Convegno “Frontiere
dell’immigrazione o migrazione delle frontiere ?”
Trento, 25 novembre
2011
Giudice amministrativo, immigrazione e
luoghi di culto
Alma Chiettini
1. Il
tema affidatomi richiede una precisazione iniziale: la natura della tematica
incide sostanzialmente sui diritti di uguaglianza, sulla tutela delle differenti
identità ideologiche, culturali e religiose dei singoli e dei gruppi, garantiti
dalla Costituzione repubblicana che, con l’art.
Il diritto
alla libertà di culto è un diritto scardinato dalla cittadinanza ed il cui
esercizio è strettamente connesso ad una dimensione comunitaria.
Anche i principali atti internazionali ai quali lo Stato italiano ha aderito,
tra cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (art. 18);
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali (art. 9); il Patto internazionale sui diritti civili e
politici reso esecutivo in Italia con la legge 25.10.1977, n. 881 (art. 18); la
Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di
discriminazione fondate sulla religione o il credo (artt. 1 e 6), adottata dall’Assemblea
generale dell’ONU nel 1981, hanno sancito la libertà
di manifestare sia individualmente che in comune con altri, e sia in pubblico che
in privato, la propria religione o il proprio credo mediante il culto,
l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.
La
disponibilità di edifici e di luoghi di culto da adibire alla celebrazione dei
riti è, quindi, un elemento imprescindibile per assicurare effettivamente non
solo al singolo ma anche alle comunità di praticanti il libero esercizio del loro
credo. Al contempo, la disciplina per la costruzione di questi edifici, nell’esercizio
delle competenze sul governo del territorio, è un compito al quale l’Ente
pubblico non può sottrarsi[3].
In base alle
leggi 29 settembre 1967, n. 847, e 28 gennaio 1977, n. 10, e al D.M. 2.4.1968,
n. 1444, sugli standard urbanistici, le aree
per le “attrezzature di interesse comune
religiose” devono obbligatoriamente essere previste in sede di
pianificazione urbanistica, mentre per il testo unico in materia di edilizia gli
edifici di culto costituiscono opere di urbanizzazione secondaria[4].
Il giudice
amministrativo ha dunque avuto occasione di intervenire nella materia occupandosi
però non delle possibili e svariate esplicazioni e variazioni del diritto
costituzionalmente tutelato del libero esercizio del culto bensì, più ordinariamente,
della corretta applicazione delle normative locali in materia di urbanistica e
di edilizia in occasione della realizzazione di edifici o della destinazione di
parti di essi in luoghi per il culto.
2.
Molte delle vicende sottoposte all’esame dei giudici amministrativi hanno
riguardato la religione islamica, sicuramente perché è la seconda confessione in
Italia per numero di praticanti e, forse per questo, è quella che ingenera le
più frequenti incomprensioni culturali e sociali
con la popolazione locale.
A questo proposito, occorre
innanzitutto precisare che in Italia le moschee vere e proprie - ossia un
edificio santificato (per il quale il minareto non è requisito necessario),
considerato la
Tutte le più grandi città hanno peraltro
ricevuto la richiesta da parte della comunità musulmana locale di poter
costruire una moschea.
I luoghi di preghiera non santificati - definiti
musallâ (o jamât khâna) - ove i
membri della comunità musulmana si riuniscono per eseguire le loro preghiere
congregazionali (e, in molti casi, anche per svolgere altre attività sociali) sono
invece quasi 800.
La cifra, aggiornata al 2010, proviene da un ricerca
condotta dall’Università di Padova[6], in
collaborazione con Etnobarometro e il Network of European Foundation[7].
Dall’indagine è emerso che questi luoghi di culto non
stabili sono per lo più concentrati nel nord Italia, in particolare in
Lombardia, in Veneto e in Emilia Romagna, mentre al sud, con l’eccezione della
regione Sicilia, la loro presenza è più esigua. La realtà è facilmente spiegata
a causa della presenza di una percentuale superiore di immigrati di fede
musulmana nelle regioni settentrionali, dove più facilmente trovano lavoro.
Detti luoghi di preghiera si trovano per lo più in strutture
improprie (quali capannoni, magazzini, scantinati, retro-botteghe, persino in
appartamenti privati), solo
accomunate dall’essere temporaneamente adibite alla preghiera oltre che a luogo
di incontro per i fedeli. Sono comunque sempre siti provvisori, in attesa di
trovare una sede propria ed adeguata alla funzione principale, anche in
relazione al credo che la preghiera professata nel masjid assicuri ai fedeli maggiori ricompense.
Dal punto di vista amministrativo si è osservato che,
comunemente, le locali comunità musulmane si sono auto-organizzate:
- talvolta presentando al Comune interessato la
richiesta di usufruire di locali pubblici da adibire a centro culturale e, ottenuta
la concessione degli spazi, chiedendo il cambio di destinazione d’uso allo
scopo di destinare i locali a luogo di culto;
- altre volte, invece, presentando al Comune una
denuncia d’inizio attività per comunicare la trasformazione di locali già destinati
a deposito, o a magazzino, in un centro per attività culturali ma, più o meno
esplicitamente, da adibire anche a luogo di preghiera collettiva.
3a. Il
giudice amministrativo ha specificato, innanzitutto, che terminologia "servizio pubblico" comprende sia le attività svolte dallo
Stato e dagli enti pubblici per provvedere direttamente o indirettamente alle
esigenze dei cittadini ma anche le attività organizzate ed amministrate da
soggetti non pubblici che rispondono a fondamentali interessi pubblici, e cioè
della collettività considerata nel suo complesso e nelle singole e varie
individualità che la costituiscono, essendo volti a soddisfare i bisogni
essenziali della popolazione. Di conseguenza, anche “la realizzazione di un centro di religione islamica - composto da una
moschea, da uno studentato, da una biblioteca, da una sala per conferenze e da
altri impianti accessori - costituisce un’attività di servizio generale
rispondente ad interessi pubblici”.
In tal senso, è risalente l’affermazione che la
costruzione di una moschea in una zona destinata a “servizi pubblici generali” è astrattamente ammissibile dal punto di
vista urbanistico, anche se è illegittimo il rilascio della concessione ove l’area sia priva
di opere di urbanizzazione, posto che la nuova realizzazione dell’edificio di
culto necessita di rete viaria, di rete fognante, di impianti elettrici e
idrici, di parcheggi[8].
3b. Con
riferimento alle vicende che hanno
visto un edificio, o parte di esso, situato in zone destinate alla residenza, ma
anche in aree industriali e artigianali, acquistato o acquisito in locazione
dalla comunità islamica la quale, previa denuncia di inizio attività
regolarmente depositata presso l’Amministrazione interessata, ha comunicato la
ristrutturazione dell’immobile con contestuale mutamento della destinazione
d’uso per adibirlo a centro culturale - religioso, ma anche a solo centro
culturale, i giudici amministrativi hanno osservato:
- che la destinazione di un edificio, o di parte di
esso, a luogo di culto non è complementare alle zone residenziali in presenza
di un’area, nel piano regolatore, destinata più specificamente agli edifici e alle
attrezzature religiose[9];
- che la stessa destinazione di culto, impressa ad un
capannone artigianale, non è nemmeno complementare alle aree industriali perché
l’insediamento della nuova attività richiede comunque standard urbanistici
aggiuntivi, tra cui nuovi parcheggi[10];
- che l’intervento proposto, oltre a quanto asserito
nella relazione di accompagnamento, deve essere inquadramento correttamente tramite
l’analisi di quanto contenuto negli elaborati tecnici[11];
- che, ove la maggior parte della superficie oggetto
dell’intervento sia destinata a sala riunioni per i credenti e sia presente il mihrab, cioè la nicchia nel muro
orientata verso la Mecca verso cui si prostrano i fedeli in preghiera, la
principale destinazione d’uso oggettivamente impressa all’immobile è
principalmente quella di luogo di culto islamico, con locali accessori per
attività sociali e religiose collaterali, secondo il modello di moschea che si
riscontra nei Paesi a fede musulmana[12];
- che, in ogni caso, l’uso di un immobile a fini di
culto deve essere valutato sulla base di circostanze accertate[13];
- che è ancora dubbia, in un’area destinata alla residenza
e alle “associazioni culturali” complementari, l’ammissibilità dell’insediamento
di un “centro culturale” di un’associazione islamica con un alto numero di
iscritti, che opera a livello provinciale e che intende aprire una sede in una
zona con una rete viaria inadeguata e con un insufficiente numero di parcheggi[14];
- che tali centri culturali rientrano nella tipologia
dei centri civici, culturali e ricreativi, per la quale è prevista la specifica
zonizzazione “per servizi di quartiere”
che presuppone un adeguato dimensionamento delle opere di urbanizzazione
complementari, come strade e parcheggi, normalmente da attuarsi a cura dell’Amministrazione
ma anche su iniziativa privata subordinata alla stipula di apposita convenzione[15].
3c. Per
prevenire il sorgere di questioni a seguito della destinazione di un fabbricato
a luogo di culto utilizzando lo strumento della denuncia di inizio attività,
Lo stesso giudice di primo grado, peraltro, ha offerto
un’interpretazione di detta disciplina che merita di essere ricordata, perché
ha ritenuto legittima una denuncia di inizio attività presentata per informare
l’Amministrazione dell’edificazione di “un
giardino di preghiera”, tramite opere di manutenzione straordinaria quali
la piantumazione di alberi e fiori e il rifacimento degli impianti elettrici ed
idraulici, concludendo così che il permesso di costruire è necessario solo per
i luoghi di culto realizzati in edifici e non per quelli in aree aperte, dove è
assente la volumetria e, di conseguenza, l’uso religioso dipende dalle
intenzioni dei soggetti che vi si riuniscono e dura solo per il tempo in cui le
persone si trovano ivi convenute[19].
4. Dalle
esperienze riportate emerge dunque
con chiarezza che l’utilizzazione, più o meno dichiaratamente, di immobili quali
luoghi di culto presenta una molteplicità di aspetti tecnici talmente specifici
che il giudice amministrativo valuta - per la loro stessa natura, trattandosi
di interventi che riguardano i rapporti tra cittadini e amministrazione in un
campo come l’attività di trasformazione e di utilizzo del territorio - con un estremo rigore che, sicuramente,
“non appare espressivo di alcun
orientamento ideologico”[20].
Invero, da altro punto di vista tecnico, è
incontestabile che le vicende che vengono periodicamente sottoposte all’esame della
giustizia amministrativa in occasione della realizzazione di luoghi di culto in
violazione o in elusione alla disciplina urbanistica locale (specialmente, come
si è visto, a seguito del cambio della destinazione d’uso di edifici per adibirli
a centri religiosi-culturali) avrebbero dovuto e potuto essere affrontate
preventivamente in sede di pianificazione urbanistica.
Ciò è stato affermato chiaramente dalla giurisprudenza di
primo grado laddove ha accolto il ricorso di un’associazione culturale che
aveva tra le finalità statutarie il sostegno all’integrazione dei cittadini
extracomunitari e che intendeva realizzare un luogo di culto islamico. Aveva così
presentato un’osservazione al nuovo piano regolatore in itinere chiedendo la
modifica della destinazione d’uso di un edificio da residenziale ad
attrezzature di uso collettivo (centro socio-culturale) al fine, per l’appunto,
di adibirlo a luogo di culto. L’Amministrazione aveva respinto l’osservazione
rilevando che il cambio di destinazione avrebbe potuto avvenire in seguito,
attraverso la stipula di una convenzione tra il Comune e l’associazione. Il
Tribunale ha però ritenuto ingiustificata la reiezione dell’osservazione perché
aveva irragionevolmente differito una soluzione urbanistica, precisando che, in
sede di elaborazione degli strumenti di pianificazione, “i Comuni che ricevono richieste di localizzazione di luoghi di culto
possono legittimamente porsi soltanto il problema dell’effettiva esigenza di
queste infrastrutture in relazione al numero di soggetti interessati (anche su
scala sovracomunale se per le ridotte distanze o per altri motivi risulti
verosimile che il bacino potenziale è più ampio del territorio comunale). Ma,
una volta accertata l’esigenza di un luogo di culto, un diniego legittimo deve
necessariamente basarsi sull’inidoneità del sito proposto secondo le normali
valutazioni urbanistiche mentre, all’opposto, la localizzazione deve essere
necessariamente conforme alla proposta presentata qualora i promotori del
progetto abbiano la disponibilità degli immobili, in quanto una diversa
soluzione, coinvolgendo diritti di terzi, equivarrebbe di fatto a un diniego
arbitrario”[21].
Merita, da ultimo, riportare la pronuncia della Quarta
sezione del Consiglio di Stato n. 8298, del 27 novembre
- ha dapprima sottolineato che “è compito degli enti territoriali provvedere a che sia consentito a
tutte le confessioni religiose di poter liberamente esplicare la loro attività,
anche individuando aree idonee ad accogliere i fedeli”,
- ha poi soggiunto che i comuni non possono “sottrarsi dal dare ascolto alle eventuali
richieste in questo senso che mirino a dare un contenuto sostanziale effettivo
al diritto del libero esercizio, garantito a livello costituzionale, e non solo
nel momento attuativo, ma anche nella precedente fase di pianificazione delle
modalità di utilizzo del territorio”.
Da
altro lato, nella sentenza è stato rilevato che, come tutti i diritti, anche il
diritto di culto è collegato al rispetto delle altre situazioni giuridiche che
l’ordinamento riconosce e tutela. Esso, di conseguenza, “deve quindi essere esercitato nel rispetto delle regole predisposte e,
quindi, non può esimersi dall’osservanza anche della normativa urbanistica che,
nel suo contenuto essenziale, mira esplicitamente a contemperare i diversi
possibili usi del territorio”[22].
5a.
È a questo punto
importante precisare che il giudice amministrativo ove si è interessato dei
problemi urbanistici ed edilizi relativi alla realizzazione di luoghi di culto non
ha distinto tra quelli a ciò destinati dalle comunità islamiche da quelli di
altre confessione religiose ma ha sempre coerentemente applicato le regole e i principi
dell’edilizia e dell’urbanistica.
Anche
per la costruzione di un tempio-centro
congressi di una confessione diversa dalla cattolica, nella specie la
Congregazione dei Testimoni di Geova, da realizzare in area urbanizzata e per
la quale non era prevista alcuna lottizzazione, è stato statuito che sia
assentibile in diretta attuazione dello strumento urbanistico e che, costituendo
pure esso un’opera di urbanizzazione secondaria, non dovesse essere soggetta
agli oneri di urbanizzazione[23].
Così come è stato dichiarato illegittimo l’operato di un’Amministrazione
che, pregiudizialmente,
aveva rifiutato di considerare la possibilità, pur espressamente prevista dal
piano regolatore, di riservare un'area per la realizzazione di un edificio di
culto. Tale comportamento, per il Consiglio di Stato, si era concretizzato in
un “atteggiamento se non di esercizio
sviato delle proprie funzioni quanto meno non lineare ed equanime nei confronti
della Congregazione dei
Testimoni di Geova”[24].
Anche nel caso di una ristrutturazione
di un magazzino per adibirlo a luogo di riunione e di culto, comunicata con una
denuncia di inizio attività (in proposito, la ricorrente associazione dei
Testimoni di Geova sosteneva che l’immobile non aveva assunto “una diversa destinazione urbanistica solo
perché non è più direttamente impiegato a scopo produttivi bensì di riunione
degli associati, in quanto tra i possibili usi di un locale produttivo vi
sarebbe la riunione d’individui, irrilevante essendo che ciò avvenga perché le
persone vi svolgano un’attività produttiva o un’attività di pensiero”), è
stato affermato che l’immobile aveva potuto ospitare utilmente le riunioni
perché ristrutturato mediante le opere contestate, considerate nel loro
complesso, e precisato che “se queste
siano poi compatibili con svariate destinazioni dell’immobile è insignificante,
se in concreto esse hanno consentito l’uso che se ne sta dando, e che è diverso
da quello preesistente”. In definitiva, le opere poste in essere,
considerate nel loro insieme, realizzavano un intervento di ristrutturazione
edilizia per il quale, al tempo della sua realizzazione, era necessaria la
concessione edilizia[25].
Da
ultimo, è stato anche osservato che lo svolgimento di funzioni religiose in un
immobile ordinariamente destinato a residenza non integra una diversa
destinazione d’uso dello stesso. Precisando che un mutamento rilevante della
destinazione d’uso, anche senza opere, “è
quello che altera la funzione originaria dell’immobile al fine di adibirlo, in
via permanente, ad una funzione diversa”, il giudice amministrativo ha
puntualizzato che il proprietario di immobile pacificamente destinato a
residenza è libero di esplicare molteplici attività umane, fra le quali rientra
anche l’utilizzo della propria residenza per riunioni di adepti della disciplina spirituale fondata da Buddha
così come per lo svolgimento saltuario di pratiche di culto. Tali attività
incontrano il limite dei comportamenti illeciti, che sono sanzionati
amministrativamente, civilmente e penalmente e, comunque, è sempre salva la
facoltà dei vicini di “adire il giudice
ordinario qualora, in relazione all’afflusso di persone e al disturbo cagionato
in occasione delle suddette cerimonie religiose, si registrino immissioni
moleste che eccedono la normale tollerabilità”[26].
5b. Infine,
è doveroso anche ricordare che la discrezionalità tecnica che ha connotato l’applicazione
da parte del giudice amministrativo della disciplina urbanistica ed edilizia
locale non ha interessato solo la realizzazione di luoghi destinati alla
pratica di culti diversi dalla religione cattolica. Merita a questo proposito
essere menzionata, per tutte, la recente vicenda che ha interessato il piano
regolatore del Comune di Roma, impugnato dalla Pontificia Opera Romana perché,
per la realizzazione di parcheggi per gli edifici per il culto e per le opere
parrocchiali, ricomprese nella categoria delle attrezzature collettive, ha
previsto un carico urbanistico standard medio anziché basso. Il Tribunale
interpellato ha però rilevato, all’opposto, richiamando i principi costituzionali
di eguaglianza, imparzialità e riconoscimento di tutte le formazioni sociali
intermedie, che “la riconosciuta
multifunzionalità dei complessi parrocchiali e delle opere annesse”,
giustifica la piena equiparazione, almeno sotto il profilo urbanistico, delle
strutture religiose alle altre attrezzature collettive della categoria "servizi", unitamente alle
attrezzature per lo sport, lo spettacolo, la cultura e quelle congressuali,
accumunate da una omogenea necessità di standard urbanistici, e segnatamente di
parcheggi pubblici e privati, ai fini del loro funzionamento e della loro
fruizione anche quali “centri di
aggregazione” con “funzioni educative
e sociali”. Ha così precisato che appariva logico l’aver “accomunato le attrezzature culturali alle
attrezzature religiose” e che ciò non determina alcun svantaggio per esse
perché recepisce e conferma la loro valenza culturale. Da altro punto di vista,
secondo quel Collegio “una dotazione
adeguata di parcheggi pubblici e privati è funzionalmente volta a garantire il
miglior funzionamento ed il massimo effetto utile di aggregazione sociale e
culturale delle strutture religiose, e costituisce quindi un vantaggio e non
uno svantaggio per gli scopi dichiaratamente perseguiti dalle strutture
religiose, favorendo la loro interrelazione ed il loro contatto con la realtà
urbana e con i suoi abitanti”[27].
6. Le
problematiche connesse alla regolamentazione dei luoghi di culto islamici sono
state recentemente analizzate dal Comitato
per l’Islam Italiano, che opera presso il Ministero dell’Interno[28], il
quale lo scorso 27 gennaio
Dopo aver analizzato i
disegni di legge depositati nelle due Camere del Parlamento nel corso della
corrente XVI legislatura che si prefiggono, sia pure diversamente fra loro, di
disciplinare la realizzazione di nuovi edifici di culto, e preso atto che di
nessun testo era stata calendarizzata la discussione, il Comitato ha voluto
indicare con urgenza alcuni criteri per evitare che “la proliferazione di luoghi di culto al di fuori delle regole dia luogo
a incomprensioni con la popolazione circostante, nonché a fenomeni di disturbo
alla quiete pubblica che genera a sua volta conflittualità”.
L’analisi della
principale giurisprudenza amministrativa intervenuta sull’utilizzo improprio di
locali per le esigenza del culto, ha indotto il Comitato ha censurare la “pratica di utilizzare costruzioni per
attività diverse da quelle per le quali sono state realizzate, quando non tenga
conto delle leggi sul governo del territorio” in quanto essa non può “essere considerata legittima soltanto perché
riguarda in generale il legittimo diritto al culto”.
Il Comitato ha poi dato
alcuni suggerimenti, precisando che si tratta “dell’incoraggiamento all’emersione della realtà sommersa, all’interno
di un’opera di persuasione, non di repressione o schedatura, che induca a
cessare la pratica di mascherare luoghi di culto dietro attività culturali,
ricreative, sportive o commerciali”.
Relativamente alle
procedure edilizie e urbanistiche, alle norme di sicurezza e di gestione, e
dell’ordine pubblico, a detta del Comitato i luoghi di culto islamici dovranno
fare riferimento esclusivo alla normativa nazionale e locale vigente. Perciò, “gli edifici dovranno essere costruiti in
totale conformità con la normativa edilizia e urbanistica e, dunque, previa
approvazione dell’ufficio tecnico del Comune”. Essi dovranno essere
inseriti in zona urbanistiche compatibili con la destinazione d’uso di “pubblico interesse” o “luogo di culto”. La comunità islamica
deve individuare l’area per l’edificazione del luogo di culto con le idonee
caratteristiche urbanistiche - facendosi anche carico del suo acquisito - e
presentare il progetto all’ufficio tecnico del Comune che lo esamina e ha
facoltà di proporre soluzioni alternative. Il progetto dovrà corrispondere a
criteri di estetica e decoro, anche in relazione all’entità del bacino
d’utenza, e deve essere conforme alle vigenti norme urbanistico edilizie nonché
a quelle in materia di igiene, sanità, sicurezza e ordine pubblico. A tale fine
deve essere prevista anche la possibilità di parcheggio delle automobili in
misura adeguata all’affluenza dei fedeli.
Sulla base di questi
presupposti il Comitato ha auspicato che le amministrazioni locali
predispongano, all’interno delle norme tecniche di attuazione dei piani
regolatori generali, apposite zone destinate ai servizi di quartiere, tra cui
sia specificamente prevista la categoria per le “attrezzature religiose”.
I luoghi di culto così realizzati, secondo il Comitato
devono essere “aperti a tutti coloro che
vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in
essi svolte” e devono “consentire la
pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di
qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi
siano”[29].
7. In
conclusione, non si può non osservare come la stipulazione nel testo della
Costituzione del diritto fondamentale di libertà religiosa non comporta anche
l’esistenza delle relative garanzie perché la codificazione sovraordinata impone
al Legislatore la produzione di apposite leggi di attuazione (quali l’adozione
di una legge organica in materia di libertà religiosa[30]
e l’approvazione delle intese stipulate su base
contrattualistica tra il Governo italiano e le rappresentanze delle
confessioni religiose[31])
e all’Amministratore l’adozione di atti a garanzia secondaria del diritto (fra
cui, per quanto qui di interesse, la pianificazione urbanistica di compimento
che individui le zone idonee ove edificare gli edifici di culto).
Dalla mancata introduzione di tali atti normativi in
attuazione e in garanzia del diritto di libertà religiosa consegue “l’ineffettività strutturale” di esso la
quale, come è stato autorevolmente sottolineato, “è irreparabile per via giudiziaria”[32].
Da ciò la costante violazione del principio di
uguaglianza da parte della politica - che sino ad oggi ha respinto l’obbligo di
conformarsi alla logica costituzionale pluralistica - ma anche della cultura
giuridica, che deve farsene carico denunciando l’illegittimità di tali carenze
della struttura dell’ordinamento italiano.
[1] La Corte costituzione ha precisato
che compete allo Stato garantire
“la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo
confessionale e culturale”. Cfr., sentenza 12.4.1989, n. 203.
[2] “La formula di tale articolo non
potrebbe, in tutti i suoi termini, essere più ampia, nel senso di comprendere
tutte le manifestazioni del culto, ivi indubbiamente incluse, in quanto forma e
condizione essenziale del suo pubblico esercizio, l'apertura di templi ed
oratori e la nomina dei relativi ministri”. Cfr., Corte costituzione
24.11.1958, n. 59.
[3] L’art. 1
del R.D.
28.2.1930, n. 289, per l'apertura di templi e di oratori dei culti
ammessi statuiva l'obbligo dell’autorizzazione, da rilasciare con decreto del
Presidente della Repubblica previa istanza “corredata dei documenti atti a
provare che il tempio od oratorio è necessario per soddisfare effettivi bisogni
religiosi di importanti nuclei di fedeli ed è fornito di mezzi sufficienti per
sostenere le spese di manutenzione”. Rappresentando detta autorizzazione un
presupposto “necessario per l'apertura del tempio, in quanto mezzo per una
autonoma professione della fede religiosa, al di fuori dei rapporti con lo
Stato”, la relativa previsione è stata dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale alla luce dei principi di cui agli artt. 8 e 19 della Costituzione.
Cfr., sentenza 24.11.1958, n. 59. Con la stessa pronuncia la Corte ha dichiarato
illegittimo anche l’art. 2 dello stesso R.D., laddove sottoponeva l'esercizio
della facoltà di tenere “cerimonie religiose e di compiere altri atti di culto”
negli edifici aperti al culto alla condizione che “la riunione sia presieduta o
autorizzata da un ministro di culto la cui nomina sia stata approvata” dal
Ministro competente, condizione che è stata ritenuta in contrasto con la
libertà ampiamente garantita dall'art. 19
della Costituzione.
[4] Cfr., art. 16, comma 8, D.P.R. 6
giugno 2001, n. 380.
[5] Sul punto vale segnalare la recente
sentenza del T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.10.2011, n. 1139, che ha dichiarato
inammissibile per difetto di legittimazione e di interesse l’impugnativa del
permesso di costruire presentata da alcuni esponenti politici che non avevano
dimostrato l’esistenza né di “uno stabile collegamento territoriale con il
luogo interessato dall’intervento edilizio” né di “alcun pregiudizio ai loro
interessi”.
[6] Stefano Allievi, La Guerra delle moschee. L’Europa e la sfida
del pluralismo religioso, Marsilio, Padova 2010 - Ricerca comparativa
sulla presenza islamica in Europa, le moschee e i conflitti insorti attorno a
esse (Conflicts over Mosques in
Europe. Policy
Issues and Trends, NEF Initiative on Religion
and Democracy in Europe,
[7] Etnobarometro è un
network di centri di ricerca europei creato nel 1997 promosso dal Consiglio
Italiano per le Scienze Sociali (CSS) e organizzato in collaborazione con il
Centre for European Migration and Ethnic Studies (CEMES). E’ finanziato dalla
Commissione dell’Unione Europea, dalla Compagnia di San Paolo, dalla Fondazione
Adriano Olivetti, dalla Charles Stuart Mott Foundation, dalla European Cultural
Foundation e dalla King Baudouin Foundation. Tra i
suoi scopi rientra il monitoraggio delle relazioni etniche in Europa e la
pubblicazione di rapporti periodici sullo stato delle relazioni tra le
minoranze territoriali e le comunità di immigrati da una parte e le popolazioni
e i Governi dei Paesi nei quali queste risiedono dall’altra.
Il
Network of European Foundations
for Innovative Cooperation (NEF) è un’organizzazione internazionale no profit,
con sede a Bruxelles (www.nef-europe.org), che sviluppa progetti e iniziative tra fondazioni e altre strutture
filantropiche organizzate.
[8] Cfr., T.A.R. Lazio, sez. II,
11.6.1980, n. 432.
Anche il T.A.R.
Piemonte, sez. II, 27.10.2011, n.
[9] Cfr., T.R.G.A. Trento, 7.5.2009, n.
150.
[10] Cfr., T.A.R. Emilia Romagna, Parma,
26.11.2009, n. 792 e T.A.R. Lombardia, Milano, 24.11.2006, n. 2845.
[11] Sulla necessità di inquadrare
correttamente gli elaborati tecnici, cfr., anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez.
II, 23.9.2010, n. 6415, che ha annullato un diniego di sanatoria precisando,
previa analisi della natura e della tipologia delle opere effettuate, che gli
interventi eseguiti non integravano, surrettiziamente, un luogo di culto ma che
costituivano la manutenzione straordinaria della sede di un’associazione per
l’integrazione e l’inserimento degli immigrati. Il fatto che la stessa fosse
anche l’emanazione di una confessione religiosa per il Tribunale non ha assunto
alcun rilievo, “non potendo dedursi dalla natura e dall’orientamento religioso
del proprietario di un immobile la volontà di imprimere ad esso una particolare
destinazione d’uso”.
[12] Cfr., C.d.S., sez. IV, 28.1.2011,
n. 683. La suddivisione degli spazi, secondo il Giudice d’appello, rende
“palese, in termini quantitativi, la reale e principale funzione svolta
dall’edificio, per cui non è sostenibile che la destinazione ad esercizio del
culto rivesta un ruolo meramente secondario e non incida sulla principale
destinazione dell’immobile”.
[13] Cfr., C.d.S., sez.
IV, ord. 10.5.2011, n. 2008, ove è stato accertato, sulla base dei verbali di
accesso della polizia locale, che un’immobile utilizzato da un’associazione
islamica non era utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto.
[14] L’Associazione
della comunità islamica aveva dichiarato che nella Provincia di Trento svolgeva
numerose attività a favore di oltre 10.000 persone. Cfr., T.R.G.A. Trento,
9.6.2011, n. 169 e C.d.S., sez. IV, 4.11.2011, n. 4854, che ha sospeso
l’esecutività della predetta sentenza.
[15] Cfr., C.d.S., sez. IV, 14.12.2004,
n. 8026, ove è stato precisato che se il piano regolatore prevede per un’area la destinazione a
"residenza" e ad "attività terziarie e ricettive ed altre
minori", ma non anche ad "attrezzature pubbliche o collettive",
non è possibile che in essa possa essere realizzato un edificio di culto che
rientra tra le attrezzature "pubbliche" o "collettive" per
la cui realizzazione devono essere riservate "adeguate aree", individuate
in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali.
[16] Cfr., il comma 3 bis dell’art. 52
della l.r. della Lombardia 11.3.2005, n. 12 (legge per il governo del
territorio), come aggiunto dalla l.r. 14.7.2006, n. 12.
[17] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia,
sez. I, 14.9.2010, n. 3522.
Cfr., anche T.A.R. Lombardia,
Milano, 28.12.2009, n. 6226 e C.d.S., sez. IV, 27.11.2010, n. 8298.
Sull’applicazione della stessa
normativa regionale si veda anche l’ordinanza cautelare del T.A.R. Lombardia,
Brescia, sez. I, 23.6.2011, n. 585.
[18] Cfr., C.d.S., sez. IV, 27.10.2011,
n. 5778.
[19] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia,
sez. I, 23.6.2010, n. 2378.
La pronuncia ha soggiunto che la
destinazione dei luoghi di culto all’aperto “non è costante e oggettivamente
rilevabile come quella impressa a un edificio. Viene piuttosto in rilievo una
libera attività di soggetti che hanno le medesime convinzioni. Tale attività
non è resa possibile ma soltanto agevolata dalla sistemazione dello spazio
verde, elemento che di per sé non determina un particolare impatto sul piano
edilizio”. Per la particolare fattispecie di causa, un giardino costituito da
aree verdi, viali, recinzioni, sottoservizi tecnologici e statue amovibili, in
quanto intervento edilizio di interesse privato, il Tribunale ha ritenuto
inoltre che si potesse prescindere dalla programmazione comunale delle
infrastrutture religiose prescritta dall’art. 72 della richiamata l.r. n. 12
del 2005.
[20] Cfr., Armando Pozzi “Crocifisso,
tra giudici italiani ed europei, tra tolleranza ed integralismo, tra politiche
di accoglienza e di respingimento”, pubblicato in GiustAmm il 6.5.2011
[21] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia,
sez. I, 14.9.2010, n. 3522.
[22] Che, in genere, le fattispecie
sottoposte all’esame della giustizia amministrativa riguardino questioni “puramente
urbanistiche, dovendosi definire la legittimità o meno dei cambi di
destinazione d’uso di edifici originariamente adibiti ad altro”, e non abbiano
per oggetto la libertà di culto, la quale “potrà trovare altre più idonee
occasioni di espressione”, è stato affermato dal Consiglio di Stato anche nella
pronuncia della sez. IV, 27.7.2010, n. 4915, con la quale è stata confermata la sentenza
del T.R.G.A. Bolzano, 30.3.2009, n. 116.
[23] Cfr., C.d.S., sez.
V, 1.6.1992, n. 489. Cfr., anche T.A.R. Veneto, sez. II, 11.5.1987, n. 401, per
il quale “la costruzione di un edificio di culto della religione dei Testimoni
di Geova costituisce un'opera di urbanizzazione secondaria, secondo la
classificazione di cui alla l. 29.9.1964, n. 847, ossia un edificio religioso,
e ciò anche a prescindere dalla natura del soggetto richiedente”.
[24] Cfr., C.d.S., sez. V, 13.12.2005,
n. 7078.
[25] Cfr., T.A.R.
Veneto, sez. II, 10.7.2009, n. 2191.
[26] Cfr., T.A.R. Lombardia, Milano,
sez. II, 17.9.2009, n. 4665. Nel ricorso si sosteneva che tutte le domeniche, ma
talvolta anche in giorni infrasettimanali, in
[27] Cfr., T.A.R.
Lazio, Roma, sez. II bis, 1.3.2010, n. 3175.
Nel piano
regolatore del Comune di Roma erano stati uniformati gli standard dei parcheggi
per tutti i servizi pubblici di livello locale al parametro di 1 mq./5 mq. Sul.
La ricorrente lamentava l’irragionevolezza della disciplina in quanto nelle sue
strutture lavorava un numero contenuto di soggetti e perché le stesse, essendo
notorio che vi si accede a piedi, operavano negli ambiti territoriali limitati
di quartiere.
[28] L'organismo collegiale, con funzioni
consultive e di proposta, è stato
istituito l’11 febbraio 2010 ed è composto da 19 membri di nazionalità
diverse esperti di religioni e del mondo islamico. Il Comitato,
dichiaratamente, non ha pretese di rappresentatività della complessa comunità
islamica presente in Italia. Secondo il decreto istitutivo, il Comitato ha la
funzione di fornire “elementi concreti per i temi legati all’immigrazione, con
particolare riguardo all’integrazione e all’esercizio dei diritti civili, e per
assicurare una migliore convivenza nella società italiana”; a tale scopo
esprime “pareri e proposte su specifiche questioni indicate dal Ministro con
l’obiettivo di migliorare l’inserimento sociale e l’integrazione delle comunità
musulmane nella società nazionale, anche nell’ottica di sviluppare la coesione
e la condivisione di valori e diritti nel rispetto della Costituzione e delle
leggi della Repubblica”. L’attività del Comitato è reperibile al seguente
indirizzo: www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/religioni/
[29] Il testo integrale del parere è
reperibile al seguente indirizzo:
www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/20/0457_Luoghi_di_culto_islamici_-_Parere_del_Comitato_per_lxIslam_Italiano.pdf
[30] Per i culti per i quali non è stata
ancora stipulata un’intesa continua ad applicarsi la legge 24.6.1929, n. 1159,
e il R.D. 28.2.1930, n. 289, i quali hanno “cessato di avere efficacia e
applicabilità esclusivamente nei confronti delle confessioni religiose diverse
dalla cattolica che hanno stipulato con lo Stato italiano intese trasfuse in
leggi, ma non nei confronti delle altre associazioni religiose che non abbiano
stipulato alcuna intesa con lo Stato italiano”. Cfr., C.d.S., sez. VI,
17.4.2009, n. 2331.
[31] Con riguardo all’esplicazione del
diritto di libertà religiosa, lo strumento dell’intesa è stato analizzato dalla
Corte costituzionale laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle
leggi delle regioni Abruzzo e Lombardia che prevedevano l’erogazione di contributi finanziari per l’edilizia di culto
esclusivamente alla Chiesa cattolica e
alle confessioni i cui rapporti con lo Stato erano regolati sulla base di
intese.
[32] In questo
senso si veda la distinzione tra ineffettività contingente e ineffettività
strutturale posta da Luigi Ferrajoli, “Diritti fondamentali. Un
dibattito teorico” a cura d E. Vitale, Laterza, Bari 2001.