Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del  02 gennaio 2012)

 

 News immigrazione: le <top 20> del 2011

 

Raccolta delle 20 notizie più significative pubblicate su “Focus Immigrazione” nel 2011

 

Sommario

 

o      Demografia                                                                                               pag. 2

o      Mediterraneo                                                                                          pag. 3

o      Società                                                                                                   pag. 4

o      Lavoro                                                                                                    pag. 6

o      Giurisprudenza                                                                                        pag. 8

o      Direttive UE                                                                                            pag. 9

o      Sindacato                                                                                                pag.11

o      Razzismo                                                                                                          pag.16

o      Diritti di cittadinanza                                                                                      pag.17

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it    

                                                                                  Anno X  n. 1


Demografia

 


 (1) Demografia: sono dolori!
5 maggio 2011, da The Economist online http://www.economist.com      


 Lo scorso 3 maggio, alle Nazioni Unite hanno  prodotto l’aggiornamento biennale delle previsioni sulla  popolazione mondiale, che comprende proiezioni e simulazioni demografiche delle principali aree e Paesi. I numeri mostrano piccole modifiche dal 2008, ma non per questo confortanti. La popolazione mondiale potrebbe raggiungere quota 7 miliardi nell’ottobre 2011, invece che nella primavera del 2012. La tendenza potrebbe superare nel 2100 la fantastica cifra di 10 miliardi di persone, invece che stabilizzarsi. Ma i cambiamenti più drammatici sono a livello nazionale, non globale. La popolazione americana, attualmente di  310 milioni, è destinata ad aumentare a 400 milioni nel 2050 e 478 milioni nel 2100. La Cina dovrebbe invece perdere  400 milioni di abitanti, da qui al 2100, a causa delle severe misure di controllo demografico imposto dal Governo. La popolazione della Russia di oggi è pari a 142 milioni di persone; l’Afghanistan ha poco più di un quinto di questa cifra; il Niger, conta per appena un decimo, superando di poco i 15 milioni di abitanti. Ma entro il 2100, si prevede che l'Afghanistan avrà la stessa popolazione della Russia (111 milioni), mentre il  Niger sarà ancora più popolato. Tali previsioni debbono essere prese con estrema prudenza: in effetti, piccoli spostamenti del tasso di natalità di oggi, estrapolati nell’arco di 90 anni,  possono produrre enormi cambiamenti. Ma il quadro generale è probabilmente giusto. L’attuale popolazione sub-sahariana, di 856 milioni, è poco più grande che in Europa e un quinto dell’Asia. Entro il 2050 potrebbe essere quasi tre volte l’Europa e nel 2100 potrebbe anche essere tre quarti delle dimensioni dell’Asia. Ad ogni modo, l'Africa è sicuramente il continente di gran lunga di più rapida crescita, che raddoppierà probabilmente l’attuale popolazione raggiungendo quota 2 miliardi entro la fine di questo secolo. L’Europa , dal canto suo, conta oggi di 731 milioni di abitanti. Potrebbe perderne 50 milioni entro il 2050 e probabilmente il doppio entro la fine del 21° secolo.



Istat: 14 milioni di stranieri residenti entro 2065. La maggior parte al nord


 (ASCA) - Roma, 28 dicembre 2011 - La popolazione straniera residente e' stata, negli anni recenti, protagonista di dinamiche demografiche molto sostenute sul territorio nazionale e, negli anni a venire, il grado di multi etnicità del Paese sarà incrementato ulteriormente. Lo sostiene l'Istat, presentando i dati relativi allo studio sul futuro demografico del Paese. Nello scenario centrale si riscontrerebbe un costante incremento, pur a ritmi decrescenti nel tempo, della popolazione straniera. Dai 4,6 milioni d'individui rilevati nel 2011, si perverrebbe a 7,3 milioni nel 2020 e a 9,5 milioni nel 2030. Nel lungo termine si attendono 12,7 milioni di residenti entro il 2040 e 14,1 milioni entro il 2065. Nell'ambito dei comportamenti demografici, le coppie straniere darebbero la luce a 7,5 milioni di nascite su tutto l'arco di previsione, con la prospettiva di un valore minimo di almeno 6,4 milioni e di un massimo pari a 8,6 milioni. Nel medesimo intervallo, per effetto della giovane struttura per età della popolazione straniera, l'ammontare dei decessi risulterebbe pari a 2,3 milioni, con un intervallo compreso tra 2,1 e 2,5 milioni. Il contributo alla crescita naturale della popolazione risulterebbe, dunque, particolarmente importante: 5,2 milioni nello scenario centrale e una 'forchetta' compresa tra i 3,9 e i 6,4 milioni. Si prevede, inoltre, che nel corso del periodo di previsione potrebbero acquisire la cittadinanza italiana (sottraendosi cosi' al conteggio della popolazione straniera) circa 7,6 milioni d'individui nello scenario centrale, 5,6 milioni nello scenario basso e fino a 9,8 milioni in quello alto. La collocazione territoriale della popolazione straniera, comunque in crescita ovunque, proseguirebbe ad avvantaggiare soprattutto le regioni del Centro-nord, ma non significativamente la distribuzione geografica attuale. Nel Nord-ovest la popolazione straniera raggiungerebbe i 5,1 milioni d'individui entro il 2065, ossia un ammontare corrispondente al 36% della popolazione straniera complessivamente residente sul territorio nazionale. Il Nord-est e il Centro seguirebbero con, rispettivamente, 3,7 e 3,6 milioni di residenti e una copertura territoriale del 26% per entrambe. Il Sud e le Isole avrebbero, rispettivamente, 1,2 e 0,5 milioni di residenti, per una copertura territoriale del 9% e del 4%. Per l'Italia in complesso, considerando lo scenario centrale, l'incidenza di stranieri residenti verrebbe a registrare decisivi incrementi, passando dal 7,5% nel 2011 al 14,6% nel 2030, per poi raggiungere il 23% nel 2065. Su scala territoriale, pur partendo da livelli iniziali ben diversi, tutte le aree del Paese saranno comunemente interessate dal processo di crescita relativa della popolazione straniera: le regioni del Centro-nord, in primo luogo, vedrebbero più che raddoppiare l'incidenza di presenze regolari, muovendo da valori iniziali intorno al 10% a livelli superiori al 26-27%, fino a un massimo del 29% nel Nord-ovest. Le regioni del Mezzogiorno si confronterebbero con valori più modesti d'incidenza, muovendo da valori attorno al 3% per raggiungere circa il 10% nel 2065.
com-elt/lus/rl

Scarica: Istat, il futuro demografico del Paese


 

Mediterraneo


(3) Permesso temporaneo: istruzioni per l'uso

Di Claudio Tucci    http://www.ilsole24ore.com


Istat: 14 mln stranieri residenti entro 2065. La maggior parte al nordUn permesso di soggiorno "umanitario" di sei mesi che consente comunque tre mesi di libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen. Lo possono chiedere gli stranieri giunti in Italia dal 1 gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011. Il rilascio è gratuito e la consegna avviene presso le questure con procedura d'urgenza. Attenzione: non possono richiederlo, tra l'altro, chi appartiene alle categorie socialmente pericolose e sia destinatario di un provvedimento di espulsione ancora efficace, notificato prima del 1 gennaio 2011.

Ecco un rapido vademecum per sapere tutto sul permesso di soggiorno per motivi umanitari. Cosa è il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari
Il testo unico sull'immigrazione prevede, all'articolo 20, rubricato «Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali», la possibilità di emanare un Dpcm le misure di protezione temporanea dell'immigrato - da adottarsi anche in deroga a disposizioni del testo unico - per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea. Il premier Silvio Berlusconi ha firmato il Dpcm, che prevede un permesso di soggiorno, ai fini della protezione umanitaria, di sei mesi, garantendo comunque tre mesi di libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen.

Chi può beneficiare del permesso
Il Dpcm firmato dal premier Silvio Berlusconi, prevede che il permesso di soggiorno sia applicabile ai cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa affluiti in Italia dal 1 gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011.

Chi non può ottenere il permesso
Il Dpcm prevede poi che il permesso di soggiorno non possa essere rilasciato qualora l'interessato, pur appartenendo a uno dei Paesi del Nord Africa, si trovi in una di queste quattro condizioni: a) sia entrato in Italia prima del 1° gennaio 2011 o successivamente al 5 aprile 2011; b) appartenga a una delle categorie socialmente pericolose; c) sia destinatario di un provvedimento di espulsione ancora efficace, notificato prima del 1° gennaio 2011; e d) risulti denunciato per reati che prevedono l'arresto in flagranza (articoli 380 e 381 Cod. proc. pen.), salvo che i relativi procedimenti si siano conclusi con un provvedimento che esclude il reato o la responsabilità dell'interessato, ovvero risulti che sia stata applicata nei suoi confronti una misura di prevenzione, salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione, ovvero sia stato condannato per uno dei predetti reati, con esclusione delle denunce e condanne per i reati che comportino l'espulsione dello straniero (T.U. immigrazione, articoli 13, comma 13 e 14, comma 5-ter e 5-quater).

Come si chiede il permesso
Il Dpcm prevede che la richiesta del permesso di soggiorno sia presentata dall'interessato entro 8 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente Dpcm. Il rilascio del permesso di soggiorno è a titolo gratuito e la consegna presso le questure avviene con specifiche procedure d'urgenza, da concordare con il Tesoro. Attenzione: gli stranieri già in possesso di altro permesso di soggiorno (compreso quello per la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale) possono chiedere la conversione degli stessi nel permesso di soggiorno per motivi umanitari. Al richiedente la protezione internazionale, può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari solo previa presentazione di rinuncia all'istanza di riconoscimento della protezione internazionale o se la medesima istanza è stata rigettata. In ogni caso, il rilascio del permesso di soggiorno umanitario non preclude la presentazione dell'istanza di riconoscimento della protezione internazionale.

Come succede se non viene rilasciato il permesso di soggiorno umanitario
Il Dpcm prevede che sia disposto il respingimento o l'espulsione. L'espulsione è disposta con l'accompagnamento immediato alla frontiera qualora, dall'esame del singolo caso, emerga il rischio che l'interessato possa sottrarsi all'effettivo rimpatrio.



 (4) Angeletti: rifiutare di accogliere i profughi è contro spirito UE


(ANSA) - NAPOLI, 8 aprile 2011 - ''L'atteggiamento della Francia o di qualsiasi altro Paese europeo di rifiutare di accogliere i profughi e' un atto incompatibile con lo spirito e la logica dell'Unione Europea''. Lo ha detto Luigi Angeletti, segretario nazionale della Uil, oggi a Napoli, in merito alla questione dei profughi. ''Noi siamo la frontiera dell'Europa - ha affermato - ed entrati in Italia, in base al trattato di Schengen, si puo' circolare''. ''Non possiamo affrontare da soli il problema - ha concluso - proprio perche' l'Italia e' il Paese che, nel Mediterraneo, presidia i confini d'Europa''.


 

Società

 


Dossier Statistico Immigrazione 2011 – Caritas / Migrantes

(5) I cittadini stranieri in Italia vicino alla quota di 5 milioni.


Roma, 27 ottobre 2011 (Adnkronos) -Non sono persone dal tasso di delinquenza più alto, non stanno dando luogo ad una invasione di carattere religioso, non consumano risorse pubbliche più di quanto versino con tasse e contributi, non sono disaffezionati al Paese che li ha accolti e, al contrario, sono un efficace ammortizzatore demografico e occupazionale. E' quanto emerge dal 21° Dossier Statistico 2011 sull'Immigrazione redatto da Caritas - Migrantes, che fotografa la presenza di cittadini stranieri nel nostro paese, da cui risulta che nell'ultimo anno la presenza di cittadini stranieri in Italia e' aumentata di 335.258 unità. In totale, rileva il rapporto Caritas - Migrantes, sono poco più di quattro milioni e mezzo, per la precisione 4.570.317, i cittadini stranieri residenti in Italia. La loro incidenza sulla popolazione totale, pari a 60.626.442, e' del 7,5% ed ''esercitano un ruolo rilevante nel supplire alla carenze strutturali a livello demografico e occupazionale''. Nell'ultimo anno l'aumento, nonostante la crisi, e' stato di 335.258 unità, al netto delle oltre 100mila cancellazioni dall'anagrafe, di cui 33mila per trasferimento all'estero e 74mila per irreperibilità, e dei 66mila casi di acquisizione della cittadinanza.  Nel frattempo, pero, centinaia di migliaia di persone hanno perso l’autorizzazione a rimanere in Italia, perché sono scaduti ben 684.413 permessi di lavoro (2/3 per lavoro e 1/3 per famiglia). Viene anche accreditata la presenza di circa mezzo milione di persone in posizione irregolare. Ai residenti, secondo la stima del Dossier, bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti ma non ancora registrate in anagrafe, per una stima totale di 4.968.000 persone. Il numero degli immigrati, rileva il Dossier e' quasi uguale a quello dello scorso anno ma, avverte, ''non deve sfuggire che le nuove presenze sono state oltre mezzo milione, tra regolarizzati e nuovi venuti, a fronte di altrettanti immigrati la cui autorizzazione al soggiorno e' venuta a cessare, a prescindere dal fatto che siano rimpatriati o siano scivolati nell'irregolarità. Questa rotazione -  avverte ancora il Dossier -deve indurre a riflettere sugli effetti pesantemente negativi della precarietà dei titoli di soggiorno e sulle modifiche normative necessarie per porvi rimedio ''. La presenza degli immigrati sul territorio italiano e' più consistente nelle regioni del Nord-Ovest, dove e' del 35%, segue il Nord-Est con il 26,3%, il Centro con il 25,2% e il Sud e Isole con il 13,5%. In lieve superiorità numerica le donne, che rappresentano il 51,8% del totale mentre i minori sono il 21,7%. Tra le prime cinque collettività per numero di residenti, rileva ancora il Dossier, si trovano la Romania, con 968.576 presenze, seguita dall'Albania, con 482.627, il Marocco con 452.424, la Cina con 209.934 e l'Ucraina con 200.730 presenze. Gli stranieri, rileva ancora il Dossier, la cui età media' e di 32 anni, contro i 44 degli italiani, si caratterizzano per la forte incidenza di minori (21,7%) e delle persone in età lavorativa (78,8%) mentre gli ultra 65enni superano di poco il 2% ( sono, invece, un quinto della popolazione italiana). In altri termini, gli stranieri sono appena 1 ogni 100 tra gli anziani, ma oltre un decimo dei minori  e dei giovani (18-39 anni).

Scarica: Scheda di sintesi

Principali dati



(6) Le imposte degli immigrati: oltre 6 miliardi di Irpef nel 2010, 2,8 mila euro procapite.
Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa gli immigrati contribuiscono al 4,1% del gettito complessivo e sono il 6,8% dei contribuenti.


Venezia, 27 dicembre 2011 - Oltre 6 miliardi di euro di Irpef per una quota procapite di 2,8 mila euro. È questo il contributo degli immigrati sul gettito complessivo nazionale che, secondo una ricerca della Fondazione Leone Moressa sui redditi dichiarati dagli immigrati nel 2010, ammonta al 4,1% del gettito complessivo nazionale.
Dallo studio emerge che i contribuenti stranieri sono 2,1 milioni, il 65% dei residenti in Italia e rappresentano il 6,8% del totale dei contribuenti. La maggior parte di essi sono concentrati in Lombardia (20,9%), in Veneto (12,0%) e in Emilia Romagna (11,2%). Se si analizza il peso degli stranieri che hanno pagato l’imposta netta rispetto al totale dei contribuenti che hanno pagato l’Irpef, si nota come Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia siano le due regioni che mostrano la maggiore incidenza: in entrambe le aree su 10 soggetti che pagano le imposte sui redditi, 1 è straniero. Subito dopo si trovano regioni quali il Veneto (9,0%), l’Emilia Romagna (8,7%) e la Liguria (8,2%). Più si scende verso Sud, minore è l’incidenza dei contribuenti stranieri.
Un indicatore interessante, secondo i ricercatori, è il confronto tra italiani e stranieri rispetto al rapporto tra il numero di contribuenti che pagano l’imposta netta e il numero di contribuenti totali che fanno la dichiarazione dei redditi. Questo indicatore permette di capire quanti contribuenti pagano effettivamente l’Irpef e quanti invece ne sono esentati a causa delle diverse e molteplici detrazioni. Per quanto riguarda i contribuenti nati all’estero la percentuale di coloro che pagano l’Irpef è del 64,9%, contro il 75,5% degli italiani. Questo significa che gli stranieri beneficiano, più degli italiani, di detrazioni fiscali a causa principalmente del basso importo dei redditi stessi.
“Stranieri di nascita ma italiani di contribuzione. Gli stranieri che in Italia lavorano sono tenuti a pagare le tasse” affermano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa “ma il loro importo differisce da quanto pagato dagli italiani: i bassi livelli di reddito, quasi esclusivamente da lavoro dipendente, comportano un esborso per gli stranieri di poco meno di 3mila euro all’anno. Valori che aumentano nelle aree del Nord dove la presenza e la penetrazione degli stranieri nel mercato del lavoro è più radicata. È ovvio che se il sistema riuscisse ad eliminare le sacche di illegalità che colpiscono anche i lavoratori stranieri, l’apporto degli immigrati alla finanza pubblica sarebbe certamente maggiore, contribuendo ad un’integrazione che passa anche per il pagamento delle tasse”.
(Red.)


 

Lavoro

 


(7)Immigrati: ricerca, un nuovo disoccupato su 4 è straniero


(AGI) - Roma, 11 gen. - In Italia, dall'inizio della crisi il numero di disoccupati stranieri e' aumentato di oltre 95mila unita' (68mila solo al nord), pari grosso modo ai nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari previsti dal decreto flussi 2010. Tra tutti i soggetti che nel nostro Paese hanno perso il lavoro, il 28,4% e' straniero. Sono alcuni dei dati di una analisi della Fondazione Leone Moressa, che ha studiato le dinamiche occupazionali degli immigrati nell'ultimo biennio. Attualmente - spiegano i ricercatori della Fondazione - il tasso di disoccupazione degli stranieri e' del 9,8%, contro una media degli italiani del 7,3%. Le aree settentrionali, oltre a mostrare la piu' alta consistenza di disoccupati stranieri, evidenziano i tassi di disoccupazione piu' elevati: 10,4% contro il 9% del Centro e il 9,1% del Mezzogiorno. I disoccupati stranieri sono oltre 235mila e rappresentano il 12,6% di tutti i senza lavoro in Italia: nelle regioni del nord la percentuale dei nuovi senza lavoro aumenta al 30,4%, al centro e nel mezzogiorno si stabilizza rispettivamente intorno al 23,5 e al 26,3%. "L'emorragia occupazionale che ha colpito soprattutto gli stranieri - si legge nello studio - rischia di farli cadere in una situazione di irregolarita', dal momento che il lavoro e' la condizione necessaria per il loro regolare soggiorno. Considerando che il numero dei nuovi disoccupati stranieri corrisponde grosso modo a quello dei nuovi ingressi previsti dal decreto flussi 2010 (poco meno di 100mila unita'), serve ripensare ad una politica di immigrazione che, tra le altre cose, privilegi dove possibile l'assunzione di quei soggetti gia' presenti nel nostro territorio, ma rimasti senza lavoro a causa della crisi".


 


(8) Immigrazione  “Quest’anno niente decreto flussi nel 2011. Servono politiche attive per aiutare gli immigrati disoccupati”

A cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL


(redazionale) Roma, 19 dicembre 2011 – In un incontro tra Ministero del Lavoro e parti sociali, tenuto lo scorso 16 dicembre presso la sede di Via Fornovo, il Direttore Natale Forlani ha formalizzato l’intenzione del Governo di non procedere quest’anno al varo di un decreto flussi per nuovi ingressi di lavoratori extra UE. I motivi sono molti, ma riconducibili a due principali ragioni: a)  lo strumento del decreto flussi si è dimostrato inadeguato a conseguire il desiderato matching tra domanda ed offerta di lavoro straniero. Infatti il numero di nuovi contratti di soggiorno firmati, rispetto alle quote ed alle domande presentate è risultato a fine anno addirittura “risibile”; b) nel secondo trimestre del 2011 c’erano ben 278 mila stranieri disoccupati, un numero in rapida crescita che potrebbe superare quota 300 mila alla fine di quest’anno: sarebbe dunque illogico far entrare nuove persone in un mercato del lavoro fortemente in crisi. All’incontro di venerdì scorso erano presenti, oltre al Direttore Forlani, anche il Prefetto Daniela Parisi del Ministero dell’interno. Tra le parti sociali, presenti rappresentanti di tutti i sindacati e delle principali associazioni territoriali. Il  Dipartimento Politiche Migratorie della UIL era rappresentato da Giuseppe Casucci. Per dare un quadro credibile della critica situazione occupazionale che colpisce anche lavoratori stranieri, il dirigente ministeriale ha dato numerosi esempi concreti: “Negli anni della crisi, tra il 2008 ed il 2010 – ha detto – la disoccupazione tra gli immigrati è aumentata tre volte e mezzo rispetto a quella degli italiani (in valore % + 63,1 contro +18,4). In valori assoluti, i disoccupati stranieri sono passati dai 169 mila del secondo trimestre 2008 ai 278 mila del secondo trimestre 2011 (di questi, 140 mila sono percettori di sostegno al reddito); vale a dire una quota doppia rispetto a tre anni fa”. La crisi è visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Tra il 2009 ed il 2010, infatti, la cassa integrazione è risultata in fortissima crescita anche per gli stranieri. Mentre, sul fronte dei beneficiari di indennità di mobilità e disoccupazione, si registra attualmente tra i lavoratori immigrati una crescita nell’uso di questi strumenti, che già nel 2009 era pari a + 28,9%, a fronte di una crescita complessiva del 9,6% per tutti gli occupati. Per Forlani, l’andamento dell’economia non fa presagire cambiamenti nel breve e medio periodo. E una conferma viene dall’indagine Excelsior di Unioncamere sulle assunzioni programmate dalle imprese italiane: le assunzioni previste per gli immigrati nel 2011 rappresentano la cifra più bassa degli ultimi 4 anni: una media di 70 mila assunzioni, contro le quasi 140 mila del 2008. Secondo il Direttore per l’Immigrazione, dunque, la poca domanda di manodopera può essere soddisfatta ampiamente dall’esercito di disoccupati stranieri che cercano urgentemente lavoro e, per legge, lo devono trovare entro sei mesi. Quadro insufficiente anche per quanto riguarda lo strumento del decreto flussi. Nel 2010, a fronte di 98.080 quote previste, sono pervenute al Viminale 424.858 domande per lavoro a tempo indeterminato. Il bilancio (alla data del 3 novembre 2011) è di 42.910 nulla osta rilasciati e un magro risultato di 12.027 contratti di soggiorno sottoscritti. Peggiore ancora la situazione per il D.P.C.M. stagionali che, a fronte di 60 mila quote previste, ha prodotto al sottoscrizione di sole 7.379 contratti di soggiorno. “La conclusione raggiunta, nell’ambito di una riunione interministeriale – ha concluso Forlani – è stata quella di sconsigliare l’adozione di un decreto flussi per ingressi di lavoro subordinato, anche al fine di evitare un incremento anomalo di persone in cerca di occupazione, con effetti indesiderati sul mercato del lavoro, particolarmente riconducibili alla crescita del lavoro sommerso”. Per quanto riguarda il lavoro stagionale, si è detto, il decreto flussi ci sarà, ma il numero delle quote verrà drasticamente ridotto e si provvederà ad un maggiore monitoraggio delle domande per verificarne la trasparenza e l’esistenza di un posto di lavoro concreto. Forlani ha aggiunto che, per particolari esigenze di risorse umane qualificate non disponibili in Italia, è possibile procedere anche attraverso l’utilizzo dell’art. 23 del Testo Unico ed il numero può essere ampliato, se necessario, anche per via amministrativa. Forlani ha concluso parlando del superamento dello strumento del D.P.C.M. Per Via Fornovo, va “sperimentata una metodologia di rilevazione dei fabbisogni e dei trend di medio periodo a supporto della programmazione dei flussi”. Il Ministero suggerisce tre direttrici:

a. Definizione dei trend demografici, sia per l’Italia che per i Paesi di provenienza dei migranti, con previsione degli andamenti domanda – offerta;

b. Rilevazione dei bisogni professionali in Italia che debbano essere soddisfatti dai flussi di lavoro dall’estero;

c. Rilevazione delle scadenze di lavoro in essere e della “reimpiegabilità” degli stranieri disoccupati in Italia.

Il dirigente ministreriale ha richiamato, infine, la necessità di “fornire agli sportelli unici per l’Immigrazione l’elenco delle scadenze territoriali dei rapporti di lavoro in essere” (fonte:comunicazioni obbligatorie), in modo da costruire un data base quantitativa delle disponibilità di reinserimento dei disoccupati immigrati, all’interno però dei sei mesi previsti per “attesa occupazione”.

Nel suo intervento, il rappresentante della UIL – pur ribadendo la necessaria comprensione per la decisione di non fare il decreto flussi 2011 a causa della crisi – ha ricordato alcune necessità ed urgenze che vanno comunque affrontate:

a)     i 300 mila stranieri disoccupati hanno solo sei mesi di tempo per trovare un nuovo impiego, trascorsi i quali rischiano l’espulsione o la clandestinità. In questo senso la UIL propone che gli ammortizzatori sociali siano considerati reddito valido ai fini del rinnovo. A questo proposito esiste già un disegno di legge del precedente governo rimasto per ora lettera morta. Il problema può essere risolto anche in via amministrativa visto che la legge parla di periodo minimo di sei mesi per cercare un nuovo impiego; vanno inoltre utilizzate tutte le politiche attive ai fini del riassorbimento di manodopera etnica senza lavoro;

b)    L’Ismu valuta in oltre 450 mila gli stranieri irregolari. Il problema può essere risolto in molte maniere: 1) con la ratifica e piena applicazione della direttiva 52 della Commissione Europea (termine scaduto a luglio scorso). La direttiva sanziona duramente gli imprenditori che assumono illegalmente e sfruttano i lavoratori, tutelando nel contempo chi denuncia situazioni di irregolarità;  2) si potrebbero sperimentare forme di emersione individuale (come già fatto da Francia e Spagna), per i lavoratori stranieri che possono dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro di fatto; 3) si può dotare lo strumento di ritorno volontario assistito di maggiori fondi al fine di rendere maggiormente appetibile la prospettiva di un ritorno in patria volontario;

c)     Ci sono ancora 15 mila tunisini e almeno 25 mila immigrati provenienti dalla Libia (in genere sub sahariani) di fatto difficilmente espellibili, ma privi di un permesso umanitario. Molti sono stati spinti a formalizzare domanda di asilo che rischia spesso il diniego per mancanza di requisiti. Anche per questi andrebbero attivati strumenti di inclusione o trovate forme per strapparli dal limbo in cui si trovano. O si estende la protezione umanitaria temporanea a tutti (la quale permette di lavorare ed, eventualmente, la conversione del permesso) o si sperimentano forme convincenti di rimpatrio volontario assistito;

d)    Per quanto riguarda la necessaria riforma del decreti flussi, la UIL ha proposto un meccanismo a “sportello”, secondo il quale la domanda individuale potrebbe essere presentata in qualunque momento dell’anno dal datore di lavoro. Questo permetterebbe di evitare il meccanismo “lotteria” del “click day”, dando alle autorità la possibilità di una verifica sulla trasparenza e consistenza della domanda presentata, ma anche di evitare l’intasamento di centinaia di migliaia di invii contemporanei.

Per quanto riguarda il lavoro stagionale, il rappresentante della UIL ha convenuto  sulla necessità di maggiori controlli sulle aziende che fanno domanda di quota d’ingresso (specie in agricoltura), questo anche per evitare le numerose truffe perpetrate a danni di immigrati.

La UIL ha concluso dichiarando la disponibilità a partecipare ad una revisione dello strumento del decreto flussi. Nel corso dell’incontro Forlani ha risposto, tra le altre cose, che è stata già data indicazione a questure e prefetture di considerare le indennità di disoccupazione e mobilità, reddito valido ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.



(9) Nel 2011 cresciute del 5,7% le imprese gestite da immigrati

Dal 2006 ad oggi la presenza degli immigrati nell'imprenditoria e' aumentata del 38,6%, ma e' calata quella degli italiani (-6,6%)


Venezia, 30 dicembre 2011 - Crescono le le imprese condotte dagli stranieri: +5,7% nell'ultimo anno. E' il dato che emerge da un'indagine condotta dalla Fondazione Leone Moressa. Si contano a giugno 2011 oltre 400mila imprenditori stranieri: questo significa che un imprenditore su dieci e' nato all'estero. Ma se il numero di stranieri continua a crescere (+5,7% nell'ultimo anno), quello degli italiani cala (-1,4%). E' ormai una tendenza consolidata negli ultimi anni: dal 2006 ad oggi la presenza degli immigrati nell'imprenditoria e' aumentata del 38,6%, ma e' calata quella degli italiani (-6,6%). Roma, Milano e Torino le province che raccolgono il maggior numero di imprenditori stranieri (rispettivamente l'8%, il 6,8% e il 5,1%). Il peso maggiore degli stranieri sul totale degli imprenditori e' maggiore a Prato (dove un imprenditore su 4 e' straniero), seguito da Trieste (16,9%), Firenze (15,2%) e Roma (14,8%).


 

Giurisprudenza

 


(10) Sì alla regolarizzazione anche con la doppia espulsione

di Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it


Roma – 11 maggio 2011 - Anche chi è stato condannato per non aver obbedito a un ordine di espulsione ha diritto a essere regolarizzato.  La querelle che va avanti dall’inizio dell’emersione di colf e badanti ha trovato finalmente un punto fermo  grazie a una sentenza emessa ieri dal Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa. La legge che nel 2009 ha dato il via alla regolarizzazione dei lavoratori domestici era chiara sul fatto che una semplice vecchia espulsione non fosse d’ostacolo a mettersi in tasca il permesso di soggiorno. Non parlava però espressamente  di chi, già espulso, era stato sorpreso di nuovo sul territorio  italiano, quindi arrestato, condannato e di nuovo espulso, come previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione (art.14 comma 5 ter Dlgs 286/1998). In questi casi, alcune Questure autorizzavano comunque la regolarizzazione, altre invece la bloccavano e procedevano a una nuova espulsione, fino a quando, a marzo del 2010, una circolare del capo della Polizia Antonio Manganelli ha esteso a tutta Italia la linea dura. Diversi tribunali ed esperti hanno però sconfessato quell'interpretazione, finché la decisione non è stata rimessa all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Dopo una prima sentenza che non entrava nel merito della questione, ieri il Consiglio di Stato ha stabilito definitivamente che una condanna per non aver obbedito a un’espulsione (art. 14, comma 5-ter Dlgs 286/1998) non impedisce la regolarizzazione. Quel reato, hanno spiegato i giudici, praticamente non esiste più, dal momento che è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri, come sancito recentemente dalla Corte di Giustizia dell’Ue.

“L’entrata in vigore della normativa comunitaria – scrivono i giudici - ha prodotto l’abolizione del reato” che commetteva chi rimaneva in Italia dopo un’espulsione, con “effetto retroattivo”. Questa retroattività ha effetto anche “sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato”.

Scarica:   La sentenza del Consiglio di Stato


Direttive UE


(11) Sulle espulsioni esame approfondito

Di Marco Noci, Il Sole 24 Ore


Roma, 6 gennaio 2011 - Il giudice di pace è chiamato ad un esame approfondito dei requisiti per l'espulsione dei cittadini stranieri. La I sezione civile della Cassazione – con la sentenza 111, depositata in Cancelleria lo scorso 4 gennaio 2011 – ha accolto il ricorso di un cittadino straniero, figlio di una italiana, che non aveva rinnovato, entro il termine di 60 giorni dalla scadenza, il permesso di soggiorno per motivi familiari. Il giudice di pace aveva rigettato i motivi di ricorso prospettati dal cittadino straniero basati sulla convivenza fra lui e la madre italiana. L'articolo 19 del Testo unico sull'immigrazione vieta, infatti, l'espulsione del cittadino straniero familiare convivente di uno italiano e l'onere di provare la convivenza con il familiare italiano è a carico dello straniero che deve essere messo in grado di dimostrarlo anche con prove testimoniali, come quella orale della madre. Il giudice di pace ha ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori richiesti dallo straniero per dimostrare la convivenza, senza però motivare, nel provvedimento impugnato in Cassazione, perché erano stati esclusi o considerati irrilevanti. Sebbene la normativa disponga tempi ristretti per la decisione (termini ritenuti, comunque ordinatori e non perentori) il giudice di pace deve necessariamente istruire il procedimento, ammettendo i mezzi istruttori richiesti dalle parti. Contro il decreto di espulsione può essere presentato ricorso al giudice di pace del luogo ove ha sede l'Autorità che ha adottato il provvedimento, entro 60 giorni dalla data di adozione del decreto. Se poi il provvedimento di espulsione è stato adottato a seguito di revoca o di diniego del permesso di soggiorno per motivi familiari il ricorso deve essere presentato al Tribunale ordinario e non al giudice di pace (articolo 1, comma 2 bis del decreto legge 241/2004, convertito nella legge 271/2004). In materia di espulsione è da segnalareladirettiva 2008/1157Ce che l'Italia non ha ancora recepito. Anche se il ministero dell'Interno, con la circolare del 17 dicembre 2010, ha raccomandato ai questori di adeguare le procedure di espulsione al dettato della direttiva. Le norme comunitarie prevedono un meccanismo diverso e, per certi aspetti, in contrasto con il Testo unico sull'immigrazione. Il cittadino straniero è soggetto ad una decisione di rimpatrio volontario che non può essere inferiore a 7 giorni e superiore a 30, ed in presenza di condizioni specifiche (come vincoli familiari) tale termine può essere prorogato. Solo se c'è un pericolo di fuga o di una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, è prevista l'espulsione immediata, con un divieto di reingresso non superiore ai 5 anni, che può essere aumentato se lo straniero rappresenta una grave minaccia.



(12) Ue: la Commissione “accoglie con favore” la sentenza.


Bruxelles, 29 aprile 2011 - La Commissione europea ha reso noto che “accoglie con favore” la sentenza “veloce e chiara” pronunciata dalla Corte europea di giustizia sulla norma italiana per gli immigrati irregolari. Questa sentenza, secondo l’esecutivo Ue, contribuirà a “ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione della direttiva sui rimpatri nei termini previsti”. Bruxelles invita inoltre a considerare il pronunciamento della Corte “nel dettaglio” per evitare “semplificazioni indebite e incomprensioni”. La sentenza, fa notare l’esecutivo Ue, “non mette in discussione la competenza degli Stati membri di prevedere sanzioni penali in materia di immigrazione irregolare”, ma al tempo stesso qualsiasi misura nazionale “non può compromettere” l’effetto di armonizzazione della direttiva sui rimpatri. Secondo la Commissione, “la legislazione italiana, che prevede una sanzione penale da uno a quattro anni di carcere, semplicemente perché la persona non ha risposto al primo sollecito a lasciare il Paese, impedisce la procedura di allontanamento ai sensi della direttiva e, di conseguenza, priva la norma di un effetto utile”. Ad avviso dell’esecutivo Ue, la sentenza può ora avere un impatto sugli altri Stati membri che hanno un’analoga normativa in vigore e per questo si attende che ogni Stato membro valuti le conseguenze di questa sentenza individualmente e ne tragga le debite conclusioni. (Red.)


 


(13) Immigrazione irregolare. La Direttiva europea che sanziona i datori di lavoro va ratificata entro il 20 luglio 2011


Roma, 1° luglio 2011 - Due anni fa, il 30 giugno 2009, comparve sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea la Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

La Direttiva (art. 4) obbliga i datori di lavoro a:

a) chiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido;

b) tenere una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un’eventuale ispezione;

c) informare le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo.

Le sanzioni previste per i datori di lavoro (art. 5) includono sanzioni finanziarie, che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, e pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio (gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla lettera riflettano almeno i costi medi di rimpatrio). Accogliendo gli emendamenti proposti il 5 novembre scorso dal Parlamento europeo (relatore l'italiano Claudio Fava), lo stesso art. 5 lascia agli Stati membri la facoltà di prevedere sanzioni finanziarie ridotte nei casi in cui il datore di lavoro sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare e non sussistano condizioni lavorative di particolare sfruttamento. Gli Stati membri garantiscono inoltre che il datore di lavoro sia responsabile del pagamento (art. 6) della retribuzione arretrata ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, delle imposte e contributi previdenziali dovuti in caso di assunzione legale, nonché di tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui il lavoratore assunto illegalmente ha fatto ritorno. Per reati di una certa gravità (art. 9), la direttiva prevede anche delle generiche "sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive" (art. 10) nei confronti dei datori di lavoro. La direttiva è entrata in vigore il ventesimo giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ossia il 20 luglio 2009.  Gli Stati membri avevano due anni di tempo per adottare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva. L’Italia ancora non l’ha fatto. Dovrà dunque farlo entro, e non oltre, il 20 luglio 2011, pena la messa in mora.

>> Scarica la Direttiva 2009/52/CE


 

  Sindacato


Contributo per la riunione del Coordinamento Nazionale UIL Immigrati del 5 aprile 2011

(14) L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo

di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Questi primi anni di inizio secolo risultano essere una sfida davvero impegnativa per il sindacato e per le condizioni di vita e di lavoro dei suoi iscritti, siano nati in Italia oppure no. La crisi economica colpisce pesantemente livelli di reddito e le condizioni di lavoro di milioni di persone, ma risulta doppiamente  dura per chi ha il permesso di soggiorno strettamente legato al mantenimento di un rapporto di lavoro. Sappiamo tutti che, secondo la legislazione attuale, un immigrato che resti disoccupato ha solo sei mesi di tempo per trovarne uno nuovo, dopo di che si trova davanti ad un bivio: abbandonare il progetto migratorio e ritornarsene sconfitto in patria assieme alla sua famiglia, oppure scivolare nella strada spesso senza uscita della clandestinità e del lavoro nero. La disoccupazione ha colpito anche il lavoro etnico e tempi ancora più complessi vengono dai rivolgimenti in atto nel Nord Africa e dalle possibili conseguenze in termini di esodo verso l’Europa e l’Italia punto di approdo più vicino. A maggior ragione è necessario riflettere sul fenomeno migratorio - alla luce delle sue complesse dinamiche - sull’apporto prezioso ma anche sui problemi che da esso vengono e a cui va data adeguata risposta. L’apporto di questi cinque milioni di nuovi cittadini è davvero  prezioso per la nostra comunità: intanto va detto che il lavoro “etnico” produce l’11% del Pil italiano, oltre a pagare 12 miliardi di euro in tasse e contributi previdenziali. A questo vanno aggiunti i circa 9,3 miliardi di euro in rimesse verso i Paesi d’origine (secondo i dati che vengono dal Migration and Remittance Report 2011, della World Bank).

Scenari presenti e futuri

La demografia, lo sappiamo,  non gioca a favore degli italiani: il nostro attuale tasso di natalità è di 1,4 figli per donna, contro un tasso di 2,4 per le donne straniere. E’ questo un oggettivo fattore di attrazione dell’immigrazione verso il nostro Paese. Un altro è la forte  componente di sommerso della nostra economia (il Fondo Monetario ha stimato nel 2010 essere quasi il 27% di quella complessiva). I fattori “push” sono davanti agli occhi di tutti in questi giorni visibili nei grandi sconvolgimenti del Nord Africa, ed hanno a che vedere molto con i forti differenziali di sviluppo, la globalizzazione, il bisogno di democrazia e di benessere di quei popoli. Il combinato di questi (ed altri) fattori hanno portato la pressione migratoria ad essere tanto forte nell’ultimo decennio, da trasformare pesantemente il mercato del lavoro e della società italiana. Sono già i lavoratori stranieri a pagare una parte non piccola delle pensioni degli italiani.  Oggi è già un fatto che senza gli immigrati, l’Italia avrebbe una popolazione inferiore ai 55 milioni di persone e in discesa. Una  società, cioè, inesorabilmente in declino, i cui bisogni sono solo in parte compensati dalla presenza della cosiddetta cittadinanza etnica. Il nostro Paese ha trattato l’immigrazione sempre come un’emergenza ed ha subito la pressione migratoria che ha portato tra il 2000 ed il 2010 la popolazione straniera a quintuplicarsi (da 1 a cinque milioni). Purtroppo le restrizioni nella normativa dei flussi d’ingresso non sono state una garanzia di governo dell’immigrazione e – sommando i decreti flussi e le varie sanatorie – possiamo dire che una grande maggioranza degli stranieri oggi regolari sono entrati o sono rimasti in Italia in forma irregolare. La conseguenza di questi mutamenti, in corso da tempo ed accelerati negli ultimi due lustri, è stata una progressiva inesorabile trasformazione nella composizione del mercato del lavoro italiano.  Secondo recenti dati Inail, dal 2000 al 2010 il 16% dei nuovi rapporti di lavoro avviati, sul totale nazionale, riguardava cittadini stranieri. Quota salita al 19% nel periodo che va da gennaio 2009 al 30 giugno 2010 (pari a 2,7 milioni – 1,5 milioni uomini, 1,2 milioni donne). Oggi in Italia, secondo dati Inail, esistono circa 3,4 milioni di stranieri assicurati, cifra che equivale al 13,6% del totale degli occupati. Vi sono settori produttivi dove la presenza immigrata (dalla UE e dai Paesi Terzi) è aumentata drammaticamente con punte del 40% in agricoltura e edilizia, mentre in settori come l’assistenza alla persona oltre l’80% del personale è ormai proveniente da Paesi esteri. Anche il comparto del commercio e dei servizi registra da tempo una crescita esponenziale del lavoro etnico. Oggi certo la crisi economica ha portato ad un rallentamento dei flussi d’ingresso, ma la presenza di immigrazione irregolare risulta essere ancora molto alta. Lo testimonia il fatto che nel 2009 quasi 300 mila persone hanno aderito alla procedura di emersione riservata al lavoro domestico, mentre nel recente decreto flussi sono state presentate quasi 420 mila domande (che sappiamo bene riguardano persone che già vivono e lavorano qui irregolarmente). Secondo stime prudenziali la media di presenza irregolare si aggirerebbe intorno al mezzo milione di persone, in quanto i flussi di overstayers nel nostro Paese continuano malgrado la crisi economica. A parere di molti la legge Bossi – Fini, ed ancor più la legge 94 del 2009 (pacchetto sicurezza) non sono servite a governare il fenomeno dei flussi. Anzi: la durezza delle norme, il blocco dei flussi negli anni 2009 e 2010, la difficoltà oggettiva di ingresso legale in Italia per lavoro, hanno finito per ingigantire il fenomeno dell’immigrazione irregolare, purtroppo funzionale all’economia sommersa che di questo vive e prospera. La durezza delle norme, è il nostro parere, è solo servita a deteriorare le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di stranieri, lasciando spazio a forme di sfruttamento anche gravi, come ben testimoniano situazioni estreme nell’agricoltura, ma anche il numero eccessivo di incidenti sul lavoro che hanno coinvolto stranieri in settori come le costruzioni (nel 2009 il 16,4% degli infortuni sul lavoro ha riguardato gli immigrati), nonché l’imponderabile mondo dei servizi alla persona, dove non sono infrequenti gravi episodi di mobbing, sequestro dei documenti personali o peggio.

Minor  fabbisogno di manodopera?

Secondo uno studio proposto recentemente dal Ministero del lavoro, a causa della crisi economica, per alcuni anni i flussi sarebbero destinati a diminuire drasticamente. Queste le stime: dal lato dell’offerta si prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva (occupati più disoccupati) del 7%: con una discesa dagli attuali 24 milioni e 970 mila fino ad un valore stimato nel 2020 di 23 milioni e 257 mila persone. La sola demografia porterebbe ad un bisogno aggiuntivo di occupazione medio annuo di 170 mila lavoratori  (necessariamente stranieri). Considerata la fase di crisi, comunque, il Ministero del Lavoro prevede che il fabbisogno aggiuntivo medio potrebbe scendere fino a 100 mila persone l’anno fino al 2015; mentre nel periodo 2016-2020 la richiesta aggiuntiva annua salirebbe a quota 260 mila. Ci sarebbe dunque la necessità e, forse, l’opportunità di ripensare seriamente la  normativa sull’immigrazione, costruendo un meccanismo fluido basato su un effettivo matching tra domanda ed offerta di lavoro, con l’attuazione di percorsi efficaci di integrazione e di incontro tra culture diverse; condizione  necessaria anche per evitare i crescenti episodi di razzismo e xenofobia, nonché le molteplici discriminazioni cui sono spesso sottoposti migliaia di stranieri. Sappiamo che questa è un’esigenza sentita da una gran parte della società italiana e dalla stessa politica che si interroga, anche alla luce della crisi economica e – più recentemente – all’impatto potenziale che può avere la crisi nel Mediterraneo, se non vi possa essere un ripensamento più generale sulla politica da adottare in materia di immigrazione e se, accanto alla necessaria attenzione alla sicurezza, non si debba accompagnare una maggiore comprensione sulla complessità del fenomeno migratorio, condizione sine qua non per adottare misure efficaci di governo dello stesso e strumenti adatti ad aiutare la necessaria integrazione.

Immigrazione per lavoro e crisi economica

Vediamo cosa sta accadendo in Italia a livello di mercato del lavoro:

Nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008) quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto dell’occupazione straniera.  In Italia, secondo dati Inail, esistono oggi circa 3,4 milioni di stranieri assicurati. Per anni la crescita di manodopera etnica è stata esponenziale, ma la crisi economica ha visto nel 2009 – 2010 un’inversione di tendenza della crescita ed un numero di disoccupati stranieri arrivato a 104 mila unità. A questi vanno aggiunti 213 mila lavoratori stranieri inattivi. La crisi è visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Infatti, tra il 2009 ed il 2010, la cassa integrazione è risultata in fortissima crescita anche per loro; mentre sul fronte dei beneficiari di indennità di mobilità e di disoccupazione (concesse a seguito del licenziamento del lavoratore) registriamo tra gli stranieri una crescita nell’uso di questo ammortizzatore sociale nel 2009 (+ 28,9%) a fronte di una crescita complessiva del 9,6%. Per quanto riguarda la disoccupazione (non agricola),  l’aumento dei percettori stranieri è risultato nello stesso anno del 65,4% (italiani + 45,9%).

Imprenditori stranieri in crescita

La situazione di crisi ed il suo impatto sul mercato del lavoro, appare in parte compensata da una migliore performance registrata sul fronte dell’imprenditoria etnica. Nel 2010 si sono contati 628.221 imprenditori stranieri, una presenza in forte crescita che rappresenta ormai il 6,5% del totale degli imprenditori in Italia. La crescita degli stranieri, rispetto il 2009, è stata di 29.185 aziende(+4,9%). Tutto ciò a fronte di una perdita di oltre 31.600 imprenditori italiani (-0,4%). I dati sono della Fondazione Moressa. L’aumento di imprenditori stranieri del 2010 è riuscito a compensare solo in parte la riduzione di imprese italiane. Il gap rispetto al 2009, infatti, vede la perdita di oltre 60 mila unità produttive italiane. Tra i settori nei quali gli imprenditori stranieri sembrano essere più presenti (come commercio, costruzioni e manifattura) la tendenza nell’ultimo anno è stata quella di un loro aumento, a fronte di un calo della componente italiana.

Stipendi e condizioni di lavoro, un gap da colmare

Le condizioni di debolezza strutturale dei lavoratori stranieri, alla luce della normativa in vigore, finisce in qualche modo per pesare sulla qualità ed il livello di remunerazione  dell’occupazione stessa. Secondo la Fondazione Moressa, nel 2009 gli stipendi dei lavoratori stranieri sono risultati in media del 23% inferiori a quelli dei lavoratori italiani, a parità di mansione. Largamente sottoutilizzate, inoltre, risultano le professionalità degli stranieri conseguite all’estero. Secondo uno studio dell’Istat del 2009, solo il 4,6% del totale degli occupati non italiani che avevano  conseguito all’estero il titolo di studio, risultava in quell’anno aver terminato un  percorso di riconoscimento dello stesso. Il risultato appare tanto più significativo dato che, almeno in linea teorica, questo riconoscimento rappresenta una condizione necessaria (anche se non sufficiente) a ottenere un’occupazione corrispondente ai livelli di educazione raggiunti nel paese di origine. La mancata richiesta del riconoscimento del titolo da parte gli stranieri va secondo Istat attribuita principalmente alla loro concentrazione soprattutto nei lavori meno qualificati, per i quali esso non è necessario. Esistono poi condizioni oggettivamente discriminatorie che influiscono sia sulla possibilità di accesso al lavoro, sulla qualità e quantità remunerata, sia sui percorsi di carriera che per gli stranieri appaiono più difficili rispetto ai loro colleghi italiani. E questo, malgrado le normative anti discriminazioni in vigore e la pregevole attività di UNAR. Intanto, per uno straniero, è vietato l’accesso al pubblico impiego. Come già detto, la difficoltà a farsi riconoscere un titolo conseguito all’estero li costringe a lavorare in alcuni settori ed in mansioni oggettivamente meno qualificate e meno remunerate. C’è poi la difficoltà di accesso al lavoro, limitata dal colore della pelle o dall’accento parlato. Non è un mistero che le chance di assunzione vengono condizionate da questi fattori, sia pur difficilmente comprovabili. Lo stesso trattamento previdenziale prevede delle differenze rispetto a quello riservato agli italiani, cosa che andrebbe assolutamente corretta. Ma lo svantaggio maggiore viene proprio dagli effetti della normativa sulle condizioni di lavoro e di vita. Il fatto che il permesso sia strettamente legato al lavoro, rende debole l’immigrato nella contrattazione con il suo datore. E spesso egli rinuncia a richieste salariali o di miglioramento di carriera, in cambio della certezza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Le proposte del sindacato

Il sindacato, e la UIL, sono convinti che l’attuale normativa sull’immigrazione vada radicalmente riformata. Per fare questo, però, c’è bisogno di raccogliere necessariamente consenso tra tutte le parti politiche interessate, pena l’impossibilità ottenere cambiamenti ed – al contrario – il rischio di subire peggioramenti normativi dettati dall’emotività pubblica e gravi fatti di cronaca (pacchetto sicurezza docet). La riforma va dunque fatta per gradi. Intanto ci sono da applicare  due direttive europee importanti: la 2008/CE/115 (cosiddetta sui rimpatri) già in vigore da dicembre 2010 anche se non ratificata dal governo italiano; la 2009/CE/52 (norme e sanzioni per i datori di lavoro che impiegato stranieri irregolarmente). La direttiva 115 prevede che  - prima di procedere all’espulsione di un immigrato irregolare – lo Stato debba necessariamente offrire la possibilità di un ritorno volontario assistito. Inoltre, la nuova normativa considera la detenzione di un clandestino presso i CIE una procedura da usarsi solo in casi estremi. E’ evidente che tale normativa contrasta con il reato di immigrazione clandestina e costringerà inevitabilmente l’Esecutivo a modificare la legge n. 94 del 2009. La direttiva 52, inoltre, è importante perché – oltre ad inasprire le sanzioni contro chi sfrutti un immigrato irregolare – darebbe la possibilità a quest’ultimo  di denunciare il proprio datore di lavoro, se questi non vuole regolarizzarlo, ottenendo in cambio un permesso di soggiorno a carattere umanitario. E’ evidente che, senza correttivi, l’impatto della direttiva sarebbe punitivo anche nei confronti di chi vorrebbe sanare le situazioni irregolari, ma non può farlo a causa della normativa. Stante la situazione il sindacato ha proposto ai datori di lavoro ed al Governo di agire su tre piani:

a)     Considerare le indennità di mobilità e disoccupazione reddito valido ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno. Un immigrato che perda il lavoro, dunque, dovrà poter godere prima di questi ammortizzatori sociali. Solo dopo scatterebbe il permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca di occupazione. L’obiettivo è dare all’immigrato che perda il lavoro, più tempo per cercare un nuovo impiego e non finire nella trappola del lavoro nero;

b)    Estendere a tutte le categorie produttive la procedura di emersione già concessa al lavoro domestico nel 2009.  Questo potrebbe avvenire anche con procedure di valutazione individuale, per avere la garanzia che esista davvero un datore ed un rapporto di lavoro.  Questo permetterebbe di svuotare in buona parte il bacino del lavoro nero, prima che entri in vigore la direttiva europea n.52.

c)     Estendere l’applicazione dell’articolo 18 del TU come strumento permanente ed efficace di lotta al lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento,  prevedendo la possibilità della vittima, di denunciare i propri sfruttatori, senza rischiare l’espulsione. 

Su questi obiettivi sindacati ed imprenditori stanno lavorando ad un avviso comune da presentare a governo ed istituzioni, con una già verificata disponibilità al dialogo mostrata recentemente dal dipartimento immigrazione del Ministero del Lavoro.


 

 

 

 

 

 


Lettera43

(15) Confederati multietnici

Cgil, Cisl e Uil: 20 anni di lotte per i lavoratori stranieri. di Antonietta Demurtas


Roma, 28 novembre 2011 - Gli immigrati sono «la linfa vitale» di cui l'Italia ha estremo bisogno. «Non comprenderlo significa non saper guardare alla realtà». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l'aveva detto il 15 novembre nell'incontro con i nuovi cittadini italiani al Quirinale e l'ha ribadito il 22 davanti alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia: «Mi auguro che in parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri». Persone che aiutano il Paese a «portare il fardello del debito pubblico, che senza di loro sarebbe ancora più difficile sostenere». Insomma il messaggio è chiaro e il destinatario pure: la speranza è che il premier Mario Monti inserisca il tema degli immigrati tra quegli «obiettivi ambiziosi» del nuovo governo, elencati il 17 novembre nell'aula del Senato. E che, come suggeriscono da tempo gli economisti, l'immigrazione sia vista come un fattore in grado di attirare capitale umano qualificato e favorire la crescita. Visto che gli stranieri regolari hanno superato quota 5 milioni e oggi producono il 12% del Pil italiano.

Più di 1 milione di immigrati iscritti ai sindacati

Una convinzione che i sindacati hanno sposato da tempo. Fin dalla fine degli Anni 80, infatti, Cgil, Cisl e Uil hanno fatto dei temi dell'immigrazione una scelta politica che si basa sul concetto di integrazione e uguaglianza dei diritti per tutti i lavoratori.
CGIL, SINDACATO PLURIETNICO. La Cgil, da sempre contraria alle gabbie salariali di origine etnica, non ha mai firmato accordi che prevedessero un trattamento diverso tra lavoratori italiani e stranieri, ma già nel 1991 aveva modificato il proprio Statuto definendosi «un sindacato plurietnico». Da allora ogni Camera del lavoro ha uno sportello informazioni e offre servizi dedicati agli immigrati. Quelli iscritti alla Cgil sono ormai 400 mila, «e tanti di loro sono dirigenti che lavorano per il sindacato a livello confederale e categoriale», spiega a Lettera43.it Kurosh Danesh, di origine iraniana, del coordinamento immigrati della Cgil in cui è entrato nel 1990.
CISL, LA PRIMA NEL 1989. Ancora prima, nel 1989, la Cisl aveva creato l'Anolf, l'Associazione nazionale oltre le frontiere, «che serviva per intercettare le esigenze degli immigrati», spiega Liliana Ocmin, segretario confederale. «Oggi molti di questi lavoratori non solo fanno parte del sindacato - gli iscritti sono circa 480 mila - ma sono diventati anche dirigenti». E la storia di Ocmin, arrivata dal Perù 20 anni fa, sposata in Italia con due figli, ne è la testimonianza.
UIL, ESPERIMENTO PIONIERISTICO. Vent'anni fa, anche la Uil, che oggi conta 130 mila immigrati iscritti, aprì a Roma il suo primo sportello dedicato. «Fu un esperimento pionieristico», spiega il segretario confederale Guglielmo Loy, «in quegli anni, né la pubblica amministrazione né la politica erano pronte ad accogliere gli stranieri che diventavano lavoratori italiani».
Da allora gli immigrati sono sempre più presenti nel sistema produttivo del Paese. «Rappresentano la manodopera del futuro, e visto che l'Italia è priva di materie prime e ha un'economia basata sulla produzione di beni e servizi», osserva Danesh, «rappresentano una risorsa indispensabile e da valorizzare». Per questo i sindacati ogni giorno lottano affinché vengano introdotte alcune specificità nella contrattazione di secondo livello: «Visto che il 10% dei lavoratori italiani è immigrato», continua Danesh, «e ogni anno oltre 200 mila di loro è regolarizzato, occorre ascoltare le esigenze di questa minoranza, rendendole però universali».

I successi: dalle 150 ore ai corsi di italiano per stranieri

Si va dalla semplice richiesta di prevedere, nelle mense aziendali, menù senza carne di maiale vietata dalla religione musulmana, all'esigenza di periodi di ferie più lunghi, ottenibili con il cumulo, per i lavoratori che arrivano da Paesi lontani», racconta Ocmin. Sino al Testo unico sulla sicurezza e la salute nei posti di lavoro, diventato legge nel 2010, che prevede oltre alla variabile del genere anche l'etnia e le diversità culturali.
BENEFICIO PER TUTTI. Si tratta di piccole attenzioni riservate ai lavoratori stranieri di cui però alla fine beneficiano tutti. È il caso, per esempio, dei corsi di alfabetizzazione. «Abbiamo più volte proposto ai Fondi interprofessionali di inserire corsi di italiano per i lavoratori stranieri», racconta Danesh, «e nel settore dell'edilizia molti hanno accolto questa richiesta che ha favorito tutti, imprenditori e operai». Sono numerose poi le attività didattiche che gli stessi sindacati organizzano grazie al volontariato di alcuni iscritti, spesso professori in pensione, che aiutano i giovani immigrati a parlare correttamente la nostra lingua. «Così come negli Anni 60 il sindacato attraverso varie iniziative come le 150 ore si prese l'incarico di educare e formare le masse di lavoratori, spesso analfabeti, che arrivavano dalle campagne, oggi lo stesso sforzo deve essere fatto con gli immigrati, che non sono e non saranno sempre solo raccoglitori di pomodori e badanti», assicura Ocmin.

L'ostacolo della Bossi-Fini e la ratifica della direttiva 52

Un percorso tutt'altro che in discesa e costellato di ostacoli. Il più pesante dei quali è senza dubbio la legge Bossi-Fini: «Secondo il contratto di soggiorno se un immigrato lavora in Italia anche da 10 anni ma perde il lavoro, ha solo sei mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti deve andare via», ricorda Loy.
RISCHIO SFRUTTAMENTO. Una regola che non fa altro che alimentare tensioni e agevolare lo sfruttamento, oltre che la concorrenza sleale: «Diventa un'arma di ricatto per abbassare il costo del lavoro degli immigrati che pur di trovare un impiego entro sei mesi accettano di tutto», denuncia un operatore della Cgil. Anche per questo motivo l'Inps continua a registrare una differenza salariale del 30% tra le lavoratrici italiane e quelle straniere.
DISOCCUPATI E SOTTOPAGATI. Secondo il Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione 2011 della Fondazione Leone Moressa, il tasso di disoccupazione straniero è passato dall’8,5% del 2008 all’11,6% del 2010; gli immigrati hanno livelli di povertà più elevati: il 37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà contro il 12,1% delle famiglie italiane, e le loro retribuzioni sono inferiori di 300 euro rispetto ai lavoratori italiani.
RATIFICA DELLA DIRETTIVA 52. E visto che in questo momento di crisi sono proprio gli stranieri a perdere per primi il posto, i sindacati chiedono da tempo la ratifica della direttiva 52 dell'Ue sull'emersione del lavoro nero, che dà la possibilità agli irregolari di denunciare i datori di lavoro che li sfruttano ottenendo un permesso di soggiorno umanitario per trovare un'occupazione legale. «Una misura che già doveva entrare in vigore entro il luglio 2011», ricorda Ocmin, «e che limiterebbe la riduzione in schiavitù specie nel settore dell'edilizia e dell'agricoltura».
LEGGE TURCO-NAPOLITANO. L'obiettivo comune di tutti i sindacati è quello di poter usare in maniera più ampia l'articolo 18 della legge Turco-Napolitano finora applicato per aiutare le prostitute vittime dei propri aguzzini. Ma le cose stanno cambiando. «Nel 2010», fa notare Danesh, «in circa 500 sentenze i giudici hanno però già esteso la normativa ad altri lavoratori». 

I servizi del patronato e la cittadinanza ai figli di stranieri

Ma sono anche altri i servizi che il sindacato ha offerto in questi anni per favorire l'integrazione e rendere meno difficile per gli stranieri l'accesso al mondo del lavoro. Da cinque anni per esempio i patronati si occupano - grazie a una direttiva dell'allora ministro dell'Interno Beppe Pisanu - di firmare i protocolli del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Sono circa 700 mila gli immigrati che ogni anno si rivolgono all'ufficio Inca della Cgil. «Nel 2011 il patronato ha firmato circa 140 mila rinnovi, concesso 12 mila ricongiungimenti familiari oltre a occuparsi delle pratiche e dei servizi di informazione», spiega Danesh. «L'immigrazione in Italia è ormai una variabile costante in tutti i processi, non se ne può più fare a meno, e la politica se ne deve rendere conto».
STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE. In tal senso, secondo Danesh, anche l'intervento del presidente della Repubblica per concedere la cittadinanza ai figli di stranieri sulla base del principio dello ius soli è stata salutata come «la richiesta di un grande statista che guarda al futuro della società, mentre alcuni politici continuano a fare cassa elettorale giocando sulla sensibilità degli italiani verso questi temi».
Un cambio delle regole di cittadinanza è sempre più urgente: «La carta di soggiorno per esempio», spiega Loy, «può essere concessa agli immigrati dopo cinque anni di permanenza in Italia, ma è ancora troppo difficile e complicato l'iter per ottenerla, è invece uno strumento utile che andrebbe concesso con più facilità».




Razzismo


Giornata della memoria

(16) Lo sterminio dimenticato. 27 gennaio: l’olocausto degli zingari

Errico Taiani


Thomas Geve. tavola disegnata ad Auschwitz quando aveva 13 anni.

La giornata della memoria fu istituita undici anni fa e rinnova il ricordo del 27 gennaio 1945 quando furono abbattuti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. Shoah in ebraico, significa "annientamento", un annientamento barbaro che sterminò quasi fossero batterie di animali oltre sei milioni di Ebrei da parte dei nazisti. La comunità ebraica preferisce questo termine a "olocausto", che potrebbe dare l'idea di un sacrificio religioso. Anche quest’anno nelle scuole e  nelle città attraverso manifestazioni simboliche si cerca di ricordare alle nuove generazioni uno dei più grossi crimini dell’uomo, un periodo storico da ricordare affinché l’odio dell’uomo mai più si scagli contro un altro uomo con tale cattiveria. La coscienza collettiva però - ammesso che una coscienza collettiva esista – negli anni, forse perché il peso di un genocidio è già troppo da sopportare spesso ha dimenticato un popolo che al pari degli ebrei ha subito le medesime pene: gli zingari Rom. Fonti storiche parlano di circa 1 milione e mezzo di rom deportati nei campi di concentramento e morti nelle camere a gas.  Ma, se sul genocidio del popolo ebraico grava il pericolo costante del revisionismo storico, sul genocidio degli zingari grava il pericolo dell’oblio, della dimenticanza più totale. Nei vari processi ai nazisti responsabili di crimini contro l’umanità non si è quasi mai affrontato il problema del loro sterminio.  Forse tra  i rom sopravvissuti solo pochi hanno voluto raccontare o forse non sempre c’era qualcuno ad ascoltarli, Fabrizio De andrè in un discorso sull'album “anime salve” sostiene che i rom non avendo una memoria storica a causa del loro continuo girovagare abbiano completamente rimosso quel terribile ricordo e li cita nella bellissima canzone Khorakhané (A Forza Di Essere Vento). Il cinema invece, ha trattato il tema delle deportazioni degli zingari  nel film “Train de vie - Un treno per vivere” del regista rumeno Radu Mihăileanu, dove una compagnia di ebrei si unisce ad una carovana di zingari in fuga su un "treno fantasma". Fonti storiche, parlano di  un triangolo nero con il vertice capovolto, a volte affiancato dalla lettera Z, che stava per zigeuner, "zingari",questo era il segno che individuava i rom nello Zigeunerlager, ovvero il campo degli zingari. Un marchio che, come la stella gialla per gli ebrei, rappresentava l’appartenenza ad una razza pericolosa, una minaccia per la sublime razza ariana. I nazisti, nella loro ossessiva ricerca della perfezione, attraverso "Istituto per l´igiene della razza", fondato e diretto da Robert Ritter, avevano individuato teoricamente il gene che determinava l’istinto al nomadismo: il wandertrieb.  Pertanto lo zingaro, per cause genetiche,  nasceva ladro e delinquente e la logica conseguenza era l’incorreggibilità del suo comportamento. Numerosi documenti testimoniano la loro presenza nei lager ma la documentazione più cospicua sulla deportazione degli zingari riguarda Auschwitz. Nel campo di sterminio, per un certo periodo, ci fu una sezione appositamente riservata alle famiglie zingare, anche se la presenza dei rom sarebbe documentata prima della costruzione di un apposito campo per loro. Lo Zigeunerlager entrò in funzione alla fine del febbraio 1943 e cessò di esistere ai primi di agosto del 1944, quando tutti coloro che vi erano, fino a quel momento, sopravvissuti, vennero condotti nelle camere a gas. Il primo trasporto vi giunse il 26 febbraio 1943. A partire dai primi di marzo dello stesso anno vennero regolarmente registrati trasporti di zingari dai territori occupati, tanto che in breve tempo risultò superato il limite della capienza: 10mila persone. Gli zingari vennero assimilati, dunque, agli ebrei nella teoria razziale e di conseguenza anche al trattamento: deportazione e soluzione finale. È solo nel 1980 che la Germania riconosce loro la dignità di vittime, affermando che avevano subìto, durante il regime nazista, una persecuzione razziale. È solo nel 1995 che si discute ufficialmente per la prima volta, in un convegno internazionale, del genocidio degli zingari.


 


Intervista ad Aly Baba Faye:

(17) “Killer armato dal razzismo quotidiano”

Il sociologo di origine senegalese: "La strage di Firenze è la punta di un iceberg, il problema non è solo il gesto di un folle”.  


Roma  - 13 dicembre 2011 - "Lo sfondo razzista di quello che è successo è evidente. L’assassino si è andato a scegliere le sue vittime al mercato, sapendo di trovarle al lavoro. Ha aperto il fuoco contro un bersaglio semplicissimo, gli ambulanti con la pelle nera". Aly Baba Faye, sociologo e leader storico della comunità senegalese, si dice "sconvolto" per la strage di Firenze, ma analizza con lucidità il contesto in cui è maturata: "Negli ultimi anni in Italia si è seminato molto razzismo, la diversità è diventata un male, l’immigrato la vittima da sacrificare. C’è stato un crescendo che ha legittimato il razzismo, con la politica che insisteva sulla sicurezza e sulle espulsioni, trasformando gli immigrati in una minaccia".

Vede un filo conduttore tra i casi di Torino e Firenze?
"Certo. La sedicenne che sente sempre parlare male degli zingari, quando si deve inventare uno stupro dà la colpa ai rom e altri vanno a bruciare il loro accampamento. Un folle di estrema destra che spara sugli immigrati è la mano armata di un pensiero seminato da anni. Siamo davanti alla punta di un iceberg,  il problema non è solo la punta, ma tutto l’iceberg".

La crisi economica aggrava questa situazione?
"La crisi economica è terribile e si rischia di scivolare in un clima pesantissimo. La gente non ne può più, è preoccupata e trova negli immigrati un comodo capro espiatorio. Diventi colpevole per il solo fatto di essere rom, extracomunitario, nero. È un continuo fiorire di insulti e ci vuole poco per passare dalla violenza verbale a quella fisica. Sempre più spesso si premette la frase “io non sono razzista, ma ” a discorsi davvero  atroci contro gli immigrati".

E gli immigrati denunciano?
"Macchè, ormai sono quasi assuefatti a questo clima diffuso. È una sconfitta per chi lavora da anni nell’antirazzismo. Qualche giorno fa ero su un autobus a Brescia e un gruppo di ragazzini ha snocciolato davanti a me una ricca serie di luoghi comuni contro musulmani e neri. Lo hanno fatto sfoggiando un arsenale di linguaggio che dimostra quanto le nuove generazioni abbiano assorbito il profilo del ‘mostro’ che ci è stato cucito addosso".

Come crede che reagirà la comunità senegalese a quello che è successo oggi?
"Oggi ho sentito molti ragazzi di Firenze e c’era tantissima rabbia. Non si può pensare che  gli immigrati subiscano sempre in silenzio, pensiamo a quello che è successo a Rosarno. Servono messaggi distensivi, perché non si scivoli in una protesta violenta. Le istituzioni dovrebbero stare particolarmente vicine alla comunità in questo momento".

Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it


 

Diritti di cittadinanza

 


(18) Stranieri residenti e diritti di cittadinanza:  la UIL chiede al Parlamento di riavviare il dialogo sulle proposte di legge già presentate 

E’ necessaria una maggiore disponibilità al confronto da parte della politica e della società.


Roma, 17 ottobre 2011 - La  UIL ribadisce la necessità e l’urgenza di una forte discontinuità sul fronte dei diritti di cittadinanza e sollecita Parlamento e Governo a cercare un punto di vista comune in materia di piena partecipazione degli stranieri alla vita civile nel nostro Paese. In Parlamento giacciono da anni inerti numerose proposte,  sia di riforma della legge di cittadinanza n. 91/1992, sia riguardanti l’estensione del diritto di voto amministrativo agli stranieri lungo – residenti. E’ tempo di tornare al dialogo tra tutte le parti politiche, lasciando da parte le polemiche ideologiche e cercando insieme soluzioni concertate in direzione di una riforma che permetta la piena partecipazione di 5 milioni di nuovi cittadini alla vita politica e sociale della nostra nazione. Oggi, con una presenza di stranieri residenti vicina al 10% della popolazione complessiva, non è più possibile considerare la società italiana come fossimo nel 1992 quando si approvò la legge 91 sulla cittadinanza. Serve un nuovo approccio a questo tema, un nuovo “contratto sociale”, le cui regole vanno scritte assieme a tutti i cittadini, nati o meno nel nostro Paese. In questo senso vediamo con favore tutte le iniziative promosse per aumentare il grado di sensibilizzazione pubblica su di una questione tanto importante e delicata, anche se siamo poco convinti dell’utilità di un approccio ideologico su questa materia. Come già detto, le proposte di riforma della cittadinanza non mancano.  Quello che è mancata finora è una volontà comune di ricerca del dialogo e di soluzioni concertate tra le varie forze politiche di maggioranza e di opposizione. 

Anche sul tema del diritto di voto amministrativo. E’ ben noto che in Europa ben 16 Paesi su 27 permettono già agli immigrati residenti da oltre cinque anni di poter votare alle elezioni amministrative. E’ giusto che questo avvenga anche da noi. Ma per fare ciò non servono nuove proposte legislative: basterebbe che Governo e Parlamento ratificassero il capitolo C della Convenzione di Strasburgo per rendere questo diritto esigibile anche da parte dei nostri stranieri lungo residenti. Ribadiamo dunque l’urgenza di riavviare il dialogo tra le forze politiche e sociali, con l’obiettivo di arrivare ad una posizione comune in materia di piena partecipazione degli stranieri alla vita civile nel nostro Paese.  Nel contempo, chiediamo anche una rapida innovazione dei meccanismi, oggi troppo  lenti e inutilmente complessi, dell’iter necessario ad ottenere l’ex carta di soggiorno, pubblicizzandone maggiormente i requisiti, eliminando le arbitrarietà territoriali a volte praticate e rendendo più semplice, veloce e funzionale il percorso burocratico. Uno strumento, quello della ex carta di soggiorno, che può rendere più realistico l’obiettivo di costruire una NUOVA POLITICA DI CITTADINANZA per milioni di cittadini non italiani. La  UIL articolerà, nelle prossime settimane,  una grande campagna di promozione dei diritti di cittadinanza chiedendo che l’Esecutivo ed il Parlamento promuovano, da subito, un confronto sereno e a tutto campo  su questa importante materia.

Dipartimento Politiche Migratorie UIL



(19) Un alunno "straniero" su due è nato in Italia (42,1%)

Di Alessandra Coppola, http://www.corriere.it/


MILANO, 25 ottobre 2011 — Alla Casa del Sole, elementari e medie nel parco Trotter che a Milano è il ritrovo di molte nazionalità, lo sanno dai registri di classe: sono sempre di più gli alunni stranieri nati in Italia. «Un elemento decisivo — sottolinea lo storico, battagliero, preside Francesco Cappelli (appena andato in pensione) —: se i bambini parlano bene l’italiano e crescono in situazioni di stabilità familiare, crollano tutte le differenze che potevano creare difficoltà».  Lo dicono adesso con il timbro dell’ufficialità anche i dati elaborati dalla Fondazione Ismu per il ministero dell’Istruzione: nell’ultimo anno scolastico il 42,1 per cento degli studenti che non ha la cittadinanza italiana è nato qui. Un bel salto rispetto a tre anni fa, quando erano il 34,7. Nelle scuole dell’infanzia, poi, il numero quasi raddoppia: 78,3. «Diventa sempre più difficile usare la parola "stranieri" — osserva Vinicio Ongini, della Direzione generale dello studente al ministero, uno dei responsabili del rapporto —: in Lombardia il dato sale addirittura al 48 per cento». Sorridono i ragazzi della Rete G2-Seconde generazioni: un argomento in più a sostegno della campagna in corso per una legge sulla cittadinanza che riconosca come italiano chi è nato nei nostri confini, introducendo lo ius soli.Non si parla di boom di alunni stranieri, però, avverte Ongini. Al contrario, l’aumento complessivo frena, in modo anche più visibile di quanto si era già registrato per gli adulti. Gli studenti non italiani sono 711.064 (il 7,9 per cento del totale), dieci volte di più rispetto a 15 anni fa. Ma se fino al 2008 si sono moltiplicati al ritmo di 60-70 mila all’anno, nell’ultima tornata i nuovi ingressi sono stati «solo» 38 mila. Significa meno arrivi e più partenze: «Da una parte è effetto della crisi — continua il ricercatore — dall’altra alcuni nuclei familiari tornano ai Paesi d’origine, per esempio in Romania o in Albania, dove c’è una leggera ripresa». Romeni e albanesi restano comunque i più numerosi in classe, seguiti da marocchini e cinesi. A sorpresa, però, subito dopo arrivano i bambini moldavi, effetto dei ricongiungimenti chiesti da colf e badanti. Li tallonano al sesto posto gli indiani, che alle superiori vengono scavalcati dai ragazzini ucraini ed ecuadoriani (anche loro spesso hanno raggiunto le mamme al lavoro nelle case italiane). Gli ultimi iscritti, quelli che arrivano in Italia in fasi delicate come l’adolescenza, inseriti spesso in classi inferiori all’età anagrafica, sono il segmento più fragile — avvertono i ricercatori — quello che avrebbe bisogno di maggiore attenzione: ma sono solo il 5 per cento. Un dato assorbito nel conto degli alunni stranieri con ritardo scolastico: il 70 per cento alle superiori contro il 20 degli italiani. «Fenomeno spesso legato al percorso migratorio più che a una cattiva riuscita» spiega Mariagrazia Santagati, curatrice del rapporto per l’Ismu. Certo, il divario con i figli di italiani è significativo, anche nelle promozioni: «I bocciati stranieri sono il doppio, il 30 per cento». La professoressa Santagati s’è dedicata soprattutto ai dati che riguardano la scuola secondaria di secondo grado, traendone due considerazioni essenziali. La prima: i figli dei migranti stanno crescendo, in un anno 10 mila si sono iscritti alle superiori, anche se sono ancora solo il 5,8 per cento del totale (restano quindi concentrati tra elementari e medie). La seconda: la grande maggioranza frequenta un istituto tecnico o professionale, solo il 18,7 per cento (soprattutto ragazze) va al liceo (contro il 43,9 degli italiani). Spesso su consiglio dei docenti, in molti casi nella speranza di un più rapido accesso al mondo del lavoro. Infine, qualche sorpresa dalla distribuzione geografica. Se il record nei numeri è della Lombardia (il 24,3 per cento degli studenti non ha la cittadinanza italiana), guardando alle province le incidenze maggiori (cioè le percentuali più alte sul totale) si registrano a Piacenza, Prato, Mantova, Asti e Reggio Emilia. «Cè una tendenza a parlare dei quartiere delle grandi città — riflette Ongini —: questo rapporto sposta l’attenzione su un’altra Italia, fatta di paesi anche piccoli. E aiuta a dare un quadro più equilibrato».



(20) E’ tempo di ripensare il modello di cittadinanza, di società e di contratto sociale

Di Giuseppe Casucci, Fabrizio Molina, Christopher Hein


Il dibattito sulla cittadinanza, sulla necessità cioè di costruire un nuovo quadro legislativo che tenga conto dei profondi mutamenti che stanno rendendo la nostra una società sempre più multietnica, ha ripreso in questi giorni vigore anche grazie alle forti opinioni espresse in materia dal Presidente Napolitano. E’ importante dunque cogliere lo stimolo che viene dalla Presidenza della Repubblica e riannodare quel filo di dialogo tra Parlamento e società civile di fatto interrotto da due anni. Per fare ciò sarebbe forse utile  spogliare il confronto sul tema dei diritti di cittadinanza dalle impostazioni ideologiche e guardare ai fatti: ai segnali che ci vengono da una società in rapido movimento, dalla realtà della crisi globale, nonché dai bisogni e dalle aspirazioni espresse dai nuovi come dai vecchi cittadini.

Gap demografico e prospettive future della società

Oggi in Italia vivono quasi cinque milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Come dire che,  senza gli stranieri, saremmo oggi 55.6 milioni di abitanti italiani e che il rapporto tra  stranieri  e di italiani è in effetti di 1 contro 11. A causa del gap demografico, in futuro le cose non sembrano destinate a cambiare: oggi il tasso di fecondità è pari a 2,4 figli per le donne straniere, contro 1,3 per quelle italiane. Senza i cittadini immigrati, dunque, saremmo destinati ad un rapido declino. Secondo uno studio del Ministero del Lavoro, il calo demografico tra il 2010 ed il 2020 sarà di almeno altri 1,7 milioni di cittadini il che porterebbe il rapporto stranieri italiani ad 1 contro 8.  Secondo il Fondo sulle Popolazioni Mondiali (Nazioni Unite),  tra oggi ed il 2050, l’Europa perderà altri 103 milioni di abitanti, di cui forse 8 milioni di italiani. Infatti attualmente l’Italia registra la 3° età mediana più alta del mondo, dopo Giappone e Germania, (43 anni, contro i 15 del Niger o i 16,7 dell’Afghanistan). Non c’è dubbio che il futuro demografico e di sviluppo del nostro Paese dipenderà in gran parte dai flussi migratori e dai nuovi nati stranieri in Italia. Nel 2010, in effetti,  sono nati circa 78 mila bambini stranieri, il 13,9% del totale dei nati nel Belpaese. In quanto ai minori stranieri, essi sono destinati ad un aumento percentuale notevolmente superiore al trend complessivo migratorio. Nel 2010 c’erano quasi un milione di minori stranieri, di cui oltre 650 mila nati in Italia. Nel 2020 le previsioni è che essi supereranno quota 1,5 milioni.

Leggi e modelli di società

Nel 1992 gli stranieri residenti registrati risultavano essere 537.062.   E’ l’anno in cui fatta divenne vigente la legge 91 sulla cittadinanza, una legge che necessariamente risentiva del minimo impatto sulla nostra società delle migrazioni. Oggi, con una presenza di stranieri residenti vicina all’8% della popolazione complessiva e di dieci volte superiore al 1992, la società italiana è certamente molto cambiata rispetto vent’anni fa. Da allora, cioè, è mutata la composizione e la qualità della società civile, oggi assai lontana da quella chiamata nel 1991 a sottoscrivere il contratto sociale. Da qui la necessità e l’urgenza  di riscrivere le regole di civile convivenza, basandosi su nuovi parametri e valori di riferimento. Non è possibile certo pensare ad un mero modello di assimilazione dei nuovi venuti offrendo un quadro di valori e regole scritte solo dagli italiani. Se il contratto va riscritto, questo deve poter avvenire con l’apporto di tutti gli attori interessati: di qui la necessità che il dibattito parlamentare riprenda e si avvalga di un confronto di merito anche con la società civile nel suo complesso, e con i suoi rappresentanti, italiani o non.

Riforma, eccesso di proposte

In Parlamento non mancano certo  le iniziative di legge.   Dall’inizio della XVI legislatura le proposte d’iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza sono state ben 48: 15 sono quelle che la Commissione affari costituzionali della Camera ha preso in esame (confronto poi sospeso dal 20 luglio 2010). 14 proposte non sono state ancora assegnate, come i 18 disegni di legge al Senato. Sul tavolo c’è anche una proposta d’iniziativa popolare depositata in Cassazione. Futuro e Libertà per l’Italia, dal canto suo, ha rilanciato recentemente  la proposta "Sarubbi-Granata" limitata solo alla 'corsia privilegiata' per diventare cittadini italiani a chi nasce sul territorio nazionale.  Da ultimo, il 23 novembre scorso, il Sen. Ignazio Marino del PD ha depositato in Senato il disegno di legge “Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di introduzione dello ius soli”, dispositivo  firmato da altri 112 senatori del blocco PD, IDV, UDC, API.  La proposta introdurrebbe lo  ius soli “secco”, permettendo di diventare subito italiani tutti i bambini nati in Italia, figli di genitori stranieri. Dunque le proposte sono tante, segno del grandissimo interesse che questa materia suscita. Quello che è mancato purtroppo è il dialogo ed anche la volontà di trovare un punto d’incontro tra le diverse impostazioni politiche ed ideologiche. Dobbiamo considerare che riforme così importanti, come quella sulla cittadinanza, riguardano le regole di civile convivenza della società presente e futura. E’ consigliabile, dunque, che non vengano approvate di forza da una maggioranza parlamentare risicata, anche perché correrebbero il rischio di essere cancellate da un futuro cambio di governo. Su un tema tanto fondamentale come il contratto sociale, meglio sarebbe trovare una larga maggioranza, anche se su contenuti mediati, piuttosto che rimanere fermi al 1992. E quali sono questi contenuti?

Idee da discutere

E’ stato fatto notare che con la cittadinanza italiana si acquisisce anche quella europea. Meglio dunque sarebbe una riforma più vicina nei contenuti a quelle realizzate in altri Paesi UE. In altre nazioni l’acquisizione della cittadinanza può avvenire immediatamente alla nascita, anche se con diverse condizioni richieste: ad esempio la riforma spagnola ha introdotto la possibilità di cittadinanza per i bambini figli di stranieri con almeno un anno di residenza in Spagna; mentre le  riforme greca e portoghese prevedono una residenza del genitore di almeno 5 anni; infine quella tedesca parla di almeno 8. Peraltro, nella gran parte degli Stati europei godono di un accesso privilegiato alla cittadinanza,  quei bambini nati sul territorio del Paese di immigrazione che abbiano accumulato un certo numero di anni di residenza o arrivati da piccoli nel Paese ospite, avendo poi completato un ciclo scolastico. Questa corsia privilegiata per i minori, infatti,  riguarda quasi ovunque anche i bambini non nati nel paese di immigrazione, ma che ci sono arrivati da piccoli, purché vi abbiano studiato o vi siano vissuti per un certo periodo.  Un altro provvedimento che potrebbe de ideologizzare il dibattito sulla cittadinanza è una maggiore e più fluida fruizione del permesso di soggiorno di lungo periodo. E questo, non solo  perché l’ex carta di soggiorno concede agli immigrati regolari da più di cinque anni una parità di diritti quasi sostanziale con gli italiani, ma anche perché lo straniero in possesso di carta di soggiorno, viene liberato dall’oppressione burocratica del permesso di breve durata e dalle farraginosità e trappole della Bossi- Fini. Oggi forse la maggioranza di chi richiede la cittadinanza lo fa per sfuggire all’ordalia del rinnovo del permesso, non perché sia convinto di voler diventare italiano. Bisogna dunque mettere i cittadini stranieri in condizione di chiedere la cittadinanza italiana per convinzione e non per pura necessità. Una ipotesi mediata, per quanto riguarda i bambini, potrebbe dunque ispirarsi all’esperienza europea e concedere la cittadinanza ai figli di immigrati presenti regolarmente da almeno 5 anni, che nascano in Italia o vi arrivino da piccoli. In alternativa, i minori che abbiano completato almeno un ciclo scolastico potrebbero comunque godere di un percorso privilegiato alla cittadinanza italiana. Per quanto riguarda gli adulti, sarebbe auspicabile un percorso più semplice per l’ottenimento della carta di soggiorno e la cittadinanza dovrebbe arrivare in tempi certi di residenza e con un percorso meno ad ostacoli,  a condizione che lo straniero si sia radicato nel nostro Paese e vi voglia far parte abbracciandone valori e regole. Per quanto riguarda il diritto di voto amministrativo per i lungo – residenti, l’Italia ha già ratificato la Convenzione di Strasburgo, spostando solo temporalmente l’applicazione del capitolo C. Basterebbe, dunque, una legge ordinaria per permettere a chi risiede da un lustro nel nostro Paese, di poter  votare i propri amministratori pubblici locali: traguardo importante in quanto i partiti impareranno a mostrare maggiore attenzione e rispetto verso gli stranieri, solo quando anche loro avranno diritto di voto.

Noi non intendiamo, comunque, fare una proposta nuova con tempi e modi definiti di ottenimento dei diritti di cittadinanza. Il nostro obiettivo è quello di facilitare il confronto e soprattutto il buon senso tra tutte le parti politiche e sociali interessate, convinti che un nuovo contratto sociale sui diritti di cittadinanza premierà non solo gli stranieri, ma l’insieme della società italiana che cerca un approccio nuovo per rispondere alle side del presente e del futuro.