Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
17 gennaio 2012)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti pag. 2
o
Politiche
dell’immigrazione: con la crisi si cambia pag. 2
o
Sindacato: proposte
delle parti sociali al Governo pag. 2
o
Sindacato – Uil:
“portare ad un anno il permesso per ricerca occupazione”
pag. 3
o
Sindacato – Uil:
“allarme permessi di soggiorno” pag. 4
o
Società – Il
governo tecnico dell’immigrazione pag. 4
o
Società – Entra
a breve in vigore il permesso a punti pag. 5
o
Società: Africani da Rosarno
a Roma pag. 6
o
Società: quanto costa
il fisco alle famiglie straniere pag. 7
o
Sentenze- Tribunale di
Milano a favore di stranieri nel servizio civile pag. 8
o
Europa: lavoratori
extra UE: arriva il permesso unico pag. 9
o Foreign Press: the next
immigration challenge pag.11
A cura del
Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna ad
uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento
Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 19 gennaio 2012, ore 10 - 13, Palazzo Marini Sala delle Colonne
Ital - Convegno “Dall’integrazione
alla coesione. E’ permesso! ”
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela
Scalzo)
Roma, 20 gennaio 2012, ore 09.00, Uil
Nazionale, Sala Sommovigo (5° piano)
Riunione di coordinamento Tavolo
Immigrazione
(Giuseppe Casucci)
Bruxelles, 2 febbraio 2012, ore 10.00,
sede CES
Riunione del “Migration and
Inclusion Working Group” su migrazione e cooperazione
(Giuseppe Casucci)
Di Guglielmo Loy, Segretario
Confederale UIL
Roma, 12
gennaio 2012 - La UIL accoglie con soddisfazione l’idea del Ministro Riccardi
di portare ad un anno la durata del permesso di soggiorno per attesa
occupazione, concesso agli immigrati che perdono il lavoro. E’ un’idea ispirata
al buon senso, vista la gravità della crisi economica che ha già colpito
centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, anche per evitare che essi
cadano nella spirale dell’irregolarità e dell’assenza di diritti. Molti di
loro, va ricordato, godono di ammortizzatori sociali che sono reddito legittimo
utile per il rinnovo del permesso stesso. Il sindacato, e la UIL in
particolare, chiedono questa misura al Governo da almeno tre anni. Vale la pena
di ricordare che l’art. 22 del Testo Unico sull’immigrazione prevede, in caso
di perdita del posto di lavoro di un immigrato, la concessione di un permesso
per attesa occupazione “non inferiore a sei mesi”. Basterebbe, dunque, una
semplice circolare per chiarire alle questure che i sei mesi sono una base, e
non un tetto, alla durata del permesso stesso.
Società
Allarme
permessi di soggiorno
di Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL
Roma, 13 gennaio 2012 - Bene ha fatto
il Governo ad introdurre massicciamente l’autocertificazione amministrativa
imponendo dal 1° gennaio alle Amministrazioni Pubbliche di non rilasciare più
certificati. Purtroppo come al solito non si è tenuto conto dello stato attuale
dell’incrocio dei dati tra le Pubbliche Amministrazioni. E non si è altresì
tenuto conto che giustamente per i titoli di soggiorno dei cittadini stranieri non bastano le
autocertificazioni da loro prodotte. Difatti i tribunali non rilasciano più
certificati di carichi pendenti, i Comuni non rilasciano più certificati di
idoneità alloggiativa, le Università non rilasciano più i certificati di
iscrizione e superamento d’esami. Per cui non potendo le Questure accedere
d’ufficio per via informatica nelle banche dati di altre Amministrazioni
Pubbliche, seguiranno l’iter solito dell’invio di richiesta per corrispondenza,
anche telematica, che produrrà un ritardo non ancora quantificabile ma
sicuramente notevole nel rilascio dei permessi di soggiorno vanificando così 5
anni di impegni tra Ministero dell’Interno, Sindacati e Patronati per ridurre i
tempi. La UIL si rivolge al Ministro della Semplificazione Filippo Patroni
Griffi perché almeno per quanto riguarda i permessi di soggiorno ancora per un
anno, tempo utile per costruire gli accessi incrociati alle banche dati, le
Pubbliche Amministrazioni concedano i certificati necessari agli immigrati.
Il governo tecnico dell’immigrazione
Di
Gianluca Luciano, http://www.stranieriinitalia.it/
Roma, 16
gennaio 2012 - Dice stop al decreto flussi, lasciando però aperto il problema
della regolarizzazione, ma vuole anche cambiare gli ingressi per lavoro. Messe
da parte le ideologie, potrebbe riformare la legge sulla cittadinanza, ma anche
riflettere sull’attuabilità dell’ accordo di integrazione
Roma –
16 gennaio 2012 - Partito in sordina durante il Governo Berlusconi, il governo
tecnico dell'immigrazione sembra ormai prender piede. La decisione di
prolungare fino ad un anno la durata del permesso di soggiorno per ricerca di
lavoro, nonché quella di rivedere la tassa per il rinnovo del permesso di
soggiorno rendendola più equa, vanno in questa direzione. Ma il banco di prova
decisivo è il decreto flussi 2012. L'indicazione "tecnica" di non procedere con il
decreto flussi, già formulata lo scorso anno, ma smentita dalla
"politica", questa volta sembra reggere alle pressioni. La crisi
economica è stata presa a pretesto per sostenere che non c'è bisogno di nuovi
lavoratori stranieri, basandosi su di un sistema per rilevare le richieste di
lavoro di imprese e famiglie sulla cui piena efficienza ci permettiamo di
sollevare qualche dubbio. Parlo di pretesto perché il decreto flussi è stato
sempre considerato uno strumento improprio eppure efficace per mettere in
regola la posizione di centinaia di migliaia di lavoratori immigrati già
presenti in Italia senza un permesso di soggiorno. L'ambizione dei tecnici dei
Ministeri del Welfare e degli Interni è però scrivere la parola fine
sull'ingloriosa storia del decreto flussi. Mai più si dovrà affidare la
sorte di milioni di vite (dal 1998 a oggi sono stati autorizzati circa 2
milioni di ingressi) a "una giornata in cui gli extracomunitari si
mettono all'alba davanti a un computer per cercare di trovare un posto"!
Finalmente, verrebbe da aggiungere... Aspettiamo di conoscere le modalità
"tecniche" con cui si intenderà consentire l'accesso in Italia agli
immigrati che il mercato del lavoro richiede: ci sono molti esempi, più o meno
di successo, in Europa e negli USA, a cui ispirarsi. Comunque vada a finire, il
solo provare qualcosa di nuovo è un valore in un mondo da sempre uguale a se
stesso ed è singolare notare come ciò accada proprio quando la
"politica" si è ritirata nelle sue segreterie. Resta il problema
"politico" dei 500 mila clandestini già presenti in questo momento in
Italia, che difficilmente potranno attendere i tempi lunghi del varo di un
nuovo sistema. La sanatoria sarebbe la giusta soluzione, ma la tesi per cui un
provvedimento del genere produce un numero di clandestini più o meno pari a
quello che "assorbe" sembra essere, ad oggi, preponderante. L'esito,
tuttavia, non è scontato, visto che una sanatoria "per ragioni
umanitarie" non è mai da escludere in un Paese come il nostro.
Intanto salutiamo con piacere l'inedito tentativo di "governo
tecnico" di un'immigrazione che fino ad oggi si è governata da sé. Questo
potrebbe contribuire finalmente a de ideologizzazione la questione, aprendo
anche la strada ad una storica riforma della legge sulla cittadinanza per i
minori stranieri (e per i loro genitori). E potrebbe aprire le strade a molte
altre domande “tecniche”, ad esempio sull'attuabilità dell'accordo di
integrazione.
Roma, 13 gennaio 2012- Stanchi di essere
sfruttati nei campi per pochi euro al giorno, ricattati dai caporali per il
permesso di soggiorno, costretti a vivere in casolari diroccati, duecento
braccianti africani hanno lasciato i campi a Rosarno e sono arrivati a Roma.
Due i presidi nella capitale, il primo davanti al ministero dell'Agricoltura e
il secondo in piazza Esquilino, vicino al ministero dell'Interno. La loro
rivolta di due anni fa contro la 'ndrangheta e il caporalato ha portato dei
cambiamenti per i rosarnesi, che allora vivevano in un comune commissariato per
mafia e oggi hanno un sindaco, Elisabetta Tripodi, sotto scorta per le sua
azioni contro le cosche. Ma per i 1500 lavoratori africani impiegati negli
agrumeti della Piana di Gioia Tauro le condizioni di vita non sono migliorate. "No al lavoro nero, allo
sfruttamento, alla schiavitù", "il sudore è lo stesso anche se il
colore della pelle è diverso" e "il vostro made in Italy è macchiato
del nostro sangue" sono gli striscioni che hanno srotolato. "Signor
ministro, esci a guardarci in faccia - urla dal megafono M.
ivoriano - siamo quelli che lavorano a Foggia, Rosarno e Brindisi, è lì
che dovete andare a lavorare". Un ragazzo senegalese, Lamine, racconta:
"la vita è difficile perché dobbiamo accettare 20 euro al giorno, pagare
il trasporto e il capo italiano non ci rispetta". Diallo è un lavoratore
della Guinea, da tanti anni in Italia. "Se ci mandano i container non ci
aiutano, non ha senso dopo che ci
hanno tolto i documenti, con il permesso di soggiorno possiamo affittare una
casa e avere un lavoro in regola - dice - scrivi anche il mio
nome, non ho paura: se vado in galera per un reato è un male, ma se vado in
galera per una cosa giusta, per me è un bene". Diallo ha in tasca anche
una qualifica per fare le bolle di spedizione delle arance. "Tanti
agricoltori sono analfabeti e così posso aiutarli", spiega.
In piazza con i lavoratori subsahariani anche le associazioni Africalabria ed
Equosud che hanno lanciato "Sos Rosarno" una vendita di arance e olio
solidali mediante i gruppi di acquisto. Grazie alla campagna, che il 18 gennaio
sarà a Budrio (Bo), quattro lavoratori africani hanno ottenuto un lavoro in
regola e una paga equa di 40 euro al giorno. Ibrahim e Boubaker, due di loro,
erano in piazza con gli altri per protestare contro il circuito di
sfruttamento, favorito dalla legge sull'immigrazione che lega il diritto alla
permanenza sul territorio nazionale al possesso di un contratto di lavoro.
Quest'anno sono molti gli africani con accento del nord in provincia di Reggio
Calabria. Lavoravano a Cuneo, Treviso, Brescia e hanno perso l'occupazione con
la crisi, costretti a riciclarsi in agricoltura. "Pensiamo che oggi si debba
arrivare a una modifica dell'articolo 18 del Testo unico sull'Immigrazione per
chi denuncia lo sfruttamento e la criminalità - spiega l'avvocato
Arturo Salerni, dell'associazione 'Progetto Dirittì che appoggia la battaglia
dei braccianti stranieri - la regolarizzazione per grave
sfruttamento favorisce l'emersione e una sanatoria porterebbe a un
recupero contributivo e fiscale". Soldi che entrano nelle casse dello
Stato al posto dei costi esorbitanti spesi per i rimpatri attraverso la
reclusione dei migranti senza permesso di soggiorno nei Centri di
identificazione e di espulsione. Un sistema inefficace, visto che è molto
difficile ottenere il rimpatrio nei paesi subsahariani. "Non si può
pensare di lasciare la gente nell'irregolarità e nella disperazione, bisogna
adeguare la legge" dice Salerni.
La maggiore tassazione
riguarderà più le imposte sui consumi che sul reddito
Le tre manovre
fiscali susseguitesi da quest’estate prevedono un aggravio per i bilanci delle
famiglie straniere che, a regime, sarà pari a quasi una mezza mensilità
all’anno: se nel 2012 la maggiore tassazione sarà attorno ai 300 €, nel 2014
(quando entreranno a regime tutte le disposizioni di legge) si stima un esborso
di 438 € per una famiglia mononucleare e di 578 € per una famiglia di quattro
componenti. Questo il risultato di un’indagine della Fondazione Leone Moressa,
che attraverso un modello appositamente elaborato, ha analizzato nel dettaglio
l’impatto fiscale che le singole manovre comporteranno nel quadriennio
2011-2014 per i bilanci di due famiglie straniere tipo.
Famiglia
straniera con 1 componente. Per una famiglia costituta da una sola
persona si calcola un incremento dell’imposizione fiscale complessiva di
106 € per il 2011, di 260 € per il 2012, di 399 € per il 2013 e di 439 € nel
2014. In particolare, l’aumento di 48,5 € all’anno delle addizionali regionali Irpef,
pesa soprattutto sulla maggiore tassazione del 2011 (45,5% della maggiore
tassazione), mentre l’incremento delle aliquote
Iva, che nel 2011 fanno aumentare la tassazione di appena 10 €, nel 2014
arriva a ben 237 €, pesando per il 54,1% degli incrementi complessivi delle imposte.
L’aumento dell’accise sul carburante comporterà
un aggravio di 90 € dal 2012, mentre 26 € annui verranno versati sin dal 2011
per l’imposta sulle assicurazioni
Rc Auto. L’incremento delle addizionali
comunali Irpef giungerà a 55
€ dal 2012, mentre il tributo
comunale sui servizi e sui
rifiuti subirà, solo dal 2013, una maggiorazione di 18 €. Per le esigue somme
di denaro depositate in conto corrente le famiglie straniere verranno invece
esentate dal pagamento dell’imposta di bollo (-34 €) e non saranno toccate
neppure dall’introduzione dell’Imu dal
momento che vivono per la maggior parte in affitto.
Famiglia
straniera con 4 componenti. Una famiglia straniera monoreddito composta
da padre, madre e due figli a carico, subirà una maggiorazione delle imposte
che parte dai 119 € del 2011, per arrivare ai 317 € del 2012, ai 519 € del
2013, fino ai 578 € del 2014. Anche in questo caso, se nel 2011 è l’addizionale
regionale Irpef che determina l’aumento di tassazione maggiore (+53,5 €), dal
2012 sarà invece l’addizionale comunale a far registrare il maggiore esborso
(+60,6 €). Per quanto riguarda l’incremento delle aliquote Iva, nel 2011
l’impatto è ancora limitato (+18 €), mentre negli anni successivi si farà via
via più pesante: +123 € nel 2012, +305 € nel 2013 e +365 € nel 2014, anno in
cui la maggiorazione arriverà a corrispondere al 63,1% dell’incremento
complessivo della tassazione. Anche per questa famiglia, ma solo dal 2013, vi
sarà anche il tributo comunale sui servizi e sui rifiuti (+19,5 €). Per il possesso
e l’utilizzo dell’automobile questa famiglia subirà il medesimo incremento
calcolato per la famiglia con 1 componente, così come non dovrà versare né
imposta di bollo sul conto corrente né l’imposta sulla casa perché in affitto.
“Le tre
manovre fiscali emanate negli ultimi mesi (quella di Luglio e di Ferragosto dal
Governo Berlusconi e di Dicembre dal Governo Monti)”affermano i
ricercatori della Fondazione Leone Moressa “non
hanno risparmiato i già precari bilanci delle famiglie straniere. Nei prossimi
tre anni la maggiore tassazione sarà determinata prevalentemente
dall’imposizione indiretta più che da quella diretta: infatti ad impattare di
più non è tanto la tassazione sui livelli di reddito (che risultano già bassi),
quanto piuttosto sui livelli di consumo, determinati dall’aumento delle accise
sul carburante e delle aliquote Iva. Non essere proprietari di alcun immobile e
disporre di un livello di risparmio esiguo, consente comunque agli stranieri di
essere esentati dall’introduzione dell’Imu e dell’imposta di bollo sul conto
corrente. Nonostante ciò, le nuove disposizioni fiscali eroderanno una mezza
mensilità all’anno in nuove tasse, intaccando non solo il risparmio, ma
ridimensionando anche i consumi delle famiglie straniere già contenuti”.
Sentenze
Milano, 12
gen. (Adnkronos) - Anche i cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia,
e come tali appartenenti ''in maniera stabile e regolare alla comunità '',
debbono poter avere ''il dovere di difesa della Patria quale dovere di
solidarietà politica, economica e sociale'' previsto dalla Costituzione.
Escluderli quindi dal servizio civile in quanto privi della cittadinanza
italiana e' discriminazione. E' il ragionamento con cui il giudice Carla
Bianchini, del tribunale del Lavoro di Milano, ha accolto oggi il ricorso
presentato lo scorso ottobre da uno studente pakistano di 26 anni a cui era
stata respinta, pur essendo residente in Italia da 15 anni, la domanda di
partecipazione al ''bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in
progetti di servizio civile In Italia e all'estero'' pubblicato il 20 settembre
2011.
Il ragazzo
era stato respinto perché privo del requisito della cittadinanza italiana. Ma
oggi il giudice ha dichiarato ''il carattere discriminatorio'' del bando e ha
ordinato ''alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio nazionale per
il servizio civile di sospendere le procedure di selezione, di modificare il
bando (...), consentendo l'accesso anche agli stranieri regolarmente
soggiornanti in Italia e di fissare un nuovo termine per le domande''.
Il vicecomandante
della polizia municipale ordina una schedatura degli esercizi commerciali
etnici. “Creano gravi disagi e danno lavoro ai clandestini”.
Roma –
17 gennaio 2012 - Altro che auto
in doppia fila o in divieto di sosta, i vigili romani hanno una nuova missione:
schedare i negozi gestiti da immigrati, a cominciare dalle rivendite di frutta
e verdura. A sguinzagliarli per le vie della capitale è stato il vicecomandante
Antonio Di Maggio, che il 3 gennaio ha inviato una circolare ai diciannove
gruppi di polizia municipale con questo oggetto: "Individuazione esercizi
commerciali tipo frutterie etniche". Di Maggio spiega che "l’ ufficio
del delegato del sindaco per le politiche della sicurezza ritiene fondamentale,
ai fini della predisposizione di piani per il controllo del territorio,
ricevere informazioni dettagliate, riguardanti i dati completi delle attività
commerciali, gestite prevalentemente da persone originarie dei paesi del Nord
Africa, che creano gravi disagi ai cittadini residenti negli edifici limitrofi
alla loro ubicazione, occupando spazi pubblici abusivamente, creando rumori
molesti, disagi al traffico e, cosa ancor più grave, utilizzando come
manodopera cittadini stranieri che soggiornano illegalmente nel Paese".
L’opposizione
va all’attacco. Il consigliere del PD Massimiliano Valeriani parla di
"schedatura etnica di hitleriana memoria". La circolare dimostrerebbe
che “Roma Capitale non fa i controlli amministrativi su tutti gli esercizi
commerciali ma solo su alcune tipologie ben precise”. Il presidente del X
municipio Sandro Medici rincara la dose: “È una iniziativa di spregevole
razzismo: piuttosto che prendersela con i fruttivendoli, l'amministrazione
dovrebbe far ispezionare le sale scommesse e i negozi di comprooro, attività
attraverso cui si alimenta il riciclaggio, l'usura e gli affari sporchi delle
mafie".
Europa
Bruxelles, 11
gennaio 2012 - Basterà presto un solo documento <per l’impiego e per il
soggiorno> ai lavoratori extracomunitari legalmente residenti nell’Unione
europea. E riconoscerà loro gli stessi diritti sociali dei cittadini
comunitari. A sorpresa la norma del Permesso Unico è stata votata
dall’Europarlamento lo scorso 14 dicembre. È passata la versione più inclusiva
del provvedimento, che ha raccolto l’adesione dei socialisti, degli ecologisti
e, contro tutti i pronostici, anche dei liberali, una parte dei quali si è
sganciata dall’accordo con i popolari.
Due anni di
tempo per ratificarlo
Passato senza
modifiche in Consiglio europeo (cioè il tavolo dei 27 governi dell’Unione),
entrerà in vigore anche nella legislazione italiana: il Parlamento di Roma avrà
2 anni di tempo per ratificarlo. A farlo sono chiamati 24 Stati UE e non 27,
perché al nuovo provvedimento non hanno aderito Gran Bretagna, Irlanda e
Danimarca. Non si tratta di un permesso valido su tutto il territorio
dell’Unione. Ogni Stato membro avrà diritto di regolare il flusso di lavoratori
extracomunitari, ma le autorità nazionali saranno obbligate a rispondere a una
richiesta di Permesso Unico entro 4 mesi, motivandola, e riducendo le
incertezze, l'iter amministrativo e i tempi d'attesa per i cittadini dei Paesi
terzi. Una volta rilasciata la nuova carta, al lavoratore immigrato non dovrà
essere chiesto nessun altro documento. “Si tratta di dare valore e
riconoscimento al contributo degli immigrati nei nostri Stati membri” ha detto
il Commissario agli Affari interni, la svedese Cecilia Malmström. Il Permesso
Unico riconoscerà loro i diritti alla rappresentanza sindacale, alla sicurezza
sociale e alla formazione professionale che finora li dividevano dai colleghi
comunitari. Potranno avere accesso a beni e servizi, inclusi gli alloggi
sociali (con restrizioni fissate dagli Stati). Avranno inoltre pari trattamento
nel riconoscimento di qualifiche professionali e accademiche, per la
tassazione, per i sussidi di disoccupazione e il trasferimento della pensione.
“Questa direttiva semplifica la vita agli immigrati. È un passo importante per
facilitare la migrazione legale, contribuendo all’arricchimento culturale e al
rafforzamento delle nostre economie” ha aggiunto la Malmström.
L'Europa dei
diritti e della crisi
Dunque l'UE,
terra dei diritti. Che mette meglio al riparo dalla xenofobia chiunque vi
lavori ufficialmente. Ma è pur sempre una direttiva figlia della crisi. Ha per
obiettivo quello di assicurare manodopera all’Unione in vista della difficile
ripresa dei prossimi mesi, a condizioni quanto mai flessibili. Progettata per
“controllare questa manodopera, per soddisfare le esigenze del mercato UE con
l’immigrazione regolare e per arginare quella illegale”, come spiegato dalla
relatrice Veronique Mathieu, eurodeputata francese del Partito popolare
europeo, la direttiva ha il merito di unificare 24 legislazioni diverse. Ma
nasce fitta di deroghe ed esclusioni. I singoli Paesi potranno decidere, ad
esempio, se limitare l’accesso ai sussidi familiari e di disoccupazione ai
lavoratori con permesso superiore ai 6 mesi. E restringere il diritto
all’alloggio sociale per chi ha contratti di lavoro in corso. L’assegno di
disoccupazione potrà essere rifiutato a chi è entrato per motivi di studio, e
la conoscenza della lingua fissata come discriminante per partecipare ai corsi
di formazione. Il dado comunque è tratto. Finiranno diseguaglianze brucianti tra
colleghi di lavoro. Impiegati dalla Turchia, dai Balcani e dal Caucaso, oltre
che africani, asiatici e latinoamericani, purché regolari, si vedranno
riconosciuta la pensione, una volta rientrati nel Paese d’origine, alle stesse
condizioni dei cittadini dello Stato membro in cui hanno maturato il
trattamento previdenziale. Non saranno cioè costretti per goderne a restare nel
Paese UE dove l’hanno maturata, dopo averne sostenuto il welfare. “E’ la fine
dello sfruttamento dei lavoratori regolari” per l’europarlamentare dei
socialisti democratici ed ex segretario Cgil, Sergio Cofferati, che però ha
segnalato tra le ombre della direttiva le deroghe all’uguaglianza di
trattamento concesse agli Stati membri.
Gli esclusi
Dal permesso
unico restano esclusi rifugiati (per cui ci saranno provvedimenti comunitari ad
hoc), sfollati interni (con possibile riferimento a rom non nazionali,
provenienti da Paesi est europei), lavoratori distaccati e dipendenti di
multinazionali. Ad esempio tuttora molte compagnie potrebbero trovare più
conveniente, oltre che legale, trasferire i propri dipendenti di Paesi terzi,
impiegati nelle sedi UE, in stabilimenti in Turchia o in Serbia, pagando loro
stipendi e contributi alle stesse condizioni delle nazioni d’origine. La
direttiva non riguarda anche addetti con contratto fino a 6 mesi, stagionali,
lavoratori ‘alla pari’, familiari di chi proviene da Paesi con cui l'UE ha
accordi di libera circolazione (come quasi tutti i Balcani occidentali). Per
questo, secondo eurodeputati come la tedesca Cornelia Ernst (sinistra europea,
in Germania aderente alla Linke), “non c’è reale semplificazione per i
cittadini di Paesi terzi impiegati nell'UE”. Finora nella politica comunitaria
sull’immigrazione, si distinguevano provvedimenti come la direttiva "ritorno"
(2008) sul rimpatrio dei clandestini, la Carta Blu per attirare nell'UE
cervelli da Paesi terzi, creando una corsia preferenziale d’accesso per le loro
qualifiche, o le sanzioni "dissuasive" (2009) di contrasto al lavoro
clandestino. La nuova direttiva, grazie al recente Trattato di Lisbona, è la
prima votata con la procedura della codecisione sui temi sociali, in cui
Europarlamento e Consiglio hanno pari poteri legislativi.
I numeri in
Italia
In Italia il
Permesso Unico potrebbe riguardare, solo tra gli est europei non comunitari,
977 mila persone (circa un terzo degli stranieri residenti), secondo stime
Istat 2009. La direttiva arriva in una fase in cui la crisi economica sta
producendo in Europa un’interpretazione restrittiva delle norme, per cui
perdere il lavoro equivale alla perdita della carta di soggiorno. La
convenzione Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) dell’Onu (n.143/75)
però, ratificata anche dall’Italia, disponeva il contrario: “Il lavoratore
migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque
irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé,
causare il ritiro del permesso di soggiorno”. L'UE affacciata su una crisi
profonda, e alle prese con la materia "migrazioni", diventata negli
anni elettoralmente svantaggiosa, dispensa il welfare che
può, puntando ad assicurarsi risorse umane, garantirne i diritti, ma secondo
l’equazione lavoro-residenza, e in forme revocabili. Quanto all’Italia, oggi la
difficoltà per molti migranti dai Paesi Terzi è aver perso terreno rispetto
all’ultimo decennio, tornando clandestini dopo una stagione - talora lunga - da
lavoratori regolari. Sono stati infatti quasi 700 mila, secondo l’ultimo
Rapporto Caritas-Migrantes, i permessi di soggiorno non rinnovati nel 2010, e
per quest’anno si attendono cifre anche più severe. Il numero è pari alle
ultime tre sanatorie (circa una ogni 5 anni, più quella per colf e badanti che
ne comprende circa 200 mila). Quanti hanno perso il posto, si giocano anche il
permesso di soggiorno. Per lo più senza rientrare nei Paesi d’origine, restano
con impieghi in nero. Perché nonostante la crisi, settori come agricoltura,
edilizia e lavoro di cura, non possono fare a meno di loro. L’efficacia del
Permesso unico si misurerà anche sulla percentuale di emersione di queste
realtà.
Foreign Press
THE immigration crisis that has roiled American politics for decades has
faded into history. Illegal immigration is shrinking to a trickle, if that, and
will likely never return to the peak levels of 2000. Just as important,
immigrants who arrived in the 1990s and settled here are assimilating in
remarkable and unexpected ways. Taken together, these developments, and the
demographic future they foreshadow, require bold changes in our approach to
both legal and illegal immigration. Put simply, we must shift from an
immigration policy, with its emphasis on keeping newcomers out, to an immigrant
policy, with an emphasis on encouraging migrants and their children to
integrate into our social fabric. “Show me your papers” should be replaced with
“Welcome to English class.” Restrictionists, including those driving much of
the debate on the Republican primary trail, still talk as if nothing has
changed. But the numbers are stark: the total number of immigrants, legal and
illegal, arriving in the 2000s grew at half the rate of the 1990s, according to
the Census Bureau.
The most startling evidence of the falloff is the effective
disappearance of illegal border crossers from Mexico, with some experts
estimating the net number of new Mexicanssettling in the United States at zero. The size of the illegal-immigrant
population peaked in 2007, with about 58 percent of it of Mexican origin,
according to the Pew Hispanic Center; since 2008, that population has shrunk by
roughly 200,000 a year. Illegal immigrants from Asia and other parts of the
globe have similarly dwindled in numbers. This new equilibrium is here to stay,
in large part because Mexico’s birthrate is plunging. In 1970 a Mexican woman, on average, gave birth to 6.8 babies, and
when they entered their 20s, millions journeyed north for work. Today the
country’s birth rate — at 2.1 — is approaching that of the United
States. That portends a shrinking pool of young adults to meet Mexico’s future
labour needs, and less competition for jobs at home. If the number of immigrants
is declining, what about that other nativist bugbear, assimilation? There’s
little doubt that immigrants’ potential as economic contributors turns on their
ability to assimilate. Fortunately, recent studies by John Pitkin, Julie Park
and me show that immigrant parents and children, especially Latinos, are making
extraordinary strides in assimilating. Today, barely a third of adult
immigrants have a high-school diploma. But the children of Latino immigrants
have always outperformed their parents in educational achievement. By 2030 we
expect 80 percent of their children who arrived in the 1990s before age 10 to
have completed high school and 18 percent to have a bachelor’s degree. But it
is immigrants’ success in becoming homeowners — often overlooked in
immigration debates — that is the truest mark of their desire to adopt
America as home. Consider Latinos. Among those in the wave of 1990s immigrants,
just 20 percent owned a home in 2000. We expect that percentage to rise to 69
percent — and 74 percent for all immigrants — by 2030, well above
the historical average for all Americans. Who will be selling these homes to
these immigrants? The 78 million native-born baby boomers looking to downsize
as their children grow up and leave home. Fortunately for them, both immigrants
and their children will be there to buy their homes, putting money into
baby-boomer pockets and helping to shore up future housing prices. Indeed, with
millions of people retiring every week, America’s immigrants and their children
are crucial to future economic growth: economists forecast labor-force growth
to drop below 1 percent later this decade because of retiring baby boomers.
Immigrants’ extraordinary progress in assimilating would be faster if
federal and state policies encouraged it. Unfortunately, they don’t. This year,
the Department of Homeland Security plans to spend a measly $18 million —
far less than a tenth of 1 percent of its budget — on helping immigrants
assimilate. Meanwhile, states with large immigrant populations are cutting the
budgets of community and state colleges, precisely where immigrant students
predominantly enrol. How do we change course and begin treating immigrants as a
vast, untapped human resource? The answer goes to the heart of shifting from an
immigration policy to an immigrant policy. For starters, the billions of
dollars spent on border enforcement should be gradually redirected to
replenishing and boosting the education budget, particularly the Pell grant
program for low-income students. Some money could be channelled to nonprofits
like Immigration Works and Welcoming America, which are at the forefront of
helping migrants assimilate. Second, the Departments of Labour, Commerce and
Education need to play a greater role in immigration policy. Yes, as long as
there remains a terrorist threat from abroad, the Department of Homeland
Security should have an immigration component. But immigration policy is all
about cultivating needed workers. That means helping immigrants and their
children graduate from high school and college. It means that no migrant should
have to stand in line for an English class. It means assistance in developing
migrants’ job skills to better compete in an increasingly information- and
knowledge-based economy. Thanks to our huge foreign-born population (12 percent
of the total), America can remain the world’s richest and most powerful nation
for decades. Shaping an immigrant policy that focuses on developing the talents
of our migrants and their children is the surest way to realize this goal.
Dowell Myers, a professor in the Price School of Public Policy at the University
of Southern California, is the author of “Immigrants and Boomers.”