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Sentenza n. 289 del 5 settembre 2011 Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

Diniego rinnovo permesso di soggiorno - revoca per mancato perfezionamento primo contratto - omessa traduzione in lingua

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria


(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 46 del 2008, proposto da: *****, rappresentato e difeso dall'avv. Mariella Billi, con domicilio eletto presso Beatrice Cutini in Perugia, piazza Italia N. 9;

contro

Ministero dell’interno - Questura di Perugia, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria per legge in Perugia, via degli Offici, 14;

per l'annullamento

del decreto della Questura di Perugia Cat. A/12/07/83/Imm./cs in data 25 giugno 2007;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno - Questura di Perugia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2011 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, cittadino marocchino, è entrato in Italia in data 15 ottobre 2005, a seguito di un’autorizzazione rilasciata in data 23 maggio 2005 dalla D.P.L. di Perugia, che consentiva alla ***** di Spoleto di assumerlo, nell’ambito delle quote stabilite con riferimento ai flussi del 2005.

In data 21 ottobre 2005 ha ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro subordinato nel quale veniva indicato, quale referenza in Italia, il <<perfezionamento pratica lavoro ditta *****>>.

2. Non ha però instaurato detto rapporto di lavoro, in quanto (cfr. dichiarazione dell’impresa, versata in atti) la CO.MEC aveva cessato l’attività produttiva in data 10 settembre 2005.

Reperito un diverso lavoro, presso la ***** di Terni, in data 9 dicembre 2005 ha trasmesso il relativo contratto di soggiorno semestrale allo Sportello Unico per l’Immigrazione di Terni (il ricorrente asserisce di averlo inoltrato anche a quello di Perugia).

3. In data 22 febbraio 2006, alla vigilia della scadenza del permesso di soggiorno, ne ha chiesto il rinnovo, allegando il contratto in corso.

Con provvedimento Cat. A/12/07/83/Imm./cs in data 25 giugno 2007, la Questura di Perugia, sottolineando come, né la ***, né il ricorrente avessero precedentemente comunicato l’impossibilità di concretizzare l’attività lavorativa (come richiesto dalla circolare n. 55/2000 del Ministero del lavoro), ha negato il rinnovo, sulla base degli articoli 5, comma 5, 6, comma 10 e 22 del d.lgs. 286/1998.

4. Il ricorrente impugna il diniego.

Deduce le censure appresso sintetizzate:

- il provvedimento è viziato dalla omessa traduzione nella lingua del ricorrente;

- non è supportato da adeguata motivazione;

- vi è violazione dell’articolo 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, come interpretato dalla circolare ministeriale in data 20 agosto 2007, che consente di considerare il mancato perfezionamento dell’autorizzazione originaria alla stregua di una “mera irregolarità”, perciò sanabile, alla luce del “nuovo elemento” consistente nell’instaurazione di un rapporto di lavoro, seppure con una diversa impresa; tanto più, qualora l’accaduto sia stato tempestivamente segnalato all’Amministrazione, la quale abbia omesso di eccepire alcuna irregolarità nei riguardi del rapporto di lavoro instaurato.

5. Resiste per l’Amministrazione l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, controdeducendo puntualmente.

6. Il ricorso appare fondato, nei sensi e limiti appresso indicati, e pertanto deve essere accolto.

6.1. Questo Tribunale ha costantemente affermato (almeno, a partire dalla sent. 15 marzo 2004, n. 113) che la mancata traduzione nella lingua originaria dello straniero non influisce sulla legittimità del provvedimento, ma può soltanto rilevare per riconoscere l’esistenza di un errore scusabile idoneo alla rimessione in termini ai fini dell’impugnazione.

6.2. Appare poi evidente come il provvedimento impugnato indichi i riferimenti normativi e il motivo del diniego di rinnovo.

6.3. Il nodo della controversia sta dunque nello stabilire se l’impossibilità di formalizzare il rapporto di lavoro per il quale lo straniero ha potuto fare ingresso in Italia, determini necessariamente la revoca dell’autorizzazione al lavoro e del permesso di soggiorno finalizzato alla sottoscrizione del contratto; o se invece la situazione dello straniero possa essere “sanata” mediante la formalizzazione di un contratto con diverso datore di lavoro, ed a quali condizioni.

6.3.1. E’ indubbio che la normativa si prefigge di evitare chiamate dirette di lavoratori stranieri che siano in realtà dirette a favorire la mera immigrazione senza che il datore di lavoro si assuma alcun onere o responsabilità (ricevendo, eventualmente, addirittura un illecito compenso per il perfezionamento della pratica di ingresso). L’iter procedimentale, infatti, si fonda sull’acquisizione della quota di ingresso nell’ambito dei flussi annuali da parte del datore di lavoro, quota che egli non può cedere ad altri e che è valida soltanto per lo specifico rapporto tra il richiedente e lo straniero richiesto. Tutti gli accertamenti delle Direzioni del lavoro e delle Questure territorialmente competenti, poi, vengono indirizzati esclusivamente verso i soggetti interessati, ed è evidente che dette verifiche verrebbero vanificate qualora, senza autorizzazione e senza ragione, uno di essi venisse sostituito da altri.

Anche questo Tribunale, in passato, ha affermato che, ai sensi dell’articolo 22 del d.lgs. 286/1998, la procedura d'ingresso di un lavoratore straniero si perfeziona nel momento in cui viene stipulato il definitivo contratto di lavoro, con il medesimo datore di lavoro a cui nome è stata rilasciata l'autorizzazione all'ingresso; mentre il passaggio alle dipendenze di un diverso datore di lavoro è consentito solo dopo che quel primo contratto sia stato regolarmente stipulato. In altri termini, che l'autorizzazione ad assumere un lavoratore straniero è data individualmente e nominativamente a un determinato datore di lavoro, e presuppone, fra l'altro, la verifica di requisiti soggettivi che debbono essere soddisfatti da quel datore; sicché l'autorizzazione non può essere utilizzata da un soggetto diverso. Una diversa interpretazione, offrirebbe il destro a pericolosi abusi, quali lo svolgimento “de facto” di un'attività di intermediazione nell'assunzione di lavoratori stranieri (cfr. sentt. 29 giugno 2006, n. 333 e 17 gennaio 2006, n. 31).

6.3.2. Peraltro, la prassi applicativa si è fatta carico di tutelare la posizione dello straniero il quale, giunto in Italia con regolare visto d’ingresso per lavoro subordinato rilasciato a seguito di nulla osta al lavoro, non riesca a formalizzare il rapporto di lavoro per sopravvenuta indisponibilità del datore di lavoro, dipendente da causa non riconducibile allo straniero.

Così, dopo che era stato precisato l’obbligo del datore di lavoro di comunicare tempestivamente la mancata instaurazione del rapporto di lavoro oggetto dell’autorizzazione, onde consentire l’adozione dei conseguenti provvedimenti di revoca (cfr. circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale prot. 3566 in data 28 luglio 2000), è stato anche affermato che lo straniero può richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, allegando una dichiarazione del responsabile dello Sportello Unico per l’Immigrazione dalla quale risulti il venir meno della disponibilità del datore di lavoro a formalizzare l’assunzione (cfr. circolari del Ministero dell’interno n. 2570 in data 7 luglio 2006 – relativa alle ipotesi di decesso del datore di lavoro o di cessazione dell’azienda – e in data 20 agosto 2007 – relativa alla indisponibilità del datore di lavoro per altre cause).

6.3.3. Va anche considerato che questo Tribunale, sia pure con riferimento alla distinta fattispecie della conversione in permesso per lavoro subordinato del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, ha affermato (sent. 14 febbraio 2007, n. 130) che, qualora l’unico presupposto della fattispecie effettivamente mancante al momento della presentazione della domanda di conversione/rinnovo, sia il rilascio, previa verifica della capienza delle quote d’ingresso, di un’autorizzazione al lavoro intestata al nuovo datore di lavoro per l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trova applicazione l’articolo 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998 - secondo cui <<Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato (…)sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili>> - e che l’Amministrazione, in simili evenienze, è tenuta a comunicare all’interessato detta causa preclusiva del rilascio del titolo di soggiorno, onde consentirgli di sanare la mancanza dell’autorizzazione al lavoro (vedi anche, sentt. 24 febbraio 2006, n. 64 e 18 maggio 2006 n. 304).

6.3.4. Nel caso in esame, sembrano sussistere gli elementi che giustificherebbero l’applicazione dei predetti orientamenti, nel senso della possibilità di ritenere legittimo il mutamento del datore di lavoro (con la conseguente possibilità, permanendone i presupposti, di disporre successivi rinnovi del titolo di soggiorno).

Infatti, non viene nemmeno adombrata l’illiceità della condotta del datore di lavoro richiedente l’ingresso, e non viene contestato che la mancata formalizzazione del rapporto sia dipesa da causa non imputabile al ricorrente, né che egli abbia rapidamente trovato un altro datore di lavoro; mentre sembra provato in atti, e comunque non viene contestato in giudizio, che del nuovo contratto il ricorrente abbia dato comunicazione all’Amministrazione (resta soltanto da stabilire se anche allo Sportello Unico di Perugia, o soltanto a quello di Terni; peraltro, l’onere di dare “tempestiva” comunicazione del mancato perfezionamento, risulta espressamente sancito per il datore di lavoro, non anche dello straniero). Invero, nel provvedimento si censura la circostanza che il ricorrente <<il quale si ritiene abbia tenuto contatti con il proprio futuro datore di lavoro>> non abbia <<desistito dal giungere in Italia anche ben sapendo che non sarebbe potuto essere assunto dalla ditta richiedente>>; ma di ciò, a ben vedere, non vi sono prove.

6.3.5. Per quanto esposto, deve ritenersi che l’Amministrazione, prima di negare al ricorrente il rinnovo del permesso di soggiorno, avrebbe dovuto considerare più attentamente i predetti elementi, alla luce di quanto disposto dall’articolo 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, e di quanto indicato nelle più recenti circolari ministeriali succitate, prima di ritenere ostativa del rinnovo la mancata formalizzazione del rapporto di lavoro con il datore di lavoro originario.

Ne discende l’annullamento del provvedimento impugnato.

7. Trattandosi di questioni interpretative orientate da circolari, sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Spese compensate.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2011

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/09/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Mercoledì, 4 Gennaio 2012

 
 
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