Il nostro servizio informativo fa sì che queste persone vivano una cittadinanza consapevole coscienti dei loro diritti e dei loro doveri. Siamo convinti che solo così si possa veramente parlare di integrazione”. Lo sportello informativo mobile fa parte del progetto “Ero straniero” realizzato da La Risposta in collaborazione con l’associazione Nazione VV.FF (volontariato e protezione civile) di Marigliano nell’ambito delle attività promosse dal Csv (Centro servizi per il volontariato di Napoli attraverso il bando “Il mosaico della solidarietà”). Dopo Saviano, lo sportello sarà nelle prossime settimane a Scisciano, Liveri e San Paolo Belsito. Per maggiori informazioni sul calendario e sull’Onlus La Risposta www.onluslarisposta.it



Carceri invisibili: il vasto CIE chiamato Europa
l'Unità, 10-12-2012
Flore Murard-Yovanovitch
Circa 420 i luoghi di detenzione per migranti in Europa. Segreti, invisibili, fuori dello spazio pubblico, la rete Migreurop fa la mappa della politica migratoria repressiva degli Stati europei e vicini dell’UE.
Ogni anno in Europa migliaia di migranti sono detenuti, da qualche ora a diciotto mesi, per il solo motivo di essere senza permesso di soggiorno. Al 2012, sono circa 420 i campi di detenzione per migranti, recensiti da Migreurop negli stati europei e paesi confinanti. La quinta edizione della “Carte des camps en Europe et dans les pays méditerranéens” dimostra che quei luoghi non cessano di aumentare e si stanno moltiplicando a dismisura. Dall’inizio degli anni ’90, infatti, tutti gli stati membri dell’UE hanno sviluppato dispositivi legislativi amministrativi tradotti nel funzionamento di campi la cui missione e “accogliere”, selezionare, controllare, espellere.
I campi sono solo una maglia della catena della politica migratoria repressiva dell’UE e, nella caccia ai migranti, tutto fa brodo. Caserme, commissariati di polizia, stadi, campetti di calcio, parcheggi, navi e locali aeroportuali, quando non vere e proprie prigioni o, ancora, accampamenti informali, come la giungla di Calais, di Patras, o il tranquilos della regione di Oujda in Marocco o, infine, i campi in zone desertiche, dall’Algeria a Israel, passando per i famigerati lager della Libia. Il censimento di quei luoghi non sarà mai esaustivo, per la totale opacità che li circonda, per il fatto di essere frutto di decisioni ad hoc, temporanee o locali, da gendarmerie o esercito, senza necessariamente rispondere a un ordine gerarchico o ministeriale, infine, per la varietà dei status legali dei campi sul continente.
Da dieci anni la rete Migreurop indaga su questa realtà nascosta, identificando quei luoghi segreti per i quali non esiste alcun censimento ufficiale per informare una società civile che raramente conosce l’ampiezza del fenomeno a livello europeo. Sempre al 2012, la capienza totale ufficiale, per i 2/3 dei campi sul territorio dell’UE, è di circa 37.000 posti. Ma la cifra è approssimativa, per via del sovraffollamento – sono più numerosi i detenuti della capienza teorica – anche perché le autorità usano spesso altri luoghi che non figurano nelle liste ufficiali. La tendenza comune nell’UE è l’aumento dei dispositivi, delle espulsioni e dei controlli violenti dei flussi via Frontex e soprattutto l’aumento della durata della detenzione in tutti gli Stati europei. Stessa la strategia: portare i migranti fuori dello spazio pubblico, chiudere i centri alla società civile e ai giornalisti, impedendo allo sguardo di indagare dentro e alle notizie di trapelare all’esterno: discrezionalità e violazione della libertà di stampa, contro le quali si mobilita la campagna Open Access Now. Ma le prove di violazione di diritti umani e di condizioni igienico-sanitarie inaccettabili, quando non di veri e propri trattamenti inumani e degradanti della persona, di torture, ci sono. I costanti episodi di rivolte, incendi o sciopero della fame e il simbolico quanto tremendo cucirsi le labbra, sono gli unici mezzi di espressione per quelli rinchiusi dietro quel muro di silenzio; intanto, suicidi e atti di autolesionismo, rivelano la fragilizzazione psicologica di quelle persone, detenute senza un motivo. Distrutte e rese invisibili. Dal sconfinato dispositivo carcerario chiamato Europa, che viene rivelato da quella mappa. Guardatela.
 


Cie e caporalato, due brevi documentari del laboratorio ZaLab.
Iniziativa in collaborazione con Open Society Foundations: inchieste brevi e “virali” per fare luce sulle zone d’ombra.
Immigrazioneoggi, 10-12-2012
La vita “sospesa” degli immigrati nei Centri di identificazione ed espulsione; il lavoro senza diritti dei braccianti africani nella grande piana del pomodoro italiano. Parte da un’incursione in queste due scomode realtà il viaggio del laboratorio ZaLab nell’Italia dei diritti violati, un progetto di comunicazione innovativo, realizzato grazie al supporto di Open Society Foundations, che vuole portare all’attenzione della più vasta opinione pubblica le zone d’ombra, le incrinature del nostro sistema democratico.
“Abbiamo pensato di realizzare una serie di documentari brevi – spiega il giornalista Stefano Liberti, autore insieme a Gabriele del Grande di In nome del popolo italiano, il primo video del progetto – ‘pillole’ di 6-8 minuti studiate per essere fruibili e immediate. Il formato si presta infatti ad essere diffuso sul web e a raggiungere una dimensione ‘virale’”. Lo scopo del progetto è infatti quello di incidere il più possibile sull’opinione pubblica, servire per campagne di sensibilizzazione e di advocacy, condizionare le decisioni che verranno prese al livello politico.
I video del progetto nascono come documentari brevi che possono essere anche studi preliminari di reportage più lunghi. Così potrebbe succedere al video di Del Grande e Liberti.
Il secondo documentario della serie si intitola Caponero Capobianco, reportage di Rossella Anitori e Antonio Laforgia sul sistema di sfruttamento dei braccianti africani nella grande piana del pomodoro italiano. Una vita senza diritti a cui sono condannati migliaia di migranti, gettati nel grande serbatoio di lavoro nero che sostiene i profitti dell’industria agroalimentare. Non conoscono buste paga, contratti né diritti. Vengono reclutati dai loro stessi connazionali, i “capineri”, dietro cui si nasconde il “padrone bianco”. Due facce della stessa medaglia, quella di un sistema che dal 2011 la legge riconosce come reato, ma che nelle campagne italiane è ancora la regola.
Il progetto di ZaLab prevede la realizzazione di un video denuncia ogni mese-mese e mezzo: dopo i Cie, i braccianti e il fenomeno del caporalato sono in programma, nell’immediato futuro, due documentari sulla condizione di vita dei rifugiati e dei rom.
Anche ImmigrazioneOggi vuole contribuire alla diffusione delle “Schegge di Za” mettendo a disposizione dei suoi lettori l’ultimo video Caponero Capobianco.



Gli italiani favorevoli allo ius soli e tolleranti nei confronti delle altre religioni. Maggiori problemi con l’Islam.
Lo afferma il 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.
Immigrazioneoggi, 10-12-2012
Il 72% degli italiani è favorevole alla concessione della cittadinanza ai figli di immigrati che siano nati nel nostro Paese. Lo afferma il 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, che mette in evidenza come la normativa italiana sia particolarmente arretrata rispetto all’opinione pubblica in quanto la spinta verso il rinnovamento non trova riscontri sul piano politico. “Al momento – si legge nel rapporto – giacciono in Parlamento numerose proposte di legge e anche l’iniziativa popolare lanciata nell’ambito della campagna L’Italia sono anch’io, che ha riscosso un grande consenso, al momento non ha sortito risultati”.
Un atteggiamento in gran parte tollerante si riscontra anche nei confronti delle altre religioni. Secondo una indagine del Censis, gli italiani per il 63,8% sono cattolici (l’1,8% di un’altra religione, il 15,6% convinto comunque che ci sia qualcosa o qualcuno nell’aldilà) contro il 52,5% degli stranieri residenti nel nostro Paese che si professa cristiano (cattolici, ortodossi e altri), il 25,8% musulmano, il 5,1% induista, il 4,3% buddista e l’8,8% di nessuna religione. Secondo il Rapporto Censis, il 59,3% degli italiani non considera le pratiche di culto degli stranieri come una minaccia al proprio modo di vivere e il 51,1% si mostra disinteressato all’apertura di una sinagoga, di una chiesa ortodossa o di un tempio buddista nei pressi della propria abitazione (il 22% è favorevole e il 26,9% contrario). L’atteggiamento cambia all’eventualità di avere vicino alla propria casa una moschea; in questo caso i contrari salgono al 41,1%, gli indifferenti diventano il 41,8% e i favorevoli il 17,1%.

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