Newsletter periodica
d’informazione
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A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
Anno
X n. 1
(1) Demografia: sono dolori!
5 maggio 2011, da
The Economist online http://www.economist.com
Lo
scorso 3 maggio, alle Nazioni Unite hanno prodotto
l’aggiornamento biennale delle
previsioni sulla popolazione
mondiale, che comprende proiezioni
e simulazioni demografiche delle principali aree e Paesi. I numeri mostrano piccole
modifiche dal 2008, ma non per questo confortanti.
La popolazione mondiale
potrebbe raggiungere quota 7 miliardi
nell’ottobre 2011, invece che nella
primavera del 2012. La tendenza potrebbe superare nel 2100 la fantastica
cifra di 10 miliardi di persone, invece che
stabilizzarsi. Ma i cambiamenti più drammatici sono
a livello nazionale, non globale.
La popolazione americana, attualmente di 310 milioni, è destinata ad aumentare a 400 milioni nel
2050 e 478 milioni
nel 2100. La Cina dovrebbe invece perdere 400 milioni di abitanti, da qui al 2100, a causa delle severe misure di
controllo demografico imposto dal Governo. La popolazione
della Russia di oggi è pari a 142 milioni di persone; l’Afghanistan
ha poco più di un quinto di questa cifra; il Niger, conta per appena un decimo, superando di poco i 15 milioni di abitanti. Ma entro il 2100, si prevede che l'Afghanistan avrà la
stessa popolazione della Russia (111 milioni), mentre il Niger sarà ancora più
popolato. Tali previsioni debbono
essere prese con estrema prudenza:
in effetti, piccoli spostamenti del tasso di natalità di oggi, estrapolati nell’arco di 90 anni, possono produrre enormi cambiamenti. Ma il quadro generale è probabilmente
giusto. L’attuale popolazione sub-sahariana, di
856 milioni, è poco
più grande che in
Europa e un quinto dell’Asia.
Entro il 2050 potrebbe essere quasi tre
volte l’Europa e
nel 2100 potrebbe anche essere tre quarti
delle dimensioni dell’Asia. Ad ogni modo, l'Africa è sicuramente il continente di
gran lunga di più rapida crescita, che raddoppierà probabilmente l’attuale popolazione
raggiungendo quota 2 miliardi entro la fine di questo secolo. L’Europa ,
dal canto suo, conta oggi di 731 milioni di abitanti. Potrebbe perderne 50 milioni
entro il 2050 e probabilmente il doppio entro la fine del 21° secolo.
Istat: 14
milioni di stranieri residenti entro 2065. La maggior parte al nord
(ASCA) - Roma, 28 dicembre 2011 - La popolazione
straniera residente
e' stata, negli anni recenti, protagonista di dinamiche demografiche molto
sostenute sul territorio nazionale e, negli anni a venire, il grado di multi etnicità
del Paese sarà incrementato ulteriormente. Lo sostiene l'Istat,
presentando i dati relativi allo studio sul futuro demografico del Paese. Nello
scenario centrale si riscontrerebbe un costante incremento, pur a ritmi
decrescenti nel tempo, della popolazione
straniera. Dai 4,6 milioni d'individui rilevati nel 2011, si perverrebbe a 7,3
milioni nel 2020 e a 9,5 milioni nel 2030. Nel lungo termine si attendono 12,7
milioni di residenti entro il 2040 e 14,1 milioni entro il 2065. Nell'ambito
dei comportamenti demografici, le coppie straniere darebbero la luce a 7,5
milioni di nascite su tutto l'arco di previsione, con la prospettiva di un
valore minimo di almeno 6,4 milioni e di un massimo pari a 8,6 milioni. Nel
medesimo intervallo, per effetto della giovane struttura per età della
popolazione straniera, l'ammontare dei decessi risulterebbe pari a 2,3 milioni,
con un intervallo compreso tra 2,1 e 2,5 milioni. Il contributo alla crescita
naturale della popolazione risulterebbe, dunque, particolarmente importante:
5,2 milioni nello scenario centrale e una 'forchetta' compresa tra i 3,9 e i
6,4 milioni. Si prevede, inoltre, che nel corso del periodo di previsione
potrebbero acquisire la cittadinanza italiana (sottraendosi cosi' al conteggio
della popolazione straniera) circa 7,6 milioni d'individui nello scenario
centrale, 5,6 milioni nello scenario basso e fino a 9,8 milioni in quello alto.
La collocazione territoriale della popolazione straniera, comunque in crescita
ovunque, proseguirebbe ad avvantaggiare soprattutto le regioni del Centro-nord,
ma non significativamente la distribuzione geografica attuale. Nel Nord-ovest
la popolazione straniera raggiungerebbe i 5,1 milioni d'individui entro il
2065, ossia un ammontare corrispondente al 36% della popolazione straniera
complessivamente residente sul territorio nazionale. Il Nord-est e il Centro
seguirebbero con, rispettivamente, 3,7 e 3,6 milioni di residenti e una
copertura territoriale del 26% per entrambe. Il Sud e le Isole avrebbero,
rispettivamente, 1,2 e 0,5 milioni di residenti, per una copertura territoriale
del 9% e del 4%. Per l'Italia in complesso, considerando lo scenario centrale,
l'incidenza di stranieri residenti verrebbe a registrare decisivi incrementi,
passando dal 7,5% nel 2011 al 14,6% nel 2030, per poi raggiungere il 23% nel
2065. Su scala territoriale, pur partendo da livelli iniziali ben diversi,
tutte le aree del Paese saranno comunemente interessate dal processo di
crescita relativa della popolazione straniera: le regioni del Centro-nord, in
primo luogo, vedrebbero più che raddoppiare l'incidenza di presenze regolari,
muovendo da valori iniziali intorno al 10% a livelli superiori al 26-27%, fino
a un massimo del 29% nel Nord-ovest. Le regioni del Mezzogiorno si confronterebbero
con valori più modesti d'incidenza, muovendo da valori attorno al 3% per
raggiungere circa il 10% nel 2065.
com-elt/lus/rl
Scarica: Istat, il futuro demografico
del Paese
Mediterraneo
Di
Claudio Tucci http://www.ilsole24ore.com
Un permesso di soggiorno "umanitario"
di sei mesi che consente comunque tre mesi di libera circolazione nei Paesi
dell'area Schengen. Lo possono chiedere gli stranieri giunti in Italia dal 1
gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011. Il rilascio
è gratuito e la consegna avviene presso le questure con procedura d'urgenza.
Attenzione: non possono richiederlo, tra l'altro, chi appartiene alle categorie
socialmente pericolose e sia destinatario di un provvedimento di espulsione
ancora efficace, notificato prima del 1 gennaio 2011.
Ecco
un rapido vademecum per sapere tutto sul permesso di soggiorno per motivi
umanitari. Cosa è il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari
Il testo unico sull'immigrazione prevede, all'articolo 20, rubricato «Misure
straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali», la possibilità di emanare
un Dpcm le misure di protezione temporanea dell'immigrato - da adottarsi anche
in deroga a disposizioni del testo unico - per rilevanti esigenze umanitarie,
in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare
gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea. Il premier Silvio
Berlusconi ha firmato il Dpcm, che prevede un permesso di soggiorno, ai fini
della protezione umanitaria, di sei mesi, garantendo comunque tre mesi di
libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen.
Chi
può beneficiare del permesso
Il Dpcm firmato dal premier Silvio Berlusconi,
prevede che il permesso di soggiorno sia applicabile ai cittadini appartenenti
ai Paesi del Nord Africa affluiti in Italia dal 1 gennaio 2011 alla mezzanotte
del 5 aprile 2011.
Chi
non può ottenere il permesso
Il Dpcm prevede poi che il permesso di soggiorno non possa essere rilasciato
qualora l'interessato, pur appartenendo a uno dei Paesi del Nord Africa, si
trovi in una di queste quattro condizioni: a) sia entrato in Italia prima del
1° gennaio 2011 o successivamente al 5 aprile 2011; b) appartenga a una delle
categorie socialmente pericolose; c) sia destinatario di un provvedimento di
espulsione ancora efficace, notificato prima del 1° gennaio 2011; e d) risulti
denunciato per reati che prevedono l'arresto in flagranza (articoli 380 e 381
Cod. proc. pen.), salvo che i relativi procedimenti si siano conclusi con un
provvedimento che esclude il reato o la responsabilità dell'interessato, ovvero
risulti che sia stata applicata nei suoi confronti una misura di prevenzione,
salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione, ovvero sia stato
condannato per uno dei predetti reati, con esclusione delle denunce e condanne
per i reati che comportino l'espulsione dello straniero (T.U. immigrazione,
articoli 13, comma 13 e 14, comma 5-ter e 5-quater).
Come
si chiede il permesso
Il Dpcm prevede che la richiesta del permesso di soggiorno sia presentata
dall'interessato entro 8 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del presente Dpcm. Il rilascio del permesso di soggiorno è a titolo gratuito e
la consegna presso le questure avviene con specifiche procedure d'urgenza, da
concordare con il Tesoro. Attenzione: gli stranieri già in possesso di altro
permesso di soggiorno (compreso quello per la richiesta di riconoscimento della
protezione internazionale) possono chiedere la conversione degli stessi nel
permesso di soggiorno per motivi umanitari. Al richiedente la protezione
internazionale, può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi
umanitari solo previa presentazione di rinuncia all'istanza di riconoscimento
della protezione internazionale o se la medesima istanza è stata rigettata. In
ogni caso, il rilascio del permesso di soggiorno umanitario non preclude la
presentazione dell'istanza di riconoscimento della protezione internazionale.
Come
succede se non viene rilasciato il permesso di soggiorno umanitario
Il Dpcm prevede che sia disposto il respingimento o l'espulsione. L'espulsione
è disposta con l'accompagnamento immediato alla frontiera qualora, dall'esame
del singolo caso, emerga il rischio che l'interessato possa sottrarsi
all'effettivo rimpatrio.
(ANSA) -
NAPOLI, 8 aprile 2011 - ''L'atteggiamento della Francia o di qualsiasi altro
Paese europeo di rifiutare di accogliere i profughi e' un atto incompatibile
con lo spirito e la logica dell'Unione Europea''. Lo ha detto Luigi Angeletti,
segretario nazionale della Uil, oggi a Napoli, in merito alla questione dei
profughi. ''Noi siamo la frontiera dell'Europa - ha affermato - ed entrati in
Italia, in base al trattato di Schengen, si puo' circolare''. ''Non possiamo affrontare
da soli il problema - ha concluso - proprio perche' l'Italia e' il Paese che,
nel Mediterraneo, presidia i confini d'Europa''.
Dossier Statistico Immigrazione 2011 – Caritas / Migrantes
(5) I cittadini stranieri in Italia vicino alla quota di 5
milioni.
Roma, 27 ottobre 2011
(Adnkronos) -Non sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno
dando luogo ad una invasione di carattere religioso, non consumano risorse
pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi, non sono disaffezionati
al Paese che li ha accolti e, al contrario, sono un efficace ammortizzatore
demografico e occupazionale. E' quanto emerge dal 21° Dossier Statistico 2011
sull'Immigrazione redatto da Caritas - Migrantes, che fotografa la presenza di
cittadini stranieri nel nostro paese, da cui risulta che nell'ultimo anno la
presenza di cittadini stranieri in Italia e' aumentata di 335.258 unità. In
totale, rileva il rapporto Caritas - Migrantes, sono poco più di quattro
milioni e mezzo, per la precisione 4.570.317, i cittadini stranieri residenti
in Italia. La loro incidenza sulla popolazione totale, pari a 60.626.442, e'
del 7,5% ed ''esercitano un ruolo rilevante nel supplire alla carenze
strutturali a livello demografico e occupazionale''. Nell'ultimo anno
l'aumento, nonostante la crisi, e' stato di 335.258 unità, al netto delle oltre
100mila cancellazioni dall'anagrafe, di cui 33mila per trasferimento all'estero
e 74mila per irreperibilità, e dei 66mila casi di acquisizione della
cittadinanza. Nel frattempo, pero,
centinaia di migliaia di persone hanno perso l’autorizzazione a rimanere in
Italia, perché sono scaduti ben 684.413 permessi di lavoro (2/3 per lavoro e
1/3 per famiglia). Viene anche accreditata la presenza di circa mezzo milione
di persone in posizione irregolare. Ai residenti, secondo la stima del Dossier,
bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti ma non ancora
registrate in anagrafe, per una stima totale di 4.968.000 persone. Il numero
degli immigrati, rileva il Dossier e' quasi uguale a quello dello scorso anno
ma, avverte, ''non deve sfuggire che le nuove presenze sono state oltre mezzo
milione, tra regolarizzati e nuovi venuti, a fronte di altrettanti immigrati la
cui autorizzazione al soggiorno e' venuta a cessare, a prescindere dal fatto
che siano rimpatriati o siano scivolati nell'irregolarità. Questa rotazione
- avverte ancora il Dossier -deve
indurre a riflettere sugli effetti pesantemente negativi della precarietà dei
titoli di soggiorno e sulle modifiche normative necessarie per porvi rimedio
''. La presenza degli immigrati sul territorio italiano e' più consistente
nelle regioni del Nord-Ovest, dove e' del 35%, segue il Nord-Est con il 26,3%,
il Centro con il 25,2% e il Sud e Isole con il 13,5%. In lieve superiorità
numerica le donne, che rappresentano il 51,8% del totale mentre i minori sono
il 21,7%. Tra le prime cinque collettività per numero di residenti, rileva
ancora il Dossier, si trovano la Romania, con 968.576 presenze, seguita
dall'Albania, con 482.627, il Marocco con 452.424, la Cina con 209.934 e
l'Ucraina con 200.730 presenze. Gli stranieri, rileva ancora il Dossier, la cui
età media' e di 32 anni, contro i 44 degli italiani, si caratterizzano per la
forte incidenza di minori (21,7%) e delle persone in età lavorativa (78,8%)
mentre gli ultra 65enni superano di poco il 2% ( sono, invece, un quinto della
popolazione italiana). In altri termini, gli stranieri sono appena 1 ogni 100
tra gli anziani, ma oltre un decimo dei minori e dei giovani (18-39 anni).
Scarica: Scheda di sintesi
Principali dati
(6) Le
imposte degli immigrati: oltre 6 miliardi di Irpef nel 2010, 2,8 mila euro
procapite.
Secondo
uno studio della Fondazione Leone Moressa gli immigrati contribuiscono al 4,1%
del gettito complessivo e sono il 6,8% dei contribuenti.
Venezia, 27 dicembre 2011 - Oltre 6 miliardi di euro di Irpef
per una quota procapite di 2,8 mila euro. È questo il contributo degli
immigrati sul gettito complessivo nazionale che, secondo una ricerca della Fondazione
Leone Moressa sui redditi dichiarati dagli immigrati nel 2010, ammonta al 4,1%
del gettito complessivo nazionale.
Dallo studio emerge che i contribuenti stranieri sono 2,1 milioni, il 65% dei
residenti in Italia e rappresentano il 6,8% del totale dei contribuenti. La
maggior parte di essi sono concentrati in Lombardia (20,9%), in Veneto (12,0%)
e in Emilia Romagna (11,2%). Se si analizza il peso degli stranieri che hanno
pagato l’imposta netta rispetto al totale dei contribuenti che hanno pagato l’Irpef,
si nota come Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia siano le due regioni
che mostrano la maggiore incidenza: in entrambe le aree su 10 soggetti che
pagano le imposte sui redditi, 1 è straniero. Subito dopo si trovano regioni
quali il Veneto (9,0%), l’Emilia Romagna (8,7%) e la Liguria (8,2%). Più si
scende verso Sud, minore è l’incidenza dei contribuenti stranieri.
Un indicatore interessante, secondo i ricercatori, è il confronto tra italiani
e stranieri rispetto al rapporto tra il numero di contribuenti che pagano
l’imposta netta e il numero di contribuenti totali che fanno la dichiarazione
dei redditi. Questo indicatore permette di capire quanti contribuenti pagano
effettivamente l’Irpef e quanti invece ne sono esentati a causa delle diverse e
molteplici detrazioni. Per quanto riguarda i contribuenti nati all’estero la
percentuale di coloro che pagano l’Irpef è del 64,9%, contro il 75,5% degli
italiani. Questo significa che gli stranieri beneficiano, più degli italiani,
di detrazioni fiscali a causa principalmente del basso importo dei redditi
stessi.
“Stranieri di nascita ma italiani di contribuzione. Gli stranieri che in Italia
lavorano sono tenuti a pagare le tasse” affermano i ricercatori della
Fondazione Leone Moressa “ma il loro importo differisce da quanto pagato dagli
italiani: i bassi livelli di reddito, quasi esclusivamente da lavoro
dipendente, comportano un esborso per gli stranieri di poco meno di 3mila euro
all’anno. Valori che aumentano nelle aree del Nord dove la presenza e la penetrazione
degli stranieri nel mercato del lavoro è più radicata. È ovvio che se il
sistema riuscisse ad eliminare le sacche di illegalità che colpiscono anche i
lavoratori stranieri, l’apporto degli immigrati alla finanza pubblica sarebbe
certamente maggiore, contribuendo ad un’integrazione che passa anche per il
pagamento delle tasse”.
(Red.)
(redazionale) Roma, 19 dicembre 2011 – In un
incontro tra Ministero del Lavoro e parti sociali, tenuto lo scorso 16 dicembre
presso la sede di Via Fornovo, il Direttore Natale Forlani ha formalizzato
l’intenzione del Governo di non procedere quest’anno al varo di un decreto
flussi per nuovi ingressi di lavoratori extra UE. I motivi sono molti, ma
riconducibili a due principali ragioni: a) lo strumento del decreto flussi si è dimostrato inadeguato a
conseguire il desiderato matching tra domanda ed offerta di lavoro straniero. Infatti
il numero di nuovi contratti di soggiorno firmati, rispetto alle quote ed alle
domande presentate è risultato a fine anno addirittura “risibile”; b) nel
secondo trimestre del 2011 c’erano ben 278 mila stranieri disoccupati, un
numero in rapida crescita che potrebbe superare quota 300 mila alla fine di
quest’anno: sarebbe dunque illogico far entrare nuove persone in un mercato del
lavoro fortemente in crisi. All’incontro di venerdì scorso erano presenti,
oltre al Direttore Forlani, anche il Prefetto Daniela Parisi del Ministero
dell’interno. Tra le parti sociali, presenti rappresentanti di tutti i
sindacati e delle principali associazioni territoriali. Il Dipartimento Politiche Migratorie della
UIL era rappresentato da Giuseppe Casucci. Per dare un quadro credibile della critica
situazione occupazionale che colpisce anche lavoratori stranieri, il dirigente ministeriale ha
dato numerosi esempi concreti: “Negli anni della crisi, tra il 2008 ed il 2010
– ha detto – la disoccupazione tra gli immigrati è aumentata tre
volte e mezzo rispetto a quella degli italiani (in valore % + 63,1 contro
+18,4). In valori assoluti, i disoccupati stranieri sono passati dai 169 mila
del secondo trimestre 2008 ai 278 mila del secondo trimestre 2011 (di questi,
140 mila sono percettori di sostegno al reddito); vale a dire una quota doppia
rispetto a tre anni fa”. La crisi è visibile anche sul fronte dell’utilizzo
degli ammortizzatori sociali. Tra il 2009 ed il 2010, infatti, la cassa
integrazione è risultata in fortissima crescita anche per gli stranieri.
Mentre, sul fronte dei beneficiari di indennità di mobilità e disoccupazione,
si registra attualmente tra i lavoratori immigrati una crescita nell’uso di
questi strumenti, che già nel 2009 era pari a + 28,9%, a fronte di una crescita
complessiva del 9,6% per tutti gli occupati. Per Forlani, l’andamento
dell’economia non fa presagire cambiamenti nel breve e medio periodo. E una
conferma viene dall’indagine Excelsior di Unioncamere sulle assunzioni
programmate dalle imprese italiane: le assunzioni previste per gli immigrati
nel 2011 rappresentano la cifra più bassa degli ultimi 4 anni: una media di 70
mila assunzioni, contro le quasi 140 mila del 2008. Secondo il Direttore per l’Immigrazione,
dunque, la poca domanda di manodopera può essere soddisfatta ampiamente
dall’esercito di disoccupati stranieri che cercano urgentemente lavoro e, per
legge, lo devono trovare entro sei mesi. Quadro insufficiente anche per
quanto riguarda lo strumento del decreto flussi. Nel 2010, a fronte di 98.080 quote
previste, sono pervenute al Viminale 424.858 domande per lavoro a tempo
indeterminato. Il bilancio (alla data del 3 novembre 2011) è di 42.910 nulla
osta rilasciati e un magro risultato di 12.027 contratti di soggiorno
sottoscritti. Peggiore ancora la situazione per il D.P.C.M. stagionali che, a
fronte di 60 mila quote previste, ha prodotto al sottoscrizione di sole 7.379
contratti di soggiorno. “La conclusione raggiunta, nell’ambito di una riunione
interministeriale – ha concluso Forlani – è stata quella di
sconsigliare l’adozione di un decreto flussi per ingressi di lavoro
subordinato, anche al fine di evitare un incremento anomalo di persone in cerca
di occupazione, con effetti indesiderati sul mercato del lavoro,
particolarmente riconducibili alla crescita del lavoro sommerso”. Per quanto
riguarda il lavoro stagionale, si è detto, il decreto flussi ci sarà, ma il
numero delle quote verrà drasticamente ridotto e si provvederà ad un maggiore monitoraggio
delle domande per verificarne la trasparenza e l’esistenza di un posto di
lavoro concreto. Forlani ha aggiunto che, per particolari esigenze di risorse
umane qualificate non disponibili in Italia, è possibile procedere anche
attraverso l’utilizzo dell’art. 23 del Testo Unico ed il numero può essere
ampliato, se necessario, anche per via amministrativa. Forlani ha concluso
parlando del superamento dello strumento del D.P.C.M. Per Via Fornovo, va
“sperimentata una metodologia di rilevazione dei fabbisogni e dei trend di
medio periodo a supporto della programmazione dei flussi”. Il Ministero
suggerisce tre direttrici:
a. Definizione dei trend demografici, sia per l’Italia
che per i Paesi di provenienza dei migranti, con previsione degli andamenti domanda
– offerta;
b. Rilevazione dei bisogni professionali in Italia che
debbano essere soddisfatti dai flussi di lavoro dall’estero;
c. Rilevazione delle scadenze di lavoro in essere e della
“reimpiegabilità” degli stranieri disoccupati in Italia.
Dal 2006 ad oggi la presenza degli immigrati nell'imprenditoria
e' aumentata del 38,6%, ma e' calata quella degli italiani (-6,6%)
Venezia, 30
dicembre 2011 - Crescono le le imprese condotte dagli stranieri: +5,7%
nell'ultimo anno. E' il dato che emerge da un'indagine condotta dalla
Fondazione Leone Moressa. Si contano a giugno 2011 oltre 400mila imprenditori
stranieri: questo significa che un imprenditore su dieci e' nato all'estero. Ma
se il numero di stranieri continua a crescere (+5,7% nell'ultimo anno), quello
degli italiani cala (-1,4%). E' ormai una tendenza consolidata negli ultimi
anni: dal 2006 ad oggi la presenza degli immigrati nell'imprenditoria e'
aumentata del 38,6%, ma e' calata quella degli italiani (-6,6%). Roma, Milano e
Torino le province che raccolgono il maggior numero di imprenditori stranieri
(rispettivamente l'8%, il 6,8% e il 5,1%). Il peso maggiore degli stranieri sul
totale degli imprenditori e' maggiore a Prato (dove un imprenditore su 4 e'
straniero), seguito da Trieste (16,9%), Firenze (15,2%) e Roma (14,8%).
di Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it
Roma
– 11 maggio 2011 - Anche chi è stato condannato per non aver obbedito a
un ordine di espulsione ha diritto a essere regolarizzato. La querelle
che va avanti dall’inizio dell’emersione di colf e badanti ha trovato
finalmente un punto fermo grazie a una sentenza emessa ieri dal Consiglio
di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa. La legge che nel
2009 ha dato il via alla regolarizzazione dei lavoratori domestici era chiara
sul fatto che una semplice vecchia espulsione non fosse d’ostacolo a mettersi
in tasca il permesso di soggiorno. Non parlava però espressamente di chi,
già espulso, era stato sorpreso di nuovo sul territorio italiano, quindi
arrestato, condannato e di nuovo espulso, come previsto dal Testo Unico
sull’Immigrazione (art.14 comma 5 ter Dlgs 286/1998). In questi casi, alcune
Questure autorizzavano comunque la regolarizzazione, altre invece la bloccavano
e procedevano a una nuova espulsione, fino a quando, a marzo del 2010, una
circolare del capo della Polizia Antonio Manganelli ha esteso a tutta Italia la linea dura.
Diversi tribunali ed esperti hanno però sconfessato quell'interpretazione,
finché la decisione non è stata rimessa all’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato. Dopo una prima sentenza che non entrava nel merito della questione, ieri
il Consiglio di Stato ha stabilito definitivamente che una condanna per non
aver obbedito a un’espulsione (art. 14, comma 5-ter Dlgs 286/1998) non
impedisce la regolarizzazione. Quel reato, hanno spiegato i giudici,
praticamente non esiste più, dal momento che è in contrasto con la direttiva
europea sui rimpatri, come sancito recentemente dalla Corte di Giustizia dell’Ue.
“L’entrata in
vigore della normativa comunitaria – scrivono i giudici - ha prodotto
l’abolizione del reato” che commetteva chi rimaneva in Italia dopo
un’espulsione, con “effetto retroattivo”. Questa retroattività ha effetto anche
“sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro
irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più
previsto come reato”.
Direttive UE
Di Marco Noci, Il Sole 24
Ore
Roma, 6
gennaio 2011 - Il giudice di pace è chiamato ad un esame approfondito dei
requisiti per l'espulsione dei cittadini stranieri. La I sezione civile della
Cassazione – con la sentenza 111, depositata in Cancelleria lo scorso 4
gennaio 2011 – ha accolto il ricorso di un cittadino straniero, figlio di
una italiana, che non aveva rinnovato, entro il termine di 60 giorni dalla
scadenza, il permesso di soggiorno per motivi familiari. Il giudice di pace
aveva rigettato i motivi di ricorso prospettati dal cittadino straniero basati
sulla convivenza fra lui e la madre italiana. L'articolo 19 del Testo unico sull'immigrazione
vieta, infatti, l'espulsione del cittadino straniero familiare convivente di
uno italiano e l'onere di provare la convivenza con il familiare italiano è a
carico dello straniero che deve essere messo in grado di dimostrarlo anche con
prove testimoniali, come quella orale della madre. Il giudice di pace ha
ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori richiesti dallo straniero per
dimostrare la convivenza, senza però motivare, nel provvedimento impugnato in
Cassazione, perché erano stati esclusi o considerati irrilevanti. Sebbene la
normativa disponga tempi ristretti per la decisione (termini ritenuti, comunque
ordinatori e non perentori) il giudice di pace deve necessariamente istruire il
procedimento, ammettendo i mezzi istruttori richiesti dalle parti. Contro il
decreto di espulsione può essere presentato ricorso al giudice di pace del
luogo ove ha sede l'Autorità che ha adottato il provvedimento, entro 60 giorni
dalla data di adozione del decreto. Se poi il provvedimento di espulsione è
stato adottato a seguito di revoca o di diniego del permesso di soggiorno per
motivi familiari il ricorso deve essere presentato al Tribunale ordinario e non
al giudice di pace (articolo 1, comma 2 bis del decreto legge 241/2004,
convertito nella legge 271/2004). In materia di espulsione è da
segnalareladirettiva 2008/1157Ce che l'Italia non ha ancora recepito. Anche se
il ministero dell'Interno, con la circolare del 17 dicembre 2010, ha
raccomandato ai questori di adeguare le procedure di espulsione al dettato della
direttiva. Le norme comunitarie prevedono un meccanismo diverso e, per certi
aspetti, in contrasto con il Testo unico sull'immigrazione. Il cittadino
straniero è soggetto ad una decisione di rimpatrio volontario che non può
essere inferiore a 7 giorni e superiore a 30, ed in presenza di condizioni
specifiche (come vincoli familiari) tale termine può essere prorogato. Solo se
c'è un pericolo di fuga o di una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza
dello Stato, è prevista l'espulsione immediata, con un divieto di reingresso
non superiore ai 5 anni, che può essere aumentato se lo straniero rappresenta
una grave minaccia.
(12) Ue: la Commissione “accoglie
con favore” la sentenza.
Bruxelles, 29 aprile 2011 - La
Commissione europea ha reso noto che “accoglie con favore” la sentenza “veloce
e chiara” pronunciata dalla Corte europea di giustizia sulla norma italiana per
gli immigrati irregolari. Questa sentenza, secondo l’esecutivo Ue, contribuirà
a “ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione
della direttiva sui rimpatri nei termini previsti”. Bruxelles invita inoltre a
considerare il pronunciamento della Corte “nel dettaglio” per evitare
“semplificazioni indebite e incomprensioni”. La sentenza, fa notare l’esecutivo
Ue, “non mette in discussione la competenza degli Stati membri di prevedere
sanzioni penali in materia di immigrazione irregolare”, ma al tempo stesso
qualsiasi misura nazionale “non può compromettere” l’effetto di armonizzazione
della direttiva sui rimpatri. Secondo la Commissione, “la legislazione
italiana, che prevede una sanzione penale da uno a quattro anni di carcere,
semplicemente perché la persona non ha risposto al primo sollecito a lasciare
il Paese, impedisce la procedura di allontanamento ai sensi della direttiva e,
di conseguenza, priva la norma di un effetto utile”. Ad avviso dell’esecutivo
Ue, la sentenza può ora avere un impatto sugli altri Stati membri che hanno
un’analoga normativa in vigore e per questo si attende che ogni Stato membro
valuti le conseguenze di questa sentenza individualmente e ne tragga le debite
conclusioni. (Red.)
Roma,
1° luglio 2011 - Due anni fa, il 30 giugno 2009, comparve sulla Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea la Direttiva 2009/52/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime
relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che
impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
La
Direttiva (art. 4) obbliga i datori di lavoro a:
a) chiedere
che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e
presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido;
b) tenere
una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di
soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini
di un’eventuale ispezione;
c) informare
le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di
un cittadino di un paese terzo.
Le sanzioni
previste per i datori di lavoro (art. 5) includono sanzioni finanziarie, che
aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti
illegalmente, e pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi
terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio
(gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla
lettera riflettano almeno i costi medi di rimpatrio). Accogliendo gli
emendamenti proposti il 5 novembre scorso dal Parlamento europeo (relatore
l'italiano Claudio Fava), lo stesso art. 5 lascia agli Stati membri la facoltà
di prevedere sanzioni finanziarie ridotte nei casi in cui il datore di lavoro
sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino di un paese
terzo il cui soggiorno è irregolare e non sussistano condizioni lavorative di
particolare sfruttamento. Gli Stati membri garantiscono inoltre che il datore
di lavoro sia responsabile del pagamento (art. 6) della retribuzione arretrata
ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, delle imposte e contributi previdenziali
dovuti in caso di assunzione legale, nonché di tutti i costi derivanti dal
trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui il lavoratore
assunto illegalmente ha fatto ritorno. Per reati di una certa gravità (art. 9),
la direttiva prevede anche delle generiche "sanzioni penali efficaci,
proporzionate e dissuasive" (art. 10) nei confronti dei datori di
lavoro. La direttiva è entrata in vigore il ventesimo giorno dopo la
pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ossia il 20 luglio 2009. Gli
Stati membri avevano due anni di tempo per adottare tutte le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla
direttiva. L’Italia ancora non l’ha fatto. Dovrà dunque farlo entro, e non
oltre, il 20 luglio 2011, pena la messa in mora.
>> Scarica la Direttiva 2009/52/CE
Sindacato
Contributo per la riunione del Coordinamento Nazionale UIL Immigrati
del 5 aprile 2011
(14) L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo
di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale
Dipartimento Politiche Migratorie della UIL
Minor fabbisogno
di manodopera?
Secondo uno studio proposto recentemente dal Ministero del
lavoro, a causa della crisi economica, per alcuni anni i flussi sarebbero
destinati a diminuire drasticamente. Queste le stime: dal lato dell’offerta si
prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva
(occupati più disoccupati) del 7%: con una discesa dagli attuali 24 milioni e
970 mila fino ad un valore stimato nel 2020 di 23 milioni e 257 mila persone.
La sola demografia porterebbe ad un bisogno aggiuntivo di occupazione medio
annuo di 170 mila lavoratori
(necessariamente stranieri). Considerata la fase di crisi, comunque, il
Ministero del Lavoro prevede che il fabbisogno aggiuntivo medio potrebbe
scendere fino a 100 mila persone l’anno fino al 2015; mentre nel periodo
2016-2020 la richiesta aggiuntiva annua salirebbe a quota 260 mila. Ci sarebbe
dunque la necessità e, forse, l’opportunità di ripensare seriamente la normativa sull’immigrazione, costruendo
un meccanismo fluido basato su un effettivo matching tra domanda ed offerta di
lavoro, con l’attuazione di percorsi efficaci di integrazione e di incontro tra
culture diverse; condizione
necessaria anche per evitare i crescenti episodi di razzismo e
xenofobia, nonché le molteplici discriminazioni cui sono spesso sottoposti
migliaia di stranieri. Sappiamo che questa è un’esigenza sentita da una gran
parte della società italiana e dalla stessa politica che si interroga, anche
alla luce della crisi economica e – più recentemente – all’impatto
potenziale che può avere la crisi nel Mediterraneo, se non vi possa essere un
ripensamento più generale sulla politica da adottare in materia di immigrazione
e se, accanto alla necessaria attenzione alla sicurezza, non si debba
accompagnare una maggiore comprensione sulla complessità del fenomeno
migratorio, condizione sine qua non per adottare
misure efficaci di governo dello stesso e strumenti adatti ad aiutare la
necessaria integrazione.
Nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008)
quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto
dell’occupazione straniera. In
Italia, secondo dati Inail, esistono oggi circa 3,4 milioni di stranieri
assicurati. Per anni la crescita di manodopera etnica è stata esponenziale, ma
la crisi economica ha visto nel 2009 – 2010 un’inversione di tendenza della
crescita ed un numero di disoccupati stranieri arrivato a 104 mila unità. A
questi vanno aggiunti 213 mila lavoratori stranieri inattivi. La crisi è
visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Infatti,
tra il 2009 ed il 2010, la cassa integrazione è risultata in fortissima
crescita anche per loro; mentre sul fronte dei beneficiari di indennità di
mobilità e di disoccupazione (concesse a seguito del licenziamento del
lavoratore) registriamo tra gli stranieri una crescita nell’uso di questo
ammortizzatore sociale nel 2009 (+ 28,9%) a fronte di una crescita complessiva
del 9,6%. Per quanto riguarda la disoccupazione (non agricola), l’aumento dei percettori stranieri è risultato
nello stesso anno del 65,4% (italiani + 45,9%).
Imprenditori stranieri in
crescita
La situazione
di crisi ed il suo impatto sul mercato del lavoro, appare in parte compensata
da una migliore performance registrata sul fronte dell’imprenditoria etnica. Nel 2010 si sono contati 628.221 imprenditori
stranieri, una presenza in forte crescita che rappresenta ormai il 6,5% del
totale degli imprenditori in Italia. La crescita degli stranieri, rispetto il
2009, è stata di 29.185 aziende(+4,9%). Tutto ciò a fronte di una perdita di
oltre 31.600 imprenditori italiani (-0,4%). I dati sono della Fondazione
Moressa. L’aumento di imprenditori stranieri del 2010 è riuscito a compensare
solo in parte la riduzione di imprese italiane. Il gap rispetto al 2009, infatti,
vede la perdita di oltre 60 mila unità produttive italiane. Tra i
settori nei quali gli imprenditori stranieri sembrano essere più presenti (come
commercio, costruzioni e manifattura) la tendenza nell’ultimo anno è stata
quella di un loro aumento, a fronte di un calo della componente italiana.
Stipendi e
condizioni di lavoro, un gap da colmare
Le condizioni di debolezza strutturale dei lavoratori stranieri,
alla luce della normativa in vigore, finisce in qualche modo per pesare sulla
qualità ed il livello di remunerazione
dell’occupazione stessa. Secondo la Fondazione Moressa, nel 2009 gli
stipendi dei lavoratori stranieri sono risultati in media del 23% inferiori a
quelli dei lavoratori italiani, a parità di mansione. Largamente
sottoutilizzate, inoltre, risultano le professionalità degli stranieri
conseguite all’estero. Secondo uno studio dell’Istat del 2009, solo il 4,6% del
totale degli occupati non italiani che avevano conseguito all’estero il titolo di studio, risultava in
quell’anno aver terminato un
percorso di riconoscimento dello stesso. Il risultato appare tanto più
significativo dato che, almeno in linea teorica, questo riconoscimento
rappresenta una condizione necessaria (anche se non sufficiente) a ottenere
un’occupazione corrispondente ai livelli di educazione raggiunti nel paese di
origine. La mancata richiesta del riconoscimento del titolo da parte gli
stranieri va secondo Istat attribuita principalmente alla loro concentrazione soprattutto
nei lavori meno qualificati, per i quali esso non è necessario. Esistono poi
condizioni oggettivamente discriminatorie che influiscono sia sulla possibilità
di accesso al lavoro, sulla qualità e quantità remunerata, sia sui percorsi di
carriera che per gli stranieri appaiono più difficili rispetto ai loro colleghi
italiani. E questo, malgrado le normative anti discriminazioni in vigore e la
pregevole attività di UNAR. Intanto, per uno straniero, è vietato l’accesso al
pubblico impiego. Come già detto, la difficoltà a farsi riconoscere un titolo
conseguito all’estero li costringe a lavorare in alcuni settori ed in mansioni
oggettivamente meno qualificate e meno remunerate. C’è poi la difficoltà di
accesso al lavoro, limitata dal colore della pelle o dall’accento parlato. Non
è un mistero che le chance di assunzione vengono condizionate da questi
fattori, sia pur difficilmente comprovabili. Lo stesso trattamento previdenziale
prevede delle differenze rispetto a quello riservato agli italiani, cosa che
andrebbe assolutamente corretta. Ma lo svantaggio maggiore viene proprio dagli
effetti della normativa sulle condizioni di lavoro e di vita. Il fatto che il
permesso sia strettamente legato al lavoro, rende debole l’immigrato nella
contrattazione con il suo datore. E spesso egli rinuncia a richieste salariali o
di miglioramento di carriera, in cambio della certezza di rinnovo del permesso
di soggiorno.
Le proposte del sindacato
Il sindacato, e la UIL, sono
convinti che l’attuale normativa sull’immigrazione vada radicalmente riformata.
Per fare questo, però, c’è bisogno di raccogliere necessariamente consenso tra
tutte le parti politiche interessate, pena l’impossibilità ottenere cambiamenti
ed – al contrario – il rischio di subire peggioramenti normativi
dettati dall’emotività pubblica e gravi fatti di cronaca (pacchetto sicurezza
docet). La riforma va dunque fatta per gradi. Intanto ci sono da applicare due direttive europee importanti: la 2008/CE/115
(cosiddetta sui rimpatri) già in vigore da dicembre 2010 anche se non
ratificata dal governo italiano; la 2009/CE/52 (norme e sanzioni per i datori
di lavoro che impiegato stranieri irregolarmente). La direttiva 115 prevede
che - prima di procedere
all’espulsione di un immigrato irregolare – lo Stato debba
necessariamente offrire la possibilità di un ritorno volontario assistito.
Inoltre, la nuova normativa considera la detenzione di un clandestino presso i
CIE una procedura da usarsi solo in casi estremi. E’ evidente che tale
normativa contrasta con il reato di immigrazione clandestina e costringerà
inevitabilmente l’Esecutivo a modificare la legge n. 94 del 2009. La direttiva
52, inoltre, è importante perché – oltre ad inasprire le sanzioni contro
chi sfrutti un immigrato irregolare – darebbe la possibilità a
quest’ultimo di denunciare il proprio
datore di lavoro, se questi non vuole regolarizzarlo, ottenendo in cambio un
permesso di soggiorno a carattere umanitario. E’ evidente che, senza
correttivi, l’impatto della direttiva sarebbe punitivo anche nei confronti di
chi vorrebbe sanare le situazioni irregolari, ma non può farlo a causa della
normativa. Stante la situazione il sindacato ha proposto ai datori di lavoro ed
al Governo di agire su tre piani:
a) Considerare
le indennità di mobilità e disoccupazione reddito valido ai fini del rinnovo
del permesso di soggiorno. Un immigrato che perda il lavoro, dunque, dovrà
poter godere prima di questi ammortizzatori sociali. Solo dopo scatterebbe il
permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca di occupazione. L’obiettivo è
dare all’immigrato che perda il lavoro, più tempo per cercare un nuovo impiego
e non finire nella trappola del lavoro nero;
b) Estendere
a tutte le categorie produttive la procedura di emersione già concessa al
lavoro domestico nel 2009. Questo
potrebbe avvenire anche con procedure di valutazione individuale, per avere la
garanzia che esista davvero un datore ed un rapporto di lavoro. Questo permetterebbe di svuotare in
buona parte il bacino del lavoro nero, prima che entri in vigore la direttiva
europea n.52.
c) Estendere
l’applicazione dell’articolo 18 del TU come strumento permanente ed efficace di
lotta al lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento, prevedendo la possibilità della
vittima, di denunciare i propri sfruttatori, senza rischiare l’espulsione.
Su questi obiettivi sindacati
ed imprenditori stanno lavorando ad un avviso comune da presentare a governo ed
istituzioni, con una già verificata disponibilità al dialogo mostrata
recentemente dal dipartimento immigrazione del Ministero del Lavoro.
(15) Confederati multietnici
Roma, 28
novembre 2011 - Gli immigrati sono «la linfa vitale» di cui l'Italia ha estremo
bisogno. «Non comprenderlo significa non saper guardare alla realtà». Il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l'aveva detto il 15 novembre
nell'incontro con i nuovi cittadini italiani al Quirinale e l'ha ribadito il 22
davanti alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia: «Mi auguro che in
parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini
nati in Italia da immigrati stranieri». Persone che aiutano il Paese a «portare
il fardello del debito pubblico, che senza di loro sarebbe ancora più difficile
sostenere». Insomma il messaggio è chiaro e il destinatario pure: la speranza è
che il premier Mario Monti inserisca il tema degli immigrati tra quegli «obiettivi
ambiziosi» del nuovo governo, elencati il 17 novembre nell'aula del
Senato. E che, come suggeriscono da tempo gli economisti,
l'immigrazione sia vista come un fattore in grado di attirare capitale umano
qualificato e favorire la crescita. Visto che gli stranieri regolari hanno
superato quota 5 milioni e oggi producono il 12% del Pil italiano.
Una
convinzione che i sindacati hanno sposato da tempo. Fin dalla fine degli Anni
80, infatti, Cgil, Cisl e Uil hanno fatto dei temi dell'immigrazione una scelta
politica che si basa sul concetto di integrazione e uguaglianza dei diritti per
tutti i lavoratori.
CGIL, SINDACATO PLURIETNICO. La Cgil, da sempre contraria alle
gabbie salariali di origine etnica, non ha mai firmato accordi che prevedessero
un trattamento diverso tra lavoratori italiani e stranieri, ma già nel 1991
aveva modificato il proprio Statuto definendosi «un sindacato plurietnico». Da
allora ogni Camera del lavoro ha uno sportello informazioni e offre servizi
dedicati agli immigrati. Quelli iscritti alla Cgil sono ormai 400 mila, «e
tanti di loro sono dirigenti che lavorano per il sindacato a livello
confederale e categoriale», spiega a Lettera43.it Kurosh Danesh, di
origine iraniana, del coordinamento immigrati della Cgil in cui è entrato nel
1990.
CISL, LA PRIMA NEL 1989. Ancora prima, nel 1989, la Cisl aveva
creato l'Anolf, l'Associazione nazionale oltre le frontiere, «che serviva per
intercettare le esigenze degli immigrati», spiega Liliana Ocmin, segretario
confederale. «Oggi molti di questi lavoratori non solo fanno parte del
sindacato - gli iscritti sono circa 480 mila - ma sono diventati anche
dirigenti». E la storia di Ocmin, arrivata dal Perù 20 anni fa, sposata in
Italia con due figli, ne è la testimonianza.
UIL, ESPERIMENTO PIONIERISTICO. Vent'anni fa, anche la Uil,
che oggi conta 130 mila immigrati iscritti, aprì a Roma il suo primo sportello
dedicato. «Fu un esperimento pionieristico», spiega il segretario confederale
Guglielmo Loy, «in quegli anni, né la pubblica amministrazione né la politica
erano pronte ad accogliere gli stranieri che diventavano lavoratori italiani».
Da allora gli immigrati sono sempre più presenti nel sistema produttivo del
Paese. «Rappresentano la manodopera del futuro, e visto che l'Italia è priva di
materie prime e ha un'economia basata sulla produzione di beni e servizi»,
osserva Danesh, «rappresentano una risorsa indispensabile e da valorizzare». Per
questo i sindacati ogni giorno lottano affinché vengano introdotte alcune
specificità nella contrattazione di secondo livello: «Visto che il 10% dei
lavoratori italiani è immigrato», continua Danesh, «e ogni anno oltre 200 mila
di loro è regolarizzato, occorre ascoltare le esigenze di questa minoranza,
rendendole però universali».
Si va dalla
semplice richiesta di prevedere, nelle mense aziendali, menù senza carne di
maiale vietata dalla religione musulmana, all'esigenza di periodi di ferie più
lunghi, ottenibili con il cumulo, per i lavoratori che arrivano da Paesi lontani»,
racconta Ocmin. Sino al Testo unico sulla sicurezza e la salute nei posti di
lavoro, diventato legge nel 2010, che prevede oltre alla variabile del genere
anche l'etnia e le diversità culturali.
BENEFICIO PER TUTTI. Si tratta di piccole attenzioni riservate
ai lavoratori stranieri di cui però alla fine beneficiano tutti. È il caso, per
esempio, dei corsi di alfabetizzazione. «Abbiamo più volte proposto ai Fondi
interprofessionali di inserire corsi di italiano per i lavoratori stranieri»,
racconta Danesh, «e nel settore dell'edilizia molti hanno accolto questa
richiesta che ha favorito tutti, imprenditori e operai». Sono numerose poi le
attività didattiche che gli stessi sindacati organizzano grazie al volontariato
di alcuni iscritti, spesso professori in pensione, che aiutano i giovani
immigrati a parlare correttamente la nostra lingua. «Così come negli Anni 60 il
sindacato attraverso varie iniziative come le 150 ore si prese l'incarico di
educare e formare le masse di lavoratori, spesso analfabeti, che arrivavano
dalle campagne, oggi lo stesso sforzo deve essere fatto con gli immigrati, che
non sono e non saranno sempre solo raccoglitori di pomodori e badanti»,
assicura Ocmin.
Un percorso
tutt'altro che in discesa e costellato di ostacoli. Il più pesante dei quali è
senza dubbio la legge Bossi-Fini: «Secondo il contratto di soggiorno se un
immigrato lavora in Italia anche da 10 anni ma perde il lavoro, ha solo sei
mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti deve andare via», ricorda Loy.
RISCHIO SFRUTTAMENTO. Una regola che non fa altro che
alimentare tensioni e agevolare lo sfruttamento, oltre che la concorrenza
sleale: «Diventa un'arma di ricatto per abbassare il costo del lavoro degli
immigrati che pur di trovare un impiego entro sei mesi accettano di tutto»,
denuncia un operatore della Cgil. Anche per questo motivo l'Inps continua a
registrare una differenza salariale del 30% tra le lavoratrici italiane e
quelle straniere.
DISOCCUPATI E SOTTOPAGATI. Secondo il Rapporto
annuale sull'economia dell'immigrazione 2011 della Fondazione Leone
Moressa, il tasso di disoccupazione straniero è passato dall’8,5% del 2008
all’11,6% del 2010; gli immigrati hanno livelli di povertà più elevati: il
37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà contro
il 12,1% delle famiglie italiane, e le loro retribuzioni sono inferiori di 300
euro rispetto ai lavoratori italiani.
RATIFICA DELLA DIRETTIVA 52. E visto che in questo momento di
crisi sono proprio gli stranieri a perdere per primi il posto, i sindacati
chiedono da tempo la ratifica della direttiva 52 dell'Ue sull'emersione del
lavoro nero, che dà la possibilità agli irregolari di denunciare i datori di
lavoro che li sfruttano ottenendo un permesso di soggiorno umanitario per
trovare un'occupazione legale. «Una misura che già doveva entrare in vigore
entro il luglio 2011», ricorda Ocmin, «e che limiterebbe la riduzione in
schiavitù specie nel settore dell'edilizia e dell'agricoltura».
LEGGE TURCO-NAPOLITANO. L'obiettivo comune di tutti i
sindacati è quello di poter usare in maniera più ampia l'articolo 18 della
legge Turco-Napolitano finora applicato per aiutare le prostitute vittime dei
propri aguzzini. Ma le cose stanno cambiando. «Nel 2010», fa notare Danesh, «in
circa 500 sentenze i giudici hanno però già esteso la normativa ad altri
lavoratori».
Ma sono anche
altri i servizi che il sindacato ha offerto in questi anni per favorire
l'integrazione e rendere meno difficile per gli stranieri l'accesso al mondo
del lavoro. Da cinque anni per esempio i patronati si occupano - grazie a una
direttiva dell'allora ministro dell'Interno Beppe Pisanu - di firmare i
protocolli del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Sono
circa 700 mila gli immigrati che ogni anno si rivolgono all'ufficio Inca della
Cgil. «Nel 2011 il patronato ha firmato circa 140 mila rinnovi, concesso 12
mila ricongiungimenti familiari oltre a occuparsi delle pratiche e dei servizi
di informazione», spiega Danesh. «L'immigrazione in Italia è ormai una
variabile costante in tutti i processi, non se ne può più fare a meno, e la
politica se ne deve rendere conto».
STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE. In tal senso, secondo Danesh,
anche l'intervento del presidente della Repubblica per concedere la
cittadinanza ai figli di stranieri sulla base del principio dello ius soli
è stata salutata come «la richiesta di un grande statista che guarda al futuro
della società, mentre alcuni politici continuano a fare cassa elettorale giocando
sulla sensibilità degli italiani verso questi temi».
Un cambio delle regole di cittadinanza è sempre più urgente: «La carta di
soggiorno per esempio», spiega Loy, «può essere concessa agli immigrati dopo
cinque anni di permanenza in Italia, ma è ancora troppo difficile e complicato
l'iter per ottenerla, è invece uno strumento utile che andrebbe concesso con
più facilità».
Razzismo
Giornata della memoria
(16) Lo sterminio
dimenticato. 27 gennaio: l’olocausto degli zingari
Errico
Taiani
Thomas Geve.
tavola disegnata ad Auschwitz quando aveva 13 anni.
La giornata della memoria fu
istituita undici anni fa e rinnova il ricordo del 27 gennaio 1945 quando furono
abbattuti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. Shoah in
ebraico, significa "annientamento", un annientamento barbaro che
sterminò quasi fossero batterie di animali oltre sei milioni di Ebrei da parte
dei nazisti. La comunità ebraica preferisce questo termine a
"olocausto", che potrebbe dare l'idea di un sacrificio religioso. Anche
quest’anno nelle scuole e nelle città attraverso manifestazioni
simboliche si cerca di ricordare alle nuove generazioni uno dei più grossi
crimini dell’uomo, un periodo storico da ricordare affinché l’odio dell’uomo
mai più si scagli contro un altro uomo con tale cattiveria. La coscienza
collettiva però - ammesso che una coscienza collettiva esista – negli
anni, forse perché il peso di un genocidio è già troppo da sopportare spesso ha
dimenticato un popolo che al pari degli ebrei ha subito le medesime pene: gli
zingari Rom. Fonti storiche parlano di circa 1 milione e mezzo di rom deportati
nei campi di concentramento e morti nelle camere a gas. Ma, se sul
genocidio del popolo ebraico grava il pericolo costante del revisionismo
storico, sul genocidio degli zingari grava il pericolo dell’oblio, della
dimenticanza più totale. Nei vari processi ai nazisti responsabili di crimini
contro l’umanità non si è quasi mai affrontato il problema del loro sterminio.
Forse tra i rom sopravvissuti solo pochi hanno voluto raccontare o
forse non sempre c’era qualcuno ad ascoltarli, Fabrizio De andrè in un discorso
sull'album “anime salve” sostiene che i rom non avendo una memoria storica a
causa del loro continuo girovagare abbiano completamente rimosso quel terribile
ricordo e li cita nella bellissima canzone Khorakhané (A Forza Di Essere
Vento). Il cinema invece, ha trattato il tema delle deportazioni degli zingari
nel film “Train de vie - Un treno per vivere” del regista rumeno Radu
Mihăileanu, dove una compagnia di ebrei si unisce ad una carovana di
zingari in fuga su un "treno fantasma". Fonti storiche, parlano di
un triangolo nero con il vertice capovolto, a volte affiancato dalla
lettera Z, che stava per zigeuner, "zingari",questo era il segno che
individuava i rom nello Zigeunerlager, ovvero il campo degli zingari. Un
marchio che, come la stella gialla per gli ebrei, rappresentava l’appartenenza
ad una razza pericolosa, una minaccia per la sublime razza ariana. I nazisti,
nella loro ossessiva ricerca della perfezione, attraverso "Istituto per
l´igiene della razza", fondato e diretto da Robert Ritter, avevano
individuato teoricamente il gene che determinava l’istinto al nomadismo: il
wandertrieb. Pertanto lo zingaro, per cause genetiche, nasceva
ladro e delinquente e la logica conseguenza era l’incorreggibilità del suo
comportamento. Numerosi documenti testimoniano la loro presenza nei lager ma la
documentazione più cospicua sulla deportazione degli zingari riguarda
Auschwitz. Nel campo di sterminio, per un certo periodo, ci fu una sezione
appositamente riservata alle famiglie zingare, anche se la presenza dei rom
sarebbe documentata prima della costruzione di un apposito campo per loro. Lo
Zigeunerlager entrò in funzione alla fine del febbraio 1943 e cessò di esistere
ai primi di agosto del 1944, quando tutti coloro che vi erano, fino a quel
momento, sopravvissuti, vennero condotti nelle camere a gas. Il primo trasporto
vi giunse il 26 febbraio 1943. A partire dai primi di marzo dello stesso anno
vennero regolarmente registrati trasporti di zingari dai territori occupati,
tanto che in breve tempo risultò superato il limite della capienza: 10mila
persone. Gli zingari vennero assimilati, dunque, agli ebrei nella teoria
razziale e di conseguenza anche al trattamento: deportazione e soluzione
finale. È solo nel 1980 che la Germania riconosce loro la dignità di vittime,
affermando che avevano subìto, durante il regime nazista, una persecuzione
razziale. È solo nel 1995 che si discute ufficialmente per la prima volta, in un
convegno internazionale, del genocidio degli zingari.
Il sociologo di origine senegalese:
"La strage di Firenze è la punta di un iceberg, il problema non è solo il
gesto di un folle”.
Roma -
13 dicembre 2011 - "Lo sfondo razzista di quello che è successo è
evidente. L’assassino si è andato a scegliere le sue vittime al mercato,
sapendo di trovarle al lavoro. Ha aperto il fuoco contro un bersaglio
semplicissimo, gli ambulanti con la pelle nera". Aly Baba Faye, sociologo
e leader storico della comunità senegalese, si dice "sconvolto" per
la strage di Firenze, ma analizza con lucidità il contesto in cui è maturata:
"Negli ultimi anni in Italia si è seminato molto razzismo, la diversità è
diventata un male, l’immigrato la vittima da sacrificare. C’è stato un
crescendo che ha legittimato il razzismo, con la politica che insisteva sulla
sicurezza e sulle espulsioni, trasformando gli immigrati in una minaccia".
Vede
un filo conduttore tra i casi di Torino e Firenze?
"Certo. La sedicenne che sente sempre parlare male degli zingari, quando
si deve inventare uno stupro dà la colpa ai rom e altri vanno a bruciare il
loro accampamento. Un folle di estrema destra che spara sugli immigrati è la
mano armata di un pensiero seminato da anni. Siamo davanti alla punta di un
iceberg, il problema non è solo la punta, ma tutto l’iceberg".
La
crisi economica aggrava questa situazione?
"La crisi economica è terribile e si rischia di scivolare in un clima
pesantissimo. La gente non ne può più, è preoccupata e trova negli immigrati un
comodo capro espiatorio. Diventi colpevole per il solo fatto di essere rom,
extracomunitario, nero. È un continuo fiorire di insulti e ci vuole poco per
passare dalla violenza verbale a quella fisica. Sempre più spesso si premette
la frase “io non sono razzista, ma ” a discorsi davvero atroci contro gli
immigrati".
E gli
immigrati denunciano?
"Macchè, ormai sono quasi assuefatti a questo clima diffuso. È una
sconfitta per chi lavora da anni nell’antirazzismo. Qualche giorno fa ero su un
autobus a Brescia e un gruppo di ragazzini ha snocciolato davanti a me una
ricca serie di luoghi comuni contro musulmani e neri. Lo hanno fatto sfoggiando
un arsenale di linguaggio che dimostra quanto le nuove generazioni abbiano
assorbito il profilo del ‘mostro’ che ci è stato cucito addosso".
Come
crede che reagirà la comunità senegalese a quello che è successo oggi?
"Oggi ho sentito molti ragazzi di Firenze e c’era tantissima rabbia. Non
si può pensare che gli immigrati subiscano sempre in silenzio, pensiamo a
quello che è successo a Rosarno. Servono messaggi distensivi, perché non si
scivoli in una protesta violenta. Le istituzioni dovrebbero stare
particolarmente vicine alla comunità in questo momento".
Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it
Diritti di cittadinanza
(18) Stranieri residenti e diritti di cittadinanza: la UIL chiede al Parlamento di
riavviare il dialogo sulle proposte di legge già presentate
E’ necessaria una maggiore disponibilità al confronto da parte
della politica e della società.
Roma,
17 ottobre 2011 - La UIL ribadisce
la necessità e l’urgenza di una forte discontinuità sul fronte dei diritti di
cittadinanza e sollecita Parlamento e Governo a cercare un punto di vista
comune in materia di piena partecipazione degli stranieri alla vita civile nel
nostro Paese. In Parlamento giacciono da anni inerti numerose proposte, sia di riforma della legge di
cittadinanza n. 91/1992, sia riguardanti l’estensione del diritto di voto
amministrativo agli stranieri lungo – residenti. E’ tempo di tornare al
dialogo tra tutte le parti politiche, lasciando da parte le polemiche
ideologiche e cercando insieme soluzioni concertate in direzione di una riforma
che permetta la piena partecipazione di 5 milioni di nuovi cittadini alla vita
politica e sociale della nostra nazione. Oggi, con una presenza di stranieri
residenti vicina al 10% della popolazione complessiva, non è più possibile
considerare la società italiana come fossimo nel 1992 quando si approvò la
legge 91 sulla cittadinanza. Serve un nuovo approccio a questo tema, un nuovo
“contratto sociale”, le cui regole vanno scritte assieme a tutti i cittadini,
nati o meno nel nostro Paese. In questo senso vediamo con favore tutte le
iniziative promosse per aumentare il grado di sensibilizzazione pubblica su di
una questione tanto importante e delicata, anche se siamo poco convinti
dell’utilità di un approccio ideologico su questa materia. Come
già detto, le proposte di riforma della cittadinanza non mancano. Quello che è mancata finora è una
volontà comune di ricerca del dialogo e di soluzioni concertate tra le varie
forze politiche di maggioranza e di opposizione.
Anche sul tema del diritto di
voto amministrativo. E’ ben noto che in Europa ben 16 Paesi su 27 permettono
già agli immigrati residenti da oltre cinque anni di poter votare alle elezioni
amministrative. E’ giusto che questo avvenga anche da noi. Ma
per fare ciò non servono nuove proposte legislative: basterebbe che Governo
e Parlamento ratificassero il capitolo C della Convenzione di Strasburgo per
rendere questo diritto esigibile anche da parte dei nostri stranieri lungo
residenti. Ribadiamo dunque l’urgenza di riavviare il dialogo tra le forze
politiche e sociali, con l’obiettivo di arrivare ad una posizione comune in
materia di piena partecipazione degli stranieri alla vita civile nel nostro
Paese. Nel contempo,
chiediamo anche una rapida innovazione dei meccanismi, oggi troppo lenti e inutilmente complessi,
dell’iter necessario ad ottenere l’ex carta di soggiorno, pubblicizzandone
maggiormente i requisiti, eliminando le arbitrarietà territoriali a volte
praticate e rendendo più semplice, veloce e funzionale il percorso burocratico.
Uno strumento, quello della ex carta di soggiorno, che può rendere più
realistico l’obiettivo di costruire una NUOVA POLITICA DI CITTADINANZA per
milioni di cittadini non italiani. La
UIL articolerà, nelle prossime settimane, una grande campagna di promozione dei diritti di
cittadinanza chiedendo che l’Esecutivo ed il Parlamento promuovano, da subito,
un confronto sereno e a tutto campo
su questa importante materia.
Dipartimento Politiche Migratorie UIL
(20) E’ tempo di ripensare il modello
di cittadinanza, di società e di contratto sociale
Di Giuseppe Casucci, Fabrizio Molina, Christopher Hein
Il dibattito sulla
cittadinanza, sulla necessità cioè di costruire un nuovo quadro legislativo che
tenga conto dei profondi mutamenti che stanno rendendo la nostra una società
sempre più multietnica, ha ripreso in questi giorni vigore anche grazie alle
forti opinioni espresse in materia dal Presidente Napolitano. E’ importante
dunque cogliere lo stimolo che viene dalla Presidenza della Repubblica e
riannodare quel filo di dialogo tra Parlamento e società civile di fatto
interrotto da due anni. Per fare ciò sarebbe forse utile spogliare il confronto sul tema dei
diritti di cittadinanza dalle impostazioni ideologiche e guardare ai fatti: ai
segnali che ci vengono da una società in rapido movimento, dalla realtà della
crisi globale, nonché dai bisogni e dalle aspirazioni espresse dai nuovi come
dai vecchi cittadini.
Gap demografico e prospettive
future della società
Oggi in Italia vivono quasi
cinque milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della
popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Come dire che, senza gli stranieri, saremmo oggi 55.6
milioni di abitanti italiani e che il rapporto tra stranieri e di
italiani è in effetti di 1 contro 11. A causa del gap demografico, in futuro le
cose non sembrano destinate a cambiare: oggi il tasso di fecondità
è pari a 2,4 figli per le donne straniere, contro 1,3 per quelle italiane.
Senza i cittadini immigrati, dunque, saremmo destinati ad un rapido declino.
Secondo uno studio del Ministero del Lavoro, il calo demografico tra il 2010 ed
il 2020 sarà di almeno altri 1,7 milioni di cittadini il che porterebbe il
rapporto stranieri italiani ad 1 contro 8. Secondo il Fondo sulle Popolazioni Mondiali (Nazioni
Unite), tra oggi ed il 2050,
l’Europa perderà altri 103 milioni di abitanti, di cui forse 8 milioni di
italiani. Infatti attualmente l’Italia registra la 3° età mediana più alta del
mondo, dopo Giappone e Germania, (43 anni, contro i 15 del Niger o i 16,7
dell’Afghanistan). Non c’è dubbio che il futuro demografico e di sviluppo del
nostro Paese dipenderà in gran parte dai flussi migratori e dai nuovi nati
stranieri in Italia. Nel 2010, in effetti, sono nati circa 78 mila bambini stranieri, il 13,9% del
totale dei nati nel Belpaese. In quanto ai minori stranieri, essi sono
destinati ad un aumento percentuale notevolmente superiore al trend complessivo
migratorio. Nel 2010 c’erano quasi un milione di minori stranieri, di cui oltre
650 mila nati in Italia. Nel 2020 le previsioni è che essi supereranno quota
1,5 milioni.
Leggi e modelli di società
Nel 1992 gli stranieri
residenti registrati risultavano essere 537.062. E’ l’anno in cui fatta divenne vigente la legge 91
sulla cittadinanza, una legge che necessariamente risentiva del minimo impatto
sulla nostra società delle migrazioni. Oggi, con una presenza di stranieri
residenti vicina all’8% della popolazione complessiva e di dieci volte
superiore al 1992, la società italiana è certamente molto cambiata rispetto
vent’anni fa. Da allora, cioè, è mutata la composizione e la qualità della
società civile, oggi assai lontana da quella chiamata nel 1991 a sottoscrivere
il contratto sociale. Da qui la necessità e l’urgenza di riscrivere le regole di civile convivenza, basandosi su
nuovi parametri e valori di riferimento. Non è possibile certo pensare ad un
mero modello di assimilazione dei nuovi venuti offrendo un quadro di valori e
regole scritte solo dagli italiani. Se il contratto va riscritto, questo deve
poter avvenire con l’apporto di tutti gli attori interessati: di qui la
necessità che il dibattito parlamentare riprenda e si avvalga di un confronto
di merito anche con la società civile nel suo complesso, e con i suoi
rappresentanti, italiani o non.
Riforma, eccesso di proposte
In Parlamento non mancano
certo le iniziative di legge. Dall’inizio della XVI legislatura
le proposte d’iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza sono state ben
48: 15 sono quelle che la Commissione affari costituzionali della Camera ha
preso in esame (confronto poi sospeso dal 20 luglio 2010). 14 proposte non sono
state ancora assegnate, come i 18 disegni di legge al Senato. Sul tavolo c’è
anche una proposta d’iniziativa popolare depositata in Cassazione. Futuro e
Libertà per l’Italia, dal canto suo, ha rilanciato recentemente la proposta "Sarubbi-Granata"
limitata solo alla 'corsia privilegiata' per diventare cittadini italiani a chi
nasce sul territorio nazionale. Da
ultimo, il 23 novembre scorso, il Sen. Ignazio Marino del PD ha depositato in
Senato il disegno di legge “Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia
di introduzione dello ius soli”, dispositivo firmato da altri 112 senatori del blocco PD, IDV, UDC,
API. La proposta introdurrebbe lo ius soli “secco”, permettendo di
diventare subito italiani tutti i bambini nati in Italia, figli di genitori stranieri.
Dunque le proposte sono tante, segno del grandissimo interesse che questa
materia suscita. Quello che è mancato purtroppo è il dialogo ed anche la
volontà di trovare un punto d’incontro tra le diverse impostazioni politiche ed
ideologiche. Dobbiamo considerare che riforme così importanti, come quella
sulla cittadinanza, riguardano le regole di civile convivenza della società
presente e futura. E’ consigliabile, dunque, che non vengano approvate di forza
da una maggioranza parlamentare risicata, anche perché correrebbero il rischio
di essere cancellate da un futuro cambio di governo. Su un tema tanto
fondamentale come il contratto sociale, meglio sarebbe trovare una larga
maggioranza, anche se su contenuti mediati, piuttosto che rimanere fermi al 1992.
E quali sono questi contenuti?
Idee da discutere
E’ stato fatto
notare che con la cittadinanza italiana si acquisisce anche quella europea.
Meglio dunque sarebbe una riforma più vicina nei contenuti a quelle realizzate
in altri Paesi UE. In altre nazioni l’acquisizione della cittadinanza può
avvenire immediatamente alla nascita, anche se con diverse condizioni
richieste: ad esempio la riforma spagnola ha introdotto la possibilità di
cittadinanza per i bambini figli di stranieri con almeno un anno di residenza
in Spagna; mentre le riforme greca
e portoghese prevedono una residenza del genitore di almeno 5 anni; infine
quella tedesca parla di almeno 8. Peraltro, nella gran parte degli Stati
europei godono di un accesso privilegiato alla cittadinanza, quei bambini nati sul territorio del
Paese di immigrazione che abbiano accumulato un certo numero di anni di
residenza o arrivati da piccoli nel Paese ospite, avendo poi completato un
ciclo scolastico. Questa corsia privilegiata per i minori, infatti, riguarda quasi ovunque anche i bambini
non nati nel paese di immigrazione, ma che ci sono arrivati da piccoli, purché
vi abbiano studiato o vi siano vissuti per un certo periodo. Un altro provvedimento che potrebbe de
ideologizzare il dibattito sulla cittadinanza è una maggiore e più fluida
fruizione del permesso di soggiorno di lungo periodo. E questo, non solo perché l’ex carta di soggiorno concede
agli immigrati regolari da più di cinque anni una parità di diritti quasi
sostanziale con gli italiani, ma anche perché lo straniero in possesso di carta
di soggiorno, viene liberato dall’oppressione burocratica del permesso di breve
durata e dalle farraginosità e trappole della Bossi- Fini. Oggi forse la
maggioranza di chi richiede la cittadinanza lo fa per sfuggire all’ordalia del
rinnovo del permesso, non perché sia convinto di voler diventare italiano.
Bisogna dunque mettere i cittadini stranieri in condizione di chiedere la
cittadinanza italiana per convinzione e non per pura necessità. Una ipotesi
mediata, per quanto riguarda i bambini, potrebbe dunque ispirarsi
all’esperienza europea e concedere la cittadinanza ai figli di immigrati
presenti regolarmente da almeno 5 anni, che nascano in Italia o vi arrivino da
piccoli. In alternativa, i minori che abbiano completato almeno un ciclo
scolastico potrebbero comunque godere di un percorso privilegiato alla
cittadinanza italiana. Per quanto riguarda gli adulti, sarebbe auspicabile un
percorso più semplice per l’ottenimento della carta di soggiorno e la
cittadinanza dovrebbe arrivare in tempi certi di residenza e con un percorso
meno ad ostacoli, a condizione che
lo straniero si sia radicato nel nostro Paese e vi voglia far parte
abbracciandone valori e regole. Per quanto riguarda il diritto di voto
amministrativo per i lungo – residenti, l’Italia ha già ratificato la
Convenzione di Strasburgo, spostando solo temporalmente l’applicazione del
capitolo C. Basterebbe, dunque, una legge ordinaria per permettere a chi
risiede da un lustro nel nostro Paese, di poter votare i propri amministratori pubblici locali: traguardo
importante in quanto i partiti impareranno a mostrare maggiore attenzione e
rispetto verso gli stranieri, solo quando anche loro avranno diritto di voto.
Noi non intendiamo, comunque,
fare una proposta nuova con tempi e modi definiti di ottenimento dei diritti di
cittadinanza. Il nostro obiettivo è quello di facilitare il confronto e
soprattutto il buon senso tra tutte le parti politiche e sociali interessate,
convinti che un nuovo contratto sociale sui diritti di cittadinanza premierà
non solo gli stranieri, ma l’insieme della società italiana che cerca un
approccio nuovo per rispondere alle side del presente e del futuro.