19 dicembre 2012

Napolitano: «Cittadinanza ai figli di immigrati»
il sole, 19-12-2012
Karima Moual
ROMA - «È opportuno rendere possibile l'acquisizione della cittadinanza da parte dei minori figli di immigrati già di fatto integrati nella nostra comunità nazionale». Sono le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata internazionale del migrante. Parole che rispecchiano un sentimento più volte ribadito in altre occasioni. Per sensibilizzare la politica verso quella via dell'integrazione che può essere percorsa solo attraverso il cambiamento della legge attuale sulla cittadinanza. Una legge che per molti analisti è ormai anacronistica perché non rispecchia il cambiamento che, almeno in questi venti anni, ha vissuto l'Italia con l'apporto della componente immigrata. E dunque ancora una volta, in questa grande occasione, la linea del Presidente della Repubblica viene ricalcata confermando quel suo pensiero espresso già pochi mesi fa, secondo cui è «un'autentica follia, un'assurdità che dei bambini nati in Italia non diventino italiani; non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale».
Stiamo parlando di 630mila figli di immigrati (il 7% degli alunni); più della metà di loro è nato in Italia, secondo l'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, svolta dalla commissione Cultura della Camera.
Senza questi nuovi italiani l'Italia invecchierebbe e arrancherebbe nel mantenere attiva la parola "sviluppo". E non sono solo le parole a dirlo, ma i numeri che parlano ancora più chiaro: In Italia un minorenne su cinque è straniero. Tutti i dati confermano che la popolazione italiana è cresciuta grazie all'apporto degli immigrati e che oggi abbiamo un saldo naturale positivo (differenza tra nascite e decessi) dovuto proprio ai nuovi nati: i figli di stranieri oggi raggiungono quota 78.082, il 13,9% del totale dei nati in Italia. E se non bastasse, ci sono anche i dati economici a parlare ancora più chiaro e solo per fare qualche esempio: Il 70% degli immigrati è cliente in un istituto di credito. Tre milioni e 300 mila stranieri hanno presentato una dichiarazione dei redditi. Numeri e storie che dovrebbero essere raccolte in un libro dal titolo «Quella risorsa nel cassetto».
«L'ostilità nei confronti del l'immigrazione – ha osservato Napolitano – deve essere considerata un rifiuto della realtà, frutto di ingiustificate paure troppo spesso alimentate nel dibattito pubblico. Il fenomeno immigratorio, che è inevitabile, deve essere perciò accompagnato da politiche adeguate, perché a coloro che vengono a lavorare in Italia sia attribuito il rispetto che meritano, nell'osservanza delle nostre leggi». Conforta e dà speranza a chi continua a gridare nel silenzio del suoi pensieri: «Io non sono un migrante, io sono nato e cresciuto in Italia. Perché tutti si rivolgono a me come un immigrato, uno straniero? Io non sono altro che un nuovo italiano che fatica ad essere riconosciuto come tale. Sono il frutto dei sacrifici dei miei genitori emigranti che non viene coronato». Sono le parole di uno dei tanti ragazzi di seconda generazione che attendono quella carta d'identità con sopra scritto: nato in Italia. Cittadinanza: Italiana.
I NUMERI
630mila
I figli di immigrati in Italia
Rappresentano il 7% degli alunni presenti nelle scuole del nostro Paese; di questi più della metà di loro è nato in Italia
13,9%
I nuovi nati stranieri
I figli degli immigrati oggi superano le 78mila unità, pari a quasi il 14% del totale di nati in Italia. È grazie ai figli degli immigrati che l'Italia può contare su un saldo naturale positivo



Giornata internazionale del migrante, Napolitano: “ai tanti immigrati auguro di riuscire a superare le difficoltà che incontrano, oggi aggravate dalla crisi economica”.
“Un caloroso saluto ai molti che vivono con fatica questa esperienza e a coloro che la intraprendono come un’opportunità”.
Immigrazioneoggi, 19-12-2012
“Un caloroso saluto ai molti che vivono con fatica questa esperienza e a coloro che la intraprendono come un’opportunità”. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha salutato gli immigrati in occasione della Giornata internazionale del migrante, celebrata ieri 18 dicembre.
In un messaggio, il Capo dello Stato ha affermato “ai tanti immigrati che risiedono e lavorano o studiano in Italia auguro di riuscire a superare le difficoltà che incontrano, oggi aggravate dalla crisi economica”.
Il Presidente ha poi proseguito: “Torno a suggerire l’opportunità di rendere possibile l’acquisizione della cittadinanza da parte dei minori già di fatto integrati nella nostra comunità nazionale. Anche gli italiani, emigrati in massa in passato, non hanno mai smesso del tutto di cercare lavoro all’estero, in particolare ora che la condizione della nostra economia non sempre consente a lavoratori specializzati e a giovani ricercatori e professionisti di vedere adeguatamente valorizzate le proprie competenze e professionalità”. Per Napolitano, “gli immigrati in Italia costituiscono una componente essenziale della popolazione, come forza lavoro e anche fonte di energia vitale per una società che invecchia. L’ostilità nei confronti dell’immigrazione deve perciò essere considerata un rifiuto della realtà, frutto di ingiustificate paure troppo spesso alimentate nel dibattito pubblico”.
Il Capo dello Stato ha osservato che “il fenomeno immigratorio, che è inevitabile, deve essere perciò accompagnato da politiche adeguate, perché a coloro che vengono a lavorare in Italia sia attribuito il rispetto che meritano, nell’osservanza delle nostre leggi”.



L’Italia sottoscrive la “Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici”.
La convenzione, adottata nel 2011, andrà a tutelare gli oltre 100 milioni di lavoratori domestici; dovrà ottenere 12 ratifiche per entrare in vigore. La firma italiana è la quarta dopo Mauritius, Filippine e Uruguay. Il ministro degli Affari esteri Terzi: significativo che la firma sia avvenuta per la Giornata internazionale del migrante.
Immigrazioneoggi, 19-12-2012
Nel giugno 2011, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha adottato la Convenzione n. 189 e Raccomandazione n. 201 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici. Nel dicembre 2011, la Confederazione internazionale dei sindacati (ITUC-CSI) ha lanciato a livello mondiale la campagna “12 x 12”, con l’obiettivo di ottenere la ratifica della Convenzione n. 189 entro il 2012, da parte di 12 Paesi. L’Italia si è impegnata per questo obiettivo e ieri, in occasione della Giornata internazionale del migrante, il ministro degli Affari esteri Terzi ha firmato la Convenzione. Solo dopo aver raggiunto le 12 ratifiche (ad oggi hanno firmato solo Filippine, Mauritius, Uruguay e Italia) la convenzione entrerà in vigore.
Ma quali sono i punti fondamentali della Convenzione?
Il primo in assoluto è che saranno riconosciuti come lavoratori e avranno diritto, almeno legalmente, alle protezioni minime garantite a tutte le altre categorie di lavoratori. La Convenzione stabilisce il diritto dei lavoratori domestici ad essere informati, in modo per loro comprensibile, sui termini e le condizioni di impiego, ossia su: quali sono le mansioni che devono svolgere, quante ore sono tenuti a lavorare e per quale remunerazione, quando e in che modo saranno pagati. Inoltre, la Convenzione introduce dei limiti alla quota della remunerazione che può essere pagata in natura e prevede un riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive. La Convenzione definisce anche delle misure speciali per affrontare le vulnerabilità di particolari gruppi di lavoratori domestici: i giovani che anno un’età inferiore ai 18 anni e superiore all’età minima lavorativa, i lavoratori che vivono presso le famiglie per le quali lavorano e i lavoratori domestici migranti.
In particolare, la Convenzione stabilisce dei requisiti minimi in termini di alloggio e rispetto della privacy per i lavoratori domestici che vivono presso le famiglie per le quali lavorano, chiede agli Stati membri di fissare un’età minima per l’ammissione al lavoro domestico e di adottare misure per garantire che i minori lavoratori domestici possano concludere l’istruzione obbligatoria e per favorire la loro futura istruzione e formazione professionale. Per quanto riguarda i lavoratori domestici migranti la Convenzione stabilisce che i lavoratori dispongano di un’offerta o un contratto di lavoro scritto ancor prima di oltrepassare le frontiere e recarsi nel paese di destinazione. Gli Stati membri devono, inoltre, adottare delle misure mirate a offrire progressivamente ai lavoratori domestici una protezione minima in termini di sicurezza sociale, inclusi i benefici di maternità, alla pari con tutte le altre categorie di lavoratori.
Un’altra disposizione molto importante riguarda le agenzie private per l’impiego, che giocano un ruolo cruciale nel mercato del lavoro domestico. La Convenzione chiede agli Stati di definire regole e procedure chiare per prevenire quelle pratiche fraudolente e abusive che sfortunatamente alcune agenzie private senza scrupoli sono solite adottare.
La Convenzione riconosce il contesto specifico in cui il lavoro domestico è svolto, ossia la casa del datore di lavoro, e impone un equilibrio fra il diritto di protezione dei lavoratori e il diritto alla privacy dei membri della famiglia per cui sono impiegati.
Le nuove norme dell’Ilo stabiliscono che i lavoratori domestici di tutto il mondo, che si prendono cura delle famiglie e delle loro abitazioni, sono titolari degli stessi diritti fondamentali nel lavoro riconosciuti agli altri lavoratori: orari di lavoro ragionevoli, riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, un limite ai pagamenti in natura, informazioni chiare sui termini e le condizioni di impiego, nonché il rispetto dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro, fra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva.
Secondo recenti stime dell’Ilo, basate su indagini e/o censimenti nazionali realizzati in 117 paesi, i lavoratori domestici nel mondo sarebbero almeno 53 milioni, ma gli esperti affermano che la cifra potrebbe superare i 100 milioni se si considera il fatto che, spesso, questo tipo di lavoro è nascosto o non registrato. Nei paesi in via di sviluppo, i lavoratori domestici rappresentano tra il 4 e il 12 per cento dell’occupazione salariata. Circa l’83 per cento di questi lavoratori sono donne o ragazze e numerosi sono i lavoratori migranti.
“Compiamo uno storico passo in avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori, riconoscendo sul piano giuridico il lavoro domestico quale forma effettiva di attività professionale”. Così, il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha commentato la ratifica dell’Italia della Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici.
“L’Italia ha voluto essere tra i primi Paesi europei a firmarla – sottolinea il capo della diplomazia italiana – perché è una Convenzione che favorisce la coesione sociale e l’affermazione dei diritti, in particolare quelli delle donne, parametro fondamentale di civiltà”. Assume un alto valore simbolico, sottolinea la Farnesina, la circostanza che la firma sia volutamente avvenuta ieri, in coincidenza con la Giornata internazionale del migrante. Il pieno rispetto dei diritti dei migranti è presupposto indispensabile per lo sviluppo economico e sociale dei Paesi in cui essi vivono e lavorano. In tal senso, anche in considerazione dell’alto tasso di cittadini stranieri impiegati in Italia nel settore, riveste particolare rilevanza per l’Italia la specifica protezione accordata dalla Convenzione ai lavoratori domestici stranieri. La Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici è stata adottata nel giugno dello scorso anno, e mira ad assicurare uno standard adeguato di tutela in favore dei lavoratori domestici, nel pieno rispetto dell’uguaglianza di genere, tenuto conto anche dell’elevato numero di donne impiegate in tale settore. La Convenzione prevede, in particolare, il diritto dei lavoratori domestici ad essere informati sui termini e sulle condizioni di impiego, vieta il lavoro forzato e regola i metodi per l’assunzione. Allo stesso tempo vengono introdotti requisiti minimi in termini di alloggio e rispetto della privacy per i lavoratori che vivono presso le famiglie d’impiego.



Il bimbo che arriva a Venezia dentro una valigia
Afghano, 5 anni. Scoperto dal finanziere che fa aprire il trolley
Corriere della sera, 19-12-2012

Andrea Pasqualetto
L'agente ha aperto la valigia e dentro c'erano due occhi spaventati. Quelli di Assim, cinque anni, un faccino scuro, in testa il groviglio nero della sua terra, l'Afghanistan. Era rannicchiato in sessanta centimetri per trenta e il suo petto si muoveva veloce come quello di un gatto che cerca la fuga. Non parlava, non piangeva, non tremava. Ma osservava con paura quell'uomo in divisa da finanziere che al porto di Venezia stava controllando i bagagli dei viaggiatori in arrivo da Patrasso, Grecia, scoprendo così il suo scomodo nascondiglio: un trolley portato da un adulto e bucherellato in un angolo perché potesse respirare. L'uomo, tratti da persiano, ha balbettato poche parole in italiano: «Sono il padre». Poi ci ha ripensato, scusandosi: «Zio». Infine, incalzato dai finanzieri, la versione considerata più attendibile: «Sono un amico di famiglia, abito in Italia e sono andato a prendere il bambino dai suoi genitori che erano in Grecia». Gli inquirenti non ci hanno pensato due volte: arresti domiciliari per l'uomo, Ali Shaker, afghano quarantenne disoccupato residente in Italia, regolare. L'accusa per lui è di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina aggravata dalle condizioni degradanti. Aggravata cioè dal trasporto di un bambino in una valigia. Quanto al piccolo Assim, ci ha pensato il magistrato per i minorenni di Venezia a tentare di risolvere temporaneamente il problema disponendo un affido provvisorio ai Servizi sociali del Comune che lo hanno inserito in una Comunità educativa, una sorta di famiglia allargata dove convivono otto persone fra bambini, adolescenti e uomini. «Ma in questi giorni sarà affidato a una coppia veneziana che si è offerta di accoglierlo, fino a che la magistratura non chiarirà la sua storia. Ci vorranno dei mesi», ha stimato Paola Sartori, responsabile del Servizio politiche cittadine per infanzia e adolescenza. C'è da capire esattamente quando e perché Assim sia finito in un trolley e dove fosse destinato. «Era diretto in Germania da alcuni parenti», ha garantito il «passeur» Shaker, che per dimostrare la bontà delle sue dichiarazioni ha portato ai finanzieri alcune foto dei genitori. «Il bimbo li ha riconosciuti», assicurano gli uomini della Guardia di Finanza per i quali sarà comunque necessario trovare conferme sui legami con i parenti «tedeschi» a cui sarebbe stato destinato.
In ogni caso, il suo è già stato un viaggio omerico. Partito chissà quanti mesi fa dagli altopiani afghani, ha percorso le pianure persiane, ha attraversato le montagne del Kurdistan fino ad arrivare alle coste del Mediterraneo. Molti baby profughi, più grandicelli di lui, l'hanno preceduto in questa impresa da 5-6-7mila chilometri che hanno affrontato e affrontano con mille mezzi di fortuna: a cavallo, in camion, in barca, a piedi. Fino al porto di Patrasso, dove cercano di infilarsi clandestinamente in qualche traghetto per l'Italia sbarcando spesso dove capita: Bari, Ancona, Trieste, Venezia, per poi riprendere la rotta terrestre. L'Italia è infatti un po' l'ultima frontiera in vista del loro Eldorado, il Nord Europa, Scandinavia e Germania in particolare. Alcuni ce la fanno, altri si fermano prima, altri ancora muoiono. Come Zaher Rezai, il ragazzino afghano che giunto a Venezia cercò di evitare i controlli aggrappandosi come una scimmia alla pancia di un tir. Zaher scivolò e fu schiacciato dalle ruote del camion, rimanendo sull'asfalto della statale con in tasca un quaderno di poesie: «Tanto ho navigato, notte e giorno, sulla barca del tuo amore che, o riuscirò alla fine ad amarti, o morirò annegato». Nel frattempo Assim ha mosso i primi passi nello sconosciuto mondo italiano. Di lui si è scoperto che è di etnia hazara, che parla il dari, un dialetto persiano, che è un discolo incontrollabile e che qualcosa di duro deve riguardare la madre. «Non la nomina mai», riferisce Riccardo Sartorel, l'assistente sociale che ha in cura il bimbo. Ma sono molte le cose che tace e per chi lo frequenta potrebbe significare che sta obbedendo a qualche ordine impartito dai genitori. «Ma forse è solo troppo piccolo per parlare», semplifica l'assistente. Dal suo misterioso silenzio qualche parola è tuttavia trapelata: «Voglio papà» e «Germania». È vispo ma negli occhi, dicono, ci sono anche i tormenti del lungo viaggio.



Diritti sotto sequestro - Da Lampedusa a Mineo: la delocalizzazione dell’emergenza, ovvero la metamorfosi del diritto d’asilo
rubrica a cura del Prof. Fulvio Vassallo Paleologo
Melting Pot, 19-12-2012
Lo scorso anno, l’anno dell’emergenza immigrazione dal nord-africa, era stata Lampedusa ad essere trasformata in una zona di confinamento militarizzata, una zona rossa nella quale erano sospesi i più elementari diritti fondamentali della persona umana, quest’anno è l’intera Sicilia, in tanti luoghi nascosti, che diventa una zona di sospensione del diritto, a seconda delle esigenze di contrasto dell’immigrazione irregolare e di accoglienza/detenzione dei richiedenti protezione internazionale. Malgrado la diminuzione sostanziale degli arrivi, solo il 20 per cento rispetto allo scorso anno, si continua a praticare una politica di emergenza proprio quando si annuncia che i finanziamenti dello stato alla protezione civile, per gli interventi sulla cd. emergenza immigrazione nord africa, cesseranno al 31 marzo 2013 ( termine prorogato di recente con un provvedimento che comunque appare privo di copertura finanziaria). E l’emergenza che lo scorso anno si “concentrava” sull’isola di Lampedusa si trasferisce, per effetto delle scelte del governo, su quelle strutture di accoglienza dove vengono trasferiti i migranti dopo settimane di blocco a Lampedusa, persone già esasperate da una lunga attesa in un limbo giuridico intollerabile ed in condizioni di trattenimento contrarie alla dignità della persona umana. A Mineo, dove al massimo potrebbero trovarsi 1800 migranti, si sarebbe arrivati addirittura ad oltre 3000 persone, alcune in attesa da tempo di un responso sulla loro richiesta di asilo, altre appena arrivate da Lampedusa dopo settimane di accoglienza/detenzione. Questo e non un inesistente aumento degli arrivi, come sostengono alcuni mezzi di informazione, determina il clima di tensione che nei giorni scorsi è sfociato in diversi incidenti all’interno del Cara di Mineo.
Da alcuni mesi le persone appena sbarcate a Lampedusa e nelle altre località della costa meridionale, da Mazara del Vallo a Porto Palo di Capo Passero, anche quando sono salvate in mare ed entrano irregolarmente nel nostro territorio per esigenze di soccorso, vengono confinate per settimane in strutture dallo status giuridico assolutamente incerto, in condizioni di totale promiscuità, e per un tempo indeterminato, al punto che sono sempre più frequenti gli scontri etnici e le iniziative di protesta. Da ultimo, mentre si mantiene sottodimensionato il sistema di protezione per richiedenti asilo sul territorio nazionale, si sta pericolosamente gonfiando una bolla di emergenza immigrazione nel CARA ( Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo). Piuttosto che praticare una accoglienza diffusa in tutte le regioni italiane si continua a concentrare in questa struttura migliaia di persone in attesa della decisione della commissione territoriale o del giudice del ricorso contro il diniego, presso il tribunale di Catania. L’ultima scintilla, che ha fatto deflagrare una situazione già incandescente da settimane, è stata il trasferimento nel mega CARA di Mineo, nei giorni scorsi, di 400 migranti salvati in acque internazionali e poi giunti a Lampedusa prevalentemente di origine sub sahariana, dunque generalmente ammessi, a differenza dei maghrebini, alle procedure di asilo. Evidentemente non si voleva o non si poteva, per carenza di posti, trasferirli in altre strutture di accoglienza ubicate in altre regioni italiane.
Ormai anche i potenziali richiedenti asilo, subito dopo l’ingresso nel territorio, o il salvataggio in mare, sono sottoposti a lungi periodi di trattenimento amministrativo. Numerosi rapporti di importanti agenzie internazionali , da ultimo l’allarme dell’OIM, hanno evidenziato come sovente gli stranieri vengano trattenuti presso gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente lunghi, variabili da alcuni giorni fino a settimane o mesi, senza che la normativa definisca con chiarezza e tassatività i diritti degli stranieri presenti e senza che tale situazione di effettiva limitazione della libertà personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale. Va sottolineato che tale situazione, non è conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà, violando in particolare l’art.13 della Costituzione italiana, e potrebbe altresì configurarsi una violazione dell’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU). Una situazione che è stata oggetto delle vive preoccupazioni espresse dal Gruppo sulla detenzione arbitraria istituito in seno allo Human Rights Council delle Nazioni Unite, che ha altresì ricordato l’inadempienza del Governo italiani nel porre rimedio a una situazione da tempo evidenziata(1). Anche in Sicilia è sempre più frequente il trattenimento amministrativo dei migranti appena sbarcati in strutture informali ( scuole, palestre,stadi, capannoni industriali)innanzitutto al fine esclusivo delle indagini, quindi per dividere coloro che la polizia ritiene meritevoli di accesso alla procedura di asilo, da coloro che invece vengono ritenuti soltanto come migranti economici irregolari, e dunque destinati a respingimento sulla base degli accordi bilaterali conclusi dall’Italia con diversi paesi come la Tunisia, l’Egitto, la Nigeria. E questo avviene anche se l’Italia, e l’unione Europea non hanno mai adottato una lista di” paesi terzi sicuri”, e dunque le autorità di polizia dovrebbero ricevere le domande di asilo da qualsiasi migrante che faccia ingresso nel nostro territorio, senza arrogarsi il diritto di decidere chi può essere portato a contatto degli enti di tutela e chi invece va isolato al fine di preparare il respingimento con accompagnamento forzato, magari con la fattiva collaborazione del console di turno. E invece succede che spesso le autorità consolari sono messe in condizione di identificare chi vorrebbe proporre una richiesta di protezione internazionale. E questo avviene per un uso distorto dei centri di prima accoglienza e soccorso che svolgono di fatto la funzione dei vecchi centri di identificazione aboliti nel 2007, dopo le gravi censure della Commissione ministeriale presieduta da De Mistura, e per rispettare la direttiva comunitaria 2005/85/CE sulle procedure di asilo, attuata in Italia con il decreto legislativo n.25 del 2008.
In base all’art.23 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999, le attività di prima accoglienza e soccorso e quelle svolte per esigenze igienico-sanitarie, si possono svolgere infatti anche al di fuori dei centri di identificazione ed espulsione solo “per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. E la Direttiva 2003/9/CE impone agli stati precisi doveri di accoglienza dei richiedenti asilo, un’accoglienza che non può trasformarsi in detenzione o in confinamento come pure si vorrebbe con la nuova proprosta di Direttiva ancora in discussione a livello comunitario. Ma in Italia, da parte delle autorità amministrative, si vogliono bruciare le tappe ed anticipare le nuove pratiche di detenzione e di confinamento dei richiedenti asilo che potrebbero essere presto avallate a livello comunitario. Si profila una vera e propria metamorfosi del diritto di asilo, da diritto fondamentale riconosciuto alla persona, incluso il diritto di accesso al territorio ed alla relativa procedura, a mera concessione elargita dalle autorità amministrative a seconda della provenienza della persona, degli accordi di riammissione esistenti con i paesi di origine e delle contingenze politiche interne del momento.
Questa metamorfosi è già evidente nel CARA di Mineo e non sarà certo la direttiva adottata dal Ministero dell’interno nei confronti dei cd. profughi dalla Libia sulla concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari,che farà chiarezza su una situazione che appare sempre più confusa, per la impossibilità di distinguere in molti casi tra migranti economici e potenziali richiedenti asilo. I Tribunali italiani sono pieni di ricorsi contro dinieghi su richieste di protezione internazionali, e la discrezionalità con la quale le Questure stanno gestendo il riconoscimento dei permessi di soggiorno per motivi umanitari non potrà che produrre altro contenzioso. Occorreva invece adottare un provvedimento legislativo che riconoscesse il diritto alla protezione umanitaria a tutti i profughi figgiti dalla Libia, paese nel quale continuano varie forme di persecuzione e di detenzione arbitraria ai danni dei migranti in transito.
In ogni caso,Il trattenimento dei richiedenti asilo nei centri di primo soccorso ed accoglienza, o nei centri di identificazione, successivamente alla formalizzazione della domanda di asilo e nelle more dell’esame amministrativo della stessa, si pone in evidente contrasto con la normativa vigente in materia di accoglienza dei richiedenti asilo, disciplinata dal D.Lgs 140/05 e dal recente D.Lgs 25/08. L’accoglienza dei richiedenti asilo, oltre alle ipotesi di invio presso la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, di cui all’art. 1 sexies dell’art. 1 della L.39/90 come modificato dalla L. 189/02, può avvenire, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 20 comma 2 lettere a, b e c del D.Lgs 25/08, solamente presso i CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo), ovvero, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 21 del citato D.Lgs 25/08 nei CIE (centri di identificazione ed espulsione). Non risulta pertanto possibile utilizzare i centri di primo soccorso ed accoglienza, come quello di Contrada Imbriacola a Lampedusa o i centri di identificazione, come quello di Milo a Trapani, come centri di accoglienza per richiedenti asilo poiché questi non presentano i requisiti previsti dalla legge e non risulta alcuna garanzia sul fatto che vengano assicurati, ai richiedenti asilo, anche in via emergenziale e temporanea, l’erogazione dei necessari servizi di supporto, consulenza ed orientamento, con particolare attenzione alle situazioni maggiormente vulnerabili.
Malgrado in diverse occasioni il Governo italiano abbia fornito rassicurazioni sull’intenzione di rispettare scrupolosamente il divieto di espulsione dei minori stranieri non accompagnati sancito dall’art. 19 comma 2 del D.Lgs 286/98, nonché di attuare le necessarie procedure finalizzate all’accertamento dell’età attraverso esami diagnostici non invasivi, continua a riscontrarsi la presenza di minori non accompagnati trattenuti in centri di accoglienza in promiscuità con gli adulti, senza l’immediato accesso a quelle misure di protezione che impone la legge. In presenza di minori non accompagnati si dovrebbe provvedere ad un loro immediato trasferimento da Lampedusa verso apposite strutture di accoglienza (comunità/centri SPRAR per minori), non solo in Sicilia ma sull’intero territorio nazionale. La permanenza dei minori a Lampedusa dovrebbe essere limitata al tempo strettamente necessario per il trasferimento presso tali strutture, e non protrarsi per settimane come si è verificato dallo scorso anno fino ai giorni scorsi.
Si richiama quanto disposto dall’art. 19 del D.lgs 25/08 che stabilisce delle garanzie in ordine alla condizione dei minori stranieri non accompagnati che presentino domande di asilo. Al secondo comma lo stesso articolo dispone che «se gli accertamenti non consentono l’esatta determinazione dell’età si applicano le disposizioni del presente articolo», ovvero il soggetto va considerato minore. Tale fondamentale principio, anche se previsto nella normativa relativa alle procedure in materia di domande di asilo non può non risultare applicabile alla più generale situazione nella quale si debba accertare l’età di un minore straniero non accompagnato, come indicato anche dalla circolare del Ministero dell’Interno, Prot. 17272/7 del 9 luglio 2007 in merito all’identificazione dei migranti minorenni non accompagnati.
In attesa di una nuova normativa occorre modificare le prassi applicate dalle autorità amministrative.
Si chiede pertanto di:
- provvedere al rapido trasferimento dei migranti che giungono a Lampedusa presso altri centri di accoglienza, nel territorio nazionale,e non solo verso il mega-Cara di Mineo, al fine dell’esame sollecito delle posizioni giuridiche individuali;
- ristrutturare e finanziare un sistema di accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo diffusa su tutto il territorio nazionale, con la chiusura del centro di Mineo, e la sollecita definizione di tutte le richieste di asilo e dei ricorsi ancora pendenti davanti al tribunale di Catania;
- evitare di sottoporre migranti e richiedenti asilo a ogni forma di trattenimento amministrativo in luoghi come stadi, palestre, capannoni,che potrebbe configurarsi come detenzione arbitraria in centri informali;
- garantire l’accesso a un rimedio giudiziario effettivo ai migranti colpiti da un provvedimento di respingimento differito o di espulsione;
- garantire l’assistenza legale ai richiedenti asilo per la presentazione della domanda e durante la procedura di asilo, senza limitare l’accesso delle associazioni di tutela ai luoghi nei quali gli stessi richiedenti asilo sono accolti o trattenuti;
- consentire l’accesso a un rimedio giudiziario effettivo ai richiedenti che ricevono un diniego della propria domanda di protezione internazionale; garantire l’accesso ai diritti di difesa ed al patrocinio a spese dello stato, diritti che, presso alcuni tribunali, come quello di Catania, soffrono pesanti limitazioni;
- sospendere ogni procedura di identificazione e di respingimento che, per sommarietà o rapidità, potrebbe condurre a espulsioni collettive o comunque illegittime;
- evitare l’espulsione o il respingimento di individui identificati come maggiorenni in virtù di metodi medico-legali che non danno risultati certi, tra cui la radiografia del polso; rinviare la determinazione dell’età ad un momento successivo al primo ingresso nel territorio nazionale ed affidarla a esami diagnostici differenziati;
- garantire che i minori non accompagnati non siano trattenuti a Lampedusa oltre il tempo strettamente necessario al loro trasferimento e che questo venga effettuato esclusivamente verso apposite strutture di accoglienza (comunità/centri SPRAR per minori) presenti sull’intero territorio nazionale;
- consentire l’accesso a tutte le strutture ed ai centri di trattenimento ed accoglienza alle organizzazioni non governative che ne facciano richiesta, anche al fine di assicurare un monitoraggio costante sulla situazione.



Costruzioni, la crisi ferisce i lavoratori immigrati
Aumentano precarietà, disoccupazione e ricorso alla cassa integrazione. Gli immigrati chiedono più formazione e qualificazione. Ma, nella crisi più grave del settore da 40 anni a oggi, iniziano a ripensare il progetto migratorio. L'indagine Ires-Fillea
rassegna.it, 19-12-2012
L’occupazione straniera nel settore delle costruzioni smette di crescere. Tra gli operai edili in cassa integrazione, il 33% è costituito da immigrati. Sono alcuni dei danni arrecati ai lavoratori immigrati dalla gravissima crisi che sta attraversando il settore. Dal 2008 al 2012 l’edilizia ha ridotto gli investimenti di circa 30 punti percentuali e si colloca sui livelli di attività più bassi degli ultimi 40 anni. Oltre mezzo milione di posti di lavoro persi complessivamente, tra settore principale e settori collegati.
Sono alcuni dei dati e delle considerazioni che emergono dal VII Rapporto Ires Cgil-Fillea (“I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni”), curato dai ricercatori Emanuele Galossi e Giuliano Ferrucci, e presentato il 19 dicembre all’Assemblea nazionale dei lavoratori stranieri promossa dalla stessa Fillea alla presenza del segretario di categoria Walter Schiavella e, per la Cgil nazionale, della segretaria confederale Vera Lamonica.
La crisi
Il comparto continua a perdere in investimenti, occupazione e imprese, come mai nella sua storia recente. E si registra, evidentemente, una forte flessione del totale dei lavoratori iscritti alle Casse Edili (-19% nel periodo 2008-2011 pari a circa 130.000 iscritti considerando i soli operai) e anche delle ore effettivamente lavorate che nel corso del periodo di riferimento sono calate di circa il 24%.
Gli immigrati
“In questa fase di crisi generale – si legge nel Rapporto - la condizione dei lavoratori stranieri assume dei contorni con sfumature particolarmente incerte e preoccupanti. Già negli scorsi anni abbiamo visto come gli immigrati siano stati i più colpiti da tutti i fenomeni ‘devianti’ che inquinano il settore. La crescita occupazionale della componente straniera nel settore è stata, infatti, caratterizzata da un forte aumento della componente irregolare inclusi i falsi part time e le forme di lavoro autonomo sospette. Inoltre gli stranieri sono maggiormente vittime della dequalificazione professionale, dei differenziali retributivi e degli infortuni”.
Oltre che nell’occupazione la crisi ha colpito duramente anche sulle retribuzioni: nel corso degli ultimi quattro anni la forbice del differenziale retributivo tra italiani e stranieri si è ulteriormente allargata passando dal 4,1% del 2009 al 10,5% del 2012. Ed è proprio nel calo delle retribuzioni (principalmente dovuto al minor numero di giornate lavorate) che, secondo l’indagine, si sono maggiormente concentrati gli effetti della difficile congiuntura. A questi, come già detto in precedenza, si aggiunge il peggioramento delle condizioni di lavoro e l’aumento delle forme di irregolarità.
Lo scenario
Il Rapporto segnala anche l’emergere di una “significativa domanda di crescita, di formazione e di diritti da parte dei lavoratori immigrati, ovvero di quegli ingredienti propri della qualificazione del lavoro (e dunque delle imprese) che a nostro parere sono la leva per la ripresa e lo sviluppo del settore”.
L’Ires e la Fillea denunciano inoltre, come effetto diretto della crisi, il pericolo di un “ripensamento del progetto migratorio. Un effetto davvero destabilizzante – sottolinea il Rapporto - che ci offre scenari ancora incerti e poco studiati: da un lato, infatti, c’è il rischio di perdere forza lavoro (presumibilmente la più formata e qualificata) pronta ad emigrare in altri paesi o a far ritorno nel paese d’origine depauperando il bacino professionale del settore, dall’altro c’è il rischio di costringere una fetta importante delle cosiddette ‘seconde generazioni’ ad abbandonare il proprio percorso formativo per sostenere il reddito dei genitori con lavori ancora più dequalificati e meno pagati, con la possibilità di dare origine a forti tensioni sociali nel prossimo futuro”.
Il bisogno di innovazione
Nel settore delle costruzioni la presenza immigrata è ormai preponderante, ma nella maggior parte dei casi le qualifiche sono ancora molto basse e le condizioni di lavoro assolutamente precarie. “Il settore – ricordano i ricercatori Ires - è stato per troppo tempo lontano da qualsiasi forma di innovazione organizzativa e tecnologica in cui pratiche deleterie, come le aggiudicazioni al massimo ribasso e la forte presenza di lavoro irregolare hanno determinato un complessivo downgrading della concorrenza fino quasi a destrutturare il sistema delle imprese e precipitando la qualità del lavoro. Oggi, vanno considerate le opportunità legate al green building: esiste una domanda crescente di prodotti edili di qualità e sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico, così come esistono aziende italiane che nonostante tutto continuano ad essere leader nei mercati globali pur scontando a caro prezzo il peso della concorrenza sleale. “È importante in tal senso – si legge nel Rapporto Ires-Fillea - evidenziare come la qualificazione delle imprese e la loro possibilità di competere nel mercato globale, passa necessariamente attraverso la qualificazione del lavoro e viceversa”.
La presenza nel settore
Secondo i dati sulle forze di lavoro, i lavoratori immigrati occupati nel settore delle costruzioni risultano essere complessivamente 346.000, con una percentuale pari al 19,2% del totale (vedi gli allegati) Nel 2011 e nel 2012 per la prima volta i dati Istat mostrano un sostanziale arresto della crescita occupazionale straniera (in termini di valore assoluto) nel settore a confermare quanto emerso dalle iscrizioni alla CNCE (la Commissione nazionale paritetica per le casse edili) già a partire dall’inizio della crisi e soprattutto a evidenziare come il biennio appena trascorso sia stato il più difficile per l’intero comparto.
Oltre alla contrazione dell’occupazione è piuttosto significativo anche il ricorso alla cassa integrazione. Nel corso del I semestre del 2012 sul totale dei cassa integrati afferenti il settore delle costruzioni il 33% è di nazionalità straniera. Considerando che il peso complessivo degli immigrati sul totale degli occupati è del 19%, è facile intuire come per i lavoratori stranieri il ricorso alla cassa integrazione sia mediamente più alto che tra gli italiani. “In tal senso – sottolineano i ricercatori Ires -, se da un lato incide presumibilmente l’anzianità lavorativa all’interno delle aziende, dall’altro probabilmente si sconta una debolezza strutturale della manodopera immigrata in fase di contrattazione”.
Per quanto riguarda le professioni è interessante notare come circa il 90% delle professioni esercitate degli stranieri siano “di cantiere” (muratori, carpentieri, piastrellisti, gruisti ecc.) mentre tra gli italiani il dato cala al 60%. Tra gli autoctoni, inoltre, il peso delle professioni tecniche è pari a quasi il 15% del totale rispetto all’1% circa degli stranieri. Rispetto alle professioni “di cantiere” il dato della presenza percentuale dei lavoratori stranieri sul totale è di circa il 25% e si avvicina di molto al dato del 29% registrato dalle iscrizioni alla Cassa edile.
Nelle dinamiche di confronto rispetto agli anni precedenti si registra ancora la tendenza a calare dei dipendenti italiani a fronte della crescita immigrata, nell’ottica del cosiddetto effetto di “sostituzione”. Per quanto concerne il lavoro autonomo c’è una sostanziale tenuta degli autonomi italiani rispetto, invece, a un calo degli immigrati, in virtù di quanto già denunciato negli scorsi anni sul forte aumento dei “falsi” autonomi. Inoltre va notato come il peso del lavoro part time sia sempre più significativo e come questa tendenza riguardi sia gli italiani che gli stranieri. Infine, se il calo occupazionale italiano riduce probabilmente anche la componente informale del lavoro autoctono, nel lavoro immigrato continua ad aumentare tale componente; una informalità, peraltro, che viene confermata anche dalle modalità di accesso al lavoro.
Le retribuzioni
Nel settore delle costruzioni gli stranieri guadagnano in media 133 euro mensili meno dei loro colleghi italiani. Ovviamente in questo dato pesa molto la diversa articolazione tra nativi e immigrati rispetto a professioni e qualifiche. Per evitare questo tipo di problema il Rapporto ha “depurato” dall’effetto “qualifica/professione” il dato del differenziale. In tal senso i ricercatori Ires hanno calcolato la differenza retributiva per categoria professionale. I risultati sono più ponderati: si nota innanzitutto una maggiore differenziazione nelle professionalità più elevate (tra i conduttori e gruisti c’è una differenza di 152 euro tra italiani e non comunitari mensili) e in quelle meno qualificate (tra i manovali la differenza è di 195 euro mensili), mentre nel gruppo più numeroso, ovvero quello degli addetti alle costruzioni, la differenza è di -46 euro per i non UE e di -55 euro per i comunitari (vedi fig. 4). Un altro aspetto importante è che il settore delle Costruzioni è quello che nel corso della crisi ha maggiormente ampliato il differenziale retributivo passando dal 4,1% del I semestre 2009 al 10,5% del I semestre 2012 (vedi fig. 5). In tal senso è un ulteriore indicatore che va a confermare come la componente immigrata sia quella che più degli altri ha pagato la congiuntura negativa.
Le qualifiche
Un ulteriore aspetto particolarmente critico per la componente immigrata del comparto è quello riguardante il riconoscimento delle qualifiche. In q uesto caso il Rapporto rileva come la crescita numerica della presenza straniera (con relativa stabilizzazione all’interno del settore), non sia stata accompagnata da un fenomeno di qualificazione. In particolare l’utilizzo della manodopera straniera si concentra in attività maggiormente dequalificate. Secondo i dati CNCE il 58% degli stranieri nel 2011 ha lavorato come operaio comune rispetto al 29,5% dei lavoratori italiani, inoltre, gli operai specializzati e di IV livello rappresentano l’11,5% della forza lavoro straniera a fronte del 35% degli italiani.
Infortuni
Il settore delle costruzioni è quello col maggior rischio di infortunio; e il dato cresce se ci si riferisce alla platea dei lavoratori immigrati. Inoltre, la percentuale degli infortuni per codice Inail sul totale dei settori tariffari evidenzia che il settore delle Costruzioni è quello in cui è più alta la presenza di infortuni per gli stranieri.
Le interviste
Il Rapporto contiene anche interviste a 100 lavoratori di 19 differenti nazionalità. Le interviste, tutte realizzate vis a vis, sono state condotte attraverso la rete delle strutture Fillea. Il gruppo di intervistati non rappresenta un campione statisticamente rappresentativo ma comunque solido e affidabile per riconoscere le principali tendenze. Per quanto riguarda la crisi, le paure maggiori per i lavoratori stranieri sono quelle di perdere il lavoro o di lavorare in condizioni ulteriormente difficili e pericolose, ma risulta molto significativo anche la quota di chi teme di essere costretto a lavorare in nero e di chi ha paura di diventare ancora più ricattabile. Rispetto agli effetti della crisi sul lavoro la maggior parte degli intervistati ha risposto dicendo che le retribuzioni si sono abbassate (anche a causa delle minori giornate di lavoro) e che le condizioni di lavoro sono peggiorate. Vanno segnalati tra gli altri effetti anche l’aumento del lavoro nero e l’allungamento degli orari di lavoro. Oltre a quelli sul lavoro la crisi ha prodotto, evidentemente, anche dei cambiamenti nella vita dei lavoratori migranti: in primis va segnalata la riduzione dei consumi, ma il dato più interessante da segnalare è che c’è stato un cambiamento nel progetto migratorio. Da un lato si configura l’ipotesi di emigrare verso altre destinazioni oppure di fare ritorno al paese d’origine, dall’altro emerge la difficoltà a garantire l’invio delle rimesse o anche la necessità di far lavorare i familiari che prima non lavoravano (sia i partner che i figli).
Per quanto concerne, invece, la qualificazione lavorativa va innanzitutto segnalato come l’80% degli intervistati siano lavoratori non specializzati di I o II livello nonostante l’anzianità media lavorativa sia di circa 9 anni (il dato percentuale, peraltro, corrisponde alla somma dei lavoratori comuni e qualificati ma non specializzati, registrato dalle iscrizioni alle Casse Edili). Solo il 40% del campione, inoltre, ha avuto una progressione in carriera (in media dopo 4 anni) e oltre il 66% non si sente valorizzato. In tal senso va anche sottolineato il dato relativo alla formazione: oltre il 76% dichiara di avere un’esigenza formativa, ma mentre il 16% viene formato in azienda, gli altri per la maggior parte dicono di “arrangiarsi” da soli o di non avere tempo a disposizione. Inoltre è interessante notare come alla domanda “nel riconoscere il tuo lavoro, quale ritieni che per la tua azienda sia l’elemento prioritario?” solo il 9% abbia risposto “il merito” mentre il 51% ha risposto “la fatica” e il 40% “la disponibilità ad essere flessibile”.
Infine alcuni elementi generali: le valutazioni espresse sulle condizioni di lavoro sono molto negative e in special modo lo sono sul coinvolgimento nelle decisioni aziendali, sulla crescita professionale, sulle condizioni di sicurezza e sulle retribuzioni. In riferimento alle retribuzioni, va inoltre segnalato come oltre il 65% degli intervistati abbia dichiarato di prendere una parte dello stipendio “fuori busta”.

Share/Save/Bookmark