Per salvarci la coscienza li confondiamo con i migranti economici e con gli “odiati” clandestini. La Convenzione di Ginevra del 1951 è un cadavere in decomposizione. La crisi economica soffoca antichi sentimenti di solidarietà e questa che si celebra il 20 giugno è una giornata mondiale del rifugiato piena di silenzio surreale. Fuggono dalle persecuzioni politiche, razziali, religiose? E chissene: ognuno badi ai fatti suoi.
Quasi sconsolato è il lamento di don Mussie Zerai, l'animatore dell'agenzia umanitaria Habeshia: «Negli ultimi tre anni - osserva - abbiamo assistito al peggioramento, anzi alla perdita di tutela dei rifugiati. Il mondo ricco paga i paesi in via di sviluppo per tenere a bada poveri, disperati e perseguitati. In Israele il diritto di asilo viene negato a circa 60 mila profughi eritrei e sudanesi e il mondo tace. Cosa si celebra allora questo 20 giugno, il
mancato rispetto delle convenzioni internazionali?»
Anche il governo Monti ignora il problema. Il Cir, Consiglio italiano dei rifugiati ha appena alzato il velo su un accordo di cui fino ad oggi non si conoscevano i particolari: quello raggiunto il 3 aprile scorso tra il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri e il suo omologo libico. In esso non vengono mai menzionati rifigiati e richiedenti asilo, nonostante in Libia se ne trovino moltissimi di provenienza subsahariana, spesso sottoposti a torture, e nonostante la Libia, unico stato africano, non riconosca ancora la Convenzione di Ginevra: non poteva essere questa l'occasione per indurla alla firma?
Un'amnesia grave, se si pensa che l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per i respingimenti effettuati nel 2009 in alto mare verso la Libia dove, secondo il Tribunale di Strasburgo, le persone respinte erano a rischio di tortura e di trattamenti degradanti. L'accordo fra Roma e Tripoli intende poi “ripristinare i centri di accoglienza presenti in Libia”, che in realtà erano puri centri di detenzione, senza provvedimento giuridico e senza limiti di tempo. «Vogliamo sperare che non siano questi i centri di cui si parla dell'accordo» dichiara Christopher Hein, direttore del Cir, mentre don Zerai ricorda il caso del Sinai, dove trafficanti e poliziotti sono pronti a estorcere denaro alle famiglie dei chiedenti asilo catturati o, in alternativa, a vendere i loro organi.
L'annuale Rapporto dell'Unhcr, l'Agenzia Onu per i rifugiati, ci dice che il 2011 è stato un anno record per il mondo: ben 800 mila persone hanno ottenuto asilo politico. Ma i quattro quinti dei rifugiati fuggono nei paesi limitrofi del Terzo mondo. Così in Pakistan ve ne sono ben 1 milione e 700 mila, in Iran 886 mila, nel Kenia 566 mila. Il principale paese d'accoglienza occidentale è la Germania, con 571 mila rifugiati, 7 ogni mille abitanti. In Italia ve ne sono appena 58 mila, meno di uno ogni mille abitanti, anche se nel 2011, a causa della guerra in Libia e della Primavera araba, v'è stata un'impennata di domande di asilo: oltre 34 mila, secondo l'Unhcr.
E come vivono i 58 mila rifugiati d'Italia? Ha cercato di capirlo il Cir con sondaggi e interviste effettuate in alcune aree dello Stivale, da Torino a Bologna, da Roma a Lecce e a Catania. Il 44 per cento di loro si dichiara disoccupato, il 51 ha un'occupazione e il resto non risponde. Occupazione che spesso non risponde al titolo di studio: vi sono laureati che fanno i braccianti e i muratori, o che distribuiscono i giornali. Ma il 75 per cento si dice soddisfatto del lavoro che svolge, e la prima ragione è che consente loro di vivere. Ben il 22 per cento degli intervistati ha un impiego in nero, mentre le condizioni abitative sono disagiate: appena il 21,5 per cento riesce a vivere con il proprio nucleo familiare, mentre gli altri condividono l'alloggio con amici o pesone prima sconosciute. Sempre meglio così, naturalmnte, che in un campo ditenzione.