Non solo braccia: il lavoro immigrato nelle imprese del torinese

Data pubblicazione: 23.11.2012

Il tradizionale rapporto realizzato dalla Camera di commercio di Torino e da FIERI - Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione - quest’anno descrive il complesso fenomeno del lavoro straniero, studiando, anche grazie alla collaborazione con l’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Torino, le forme dell’inserimento dei lavoratori stranieri nelle imprese della provincia di Torino.
 
“Dopo aver analizzato negli anni i diversi aspetti dell’imprenditoria straniera, quest’anno ci siamo concentrati sul ruolo del lavoro immigrato nel tessuto economico locale - afferma Guido Bolatto, Segretario Generale della Camera di commercio di Torino. - Emerge un tessuto articolato di lavoratori per lo più dipendenti, in crescita negli ultimi anni, anche se con basse specializzazioni e salari inferiori a quelli degli italiani. Non mancano, tuttavia, i punti di forza, come la motivazione, l’alto livello di istruzione e la flessibilità, che rendono gli stranieri particolarmente apprezzati dai nostri imprenditori, specialmente in alcuni settori”.
 
“Pur nel protrarsi della crisi - afferma Ferruccio Pastore, Direttore di FIERI - il lavoro immigrato continua a crescere, confermando il ruolo insostituibile che ha assunto nel nostro sistema produttivo. Proprio la crisi, però, così come ci impone di ripensare creativamente tanti altri aspetti del nostro modello sociale ed economico, ci deve far riconsiderare il nostro modello migratorio. A questo vorremmo contribuire con questo studio, partendo dall’esame delle modalità di utilizzo della manodopera straniera nelle nostre imprese, per mettere a fuoco le potenzialità di un suo impiego diverso e migliore”.

Gli occupati stranieri: analisi quantitativa

Secondo i dati Istat sulle forze di lavoro, nel 2011 gli occupati stranieri in provincia di Torino erano poco meno di 130 mila, pari al 14% del totale. Negli ultimi due anni (dal 2009 al 2011) sono cresciuti di quasi 5 mila unità, pari ad un incremento percentuale del 4%. Nello stesso periodo gli occupati nazionali in provincia di Torino, sono cresciuti solo dello 0,3%.

 
Si conferma quindi anche a Torino come nel resto del Paese una tenuta dell’occupazione straniera, almeno per quel che riguarda i livelli assoluti, anche se, dato il parallelo aumento della popolazione straniera e le conseguenti difficoltà di assorbimento da parte del mercato del lavoro, nel 2011 ben un disoccupato su tre è risultato essere straniero.



Sono lavoratori subordinati l’87% degli stranieri rispetto al 78% degli italiani, mentre è autonomo il 13% degli stranieri contro il 22% degli italiani. Degli oltre 129 mila stranieri occupati, 60mila sono donne (pari al 46% del totale), il 14% di tutte le occupate. Gli occupati stranieri sono mediamente più giovani degli italiani: il 73% ha meno di 45 anni, mentre i nazionali con meno di 45 anni rappresentano il 55% degli occupati torinesi.
 
Il settore di occupazione prevalente è quello delle costruzioni, dove gli stranieri rappresentano il 33% degli occupati in totale e il 36% degli occupati uomini. Tra le donne, come atteso, il settore prevalente è quello dei servizi dove si trovano l’84% delle occupate straniere. All’interno di questo ampio ed eterogeneo settore, spiccano l’ambito della ristorazione, che occupa l’8% delle donne straniere, e quello del lavoro domestico, in cui è impiegato il 45% delle occupate straniere.
 
Gli stranieri sono maggiormente concentrati in lavori di bassa specializzazione: nelle mansioni non qualificate, infatti, gli stranieri contano per il 34% del totale rispetto al 4% delle mansioni ad alta specializzazione. I salari medi degli stranieri non raggiungono la soglia dei 1.000 euro al mese. In media, le donne straniere occupate in provincia di Torino percepiscono 775 euro al mese. Va un po’ meglio agli uomini che percepiscono in media 1.176 euro al mese. Gli stranieri guadagnano circa il 26% in meno degli italiani, pari a 336 euro in meno al mese.

Gli stranieri che assumono


A fine 2011 in provincia di Torino risultavano 31.235 posizioni imprenditoriali intestate a stranieri, con un incremento del +3,7% rispetto al 2010 e del +118% dal 2002 ad oggi: oltre la metà delle posizioni imprenditoriali straniere si riferisce ad imprese individuali cui fan seguito le società di persone e quelle di capitale.

Grazie ad un archivio costruito ad-hoc da parte dell’Osservatorio sul Mercato del Lavoro della Provincia di Torino, è stato possibile guardare agli avviamenti fatti nel periodo 2008 - 2011: ne è risultato che 15.756 ditte individuali con titolare straniero hanno effettuato avviamenti per 15mila lavoratori (una media di un lavoratore per impresa).
 
Quasi metà degli avviamenti ha riguardato assunzioni a tempo indeterminato, effettuati da imprenditori dell’Europa orientale (in primo luogo romeni) a cui seguono gli imprenditori asiatici (per la quasi totalità imprenditori cinesi).

Avviamenti effettuati in provincia di Torino 2008-2011 da imprenditori individuali stranieri




Gli imprenditori stranieri hanno avviato al lavoro principalmente lavoratori uomini e giovani: l’80% degli avviamenti effettuati ha riguardato uomini, un quarto ha coinvolto un giovane sotto i 25 anni, mentre quelli relativi a lavoratori oltre i 40 anni hanno rappresentato solo il 20% del totale.
 
Gli imprenditori stranieri assumono principalmente lavoratori stranieri, soprattutto se il titolare è asiatico o magrebino. Tra gli stranieri assunti vengono privilegiati quelli della stessa nazionalità dell’imprenditore. Gli imprenditori albanesi risultano quelli più “multiculturali” dal punto di vista degli avviamenti, i cinesi quelli più “nazionalisti”, come si vede di seguito:




Questi risultati confermerebbero come per gli imprenditori stranieri, in misura ancora maggiore rispetto a quanto avviene per gli italiani, l’incontro tra domanda e offerta segua canali informali, che privilegiano i network di appartenenza e di conoscenza.

 
Gli occupati stranieri: analisi qualitativa


Il ricorso al lavoro immigrato da parte delle imprese italiane è un fenomeno di proporzioni e caratteristiche ormai strutturali: la ricerca ha analizzato le ragioni principali di questo fenomeno secondo la prospettiva dei rappresentanti delle associazioni datoriali, cercando di comprendere perché gli immigrati siano diventati sempre più numerosi e decisivi nei diversi settori dell’economia italiana e, più nello specifico, quali fattori abbiano indotto le aziende italiane a rivolgersi sempre ai lavoratori stranieri.

 
Da un lato si evidenzia la carenza di offerta di lavoratori italiani a svolgere certi lavori o mansioni, per ragioni di ordine salariale, di condizioni di lavoro e di prestigio sociale: si parla dunque di un evidente fenomeno strutturale di sostituzione.
 
Dall’altro tuttavia emergono elementi di preferibilità della manodopera immigrata rispetto a quella italiana di tre tipi:
 
- il primo è relativo al livello educativo e alle qualifiche di cui gli stranieri sono in possesso, spesso superiori alle mansioni effettivamente ricoperte, concentrate principalmente in settori a bassa produttività, a ridotto valore tecnologico, presso imprese piccole o molto piccole, ancora largamente basate su sistemi produttivi tradizionali
 
- il secondo punto di forza fa leva su doti psicologico-culturali, e in particolare su un vero e proprio “capitale motivazionale” di cui gli immigrati sono dotati, in misura maggiore rispetto alla maggioranza dei nativi, di una forte spinta alla riuscita legata alle condizioni socio-economiche da cui provengono. Questo capitale si concretizza nella disponibilità ad accettare lavori e mansioni anche lontani dalle competenze possedute e dal livello di istruzione ottenuto, e spesso anche dalle aspettative iniziali; si traduce in elasticità e capacità di adattamento anche in situazioni di pressione, come quelle imposte dalla crisi economica in corso

- il terzo aspetto consiste, infine, in specifiche competenze tecnico-professionali. Queste sono talvolta il frutto di precedenti esperienze lavorative, ma anche di ‘specializzazioni etniche’ socialmente costruite. La concentrazione di certi gruppi nazionali in determinati settori o occupazioni, come nel caso dei romeni e degli egiziani nell’edilizia o dei sikh nel caseario, non è, infatti, sempre il risultato di scelte e di esperienze pregresse o di predisposizioni naturali, ma anche l’esito dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro prodotto dai legami comunitari e dalle reti sociali.

 
Reclutamento e fidelizzazione della manodopera straniera: il ruolo dei network comunitari


L’incontro fra domanda (da parte delle imprese italiane) e offerta (di lavoratori stranieri) avviene attraverso diversi canali, anche in base alla dimensione delle imprese. Nelle aziende medio-grandi, che garantiscono ancora posti di lavoro stabili, per i quali la competizione con i lavoratori italiani è forte, vi è innanzitutto una minore percentuale di stranieri. Qui si seguono generalmente procedure formalizzate gestite da uffici o personale apposito, si ricorre soprattutto alle agenzie interinali, o ad altri canali formali. Presso le piccole e micro-aziende, che costituiscono la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano, e dove i lavoratori stranieri sono maggiormente presenti, le procedure di selezione della manodopera sono poco professionalizzate e si basano su canali informali. Lo strumento principale di reclutamento è il passaparola.

 
Gestire una forza-lavoro multiculturale


La presenza di lavoratori stranieri presso le aziende italiane pone nuove sfide nella gestione del personale, caratterizzato da una crescente eterogeneità culturale e religiosa. In questo contesto, anche in Italia è stato recentemente introdotto il concetto di diversity management. Anche in questo caso le problematiche legate alla gestione della forza-lavoro immigrata sono fortemente influenzate dalla dimensione delle aziende. Nelle imprese piccole, soprattutto se a gestione famigliare, si osservano relazioni aziendali fortemente personalizzate, dove la negoziazione e la gestione delle istanze specifiche dei lavoratori stranieri avvengono perlopiù su basi informali e attraverso accordi ad hoc. La valorizzazione delle competenze e delle potenzialità dei migranti ai fini di aumentare la competitività d’impresa sembra invece un traguardo ancora molto lontano in Italia.


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