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Decisione n. 2543 del 24 aprile 2009 Consiglio di Stato

Annullamento del decreto prefettizio che aveva respinto l’istanza di legalizzazione ex lege n.122/2002

     

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 7905/2004, proposto da Sellami Tahar rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto Malesani e Benito Panariti ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Celimontana n. 38 presso il secondo;

contro

Ministero dell’Interno- Prefettura di Verona in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto, Sez.III, n.387 del 24 febbraio 2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2009 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo;

Udito l’Avv. dello Stato Maddalo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il Tar del Veneto ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante indicato in epigrafe per l’annullamento del decreto prefettizio dell’8 settembre 2003 che aveva respinto l’istanza di legalizzazione ex lege n.122/2002 per assenza del nulla osta della Questura, essendo stato il lavoratore extracomunitario istante condannato con sentenza di patteggiamento in assenza di provvedimento di riabilitazione (pur richiesto precedentemente alla domanda di legalizzazione).

Appella deducendo i seguenti motivi:
Si contesta la mancata applicazione da parte del Tar dela giurisprudenza dei Tribunali di sorveglianza che ritengono che l’eliminazione di ogni effetto penale di una sentenza di condanna consegua sia alla pronuncia di riabilitazione ai sensi dell’art.178 c.p. sia all’ipotesi equivalente dell’estinzione del reato nel termine di legge – 5 o 2 anni- nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art.445 c.p.p. Il ricorrente doveva essere ammesso alla regolarizzazione proprio perchè l’illecito penale che osterebbe all’accoglimento non avrebbe più valore di precedente ostativo essendosi realizzati gli effetti della riabilitazione, cioè al di là del dato formale dell’adozione del relativo provvedimento, in virtù dei suoi effetti sostanziali prodottisi secondo la richiamata giurisprudenza. Se si seguisse la errata linea della stretta interpretazione dell’art.1, comma 8, lett.c), del D.L. n.195 del 2002 seguita dal Tar, per molti immigrati sarebbe impossibile ottenere la riabilitazione,
pur sussistendone in astratto le condizioni in presenza della posizione dei Tribunali di sorveglianza che dichiarano il non procedersi.
Si è costituita l’Amministrazione  deducendo l’infondatezza dell’appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello deve essere accolto con conseguente riforma, nei termini di cui alla motivazione, dell’impugnata sentenza, avuto riguardo alla giurisprudenza del Consiglio di Stato quale espressa, nella decisione 8 agosto 2008, n.3902, su identico caso.
Deve invero evidenziarsi che nella particolare materia oggetto dell’odierno appello è stato lo stesso legislatore a dare rilievo a particolari fattispecie di sopravvenienze, tra le quali rientra, ad esempio, il  sopravvenuto conseguimento del beneficio della riabilitazione da parte dello straniero precedentemente condannato.
Si è pertanto coerentemente affermato, che “la sentenza di condanna costituisce motivo implicito di diniego dell'autorizzazione alla legalizzazione ex art. 1 d.l. 9 settembre 2002 n. 195, conv. in l. 9 ottobre 2002 n. 222, come si ricava dallo stesso tenore della lett. c) del comma 8, disposizione citata, la quale esclude il divieto di regolarizzazione del rapporto di lavoro dello straniero nell'ipotesi in cui il procedimento penale si sia concluso con una sentenza assolutoria, con la conseguenza che, per converso, il divieto opera nel caso di denuncia seguita da condanna. La stessa norma, peraltro, fa salvi gli effetti della riabilitazione, il che consente agli interessati di rimediare all’ultrattività di sentenze di condanne risalenti nel tempo, aprendo la via, quindi, all'estensione dell'operatività della norma anche nei loro confronti. (Consiglio Stato , sez. VI, 31 maggio 2006, n. 3307 )
Va perciò ribadito l’orientamento secondo il quale alla riabilitazione, ai fini qui in rilievo della regolarizzazione ex d.l. n.195 del 2002, può equipararsi l’automatica estinzione della condanna inflitta in sede di “patteggiamento”, ai sensi dell’art. 445 cpp.
Sul punto v’è piena concordanza di opinioni tra la giurisprudenza penalistica e quella amministrativa, essendosi in passato affermato che “attesa la sostanziale analogia fra gli effetti della riabilitazione, quali previsti dall'art. 178 c.p., e quelli del positivo decorso del termine previsto dall'art. 445 comma 2 c.p.p., con riguardo alla sentenza di applicazione della pena su richiesta, deve escludersi che, una volta realizzatasi detta seconda condizione, vi sia ancora interesse giuridicamente apprezzabile ad ottenere la riabilitazione, tenendo anche presente che, ai sensi dell'art. 689 comma 2 lett. a) n. 5 e lett. b) c.p.p., le sentenze di applicazione della pena su richiesta sono comunque destinate a non comparire sui certificati del casellario rilasciati a richiesta dell'interessato, indipendentemente da qualsivoglia statuizione del giudice al riguardo.” (Cassazione penale , sez. IV, 19 febbraio 1999, n. 534 , ma si veda anche, nel medesimo senso, Sezione Sorveglianza Napoli, 23 gennaio 2003).
Ritiene quindi il Collegio che i primi giudici abbiano omesso di valutare la circostanza (sulla quale è incentrato il ricorso di primo grado) che, risalendo la condanna subita dall’appellante all’anno 1998, si era già verificata, al momento in cui fu resa la appellata sentenza, la causa estintiva in oggetto prevista dall’art. 445 c.p.p., e d’altra parte la stessa istanza di riabilitazione era antecedente al provvedimento impugnato e non avrebbe potuto condurre, come in effetti è avvenuto con decisione del Tribunale di sorveglianza del 26 aprile 2004, che al “non luogo a decidere”.
Al contempo, la modesta gravità del reato commesso; la risalenza nel tempo del crimine; la circostanza che l’appellante non abbia successivamente commesso alcun reato, a testimonianza dell’episodicità di detta illecita condotta; l’inserimento lavorativo dell’appellante in Italia, costituivano elementi il cui esame è stato omesso dall’Amministrazione che avrebbe dovuto invece motivare in ordine alla eventuale ininfluenza dei medesimi in favore dell’appellante.
Tali omissioni viziano l’azione amministrativa ed appare meritevole di censura la decisione appellata laddove non ne ha colto la portata: essa pertanto deve essere annullata, in accoglimento del ricorso in appello e, per l’effetto, deve essere accolto il ricorso di primo grado ed annullato l’impugnato provvedimento.
Le spese di entrambi i gradi del giudizio devono essere compensate, sussistendo giusti motivi ravvisabili nella particolarità degli aspetti fattuali della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe, riformando per l’effetto la sentenza appellata e annullando il provvedimento originariamente impugnato.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...24/04/2009
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva

 

Venerdì, 30 Dicembre 2011

 
 
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