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Decisione n. 2199 del 20 aprile 2006 Consiglio di Stato

Respinta la domanda di permesso di soggiorno per attesa occupazione

     

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da ***** rappresentato e difeso dall’avv. Giuliano Cardellini e Luciana Colantoni ed elettivamente domiciliato presso quest’ultima in Roma, via Taro 37;

contro

Ministero dell’interno in persona del Ministro p.t.- Questore della provincia di Pesaro e Urbino-Prefetto della Provincia di Pesaro e Urbino rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui sono ope legis domiciliati in Roma via dei Portoghesi 12;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche n. 214 del 28 febbraio 2005.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 13 dicembre 2005 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.
Uditi l’avv. dello Stato Russo e l’avv. Cardellini;  
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con la sentenza in epigrafe il Tar delle Marche ha rigettato il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso il decreto 28 maggio 2003 del Questore di Pesaro, che aveva respinto la sua domanda di permesso di soggiorno per attesa occupazione a causa: a) dell’archiviazione della precedente domanda di legalizzazione del rapporto di lavoro intrattenuto con il sig. *****, determinata dal licenziamento per giusta causa del ricorrente stesso; b) del precedente decreto di espulsione a carico del medesimo ricorrente, emanato in quanto responsabile del reato di cui all’art.495 c.p. (dichiarazione di false generalità) e del reato di cui all’art.13, comma XIII, del D.lgs. n.286/1998 (violazione del divieto di rientro nel territorio italiano senza autorizzazione).

Appella l’interessato deducendo i seguenti motivi:

1. Errata motivazione in fatto e in diritto della l.222\2002 del D.lgs 286\98 e mancata osservanza dell’art.22 del d.gls stesso, in riferimento a quanto indicato al punto 3) della sentenza impugnata sul tema dell’archiviazione dell’istanza di legalizzazione, disposta illegittimamente da parte della Questura, sulla base di un presupposto ininfluente, quale il semplice momentaneo cambio di datore di lavoro, che non costituisce motivo per l’archiviazione dell’istanza di legalizzazione ai sensi della l.222/2002 e del D.lgs.286/98. L’archiviazione non sarebbe motivo sufficiente al rigetto dell’istanza di legalizzazione, poiché secondo l’art.22 del D.lgs 286/98 “la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario del permesso di soggiorno e/o per revocarlo. L’archiviazione, poi, è stata disposta in data 4 aprile 2003, nonostante fosse stato comunicato il cambio di datore di lavoro in data 4 aprile 2003, “con presenza di pieno termine per gli adempimenti di cui all’art.1, c.5, della l.222/2002. 

2. Errata motivazione in fatto e in diritto ed errata interpretazione sia del D.lgs 286/98 che della legge 222/2002, in riferimento a quanto indicato al punto 3 della sentenza, perché se il permesso di soggiorno per attesa occupazione fosse ascrivibile a permesso di soggiorno da rilasciarsi ad uno straniero, momentaneamente senza contratto di lavoro, solo successivamente all’aver lo stesso ottenuto un precedente permesso di soggiorno, da rinnovarsi, il provvedimento di rigetto del permesso di soggiorno per attesa occupazione sarebbe ugualmente errato ed illegittimo, in quanto la competente autorità avrebbe dovuto notificare al ricorrente il provvedimento in merito all’istanza di legalizzazione “e non provvedere in tale senso”

3. Errata motivazione in fatto e in diritto ed errata applicazione del D.lgs 286/98, con particolare riguardo agli artt.4.  5. 13, e della l.222/2002 con particolare riguardo all’art.1, c.8, sul mancato accertamento dei presupposti di pericolosità sociale, in riferimento alla dichiarata, in sentenza punto 3, rilevanza del decreto di espulsione della Prefettura di Brindisi dell’11.11.2001, quale motivo in base a cui mancherebbero in capo al ricorrente i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nelo Stato italiano, stante il disposto dell’art.4, c.6 del D.lgs 286/98, secondo cui l’ingresso nel territorio dello Stato è vietato agli stranieri espulsi quando non sia trascorso il periodo stabilito per il reingresso e mancherebbero pertanto i requisiti per il rilascio di permesso di soggiorno. Il decreto di espulsione sarebbe a sua volta illegittimo perché emesso nei confronti di omonimo del ricorrente ma con data di nascita differente e non è stato mai comunicato al ricorrente stesso. Inoltre, viene negata ogni responsabilità per i reati ascritti nel decreto di espulsione e contestata la sufficienza di tali reati a far decretare la stessa espulsione.

4. Errata motivazione in fatto e in diritto, ed errata applicazione del D.lgs 286/98 e della l.222/2002 in riferimento alla considerazione espressa in sentenza secondo cui l’impossibilità del rilascio del permesso di soggiorno in presenza di intervenuta espulsione non è affatto subordinata dagli artt. 4 e 5  del D.lgs 286/98 all’eventuale pericolosità sociale dello straniero o alla presenza di particolari precedenti penali a suo carico, laddove la normativa richiamata richiede nel caso la necessità di valutare la pericolosità sociale dello straniero per la sicurezza dello Stato, e risultando perciò il provvedimento impugnato privo di sufficiente motivazione in ordine alla stessa pericolosità,. Poi, nonostante la presenza di una misura espulsiva, in seguito alla presentazione dell’istanza di legalizzazione, l’autorità deve eseguire  controlli sulla pericolosità. E verificare se sussistano in capo all’istante i requisiti necessari al rilascio del permesso di soggiorno, e nel caso sussistano, per volontà espressa del legislatore con l a l.222/2002, la misura espulsiva “per corretto accoglimento dell’istanza di legalizzazione , dovrebbe essere revocata con effetto ex tunc”.

5. Errata motivazione in fatto e in diritto ed errata applicazione del D.lgs 286/98 e della legge 222/2002, dell’art. 3 l.n.241/90 e dell’art.96 dell’accordo di Schengen e dell’art. 6 della Direttiva 2001/40/CE del 28 maggio 2001, in riferimento alla rilevanza degli accertamenti fotodattiloscopici.
Doveva valutarsi la presenza dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, valutando la pericolosità sociale, mentre sebbene la legislazione renda utilizzabili i rilievi fotodattiloscopici in tema di rilascio del permesso di soggiorno, non dispone che tali rilievi siano l’unico parametro su cui basare la valutazione globale di un soggetto. La rilevanza attribuita a tali rilievi contrasta con l’art.3 l.n.241/90, che obbliga l’autorità competente a indicare i presupposti di fatto e di diritto della propria decisione, effettuando opportuno e specifico studio delle qualità dell’istante, sia in relazione al suo status di persona, sia in relazione alla sua pericolosità sociale, anche in relazione alla giurisprudenza formatasi in tema di motivazione del diniego di regolarizzazione fondato esclusivamente sul richiamo di una segnalazione ai sensi dell’accordo di Schengen.

6. Errata applicazione in fatto e in diritto. Errata applicazione del D.lgs 286/98 e della l.222/2002, l.241/90 e artt. 2, 3, 4, 13, 16,, 24, 27, 29, 97 Cost., in riferimento al punto 3 della sentenza in tema di immigrazione e connesso rilascio di permesso di soggiorno, ed in riferimento ai diritti sulla dignità e sulla libertà della persona umana, con espresso richiamo alla persona del ricorrente.

7. Errata motivazione in fatto e in diritto, in riferimento ai punti 3 e 4 della sentenza, per errata applicazione della l.222/2002 e del D.lgs 286/98 e alle qualità personali del ricorrente e alle sue condizioni sociali in Italia. E’ palese la mancanza della valutazione globale attinente al possesso dei requisiti richiesti  ex D.lgs 286/98 per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, e ciò sia in riferimento all’archiviazione dell’istanza di legalizzazione, sia al diniego del permesso di soggiorno e anche in riferimento al decreto di espulsione della Prefettura di Brindisi, configurante espressa violazione e mancata applicazione di norme di legge e di norme costituzionali, oltre che errata motivazione in fatto sulle effettive condizioni sociali del ricorrente, che risiede in Italia nell’abitazione di proprietà della sorella e attualmente lavora presso una ditta in Coriano (RN) in qualità di ferraiolo.
Si è costituita l’Amministrazione dell’interno deducendo l’irricevibilità dell’impugnazione del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno perché tardiva rispetto alla sua notifica, e l’infondatezza dell’appello nel merito.

DIRITTO

1. Va anzitutto precisato che il ricorso di primo grado, per quanto risulta dalla indicazione della sua intestazione e dalle univoche indicazioni contenute nella sua parte finale, appare unicamente diretto ad impugnare il provvedimento del 28 maggio 2003 del Questore di Pesaro (concernente il diniego di permesso di soggiorno “per attesa occupazione”), di cui si chiede, con circostanziata identificazione, sia la sospensione in via cautelare sia la dichiarazione di illegittimità con il suo annullamento (estesi al provvedimento di espulsione che si configurerebbe come consequenziale al diniego del permesso di soggiorno, cfr; ultimo cpv dell’ultima pagina del ricorso al Tar).

2. Dal tenore dei motivi di ricorso, peraltro, parrebbe che sia posto in contestazione anche il precedente decreto di “ archiviazione” dell’istanza di legalizzazione del lavoro irregolare proposta a suo tempo dall’allora datore di lavoro del ricorrente, archiviazione disposta con provvedimento dell’8 aprile 2004. Il ricorso, nell’intestazione indicante il proprio oggetto, sembra confondere i due atti e l’equivoco si riscontra anche nel contenuto dei motivi di ricorso proposti in primo grado, dedotti con ulteriori ampliamenti nell’atto di appello.

3. Va aggiunto che dall’atto introduttivo, e successivamente nell’atto di appello (con ampliamenti svolti per la prima volta in tale sede), risulta pure una serie di contestazioni confusamente dirette avverso il decreto di espulsione adottato dalla Prefettura di Brindisi in data 11 novembre 2001, peraltro già eseguito nei confronti del ricorrente stesso.

4. Va al riguardo precisato che, se anche si volesse superare il rilievo dell’inammissibilità complessiva del ricorso stesso per indeterminabilità del suo oggetto, e altresì per la connessa incomprensibilità delle stesse censure dedotte, promiscuamente dirette verso l’uno o l’altro degli atti suindicati con un andamento tortuoso che rende difficilmente intelleggibile il senso delle deduzioni svolte, si dovrebbero comunque compiere i seguenti rilievi, operabili d’ufficio anche in grado di appello, stante la mancata pronunzia sul punto del giudice di prime cure:

a) l’impugnazione avverso il provvedimento di archiviazione del procedimento per la legalizzazione del rapporto di lavoro irregolare è comunque tardiva, perché della relativa nota 8 aprile 2003, il ricorrente  ha mostrato di avere piena conoscenza, essendosi recato in data 29 aprile 2003 presso gli Uffici della Questura stessa proprio per presentare la richiesta di permesso di soggiorno in attesa di occupazione il cui rilascio era stato prospettato come possibile dalla Questura in dipendenza della suddetta archiviazione. L’impugnazione contenuta nel ricorso introduttivo (ove la si volesse riconoscere svolta come tale) risulta così irricevibile essendo stato notificato detto ricorso solo in data 6 febbraio 2004;

b) l’impugnazione del decreto di espulsione 11 novembre 2001, prima ancora che tardiva, risultando la conoscenza  di tale decreto evidentemente dalla sua stessa avvenuta esecuzione attestata dagli Uffici della Questura, è inammissibile perché va comunque proposta davanti al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione, ai sensi dell’art.13, comma 8, del D.lgs 25 luglio 1998, n.286;

c) l’impugnazione del decreto in data 28 maggio 2003, sopracitato come oggetto del “petitum” formale e sostanziale svolto nel ricorso introduttivo,  adottato dal Questore di Pesaro per respingere la suddetta richiesta di permesso di soggiorno “per attesa occupazione” deve ritenersi tardiva, secondo quanto ha eccepito la difesa erariale in entrambi i gradi di giudizio (eccezione su cui il Tar non ha ritenuto di pronunciarsi).

Ed infatti, detto diniego è stato notificato a mani del ricorrente (che, come attesta la relata di notifica in atti, ha personalmente sottoscritto per ricezione) in data 31 ottobre 2003, a fronte di un ricorso appunto notificato il 6 febbraio 2004. Tale provvedimento non risulta tradotto nella lingua madre del ricorrente o in altra a lui nota, ma è stato tradotto in inglese, francese e spagnolo, come si evince dalla riproduzione dei suoi estremi identificativi e delle sue determinazioni essenziali con l’indicazione delle norma applicate, in dette lingue, all’interno della stesso verbale di notifica, mentre una copia del provvedimento è stata rilasciata in sede di notifica e risulta in atti la copia in inglese del provvedimento stesso. Tale formalità, e la connessa notifica nelle suddette modalità, devono considerarsi idonee a far decorrere il termine per impugnare, realizzandosi la conoscenza dell’atto nei suoi estremi identificativi e della sua lesività, posto che la Questura ha specificamente attestato che si è proceduto nella traduzione nelle lingue suddette poiché “non è stato possibile reperire alcun interprete per lingua madre dell’interessato” (ma deve ritenersi la sufficienza della traduzione anche in una sola di esse, così correttamente intendendo il disposto normativo dell’art.13, comma 7, del D.lgs. n.286\1998, che recita:“…ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”, riferendosi alla traduzione nelle dette lingue in senso alternativo e non necessariamente cumulativo, secondo un’interpretazione che consenta di non rendere sommamente difficile l’esecuzione delle comunicazioni e renda sufficientemente certo lo stabilizzarsi di rapporti giuridici di rilievo pubblicistico). Dunque, a fronte di una motivazione sufficiente e specifica, attinente alla mancanza della traduzione nella lingua madre ed essendo avvenuta una traduzione nelle altre lingue previste dalla legge, deve dirsi realizzata la conoscenza con riferimento alla predetta data di notifica, perché diversamente opinando si rimetterebbe all’arbitrio del destinatario la proposizione dell’impugnazione, pur quando si sia avuto l’espletamento delle esatte formalità previste dalla legge per tutelare l’interesse del destinatario alla piena consapevolezza del provvedimento sfavorevole adottato nei suoi confronti.
Pertanto, per quanto detto sub a) e b), sono inammissibili le censure svolte anche in grado di appello avverso gli atti ivi indicati, la cui impugnazione è, rispettivamente, irricevibile e inammissibile, e ciò anche per quanto riguarda l’illegittimità degli stessi che si rifletterebbe in via derivata sull’atto impugnato sub c).
Quest’ultimo, poi, è a sua volta ormai inoppugnabile nei termini sopra precisati, per quanto in ordine all’infondatezza della sua impugnazione può, “a fortiori”, concordarsi con quanto ritenuto dal giudice  di primo grado:
- va quindi ribadito che il permesso di soggiorno in attesa di occupazione è cosa diversa dal permesso di soggiorno rilasciato dopo la legalizzazione del rapporto di lavoro irregolare e rientra nello stesso regime dell’ordinario permesso di soggiorno ex D.lgs 286/1998;
- esso, pertanto, non può essere rilasciato quando mancano i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nello Stato italiano, come dispone l’art.5, comma 5, del D.lgs 286/1998, tenuto conto che, ai sensi del precedente art.4, comma 6, s.l., l’ingresso nel territorio dello Stato è vietato agli stranieri espulsi, “salvo che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso”, condizioni a cui non ha ottemperato il ricorrente;
- l’impossibilità di rilascio in presenza di intervenuta espulsione differenzia la disciplina del caso in esame dall’ipotesi di regolarizzazione del lavoro irregolare, secondo quanto previsto dall’art.1, comma 8 della legge n. 222/2002, disciplina in cui non rientra più la posizione del ricorrente, a seguito dell’ormai inoppugnabile definizione in senso negativo della relativa istanza proposta dal suo ex datore di lavoro. Il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, quindi, non è subordinato, dagli artt. 4 e 5 del D.lgs.286/1998, alla valutazione della pericolosità dello straniero o alla presenza di particolari precedenti penali a suo carico, né è prevista deroga se nel frattempo si è inserito sotto il profilo sociale, rendendosi così non pertinenti le censure svolte sotto questi profili nel ricorso e in appello, basate sull’erroneo presupposto che la disciplina applicabile permanga quella posta dalla legge 222\2002 (anche se è peraltro da notare che la regolarizzazione, in base all’art.1, comma 8, della l.222\2002, non può essere concessa se il provvedimento di espulsione non è revocabile e, quindi, come precisa la stessa norma, allorchè il destinatario, come il ricorrente, abbia lasciato il territorio nazionale  e si trovi nelle condizioni di cui all’art.13, comma 13, del D.lgs. 286/98, cioè non sia rientrato nel territorio dello Stato in base a speciale autorizzazione del Ministro dell’interno, dal che si desume che il provvedimento espulsivo, non revocabile, era ostativo pure alla regolarizzazione, al di là della sua archiviazione disposta a seguito di licenziamento);
- poiché a seguito dei rilievi fotodattiloscopici il ricorrente risultava, sia pure sotto false generalità (in relazione alla data di nascita, 22.2.1982 anziché 22.3.1982) già destinatario del provvedimento di espulsione suddetto, in quanto “clandestino”, il richiesto permesso è stato correttamente negato dalla Questura di Pesaro, senza che, appunto si dovesse procedere ad ulteriori indagini sulla condotta tenuta nel periodo di permanenza nel territorio dello Stato e sulla sua situazione lavorativa, stante il regime ordinario di rilascio del permesso di soggiorno a cui era sottoposto il ricorrente;
- l’accertamento fotodattiloscopico, espressamente previsto dall’art.5, comma 2 bis, del D.lgs 286\1998 ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, è legislativamente idoneo e sufficiente all’identificazione personale del richiedente, anche e specialmente in relazione a precedenti atti e rapporti intrattenuti con le Autorità preposte all’immigrazione, senza che il relativo esito possa essere posto in dubbio in mancanza di specifica querela di falso, e senza che tale metodologia risulti irragionevole e comprensiva dei diritti costituzionalmente garantiti, possedendo una consolidata affidabilità scientifica e apparendo l’unico mezzo proporzionato e ragionevole disponibile per l’identificazione personale in condizioni peculiari ove rileva la tutela della sicurezza pubblica.
In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado va annullata, dovendo ritenersi che il ricorso introduttivo è in parte irricevibile e in parte inammissibile.
La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara in parte irricevibile e in parte inammissibile il ricorso in primo grado.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 13.12.2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..20/04/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA

 

Venerdì, 30 Dicembre 2011

 
 
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