30 gennaio 2012

La solita faticosa vita del migrante nell’Italia delle gabelle
l'Unità, 28-01-2012
Sono 4,6 milioni secondo l’Istat, le persone straniere iscritte al registro dell’anagrafe dei comuni italiani. Si tratta di una cifra destinata a crescere, almeno questo è stato il trend degli ultimi dieci anni: dal 2001 il numero dei residenti stranieri è quasi triplicato. Una presenza, dunque, tutt’altro che insignificante, come dimostra un altro dato, anch’esso reso noto dall’Istat, sui lavoratori stranieri, che sarebbero il 9,4% del totale nazionale. E, ancora: questi, rispetto ai cittadini italiani, hanno un tasso inferiore di disoccupazione (addirittura di dieci punti percentuali). Non si tratta però, ed è bene farlo presente, di persone completamente estranee agli effetti della crisi economica. Basti considerare il numero dei permessi di soggiorno non rinnovati nel 2010: 684.413 (fonte: dossier Caritas/migrantes 2011).
E quanti non sono precipitati in una situazione di irregolarità sono costretti, in ogni caso, a esercitare doti di flessibilità massima che, in questo caso, significa: accettare impieghi non specializzati, contratti di lavoro (quando ci sono) non rispondenti all’attività e soprattutto all’orario effettivo e, più in generale, un oscillare costante tra occupazione e disoccupazione. Ma non finisce qui. Il decreto 6 ottobre 2011 «Contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno», firmato dagli ex ministri Tremonti e Maroni, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale alla fine dello scorso dicembre, entrerà in vigore lunedì prossimo. Si tratta di una tassa che varia a seconda della durata del permesso di soggiorno da rinnovare: 80 euro se è valido per meno di un anno e prezzi intorno ai 200 euro per il rilascio della “carta di soggiorno” Un costo che deve essere sommato a quello che già viene pagato per le spese amministrative che il rinnovo comporta. Insomma, la solita faticosa vita da immigrato.



Immigrazione: in 50 sbarcano su coste pugliesi
iL Messaggero.it, 30-01-2012
(ANSA) - ROMA, 30 GEN - Uno sbarco di clandestini - una cinquantina di persone - e' avvenuto stanotte sulle coste pugliesi, tra Peschici e Rodi: gli extracomunitari si trovavano su una barca a vela, che aveva l'albero spezzato e si e' arenata sulla spiaggia. I migranti, intercettati a terra, hanno raccontato di essere partiti dalla Grecia in 73, su tre imbarcazioni: ricerche sono in corso. Cinquantanove clandestini sono stati segnalati anche a bordo di un traghetto greco partito da Corinto e diretto a Venezia.



Cancellieri frena sullo ius soli «Non basta essere nati qui»
Il ministro: immigrati cittadini, servono le condizioni
Il Messagero, 30-01-2012
CARLO MERCURI
ROMA - II diritto di cittadinanza non può essere concesso a chiunque. E' il pensiero dei ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, espresso durante la trasmissione Che tempo che fa. Yeniamo cosi ufficialmente a conoscenza della posizione del ministro su uno dei temi più dibattuti degli ultimi tempi, quello se non sia più giusto farsi discepoli dello «ius soli» (modello francese), cioè il diritto alla cittadinanza per nascita in un dato posto, oppure di continuare ad aderire allo «ius sanguinis», cioè l'acquisizione della cittadinanza per trasmissione dalla cittadinanza dei genitori.
Il ministro Cancellieri ha affermato che «lo ius soli semplice creerebbe le condizioni di far nascere in Italia bambini da tutto il mondo». Quindi, niente cittadinanza automatica a ogni bambino straniero che i genitori abbiano deciso di far nascere in Italia. Si, invece, a una cittadinanza che «derivi da un insieme di fattori. Se un bambino è nato in Italia, i genitori sono stabilmente in Italia e magari ha già fatto parte degli studi qua ed è inserito, allora credo sia giusto».
In altre parole lo «ius culturae», come aveva proposto un altro esponente del Governo Monti, e cioè il ministro per l'Integrazione Andrea Riccardi, che qualche giorno fa aveva sottolineato: «Deve prevalere non lo ius soli o lo ius sanguinis ma lo ius culturae, perché questi giovani sono cresciuti immersi nella cultura italiana».
Ora la presa di posizione del ministro Cancellieri riattizzerà le polemiche sul tema. Già se n'è avuta un'eco ieri stesso, con il senatore dei Pd Ignazio Marino, primo firmatario di un disegno di legge per la concessione della cittadinanza secondo lo «ius soli», che ha affermato: «Rispetto il ministro Cancellieri, ma ritengo sia venuto il momento, non rinviabile, di introdurre nel nostra ordinamento il principio dello ius soli. Nelle scuole del nostra Paese i ragazzi discendenti da altre etnie non hanno nessun problema di integrazione e parlano l'italiano come i loro compagni di banco, con lo stesso accento. Hanno problemi semmai ad apprendere la lingua dei nonni, che sia il cinese o il bengali. E' ora di accettarli pienamente tra di noi».
II Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quando pochi mesi fa ricevette al Quirinale una rappresentanza dei «nuovi Cittadini italiani» disse che «negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da stranieri è un'autentica follia». Sulle sue parole lo schieramento parlamentare si è diviso: da una parte i contrari (la Lega e il Pdl), dall'altra parte i favorevoli (Pd, Idv, Udc) con qualcuno che esercita qualche cautela in più (Fini). Calderoli, per esempio, richiamandosi alle parole di Napolitano, disse: «La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius soli e non sullo ius sanguinis, come prevede oggi la legge». Nelle parole di Gianfranco Fini sembra invece di leggere lo stesso giudizio del ministro Cancellieri: «Uno ius soli automatico mi lascia qualche dubbio - ha detto nei giorni scorsi il presidente della Camera - E' giusto invece dire che è Cittadino italiano chi nasce in Italia, parla la lingua e ha concluso un ciclo di studi». Ultimamente sul tema è intervenuto pure Beppe Grillo, scrivendo a sorpresa sul suo blog che «concedere la cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia è senza senso» e suscitando polemiche a sinistra.
II ministro Cancellieri, nella stessa trasmissione tv, si è anche dichiarata «favorevole all'eliminazione dei valore legale della laurea». Poi ha aggiunto: «Ma il merito va premiato».



Figli di stranieri, Cancellieri frena "No alla cittadinanza automatica"
la Repubblica, 30-01-2012  
VLADIMIRO POLCHI
ROMA— Chi nasce in ltalia è italiano? Si, ma ad alcune condizioni. Il ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, frena sullo ius soli puro, che «creerebbe le condizioni per far nascere da noi bambini da tutto il mondo». Via libera invece a uno ius  temperato: «Se un bambino figlio di immigrati nasce in Italia, i genitori sono stabilmente nel Paese e ha percorso un ciclo di studi, credo che il diritto alla cittadinanza sia giusto».
Il ministro dell'Interno, parlando alla trasmissione "Che tempo che fa",solleva dubbi sull'ipotesi di garantire automaticamente la cittadinanza ai figli degli immigrati, perché questa dovrebbe derivare non solo dalla nascita in Italia, ma «da un insieme di fattori». Quali? «Fondamentalmente — spiegano ai Viminale — la stabilità del nucleo familiare e un minimo di percorso scolastico. Insomma no alla cittadinanza a chi è in Italia solo di transito e fa nascere qui il proprio figlio». Fattori, questi, già parzialmente previsti dalla legge di iniziativa popolare portata avanti dalla Campagna "L'Italia sono anch'io": nascita in Italia da un genitore residente da almeno un anno.
Sul caso le forze politiche si dividono: di un «principio non più rinviabile» parla Ignazio Marino (Pd), che a Palazzo Madama ha depositato un disegno di legge sullo ius soli; Italo Bocchino (Fli) plaude invece all'ipotesi di «uno ius soli temperato»; tre parlamentari Pdl ribadiscono che di «ius soli non si parla». Intanto, in attesa di riforme future, oggi scatta la supertassa sui permessi di soggiorno: dagli 80 ai 200 euro in più per ogni documento da rinnovare.
Non è tutto. Il ministro Cancellieri, nel corso della trasmissione Rai, si è detta «favorevole all'abolizione dei valore legale del titolo di studio, a due condizioni: chiedo una valutazione seria delle università e pari opportunità perché tutti abbiano
accesso alle università più prestigiose, per esempio con borse di studio». E ancora: sul problema delle carceri, il ministro considera «l'amnistia come un atto di clemenza legato a fatti particolari, se dev'essere uno svuota-carceri come cittadina mi ribello». Sulle proteste che stanno scuotendo l'Italia «non ci sono preoccupazioni rispetto a un'eversione terroristica», ma c'è il «timore che qualche cane sciolto possa inserirsi». Quanto ai No Tav,«nessuno ha criminalizzato il movimento ma non si posso- no consentire violenze di quel genere» e sul movimento dei Forconi «l'allarme di Ivan Lo Bello (il presidente di Confïndustria Sicilia, ndr) è sicuramente fondato e sono in corso indagini della magistratura. In questi fenomeni possono verificarci in-
filtrazioni mafiose».
Un ultimo commenta sul fatto che la Digos abbia rimosso un tricolore, per motivi di ordine pubblico, durante l'ultima ma- nifestazione della Lega a Milano: «Non so in che situazione abbia operato la Digos, ma sicuramente è meglio rischiare e di- fendere la bandiera con il proprio corpo».



"La politica ha paura di nuovi elettori"
Parla Karima Moual, giornalista e blogger d'origine marocchina, ma oggi italiana a tutti gli effetti. "Non possiamo escludere che le attese prolungate di molti giovani di seconda generazione possano sfociare in proteste se non a vere e proprie rivolte sociali". Oltre il 60% dei giovani italiani pronti a fuggire all'estero, al contrario i figli di immigrati lottano per restare.
la Repubblica, 29-01-2102
LAURA BONASERA
ROMA - Arranca, prende tempo e mette in 'stand by' un disegno di legge. Da due anni. La politica italiana non ha ancora deciso se concedere il diritto di cittadinanza anche i nati in Italia da genitori stranieri. "Hanno paura"  -  spiega Karima Moual. Secondo la blogger e giornalista italiana nata in Marocco "i politici temono una scossa ai bacini di elettori, quelli a cui ogni formazione politica attinge i propri voti. Per questo motivo la battaglia è ancora aperta. Non sanno come ammiccarsi un possibile nuovo elettorato". Con lo ius soli, ogni equilibrio politico potrebbe saltare. E' questo il punto per la giovane presidente dell'associazione culturale Genemaghrebina: "Credo influenzi anche la convinzione, del tutto infondata, che l'immigrato sia un elettore esclusivamente di sinistra. Ma chi l'ha detto?"
Ha 30 anni, Karima. A nove anni ha raggiunto i suoi genitori a Vercelli. La sua Italia? E' fatta di schiaffi e carezze. "Ma lo sai che è solo l'Italia a renderti così bella e forte?"- le diceva Tonino, rivendicando con orgoglio la sua italianità, mentre ancora bambina sicura e fiera camminava a testa alta tra le vie del Bel Paese. "Mi scusi, ma lei è italiana? Perché parla perfettamente la lingua ma ha dei lineamenti particolari". Sono queste le domande fatte dagli italiani doc adesso che è una donna. E quando invece è fuori dall'Italia, i suoi interlocutori non hanno dubbi: è italiana.
Sentirsi italiana. Non è facile sentirsi in bilico tra due culture, due Paesi. "Ti senti italiana, ma per gli italiani non lo sei"- spiega la giornalista esperta in tema d'immigrazione - "Io sono orgogliosa del mio doppio bagaglio culturale. Ho cercato in tutti i modi di usarlo, anche nel mio lavoro. Tanté che ho iniziato nel 2004 come collaboratrice del primo giornale dedicato ai temi dell'immigrazione. La mia seconda valigia è stato un valore aggiunto - continua - Ti rendi conto di avere qualcosa che altri non hanno. E se all'improvviso ti manca qualcosa sai di poterla sempre recuperare dall'altra valigia. Sono stata fortunata, per molti non è stato così".
Politica miope. Quello sull'abolizione dello ius sanguinis è un dibattito che va avanti da anni. E sulle recenti polemiche suscitate dalle dichiarazioni di Grillo 2 la giovane commenta: "Si tratta di una miopia politica. E' da incoscienti affermare che riconoscere il diritto di cittadinanza alle seconde generazioni sia cosa "senza senso". Stiamo parlando del futuro dell'Italia". Già, perché se il 60% dei giovani italiani sono pronti alla fuga dal Paese per cercare lavoro, i figli degli immigrati lottano per restare. Lo spiega senza mezzi termini, Karima.
Diritto allo studio. "Sono da vent'anni in Italia e, prima di riuscire ad ottenere la cittadinanza, l'essere straniera non mi è costato poco. All'università -  che ho frequentato a Roma - ho trovato la prima realtà che mi ha fatto capire quanto fossi ancora ritenuta straniera. Accesso negato a borse di studio, il periodo Erasmus dettato dal permesso di soggiorno, e se vai un anno fuori corso rischi anche di perderlo".
Cittadini di serie B. "Se non studi e non lavori - e non per scelta, dati i livelli alti di disoccupazione giovanile -  non esiste motivazione valida per il rilascio del permesso di soggiorno -  continua la giovane - Quindi, una ragazza dopo aver vissuto 20 anni in Italia può essere rispedita a casa da un giono all'altro. Psicologicamente è devastante per questi giovani sentirsi parte di un Paese che però li considera cittadini di serie B. Per questo, conosco molti ragazzi che, incoraggiati dalle trasformazioni innescate dalla "primavera araba", stanno pensando di rientrare nei loro Paesi d'origine".
Riscattare i genitori. Gli immigrati di seconda generazione sono molto legati all'Italia. Il motivo? "Conoscono i grandi sacrifici fatti dai loro genitori: lavorano come lavapiatti, donne di servizio, muratori. Fanno i lavori più umili, proprio quelli che gli italiani non vogliono più fare. I giovani - spiega Karima - vogliono riscattare i padri. Per questo, ambiscono a studiare e a svolgere altre professioni".     
"Dis-integrazione" sociale. "L'Italia, così facendo, sta mettendo in atto processi di 'dis-integrazione' sociale  -  avverte la Moual - E' un Paese che non vuole voltare pagina e non è pronto a guardare in faccia la realtà: l'attuale legge sulla cittadinanza rispecchia una società vecchissima. Si sta innescando una vera bomba ad orologeria. E' chiaro. Se non si prendono provvedimenti subito, non è esclusa la possibilità che possa montare una protesta. La forma di una rivolta sociale è del tutto imprevedibile".   



Cittadinanza
la Repubblica, 29-01-2012
Carlo Galli
(da 'cittadino', dal latino civis, che dà vita a civitas, città). L'appartenenza stabile a  un'entità politica, con i connessi diritti e doveri.
Nel corso della storia ciascuna realtà politica determina i requisiti della cittadinanza, includendo a pieno titolo una parte della popolazione nella  politica attiva, mentre la parte restante è, certamente, inclusa nella città, ma in modo passivo e subalterno. La storia politica può essere descritta come la lotta per la acquisizione della piena cittadinanza da parte di chi ne è escluso.
In Grecia  si è cittadini su base etnica, in quanto figli di liberi cittadini, omogenei rispetto alla stirpe, al ghenos. A Roma, invece, si è cittadini su base non etnica ma giuridica, se si accetta di entrare, o se si viene fatti entrare, all'interno di un ordinamento e a un sistema di norme e valori che si sono progressivamente aperti a tutti, dagli italici fino a tutti i maschi liberi dell'impero. Le inclusioni subalterne restano ovviamente sempre presenti: le donne e gli schiavi ne sono i casi più lampanti.
La cittadinanza è più o meno estesa o  ristretta anche nel corso del Medio Evo, sulla base di parametri come la nascita (l'aristocrazia ha uno status superiore), oppure la ricchezza (i ceti abbienti dominano nelle realtà comunali e repubblicane), la religione (il cristianesimo, nelle sue varie confessioni, è di volta in volta titolo di cittadinanza o di subalternità, mentre l'ebraismo
è costantemente collegato a forme di inclusione diseguale). In età moderna, invece, l'essere cittadino  -  almeno in linea di principio  -  si contrappone all'essere suddito, ossia sottomesso al re o ai nobili (il che abolisce la differenza di nascita); e si contrappone anche alla supremazia della ricchezza (l'azione contro le disuguaglianze economiche passa attraverso lo Stato sociale, che opera l'inclusione sostanziale, integrando quella giuridico-formale); e si contrappone, infine, alla discriminazione (non si consente, insomma, che acquistino rilievo giuridico  le differenze culturali, ma anche quelle naturali, come ad esempio la differenza di genere o di colore: le ultime a essere superate, con grande fatica). La cittadinanza moderna è insomma fondata sull'uguaglianza, sia davanti alla legge sia per quanto riguarda le chances di vita. La cittadinanza così intesa è l'obiettivo della politica  democratica, almeno da quando, con la rivoluzione francese, tutti diventano 'cittadini'.
Ma poiché anche in età moderna la cittadinanza è un rapporto fra il cittadino e lo Stato, spetta a questo fissare i requisiti necessari al pieno esercizio della cittadinanza: ad esempio, determinando la maggiore età; o indicando i casi in cui la piena cittadinanza si perde (solitamente per ragioni penali); in ogni caso, fra i criteri della cittadinanza non può essere prevista l'omogeneità religiosa o culturale, o razziale o intellettuale rispetto a un modello standard. Uno Stato democratico moderno può fissare anche le modalità dell'acquisizione della cittadinanza, privilegiando ora la nascita (ius sanguinis), per cui si è cittadini in primo luogo se si è figli di cittadini, mentre i figli dei non cittadini (degli stranieri residenti) possono acquisire la cittadinanza solo dopo  passaggi e prove più o meno laboriose; oppure può rendere prevalente il fattore del  territorio (ius soli), per il quale è cittadino chiunque nasca sul suolo dello Stato.
Nel primo caso la cittadinanza è l'appartenenza a una civiltà; nel secondo caso, invece, la cittadinanza è l'appartenenza a uno spazio giuridico. Davanti  alla pluralità di culture all'interno di uno Stato  -  il fenomeno più vistoso del nostro tempo  - ,  l'applicazione esclusiva dello ius sanguinis  può  diventare una volontà di discriminazione dello straniero residente; mentre allargare lo spazio dello ius soli (ad esempio, agli immigrati, dopo un più breve periodo d'anni; ai loro figli, all'atto della nascita)  favorirebbe la piena  integrazione giuridica formale (in presenza, per di più, di una già operante integrazione sostanziale, di vita e di lavoro).
In Italia la legge dà per ora la prevalenza allo ius sanguinis, il che  è una discriminazione di fatto verso i figli degli immigrati, nati in Italia, che in Italia studiano o lavorano. Renderli uguali davanti alla legge è un atto di giustizia e anche di lungimiranza. Mentre al contrario la  volontà di mantenere anche a livello giuridico le differenze e le subalternità risponde a una strategia  discriminatoria, e realizza una politica ingiusta, che per di più genera problemi, invece che aiutare a risolverli.  



«Quei ragazzi sono italiani Con che coraggio si dice no?»
Il presidente dell'Anci e la cittadinanza agli immigrati nati nel nostro Paese. «Il Parlamento dia subito una risposta».
l'Unità, 29-01-2012
Natalia Lombardo

Il Parlamento guardi in faccia questi giovani e dica loro “voi non siete italiani”, così come gli uomini dovevano dire in faccia alle donne, “voi non votate”». Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia alle prese con il terremoto, presidente dell’Anci, è anche presidente del comitato promotore «L’Italia sono anch’io» per la legge sulla cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati nel nostro Paese.
Sta crescendo un fronte trasversale, ci sono tante proposte di legge, pensa che il Parlamento le recepirà?
«Esiste un’azione forte dal basso di tante associazioni che chiedono al Parlamento di avere più coraggio e guardare in faccia la realtà: quasi un milione di giovani che si sentono a tutti gli effetti italiani».
Di quale fascia di età parla?
«Da zero ai diciotto anni, parlo sia di chi è nato qua che di chi è arrivato da piccolo e ha concluso due cicli di studi. Bambini a tutti gli effetti italiani, parlano e studiano nella nostra lingua, vivono l’Italia come loro patria, invece a diciotto anni verranno trattati come stranieri. Noi produciamo stranieri con questa legislazione. Ma ora il tempo della paura iniziale, comprensibile per un’immigrazione rapida con un impatto forte, è finito, si deve fare un passo in avanti come in tutti i paesi europei. E affrontare il tema dell’immigrazione come “il tema” del Terzo Millennio».
Come comitato promotore cosa farete?
«Abbiamo messo insieme le anime più diverse, dalla Cgil all’Ugl, l’Arci e il centro studi gesuiti. Abbiamo raccolto 50mila firme per la proposta di legge popolari con banchetti in tutta Italia, trovando gli italiani più disponibili di quanto non si dica. Ora dobbiamo certificarle, poi depositeremo le proposte di legge in Parlamento; a febbraio chiederemo ai presidenti della Camera e del Senato e ai capigruppo di avviare un iter e un calendario per discuterle».
Ci sarà la forza per mandarla avanti, secondo lei?
«Credo che in Parlamento adesso ci siano le condizioni ideali per fare questo passo: sono caduti quelle paure e quei ricatti politici di chi minacciava di far cadere il governo». Sono caduti del tutto? «Be’, con un governo concentrato sul fare dovrebbe esserci un Parlamento concentrato sul fare. E questo può fare in modo che la legislazione determini uno scatto di civiltà, riconosca diritti che ci sono già, e aiuto anche a far meglio i propri doveri. Perché chi è in grado di sentirsi cittadino può dare un contributo maggiore al proprio Paese».
La formula è quella dello ius soli.
«Sì. Certo non siamo favorevoli al fatto che uno venga qui a partorire e diventi automaticamente cittadino italiano, non è questo il tema. Ma se nasce un bambino da genitori già legalmente soggiornanti in Italia, quindi da almeno cinque o sei anni, a questo bambino deve essere riconosciuta la cittadinanza. Oppure può avvenire dopo che ha concluso i primi due cicli di studi. Sarà il Parlamento a decidere, ma intanto deve guardare in faccia questi giovani, che io sento cantare l’Inno Nazionale, e dire loro “voi non siete italiani”. Come gli uomini dovevano dire alle donne “tu non hai il diritto di votare”, facile dirlo tra uomini, più difficile dirlo alle mogli. Per fortuna oggi c’è un’ampia sensibilità, grazie al presidente della Repubblica, al presidente della Camera, i partiti possono riconquistare molta credibilità se affrontano questi temi».
Come giudica le posizioni di Grillo?
«Grillo ha fatto una lettura da politichese, “questo serve alla Lega... questo alla sinistra buonista...”. Questa legge non serve né a far aumentare il razzismo, né a farlo diminuire. E il buonismo non c’entra. È una scelta di migliore coesione della società e di qualità della vita anche nostra. Perché quando abbiamo concesso diritti non ci abbiamo mai rimesso».
Il governo non ha tolto l’aumento della tassa per il permesso di soggiorno. Pesano i ricatti della Lega, con il Pdl che non vuole rompere del tutto?
«Non so, ma non c’è peggior politica di quella degli annunci. Una volta che si è detto sarebbe utile farlo; non dico che non debbano pagare, ma senza sovrattasse, un immigrato non deve sentirsi in colpa perché chiede il permesso di soggiorno».
Lei parla come se vivesse molto da vicino le storie di questi ragazzi.
«Sì, tutti i sindaci le conoscono. Ho davanti agli occhi storie di ragazzine nate in Italia da genitori marocchini o ucraini che prendono nove in italiano e mi dicono “la maestra è stupita, perché, io cos’ho di diverso dai miei compagni italiani?”. Mi scrivono tantissime lettere: ragazze bravissime in ginnastica, atlete quindicenni, che non possono essere scritturate da società professionistiche perché non hanno la cittadinanza. Ecco, il Parlamento dovrebbe avere davanti queste storie commoventi, più che i calcoli politici».

    

GRILLO E IL MEDIOEVO DELLA RAGIONE LA POLEMICA SULLO lUS SOLi
l'Unità, 30-01-2012
Marco Pacciotti
COORDINATORE FORUM IMMIGRAZIONE PD
Leggendo i giornali o i blog, torna in mente l'espressione «il medioevo della ragione». Ragionamenti tagliati con l'accetta ed espressi con toni urlati. Un sostanziale imbarbarimento delle idee che da tempo colpisce il nostro Paese.
È esattamente questo che ho provato leggendo le recenti dichiarazioni di Grillo sul tema dello Ius Soli. Un medioevo della ragione, con la differenza che in quel período storico ingiustamente mal considerato, i comici che facevano satira svolgevano una funzione importante e costruttiva. Davano voce a chi non ne aveva al cospetto di re e vassalli. Questa era la funzione del giullare, non solo di divertire e schernire, ma di «riferire» la vox populi al sovrano perche ascoltasse quello che i fedeli vassalli temevano di raccontare per un eccesso di fedeltà mista al timore di perdere rendite e favori.
Circa mille anni dopo, un possibile erede di quei giullari viene meno al suo ruolo. Anziche portare la voce dei più deboli ed esposti nei luoghi dei potere, si infila in una dietro logica e complottarda teoria, nella quale il tema dello Ius Soli si trasforma in un arma di «distrazione di massa» contro i Cittadini. Commettendo un macroscopico errore e lasciando intendere velatamente due cose gravi. L'errore macroscopico è che nel tentativo di attaccare il sistema, finisce per colpire chi dal sistema è schiacciato, aizzando un certo populismo xenofobo sempre presente nella pancia della gente, specie in periodi di crisi economica. A questo si aggiunge l'idea odiosa che i sostenitori di tale proposta siano sostanzialmente agenti del nemico (quale?) sotto mentite spoglie o dei cretini nella migliore delle ipotesi. Come se non bastasse, si insinua l'idea che ci siano Cittadini da difendere da altri che potrebbero indebitamente acquisire quel loro stesso status civico. Esattamente quello che la Campagna L'Italia sono anch'io vuole confutare, affermando invece l'idea che quel milione circa di ragazzi e ragazze nati o cresciuti in Italia sono nostri connazionali e quindi possano godere degli stessi diritti dei loro compagni di scuola e di gioco.
Idee, quelle di Grillo, che mai vengono messe a disposizione per un confronto sereno e di merito, ma spiattellate, gridate in rete su uno dei blog piü frequentati in Italia.
Questa prassi del comico-attore e politico fa rabbrividire. Mai un tema è lanciato per confrontarsi. L'arena che sia un teatro, una piazza o un social network è sempre priva di contraddittorio diretto. Un metodo che ricorda molto il berluscon-pensiero o quei movimenti e figure politiche del recente passato che hanno ben poco a che fare con il concetto di democrazia. Parola spesso abusata, specie da chi finisce con perderne di vista due prerogative essenziali, il rispetto verso gli interlocutori e il diritto di replica a parità di condizioni.
Il danno è fatto. Una battaglia di civiltà come quella per lo Ius Soli ricondotta nel Calderone della politica con la p minuscola. Il ribadire ossessivo che tutti sono uguali, sempre e comunque. Sostenere contro l'evidenza che dietro a qualsiasi iniziativa da parte della politica ci sia la volontà di raggirare le persone. Purtroppo quel che resta in questa equazione è il niente, l'antipolitica.
Di questo stiamo parlando quindi, non di un moderno giullare fustigatore dei potenti, ma di un politico che cerca consenso blandendo le paure e gli stereotipi sempre presenti nella pancia delle persone. Un populismo becero e qualunquista, che ha poco a che vedere con la democrazia e la sinistra.*:*



Gli immigrati e l'Italia I diritti spariscono nel lavoro sommerso
Continuano a crescere i flussi migratori e il bisogno delle imprese di mano d'opera. Ma l'occupazione «in nero» resta l'ostacolo principale a una vera integrazione. In questa partita diventa decisivo il ruolo degli enti locali
l'Unità, 30-01-2012  
CARLO BUTTARONI     PRESIDENTE Dl TECNÈ
Le attuali migrazioni sono fenomeni complessi, destinati a trasformare profondamente l’assetto dei sistemi sociali contemporanei. Di fronte a questa pressione l’opinione pubblica oscilla tra eccessi di buonismo e atteggiamenti di esasperata intolleranza, mentre ancora manca un quadro esauriente del fenomeno che consenta di progettare politiche adeguate. Basti pensare che solo dal 2005 i dati ISTAT sulle forze lavoro contengono anche stime sulla partecipazione di manodopera straniera, colmando così una grave lacuna informativa in un contesto di crescente rilevanza del fenomeno.
Eppure il rapporto tra immigrazione e lavoro è quello che più rappresenta il fenomeno migratorio, coinvolgendo la natura stessa dei diritti civili. Un tema che riguarda, nella stessa misura, migranti e ospitanti. Ed è proprio su questi aspetti che si misura l’evidente contraddizione tra le buone intenzioni legislative, affidate a corposi apparati normativi, e la realtà del mercato del lavoro sommerso, alimentato, in misura crescente, dai flussi d’immigrazione clandestina.
Si tratta soltanto d’inefficienza dei sistemi di controllo e di repressione o, invece, è un fenomeno che ha a che fare con caratteristiche più strutturali?
Per rispondere a questa domanda basti pensare che i flussi migratori, in questi anni, si sono mantenuti costanti anche con tassi di disoccupazione elevati, a dimostrazione che le spiegazioni economiche del fenomeno, legate alla struttura duale e segmentata dei nuovi mercati del lavoro, mantengono tutta la loro validità. Il permanere di elevati tassi di disoccupazione, infatti, non ha fatto diminuire la necessità economica di convivere con l’immigrazione, facendo registrare una peculiare relazione tra economia post-fordista e ampliamento dell’economia sommersa e informale. Il mondo del lavoro irregolare è l’ambito all’interno del quale gli immigrati offrono una risposta – paradossalmente efficace – alle trasformazioni e alla deregolamentazione dei sistemi produttivi.
La presenza di una quota di economia irregolare si sta affermando come una caratteristica strutturale dei sistemi economici contemporanei, e il lavoro immigrato sembra fatto apposta per rispondere efficacemente a questo tipo di domanda.
Basti pensare all’esigenza, quasi fisiologica, di ricorrere al lavoro nero per abbassare i costi di produzione da parte delle imprese che operano in regime di subappalto, di fronte a sistemi di aggiudicazioni basati su forti rincorse al ribasso; oppure allo sviluppo di alcuni nuovi servizi come l’igiene, la cura degli anziani, l’assistenza ai bambini che hanno fatto crescere una domanda di lavoro ad alta flessibilità e a basso costo; o alla riduzione degli spazi economici per settori ad alta intensità lavorativa e a basso contenuto tecnologico, come le micro-imprese edili, l’agricoltura e il piccolo commercio al dettaglio.
Fattori che hanno fatto crescere la domanda di manodopera non specializzata e con margini di flessibilità elevata anche dal punto di vista reddituale, che il mercato del lavoro ufficiale non è in grado di offrire. A questo si aggiunga la particolarità del mercato del lavoro che riguarda il segmento dei giovani, il cui tasso di occupazione è più basso rispetto alla media europea, e tende ulteriormente a diminuire proporzionalmente alla crescita del livello di scolarizzazione. Una dinamica che si alimenta anche della tendenza a rifiutare lavori scarsamente retribuiti e lontani dal percorso formativo.
E questo spiega, tra l’altro, il carattere prevalentemente non concorrenziale dell’offerta di lavoro immigrata.
L’alta incidenza degli oneri fiscali e contributivi che grava sulla retribuzione ha fatto il resto, alimentando la violazione degli standard retributivi minimi previsti dai contratti collettivi nazionali. E gli immigrati, irregolari e clandestini, finiscono per essere soggetti particolarmente esposti a simili violazioni, in ragione di convenienze relative, in quanto, proprio per evitare l’espulsione, non si rivolgono alle autorità amministrative per ispezioni, o alle autorità giurisdizionali per il riconoscimento dei propri diritti.
Tanto che per le imprese è più conveniente far lavorare immigrati clandestini anziché assumere irregolarmente immigrati in possesso di regolare permesso di soggiorno, che potrebbero avviare contenziosi e rivendicazioni rivolgendosi alle autorità.
L’idea che “sommerso è utile se non proprio bello” non è ormai sussurrato tra le labbra, ma esposto quasi come una necessità.
E’ evidente l’effetto di attrazione che finisce per produrre questa situazione per l’immigrazione. Molti immigrati – non solo disperati ma spesso alla ricerca di un miglioramento della propria condizione – tendono a considerare l’Italia un luogo dove è facile entrare, ancor più facile rimanere a causa della scarsa effettività dei controlli e, magari, trovare un lavoro ben retribuito rispetto al Paese d’origine, e dove l’impatto con fenomeni di intolleranza razzista e xenofobica è ancora relativamente basso, sebbene crescente.
Condizioni strutturali che non potevano che diventare il brodo di coltura dell’incontro tra immigrazione irregolare ed economia sommersa.
Tutto ciò apre una prospettiva di ben altra portata che potrebbe assumere, come suo specifico oggetto, la relazione tra diritto e uguaglianza. Uno specchio su cui si riflettono gli stadi di evoluzione del diritto, facendo diventare il fenomeno immigratorio, insieme alla prospettiva federalistica e alla giustizia intergenerazionale, uno degli elementi di problematicità costituzionale con cui debbono confrontarsi principi, valori e politiche. Il banco di prova è indubbiamente quello del lavoro. L’ampio bacino del sommerso e senza regole, alimentato dal fenomeno immigratorio, costituisce una sfida non soltanto all’uguaglianza nel diritto del lavoro, ma alla stessa effettività dei diritti e dei suoi apparati di regolazione. La posta in gioco, prima ancora che l’alternativa tra parità e adattamento delle regole, è la dimensione di effettività dei diritti che nessun apparato di controllo e di repressione, né una legislazione di sostegno ispirata alla moral suasion, sono probabilmente in grado di garantire.
Si sente la necessità di un approccio nuovo che arrivi a concepire la cittadinanza come un diritto costruito su un fascio di relazioni mirate all’integrazione sostanziale, il cui principale medium è il lavoro.
Proprio la complessità funzionale del rapporto tra immigrazione e mercato del lavoro potrebbe consentire, una diversa sequenza che metta in collegamento il riconoscimento dell’identità attraverso l’inclusione e il riconoscimento dei diritti, l’acquisizione della cittadinanza sociale e l’integrazione sostanziale. Una prospettiva in cui diversità e uguaglianza, non solo non sono contraddittorie ma inseparabili.
Se il fenomeno dell’immigrazione è strutturale, bisogna allora rifiutare l’emergenza come diaframma ideologico di approccio e occorre operare interventi strutturali in grado di rispondere ai problemi inediti che questa sfida impone. L’affermazione dell’eguaglianza dei diritti costituisce la base teorica per affermare una civiltà che si non si arresti ai confini dell’immigrazione ma la includa e la riconosca nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. Ma una volta affermati i diritti, il problema è attivare percorsi per renderli concreti.
Un passaggio delicato e complesso che richiede una nuova alfabetizzazione culturale e politica. In questo quadro un ruolo fondamentale può essere svolto dalle Autonomie locali. Non solo perché le politiche dell’integrazione possono vivere soltanto se diventano pratiche attive, ma perché è proprio dal territorio che possono prendere vita politiche orientate a costruire le nuove città dei diritti.



Permesso di soggiorno: da oggi scatta l’obbligo di pagamento del contributo da 80 a 200 euro.
Il nuovo contributo deve essere versato sul cc postale 67422402 in unica soluzione insieme all’importo per il permesso di soggiorno elettronico. Poste italiane non accetterà i kit sprovvisti del versamento ed il procedimento di rilascio o rinnovo sarà sospeso nel caso di importo inferiore.
Immigrazione Oggi, 30-01-2012
Svanita, almeno per il momento, l’ipotesi di una revisione del decreto che ha imposto il contributo sulle pratiche di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, a partire da oggi, 30 gennaio, i cittadini stranieri dovranno aggiungere il nuovo balzello (80,00/100,00/200,00 a seconda della tipologia della richiesta) al contributo già esistente di € 27,50, versando la somma in unica soluzione sul cc postale 67422402.
Chi e quanto dovrà pagare:
a) € 107,50 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno;
b) € 127,50 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni;
c) € 227,50 per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo e per i richiedenti il permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. a) del testo unico e cioè i dirigenti ed il personale altamente specializzato delle multinazionali.
Sono esclusi dal pagamento del nuovo contributo i minori di 18 anni; i cittadini stranieri che entrano nel territorio nazionale per ricevere cure mediche, nonché i loro accompagnatori; i cittadini stranieri richiedenti il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari; i cittadini stranieri richiedenti l’aggiornamento o la conversione del permesso di soggiorno in corso di validità. Le questure, come ha precisato il Ministero dell’interno con circolare della scorsa settimana, dovranno verificare la correttezza dell’importo versato e, qualora sia inferiore, dovranno sospendere la trattazione della pratica ed informare lo straniero circa le modalità da seguire per il versamento e l’importo della somma ancora dovuta. Se l’importo versato sarà superiore, il sistema informatico Stranieri web predisporrà una nota per informare l’interessato che potrà chiedere il rimborso per la parte eccedente.
Per Poste italiane, l’Ufficio comunicazione ha confermato alla redazione di ImmigrazioneOggi che non saranno accettati i kit sprovvisti del bollettino comprensivo di entrambi i contributi.



Governo ritiri la tassa sugli immigrati
l'Unità, 29-01-2012
Pietro Spataro
«Una cosa che non ho capito bene è cosa sono io però. Per esempio io ho i miei genitori che sono nati in Tunisia e io sono nato però in Italia: allora quale è la mia patria?». È la domanda che angoscia Daniel, un bambino di 11 anni che va a scuola a Reggio Emilia e la cui testimonianza è stata raccolta dal maestro-scrittore Giuseppe Caliceti in un bellissimo libro («Italiani, per esempio») che dovrebbe essere letto da tutti coloro, i parlamentari innanzitutto, che in questi giorni stanno contrastando la sacrosanta proposta di concedere la cittadinanza italiana ai figli di immigrati che sono nati in Italia. È una semplice idea di buon senso, una scelta di civiltà. Eppure il Pdl, oltre ovviamente la Lega, si stanno scatenando. Alcuni addirittura minacciano di far cadere il governo nel caso una legge del genere venga approvata. A loro si è unito un comico populista che ha fatto infuriare il web in questi giorni.
La battaglia per riconoscere questo legittimo diritto però non si ferma con i ricatti. Lanciata da una serie di associazioni guidate dal presidente dell’Anci Graziano Delrio con lo slogan «l’Italia sono anch’io» è fortemente voluta dal Pd (Bersani l’ha ribadito con decisione in un suo intervento alla Camera un paio di mesi fa). La sollecitazione è stata raccolta anche dal presidente Napolitano: negare la cittadinanza a questi bambini è «un’autentica follia, un’assurdità». Fini è d’accordo con lui. C’è insomma una parte consistente del mondo politico, istituzionale e civile che vuole cambiare.
In giro per l’Italia ci sono un milione di bambini in questa assurda condizione di minorità civile. Vanno a scuola insieme ai nostri figli, giocano con loro, guardano la nostra tv, frequentano i nostri cinema, parlano la nostra stessa lingua e i nostri stessi dialetti. Si sentono e sono a tutti gli effetti figli d’Italia come tutti noi. Ma la legislazione oggi in vigore prevede che possano diventare davvero italiani solo se prima i loro genitori diventano cittadini italiani (e i tempi come sono lunghissimi) oppure quando avranno compiuto diciotto anni. Bisogna usare altri argomenti per far capire che c’è qualcosa di vergognoso in questa trafila burocratica che esclude e discrimina?
È per questa ragione che la decisione del governo Monti di confermare la tassa per il permesso di soggiorno, voluta da Bossi e Tremonti, ci è parsa sbagliata. Nel governo, oltre a personalità con una cultura liberale dell’integrazione e dei diritti civili, ci sono ministri che hanno anche una sensibilità particolare verso questo tema. È il caso di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio che ha ripetuto più volte che sull’immigrazione occorre uscire dalla «fase emergenziale».
Però, oggi in Italia senza cittadinanza ci vuole il permesso di soggiorno. E il permesso di soggiorno (anche per i bambini) da domani costerà molto caro: da 80 a 200 euro in più rispetto ai 57 che oggi si spendono per bolli e imposte. Dice il governo: non c’era copertura finanziaria per eliminare quella norma. La copertura finanziaria andava trovata. Anzi, diciamo che va trovata: perché ci auguriamo che Monti e i suoi ministri sentano il dovere di riparare a questo doppio torto. Così come speriamo che tutti i partiti in Parlamento abbiano la necessaria forza morale per riconoscere il legittimo diritto di questi bambini italiani. Noi non ci fermiamo: l’Unità sosterrà ogni iniziativa utile a fare approvare rapidamente la legge.
I nostri lettori possono darci una mano mandando la loro adesione e i loro commenti sul nostro sito (www.unita.it) o su twitter usando l’hashtag #figliditalia.
   


Certificati e dichiarazioni sostitutive: de-certificazione anche per gli stranieri, ma con molte riserve.
In vigore dal 1 gennaio 2012, le disposizioni che vietano alla pubblica amministrazione di chiedere certificati ai cittadini provocano serie difficoltà a questure e prefetture per le pratiche di permesso di soggiorno e di cittadinanza. Il Ministero dell’interno interviene con una circolare per non bloccare le procedure.
Immigrazione Oggi, 30-01-2012
Come stabilisce l’art. 15 della legge 12 novembre 2011, n. 183, dal 1 gennaio 2012 i certificati hanno validità solo nei rapporti tra i privati e le amministrazioni non possono più chiedere ai cittadini certificati o informazioni già in possesso di altre pubbliche amministrazioni.
Obiettivo della legge è la totale soppressione dei certificati, fase conclusiva del processo di semplificazione avviato dal d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” che già prevedeva il ricorso alle dichiarazioni sostitutive ed il divieto per le amministrazioni di richiedere atti o certificati contenenti informazioni già in possesso della PA. Le novità della legge n. 183 sono essenzialmente tre:
1) le certificazioni rilasciate dalle PA in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati, mentre nei rapporti con altri gli organi della Pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi (esempio Poste italiane), tali certificati sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dell’atto di notorietà;
2) dal 1° gennaio 2012 le amministrazioni e i gestori di pubblici servizi non possono più accettarli né richiederli: la richiesta e l’accettazione dei certificati costituiscono violazione dei doveri d’ufficio;
3) i certificati devono riportare, a pena di nullità, la frase: "il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi" ed il rilascio di certificati privi della dicitura costituisce violazione dei doveri d’ufficio.
La de-certificazione riguarda anche i cittadini stranieri non appartenenti ai Paesi dell’Unione europea?
In parte sì, purché gli stati, fatti e qualità personali siano certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani. Quindi, ad esempio, residenza, stato di famiglia, matrimonio, titolo di studio di un cittadino straniero che risiede, si è spostato o laureato in Italia, è autocertificabile in quanto i fatti possono essere attestati da parte di una amministrazione italiana. Diversamente, per rimanere nell’esempio, nel caso di nascita, matrimonio, laurea all’estero, tali stati devono essere comprovati con certificati esteri tradotti e legalizzati.
Questo in linea di massima, poiché quando questi o altri simili certificati devono essere prodotti dal cittadino straniero ad una questura per le pratiche del soggiorno la conclusione potrebbe essere differente.
Sembrerebbe infatti – il condizionale è d’obbligo data la complessità e la delicatezza della questione (la legge ora vieta al pubblico ufficiale di accettare i certificati) – che la nuova normativa non debba applicarsi per effetto di una deroga contenuta nel regolamento di attuazione del testo unico immigrazione secondo la quale (art. 2) “i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive, limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani, “fatte salve le disposizioni del testo unico o del presente regolamento che prevedono l’esibizione o la produzione di specifici documenti”. Poiché la stessa eccezione è prevista anche dal regolamento n. 445 del 2000, nella parte non modificata dalla legge del 2011, ecco che in questi casi quel divieto di richiedere o accettare i certificati sembrerebbe non applicarsi.
Su questa linea si è orientato il Dipartimento della PS, non solo per garantire una corretta applicazione della norma ma anche per evitare ulteriori appesantimenti alle procedure ed il rischio concreto di prolungare a dismisura i tempi di rilascio delle autorizzazioni. Il Viminale, con una circolare della scorsa settimana, ha perciò invitato le questure ad esigere le certificazioni nei casi in cui “l’acquisizione sia desumibile dalle norme del testo unico o del regolamento”, come ad esempio nel caso del certificato del casellario giudiziale e del certificato delle iscrizioni relative ai procedimenti penali in corso richiesto dall’art. 16 del regolamento ai fini della domanda di rilascio del permesso di soggiorno CE. Per il Ministero resterebbe immutato l’obbligo di consegna del certificato anche per attestare: la conformità ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativo dell'alloggio; l'iscrizione nelle liste o nell’elenco anagrafico finalizzato al collocamento del lavoratore licenziato, dimesso o invalido per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione; l’iscrizione ovvero la frequenza ad un corso di studio per il rinnovo del permesso di soggiorno per studio.
Invece ancora nessuna indicazione dal Viminale per la procedura di richiesta della cittadinanza, la cui regolamentazione non consente di desumere deroghe al divieto di esigere certificati. Di conseguenza le prefetture non possono più chiedere ed accettare i certificati di matrimonio, di cittadinanza italiana e di stato in vita del coniuge, lo storico di residenza, lo stato di famiglia, l’atto integrale di nascita dei figli nati dal matrimonio (se nati in Italia), eventuale sentenza di adozione e simili. In tutti questi casi il cittadino straniero deve produrre l’autocertificazione e la prefettura potrà eseguire controlli sulla veridicità delle dichiarazioni presso l’amministrazione competente.
(R.M.)

   

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