Convegno “Frontiere dell’immigrazione o migrazione delle frontiere ?”

Trento, 25 novembre 2011

 

Giudice amministrativo, immigrazione e luoghi di culto

 

Alma Chiettini

 

1.   Il tema affidatomi richiede una precisazione iniziale: la natura della tematica incide sostanzialmente sui diritti di uguaglianza, sulla tutela delle differenti identità ideologiche, culturali e religiose dei singoli e dei gruppi, garantiti dalla Costituzione repubblicana che, con l’art. 8, ha introdotto nel nostro ordinamento l’idea di un pluralismo[1] volto a garantire e a valorizzare le differenti identità religiose, mentre all’art. 19 ha sancito il diritto di professare liberamente la propria fede e di esercitarne, in privato o in pubblico, il culto[2].

Il diritto alla libertà di culto è un diritto scardinato dalla cittadinanza ed il cui esercizio è strettamente connesso ad una dimensione comunitaria.

Anche i principali atti internazionali ai quali lo Stato italiano ha aderito, tra cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (art. 18); la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 9); il Patto internazionale sui diritti civili e politici reso esecutivo in Italia con la legge 25.10.1977, n. 881 (art. 18); la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (artt. 1 e 6), adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1981, hanno sancito la libertà di manifestare sia individualmente che in comune con altri, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

La disponibilità di edifici e di luoghi di culto da adibire alla celebrazione dei riti è, quindi, un elemento imprescindibile per assicurare effettivamente non solo al singolo ma anche alle comunità di praticanti il libero esercizio del loro credo. Al contempo, la disciplina per la costruzione di questi edifici, nell’esercizio delle competenze sul governo del territorio, è un compito al quale l’Ente pubblico non può sottrarsi[3].

In base alle leggi 29 settembre 1967, n. 847, e 28 gennaio 1977, n. 10, e al D.M. 2.4.1968, n. 1444, sugli standard urbanistici, le aree per le “attrezzature di interesse comune religiose” devono obbligatoriamente essere previste in sede di pianificazione urbanistica, mentre per il testo unico in materia di edilizia gli edifici di culto costituiscono opere di urbanizzazione secondaria[4].

Il giudice amministrativo ha dunque avuto occasione di intervenire nella materia occupandosi però non delle possibili e svariate esplicazioni e variazioni del diritto costituzionalmente tutelato del libero esercizio del culto bensì, più ordinariamente, della corretta applicazione delle normative locali in materia di urbanistica e di edilizia in occasione della realizzazione di edifici o della destinazione di parti di essi in luoghi per il culto.

 

2.   Molte delle vicende sottoposte all’esame dei giudici amministrativi hanno riguardato la religione islamica, sicuramente perché è la seconda confessione in Italia per numero di praticanti e, forse per questo, è quella che ingenera le più frequenti incomprensioni culturali e sociali con la popolazione locale.

A questo proposito, occorre innanzitutto precisare che in Italia le moschee vere e proprie - ossia un edificio santificato (per il quale il minareto non è requisito necessario), considerato la casa di Allah sulla terra, chiamato al-masjid e dignitoso anche da un punto di vista estetico - sono pochissime: le principali si trovano a Palermo, a Catania, a Segrate di Milano, oltre che a Roma, dove la più grande moschea d’Europa è stata inaugurata nel 1995. Solo una è in costruzione (ed in corso di ultimazione), a Colle Val d'Elsa, in Toscana; per un’altra il Comune di Torino ha rilasciato il permesso di costruire nel dicembre 2010[5].

Tutte le più grandi città hanno peraltro ricevuto la richiesta da parte della comunità musulmana locale di poter costruire una moschea.

I luoghi di preghiera non santificati - definiti musallâ (o jamât khâna) - ove i membri della comunità musulmana si riuniscono per eseguire le loro preghiere congregazionali (e, in molti casi, anche per svolgere altre attività sociali) sono invece quasi 800.

La cifra, aggiornata al 2010, proviene da un ricerca condotta dall’Università di Padova[6], in collaborazione con Etnobarometro e il Network of European Foundation[7].

Dall’indagine è emerso che questi luoghi di culto non stabili sono per lo più concentrati nel nord Italia, in particolare in Lombardia, in Veneto e in Emilia Romagna, mentre al sud, con l’eccezione della regione Sicilia, la loro presenza è più esigua. La realtà è facilmente spiegata a causa della presenza di una percentuale superiore di immigrati di fede musulmana nelle regioni settentrionali, dove più facilmente trovano lavoro.

Detti luoghi di preghiera si trovano per lo più in strutture improprie (quali capannoni, magazzini, scantinati, retro-botteghe, persino in appartamenti privati), solo accomunate dall’essere temporaneamente adibite alla preghiera oltre che a luogo di incontro per i fedeli. Sono comunque sempre siti provvisori, in attesa di trovare una sede propria ed adeguata alla funzione principale, anche in relazione al credo che la preghiera professata nel masjid assicuri ai fedeli maggiori ricompense.

Dal punto di vista amministrativo si è osservato che, comunemente, le locali comunità musulmane si sono auto-organizzate:

- talvolta presentando al Comune interessato la richiesta di usufruire di locali pubblici da adibire a centro culturale e, ottenuta la concessione degli spazi, chiedendo il cambio di destinazione d’uso allo scopo di destinare i locali a luogo di culto;

- altre volte, invece, presentando al Comune una denuncia d’inizio attività per comunicare la trasformazione di locali già destinati a deposito, o a magazzino, in un centro per attività culturali ma, più o meno esplicitamente, da adibire anche a luogo di preghiera collettiva.

 

3a.   Il giudice amministrativo ha specificato, innanzitutto, che terminologia "servizio pubblico" comprende sia le attività svolte dallo Stato e dagli enti pubblici per provvedere direttamente o indirettamente alle esigenze dei cittadini ma anche le attività organizzate ed amministrate da soggetti non pubblici che rispondono a fondamentali interessi pubblici, e cioè della collettività considerata nel suo complesso e nelle singole e varie individualità che la costituiscono, essendo volti a soddisfare i bisogni essenziali della popolazione. Di conseguenza, anche “la realizzazione di un centro di religione islamica - composto da una moschea, da uno studentato, da una biblioteca, da una sala per conferenze e da altri impianti accessori - costituisce un’attività di servizio generale rispondente ad interessi pubblici”.

In tal senso, è risalente l’affermazione che la costruzione di una moschea in una zona destinata a “servizi pubblici generali” è astrattamente ammissibile dal punto di vista urbanistico, anche se è illegittimo il rilascio della concessione ove l’area sia priva di opere di urbanizzazione, posto che la nuova realizzazione dell’edificio di culto necessita di rete viaria, di rete fognante, di impianti elettrici e idrici, di parcheggi[8].

 

3b.   Con riferimento alle vicende che hanno visto un edificio, o parte di esso, situato in zone destinate alla residenza, ma anche in aree industriali e artigianali, acquistato o acquisito in locazione dalla comunità islamica la quale, previa denuncia di inizio attività regolarmente depositata presso l’Amministrazione interessata, ha comunicato la ristrutturazione dell’immobile con contestuale mutamento della destinazione d’uso per adibirlo a centro culturale - religioso, ma anche a solo centro culturale, i giudici amministrativi hanno osservato:

- che la destinazione di un edificio, o di parte di esso, a luogo di culto non è complementare alle zone residenziali in presenza di un’area, nel piano regolatore, destinata più specificamente agli edifici e alle attrezzature religiose[9];

- che la stessa destinazione di culto, impressa ad un capannone artigianale, non è nemmeno complementare alle aree industriali perché l’insediamento della nuova attività richiede comunque standard urbanistici aggiuntivi, tra cui nuovi parcheggi[10];

- che l’intervento proposto, oltre a quanto asserito nella relazione di accompagnamento, deve essere inquadramento correttamente tramite l’analisi di quanto contenuto negli elaborati tecnici[11];

- che, ove la maggior parte della superficie oggetto dell’intervento sia destinata a sala riunioni per i credenti e sia presente il mihrab, cioè la nicchia nel muro orientata verso la Mecca verso cui si prostrano i fedeli in preghiera, la principale destinazione d’uso oggettivamente impressa all’immobile è principalmente quella di luogo di culto islamico, con locali accessori per attività sociali e religiose collaterali, secondo il modello di moschea che si riscontra nei Paesi a fede musulmana[12];

- che, in ogni caso, l’uso di un immobile a fini di culto deve essere valutato sulla base di circostanze accertate[13];

- che è ancora dubbia, in un’area destinata alla residenza e alle “associazioni culturali” complementari, l’ammissibilità dell’insediamento di un “centro culturale” di un’associazione islamica con un alto numero di iscritti, che opera a livello provinciale e che intende aprire una sede in una zona con una rete viaria inadeguata e con un insufficiente numero di parcheggi[14];

- che tali centri culturali rientrano nella tipologia dei centri civici, culturali e ricreativi, per la quale è prevista la specifica zonizzazione “per servizi di quartiere” che presuppone un adeguato dimensionamento delle opere di urbanizzazione complementari, come strade e parcheggi, normalmente da attuarsi a cura dell’Amministrazione ma anche su iniziativa privata subordinata alla stipula di apposita convenzione[15].

 

3c.   Per prevenire il sorgere di questioni a seguito della destinazione di un fabbricato a luogo di culto utilizzando lo strumento della denuncia di inizio attività, la Regione Lombardia ha novellato la propria legge sul governo del territorio specificando che ogni mutamento di destinazione d’uso di immobili, anche senza opere edilizie, ma comunque finalizzato alla creazione di luoghi di culto e di luoghi destinati a centri sociali, è sempre assoggettato a permesso di costruire[16]. Con questa prescrizione si è voluto pertanto evitare che, attraverso la liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso, siano realizzate innovazioni impattanti sul tessuto urbano senza un preventivo esame da parte dell’Amministrazione. L’obiettivo è stato ritenuto dal giudice amministrativo “ragionevole, e non discriminatorio proprio per l’indubbia rilevanza sociale di questo tipo di edifici, che rende preferibile il controllo preventivo all’eventuale remissione in pristino[17]. Sullo stesso punto, il Giudice d’appello ha soggiunto che la ratio della prescrizione “è palesemente volta al controllo di mutamenti di destinazione d’uso suscettibili, per l’afflusso di persone o di utenti, di creare centri di aggregazione (chiese, moschee, centri sociali, ecc.) aventi come destinazione principale o esclusiva l’esercizio del culto religioso o altre attività con riflessi di rilevante impatto urbanistico, le quali richiedono la verifica delle dotazioni di attrezzature pubbliche rapportate a dette destinazioni: se non altro agli effetti dell’altrettanto necessario e conseguente rilascio del certificato di agibilità dell’immobile destinato al nuovo uso, nonché della parimenti necessaria e conseguente pratica di prevenzione incendi di competenza dei vigili del fuoco[18].

Lo stesso giudice di primo grado, peraltro, ha offerto un’interpretazione di detta disciplina che merita di essere ricordata, perché ha ritenuto legittima una denuncia di inizio attività presentata per informare l’Amministrazione dell’edificazione di “un giardino di preghiera”, tramite opere di manutenzione straordinaria quali la piantumazione di alberi e fiori e il rifacimento degli impianti elettrici ed idraulici, concludendo così che il permesso di costruire è necessario solo per i luoghi di culto realizzati in edifici e non per quelli in aree aperte, dove è assente la volumetria e, di conseguenza, l’uso religioso dipende dalle intenzioni dei soggetti che vi si riuniscono e dura solo per il tempo in cui le persone si trovano ivi convenute[19].

 

4.   Dalle esperienze riportate emerge dunque con chiarezza che l’utilizzazione, più o meno dichiaratamente, di immobili quali luoghi di culto presenta una molteplicità di aspetti tecnici talmente specifici che il giudice amministrativo valuta - per la loro stessa natura, trattandosi di interventi che riguardano i rapporti tra cittadini e amministrazione in un campo come l’attività di trasformazione e di utilizzo del territorio - con un estremo rigore che, sicuramente, “non appare espressivo di alcun orientamento ideologico[20].

Invero, da altro punto di vista tecnico, è incontestabile che le vicende che vengono periodicamente sottoposte all’esame della giustizia amministrativa in occasione della realizzazione di luoghi di culto in violazione o in elusione alla disciplina urbanistica locale (specialmente, come si è visto, a seguito del cambio della destinazione d’uso di edifici per adibirli a centri religiosi-culturali) avrebbero dovuto e potuto essere affrontate preventivamente in sede di pianificazione urbanistica.

Ciò è stato affermato chiaramente dalla giurisprudenza di primo grado laddove ha accolto il ricorso di un’associazione culturale che aveva tra le finalità statutarie il sostegno all’integrazione dei cittadini extracomunitari e che intendeva realizzare un luogo di culto islamico. Aveva così presentato un’osservazione al nuovo piano regolatore in itinere chiedendo la modifica della destinazione d’uso di un edificio da residenziale ad attrezzature di uso collettivo (centro socio-culturale) al fine, per l’appunto, di adibirlo a luogo di culto. L’Amministrazione aveva respinto l’osservazione rilevando che il cambio di destinazione avrebbe potuto avvenire in seguito, attraverso la stipula di una convenzione tra il Comune e l’associazione. Il Tribunale ha però ritenuto ingiustificata la reiezione dell’osservazione perché aveva irragionevolmente differito una soluzione urbanistica, precisando che, in sede di elaborazione degli strumenti di pianificazione, “i Comuni che ricevono richieste di localizzazione di luoghi di culto possono legittimamente porsi soltanto il problema dell’effettiva esigenza di queste infrastrutture in relazione al numero di soggetti interessati (anche su scala sovracomunale se per le ridotte distanze o per altri motivi risulti verosimile che il bacino potenziale è più ampio del territorio comunale). Ma, una volta accertata l’esigenza di un luogo di culto, un diniego legittimo deve necessariamente basarsi sull’inidoneità del sito proposto secondo le normali valutazioni urbanistiche mentre, all’opposto, la localizzazione deve essere necessariamente conforme alla proposta presentata qualora i promotori del progetto abbiano la disponibilità degli immobili, in quanto una diversa soluzione, coinvolgendo diritti di terzi, equivarrebbe di fatto a un diniego arbitrario[21].

Merita, da ultimo, riportare la pronuncia della Quarta sezione del Consiglio di Stato n. 8298, del 27 novembre 2010, in quanto presenta, in poche righe, un compiuto sunto delle problematiche esposte. Dopo aver evidenziato che le cause in materia di edificazione di edifici di culto sono finora rimaste confinate nell’ambito della corretta applicazione della normativa edilizia, la sentenza:

- ha dapprima sottolineato che “è compito degli enti territoriali provvedere a che sia consentito a tutte le confessioni religiose di poter liberamente esplicare la loro attività, anche individuando aree idonee ad accogliere i fedeli”,

- ha poi soggiunto che i comuni non possono “sottrarsi dal dare ascolto alle eventuali richieste in questo senso che mirino a dare un contenuto sostanziale effettivo al diritto del libero esercizio, garantito a livello costituzionale, e non solo nel momento attuativo, ma anche nella precedente fase di pianificazione delle modalità di utilizzo del territorio”.

Da altro lato, nella sentenza è stato rilevato che, come tutti i diritti, anche il diritto di culto è collegato al rispetto delle altre situazioni giuridiche che l’ordinamento riconosce e tutela. Esso, di conseguenza, “deve quindi essere esercitato nel rispetto delle regole predisposte e, quindi, non può esimersi dall’osservanza anche della normativa urbanistica che, nel suo contenuto essenziale, mira esplicitamente a contemperare i diversi possibili usi del territorio[22].

 

5a.   È a questo punto importante precisare che il giudice amministrativo ove si è interessato dei problemi urbanistici ed edilizi relativi alla realizzazione di luoghi di culto non ha distinto tra quelli a ciò destinati dalle comunità islamiche da quelli di altre confessione religiose ma ha sempre coerentemente applicato le regole e i principi dell’edilizia e dell’urbanistica.

Anche per la costruzione di un tempio-centro congressi di una confessione diversa dalla cattolica, nella specie la Congregazione dei Testimoni di Geova, da realizzare in area urbanizzata e per la quale non era prevista alcuna lottizzazione, è stato statuito che sia assentibile in diretta attuazione dello strumento urbanistico e che, costituendo pure esso un’opera di urbanizzazione secondaria, non dovesse essere soggetta agli oneri di urbanizzazione[23]. Così come è stato dichiarato illegittimo l’operato di un’Amministrazione che, pregiudizialmente, aveva rifiutato di considerare la possibilità, pur espressamente prevista dal piano regolatore, di riservare un'area per la realizzazione di un edificio di culto. Tale comportamento, per il Consiglio di Stato, si era concretizzato in un “atteggiamento se non di esercizio sviato delle proprie funzioni quanto meno non lineare ed equanime nei confronti della Congregazione dei Testimoni di Geova[24].

Anche nel caso di una ristrutturazione di un magazzino per adibirlo a luogo di riunione e di culto, comunicata con una denuncia di inizio attività (in proposito, la ricorrente associazione dei Testimoni di Geova sosteneva che l’immobile non aveva assunto “una diversa destinazione urbanistica solo perché non è più direttamente impiegato a scopo produttivi bensì di riunione degli associati, in quanto tra i possibili usi di un locale produttivo vi sarebbe la riunione d’individui, irrilevante essendo che ciò avvenga perché le persone vi svolgano un’attività produttiva o un’attività di pensiero”), è stato affermato che l’immobile aveva potuto ospitare utilmente le riunioni perché ristrutturato mediante le opere contestate, considerate nel loro complesso, e precisato che “se queste siano poi compatibili con svariate destinazioni dell’immobile è insignificante, se in concreto esse hanno consentito l’uso che se ne sta dando, e che è diverso da quello preesistente”. In definitiva, le opere poste in essere, considerate nel loro insieme, realizzavano un intervento di ristrutturazione edilizia per il quale, al tempo della sua realizzazione, era necessaria la concessione edilizia[25].

Da ultimo, è stato anche osservato che lo svolgimento di funzioni religiose in un immobile ordinariamente destinato a residenza non integra una diversa destinazione d’uso dello stesso. Precisando che un mutamento rilevante della destinazione d’uso, anche senza opere, “è quello che altera la funzione originaria dell’immobile al fine di adibirlo, in via permanente, ad una funzione diversa”, il giudice amministrativo ha puntualizzato che il proprietario di immobile pacificamente destinato a residenza è libero di esplicare molteplici attività umane, fra le quali rientra anche l’utilizzo della propria residenza per riunioni di adepti della disciplina spirituale fondata da Buddha così come per lo svolgimento saltuario di pratiche di culto. Tali attività incontrano il limite dei comportamenti illeciti, che sono sanzionati amministrativamente, civilmente e penalmente e, comunque, è sempre salva la facoltà dei vicini di “adire il giudice ordinario qualora, in relazione all’afflusso di persone e al disturbo cagionato in occasione delle suddette cerimonie religiose, si registrino immissioni moleste che eccedono la normale tollerabilità[26].

 

5b.   Infine, è doveroso anche ricordare che la discrezionalità tecnica che ha connotato l’applicazione da parte del giudice amministrativo della disciplina urbanistica ed edilizia locale non ha interessato solo la realizzazione di luoghi destinati alla pratica di culti diversi dalla religione cattolica. Merita a questo proposito essere menzionata, per tutte, la recente vicenda che ha interessato il piano regolatore del Comune di Roma, impugnato dalla Pontificia Opera Romana perché, per la realizzazione di parcheggi per gli edifici per il culto e per le opere parrocchiali, ricomprese nella categoria delle attrezzature collettive, ha previsto un carico urbanistico standard medio anziché basso. Il Tribunale interpellato ha però rilevato, all’opposto, richiamando i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità e riconoscimento di tutte le formazioni sociali intermedie, che “la riconosciuta multifunzionalità dei complessi parrocchiali e delle opere annesse”, giustifica la piena equiparazione, almeno sotto il profilo urbanistico, delle strutture religiose alle altre attrezzature collettive della categoria "servizi", unitamente alle attrezzature per lo sport, lo spettacolo, la cultura e quelle congressuali, accumunate da una omogenea necessità di standard urbanistici, e segnatamente di parcheggi pubblici e privati, ai fini del loro funzionamento e della loro fruizione anche quali “centri di aggregazione” con “funzioni educative e sociali”. Ha così precisato che appariva logico l’aver “accomunato le attrezzature culturali alle attrezzature religiose” e che ciò non determina alcun svantaggio per esse perché recepisce e conferma la loro valenza culturale. Da altro punto di vista, secondo quel Collegio “una dotazione adeguata di parcheggi pubblici e privati è funzionalmente volta a garantire il miglior funzionamento ed il massimo effetto utile di aggregazione sociale e culturale delle strutture religiose, e costituisce quindi un vantaggio e non uno svantaggio per gli scopi dichiaratamente perseguiti dalle strutture religiose, favorendo la loro interrelazione ed il loro contatto con la realtà urbana e con i suoi abitanti[27].

 

6.   Le problematiche connesse alla regolamentazione dei luoghi di culto islamici sono state recentemente analizzate dal Comitato per l’Islam Italiano, che opera presso il Ministero dell’Interno[28], il quale lo scorso 27 gennaio 2011 ha espresso un parere in proposito.

Dopo aver analizzato i disegni di legge depositati nelle due Camere del Parlamento nel corso della corrente XVI legislatura che si prefiggono, sia pure diversamente fra loro, di disciplinare la realizzazione di nuovi edifici di culto, e preso atto che di nessun testo era stata calendarizzata la discussione, il Comitato ha voluto indicare con urgenza alcuni criteri per evitare che “la proliferazione di luoghi di culto al di fuori delle regole dia luogo a incomprensioni con la popolazione circostante, nonché a fenomeni di disturbo alla quiete pubblica che genera a sua volta conflittualità”.

L’analisi della principale giurisprudenza amministrativa intervenuta sull’utilizzo improprio di locali per le esigenza del culto, ha indotto il Comitato ha censurare la “pratica di utilizzare costruzioni per attività diverse da quelle per le quali sono state realizzate, quando non tenga conto delle leggi sul governo del territorio” in quanto essa non può “essere considerata legittima soltanto perché riguarda in generale il legittimo diritto al culto”.

Il Comitato ha poi dato alcuni suggerimenti, precisando che si tratta “dell’incoraggiamento all’emersione della realtà sommersa, all’interno di un’opera di persuasione, non di repressione o schedatura, che induca a cessare la pratica di mascherare luoghi di culto dietro attività culturali, ricreative, sportive o commerciali”.

Relativamente alle procedure edilizie e urbanistiche, alle norme di sicurezza e di gestione, e dell’ordine pubblico, a detta del Comitato i luoghi di culto islamici dovranno fare riferimento esclusivo alla normativa nazionale e locale vigente. Perciò, “gli edifici dovranno essere costruiti in totale conformità con la normativa edilizia e urbanistica e, dunque, previa approvazione dell’ufficio tecnico del Comune”. Essi dovranno essere inseriti in zona urbanistiche compatibili con la destinazione d’uso di “pubblico interesse” o luogo di culto”. La comunità islamica deve individuare l’area per l’edificazione del luogo di culto con le idonee caratteristiche urbanistiche - facendosi anche carico del suo acquisito - e presentare il progetto all’ufficio tecnico del Comune che lo esamina e ha facoltà di proporre soluzioni alternative. Il progetto dovrà corrispondere a criteri di estetica e decoro, anche in relazione all’entità del bacino d’utenza, e deve essere conforme alle vigenti norme urbanistico edilizie nonché a quelle in materia di igiene, sanità, sicurezza e ordine pubblico. A tale fine deve essere prevista anche la possibilità di parcheggio delle automobili in misura adeguata all’affluenza dei fedeli.

Sulla base di questi presupposti il Comitato ha auspicato che le amministrazioni locali predispongano, all’interno delle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori generali, apposite zone destinate ai servizi di quartiere, tra cui sia specificamente prevista la categoria per le “attrezzature religiose”.

I luoghi di culto così realizzati, secondo il Comitato devono essere “aperti a tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e devono “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano[29].

 

7.   In conclusione, non si può non osservare come la stipulazione nel testo della Costituzione del diritto fondamentale di libertà religiosa non comporta anche l’esistenza delle relative garanzie perché la codificazione sovraordinata impone al Legislatore la produzione di apposite leggi di attuazione (quali l’adozione di una legge organica in materia di libertà religiosa[30] e l’approvazione delle intese stipulate su base contrattualistica tra il Governo italiano e le rappresentanze delle confessioni religiose[31]) e all’Amministratore l’adozione di atti a garanzia secondaria del diritto (fra cui, per quanto qui di interesse, la pianificazione urbanistica di compimento che individui le zone idonee ove edificare gli edifici di culto).

Dalla mancata introduzione di tali atti normativi in attuazione e in garanzia del diritto di libertà religiosa consegue “l’ineffettività strutturale” di esso la quale, come è stato autorevolmente sottolineato, “è irreparabile per via giudiziaria[32].

Da ciò la costante violazione del principio di uguaglianza da parte della politica - che sino ad oggi ha respinto l’obbligo di conformarsi alla logica costituzionale pluralistica - ma anche della cultura giuridica, che deve farsene carico denunciando l’illegittimità di tali carenze della struttura dell’ordinamento italiano.

 



[1] La Corte costituzione ha precisato che compete allo Stato garantire “la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Cfr., sentenza 12.4.1989, n. 203.

[2] “La formula di tale articolo non potrebbe, in tutti i suoi termini, essere più ampia, nel senso di comprendere tutte le manifestazioni del culto, ivi indubbiamente incluse, in quanto forma e condizione essenziale del suo pubblico esercizio, l'apertura di templi ed oratori e la nomina dei relativi ministri”. Cfr., Corte costituzione 24.11.1958, n. 59.

[3] L’art. 1 del R.D. 28.2.1930, n. 289, per l'apertura di templi e di oratori dei culti ammessi statuiva l'obbligo dell’autorizzazione, da rilasciare con decreto del Presidente della Repubblica previa istanza “corredata dei documenti atti a provare che il tempio od oratorio è necessario per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli ed è fornito di mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione”. Rappresentando detta autorizzazione un presupposto “necessario per l'apertura del tempio, in quanto mezzo per una autonoma professione della fede religiosa, al di fuori dei rapporti con lo Stato”, la relativa previsione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale alla luce dei principi di cui agli artt. 8 e 19 della Costituzione. Cfr., sentenza 24.11.1958, n. 59. Con la stessa pronuncia la Corte ha dichiarato illegittimo anche l’art. 2 dello stesso R.D., laddove sottoponeva l'esercizio della facoltà di tenere “cerimonie religiose e di compiere altri atti di culto” negli edifici aperti al culto alla condizione che “la riunione sia presieduta o autorizzata da un ministro di culto la cui nomina sia stata approvata” dal Ministro competente, condizione che è stata ritenuta in contrasto con la libertà ampiamente garantita dall'art. 19 della Costituzione.

[4] Cfr., art. 16, comma 8, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

[5] Sul punto vale segnalare la recente sentenza del T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.10.2011, n. 1139, che ha dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione e di interesse l’impugnativa del permesso di costruire presentata da alcuni esponenti politici che non avevano dimostrato l’esistenza né di “uno stabile collegamento territoriale con il luogo interessato dall’intervento edilizio” né di “alcun pregiudizio ai loro interessi”.

[6] Stefano Allievi, La Guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso, Marsilio, Padova 2010 - Ricerca comparativa sulla presenza islamica in Europa, le moschee e i conflitti insorti attorno a esse (Conflicts over Mosques in Europe. Policy Issues and Trends, NEF Initiative on Religion and Democracy in Europe, Alliance Publishing Trust, Londra 2009).

[7] Etnobarometro è un network di centri di ricerca europei creato nel 1997 promosso dal Consiglio Italiano per le Scienze Sociali (CSS) e organizzato in collaborazione con il Centre for European Migration and Ethnic Studies (CEMES). E’ finanziato dalla Commissione dell’Unione Europea, dalla Compagnia di San Paolo, dalla Fondazione Adriano Olivetti, dalla Charles Stuart Mott Foundation, dalla European Cultural Foundation e dalla King Baudouin Foundation. Tra i suoi scopi rientra il monitoraggio delle relazioni etniche in Europa e la pubblicazione di rapporti periodici sullo stato delle relazioni tra le minoranze territoriali e le comunità di immigrati da una parte e le popolazioni e i Governi dei Paesi nei quali queste risiedono dall’altra.

Il Network of European Foundations for Innovative Cooperation (NEF) è un’organizzazione internazionale no profit, con sede a Bruxelles (www.nef-europe.org), che sviluppa progetti e iniziative tra fondazioni e altre strutture filantropiche organizzate.

[8] Cfr., T.A.R. Lazio, sez. II, 11.6.1980, n. 432.

Anche il T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.10.2011, n. 1139, ha precisato che l’“attività di culto” rientra nelle “attività di servizio”, ed ha pertanto ritenuto che l’edificazione di un edificio per il culto islamico fosse urbanisticamente compatibile in un’area destinata a servizi pubblici.

[9] Cfr., T.R.G.A. Trento, 7.5.2009, n. 150.

[10] Cfr., T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 26.11.2009, n. 792 e T.A.R. Lombardia, Milano, 24.11.2006, n. 2845.

[11] Sulla necessità di inquadrare correttamente gli elaborati tecnici, cfr., anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 23.9.2010, n. 6415, che ha annullato un diniego di sanatoria precisando, previa analisi della natura e della tipologia delle opere effettuate, che gli interventi eseguiti non integravano, surrettiziamente, un luogo di culto ma che costituivano la manutenzione straordinaria della sede di un’associazione per l’integrazione e l’inserimento degli immigrati. Il fatto che la stessa fosse anche l’emanazione di una confessione religiosa per il Tribunale non ha assunto alcun rilievo, “non potendo dedursi dalla natura e dall’orientamento religioso del proprietario di un immobile la volontà di imprimere ad esso una particolare destinazione d’uso”.

[12] Cfr., C.d.S., sez. IV, 28.1.2011, n. 683. La suddivisione degli spazi, secondo il Giudice d’appello, rende “palese, in termini quantitativi, la reale e principale funzione svolta dall’edificio, per cui non è sostenibile che la destinazione ad esercizio del culto rivesta un ruolo meramente secondario e non incida sulla principale destinazione dell’immobile”.

[13] Cfr., C.d.S., sez. IV, ord. 10.5.2011, n. 2008, ove è stato accertato, sulla base dei verbali di accesso della polizia locale, che un’immobile utilizzato da un’associazione islamica non era utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto.

[14] L’Associazione della comunità islamica aveva dichiarato che nella Provincia di Trento svolgeva numerose attività a favore di oltre 10.000 persone. Cfr., T.R.G.A. Trento, 9.6.2011, n. 169 e C.d.S., sez. IV, 4.11.2011, n. 4854, che ha sospeso l’esecutività della predetta sentenza.

[15] Cfr., C.d.S., sez. IV, 14.12.2004, n. 8026, ove è stato precisato che se il piano regolatore prevede per un’area la destinazione a "residenza" e ad "attività terziarie e ricettive ed altre minori", ma non anche ad "attrezzature pubbliche o collettive", non è possibile che in essa possa essere realizzato un edificio di culto che rientra tra le attrezzature "pubbliche" o "collettive" per la cui realizzazione devono essere riservate "adeguate aree", individuate in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali.

[16] Cfr., il comma 3 bis dell’art. 52 della l.r. della Lombardia 11.3.2005, n. 12 (legge per il governo del territorio), come aggiunto dalla l.r. 14.7.2006, n. 12.

[17] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 14.9.2010, n. 3522.

Cfr., anche T.A.R. Lombardia, Milano, 28.12.2009, n. 6226 e C.d.S., sez. IV, 27.11.2010, n. 8298.

Sull’applicazione della stessa normativa regionale si veda anche l’ordinanza cautelare del T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 23.6.2011, n. 585.

[18] Cfr., C.d.S., sez. IV, 27.10.2011, n. 5778.

[19] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 23.6.2010, n. 2378.

La pronuncia ha soggiunto che la destinazione dei luoghi di culto all’aperto “non è costante e oggettivamente rilevabile come quella impressa a un edificio. Viene piuttosto in rilievo una libera attività di soggetti che hanno le medesime convinzioni. Tale attività non è resa possibile ma soltanto agevolata dalla sistemazione dello spazio verde, elemento che di per sé non determina un particolare impatto sul piano edilizio”. Per la particolare fattispecie di causa, un giardino costituito da aree verdi, viali, recinzioni, sottoservizi tecnologici e statue amovibili, in quanto intervento edilizio di interesse privato, il Tribunale ha ritenuto inoltre che si potesse prescindere dalla programmazione comunale delle infrastrutture religiose prescritta dall’art. 72 della richiamata l.r. n. 12 del 2005.

[20] Cfr., Armando Pozzi “Crocifisso, tra giudici italiani ed europei, tra tolleranza ed integralismo, tra politiche di accoglienza e di respingimento”, pubblicato in GiustAmm il 6.5.2011

[21] Cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 14.9.2010, n. 3522.

[22] Che, in genere, le fattispecie sottoposte all’esame della giustizia amministrativa riguardino questioni “puramente urbanistiche, dovendosi definire la legittimità o meno dei cambi di destinazione d’uso di edifici originariamente adibiti ad altro”, e non abbiano per oggetto la libertà di culto, la quale “potrà trovare altre più idonee occasioni di espressione”, è stato affermato dal Consiglio di Stato anche nella pronuncia della sez. IV, 27.7.2010, n. 4915, con la quale è stata confermata la sentenza del T.R.G.A. Bolzano, 30.3.2009, n. 116.

[23] Cfr., C.d.S., sez. V, 1.6.1992, n. 489. Cfr., anche T.A.R. Veneto, sez. II, 11.5.1987, n. 401, per il quale “la costruzione di un edificio di culto della religione dei Testimoni di Geova costituisce un'opera di urbanizzazione secondaria, secondo la classificazione di cui alla l. 29.9.1964, n. 847, ossia un edificio religioso, e ciò anche a prescindere dalla natura del soggetto richiedente”.

[24] Cfr., C.d.S., sez. V, 13.12.2005, n. 7078.

[25] Cfr., T.A.R. Veneto, sez. II, 10.7.2009, n. 2191.

[26] Cfr., T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17.9.2009, n. 4665. Nel ricorso si sosteneva che tutte le domeniche, ma talvolta anche in giorni infrasettimanali, in casa e nel giardino si svolgevano funzioni religiose, alle quali partecipavano numerose persone, con preghiere e canti in lingua orientale accompagnati da strumenti musicali. Anche un apposito sito internet dava conto dell’esistenza del tempio buddista con testimonianze di fedeli che descrivevano le cerimonie. Tale uso improprio, a detta del ricorrente, recava disturbo alla sua famiglia “costretta ad assistere a riti di una religione estranea alle loro convinzioni”.

[27] Cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 1.3.2010, n. 3175.

Nel piano regolatore del Comune di Roma erano stati uniformati gli standard dei parcheggi per tutti i servizi pubblici di livello locale al parametro di 1 mq./5 mq. Sul. La ricorrente lamentava l’irragionevolezza della disciplina in quanto nelle sue strutture lavorava un numero contenuto di soggetti e perché le stesse, essendo notorio che vi si accede a piedi, operavano negli ambiti territoriali limitati di quartiere.

[28] L'organismo collegiale, con funzioni consultive e di proposta, è stato istituito l’11 febbraio 2010 ed è composto da 19 membri di nazionalità diverse esperti di religioni e del mondo islamico. Il Comitato, dichiaratamente, non ha pretese di rappresentatività della complessa comunità islamica presente in Italia. Secondo il decreto istitutivo, il Comitato ha la funzione di fornire “elementi concreti per i temi legati all’immigrazione, con particolare riguardo all’integrazione e all’esercizio dei diritti civili, e per assicurare una migliore convivenza nella società italiana”; a tale scopo esprime “pareri e proposte su specifiche questioni indicate dal Ministro con l’obiettivo di migliorare l’inserimento sociale e l’integrazione delle comunità musulmane nella società nazionale, anche nell’ottica di sviluppare la coesione e la condivisione di valori e diritti nel rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica”. L’attività del Comitato è reperibile al seguente indirizzo: www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/religioni/

[29] Il testo integrale del parere è reperibile al seguente indirizzo:

www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/20/0457_Luoghi_di_culto_islamici_-_Parere_del_Comitato_per_lxIslam_Italiano.pdf

[30] Per i culti per i quali non è stata ancora stipulata un’intesa continua ad applicarsi la legge 24.6.1929, n. 1159, e il R.D. 28.2.1930, n. 289, i quali hanno “cessato di avere efficacia e applicabilità esclusivamente nei confronti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che hanno stipulato con lo Stato italiano intese trasfuse in leggi, ma non nei confronti delle altre associazioni religiose che non abbiano stipulato alcuna intesa con lo Stato italiano”. Cfr., C.d.S., sez. VI, 17.4.2009, n. 2331.

[31] Con riguardo all’esplicazione del diritto di libertà religiosa, lo strumento dell’intesa è stato analizzato dalla Corte costituzionale laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle leggi delle regioni Abruzzo e Lombardia che prevedevano l’erogazione di contributi finanziari per l’edilizia di culto esclusivamente alla Chiesa cattolica e alle confessioni i cui rapporti con lo Stato erano regolati sulla base di intese. La Suprema Corte ha precisato che l’ente pubblico può differenziare il trattamento economico delle diverse confessioni religiose, a seconda della loro presenza organizzata sul territorio del comune, ma che non può costituire motivo di discriminazione il fatto che una confessione religiosa non abbia concluso con lo Stato un'intesa. Tale differenziazione violerebbe il principio della parità di trattamento e della "eguale libertà di culto" sancito dall’art. 8 Cost. e recherebbe pregiudizio all'esercizio in concreto del “diritto fondamentale e inviolabile a professare la propria fede religiosa” stabilito dall'art. 19 Cost. Pertanto, “la stipulazione di un'intesa costituisce una mera facoltà, e non un obbligo, mentre per tutte le confessioni religiose - senza distinzioni - vale il principio di eguale libertà di fronte alla legge”. Cfr., sentenze 27.4.1993, n. 195 e 16.7.2002, n. 346.

[32] In questo senso si veda la distinzione tra ineffettività contingente e ineffettività strutturale posta da Luigi Ferrajoli, “Diritti fondamentali. Un dibattito teorico” a cura d E. Vitale, Laterza, Bari 2001.