12 giugno 2012

Immigrati, in 31 sbarcano a Mazara del Vallo e Gdf ne intercetta 60 su barcone
Palermo, 12 giu. - (Adnkronos) - Sbarco di immigrati a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dove sono approdati stamani 31 migranti. Allarmato il sindaco Nicola Cristaldi."Daremo ospitalita' anche a queste persone ma il fenomeno e' diventato pesante per la nostra citta' - dice - Solo pochi giorni fa ho scritto al presidente del Consiglio Monti chiedendo rimborsi finanziari e contributi per la sistemazione di locali, che sarebbero idonei all'accoglienza momentanea, ma ancora nessuna risposta".
"Ormai e' chiaro che Mazara del Vallo e' individuata come sede di approdo dei disperati che vengono dal mare - prosegue il primo cittadino - Recentemente gli immigrati hanno quasi distrutto una parte dell'edificio di S.Agostino, un raid che non ci consente di portare avanti il nostro progetto che vede lo stesso edificio destinato ad albergo''.
Due unita' della guardia di finanza hanno intercettato ieri sera un peschereccio egiziano con una sessantina di migranti a bordo, tra cui circa 15 minori. L'imbarcazione e' stata bloccata a conclusione di un lungo inseguimento cominciato davanti alla costa di Pozzallo. Gli extracomunitari sono stati trasferiti a Pozzallo dove sono in corso le procedure di identificazione.



“Il burqa è legale se lo si indossa per fede religiosa”
Archiviata la denuncia contro un’egiziana
La normativa anti terrorismo fu introdotta contro l’uso di caschi o altri «mascheramenti» durante manifestazioni di piazza: non è il caso della donna
La Stampa, 12-06-2012
Alberto Gaino
Il giudice: «Nessuna violazione Sulla carta d’identità il viso è scoperto»
Una donna egiziana di fede musulmana camminava per strada, a Chivasso, celando il viso nel burqa, il velo che lascia intravedere solo gli occhi di chi lo indossa. Un cittadino l’ha denunciata. Il procuratore aggiunto Paolo Borgna ha accertato che F. G.S. ha sollevato il velo ogni volta che le è stato richiesto, che si trattasse di controlli sanitari all’Asl o di accertamentidei carabinieri.
Lo stesso cittadino l’aveva già denunciata per violazione della legge Reale e questa volta vi ha aggiunto la segnalazione che il Comune di Chivasso ha rilasciato alla donna carta d’identità con la fotografia che la ritrae a viso scoperto e il capo velato. Il cittadino si è procurato «chissà come» il cartellino depositato all’anagrafe e parla di «bacucchina che le nasconde la faccia». La «bacucchina» sarebbe il burqa.
Per mettersi al passo il cittadino ha richiesto analogo documento presentando una sua foto con un casco da cantiere calato sul viso che lo nasconde alla vista. Respinto con perdite: «Non aveva una giustificazione religiosa». Il magistrato completa il ragionamento dell’ufficio comunale: «La signora va normalmente per strada con il velo, il cittadino non cammina abitualmente con il casco calato sulla faccia». E puntualizza: «Nella carta d’identità la signora compare con l’ovale del viso perfettamente riconoscibile e non con il burqa integrale. Una circolare del ministero dell’Interno conforta la correttezza dell’Anagrafe di Chivasso nel rilasciare quel documento d’identità alla signora egiziana».
Le agenzie di stampa hanno «lanciato» la notizia con la necessaria sinteticità e il centrodestra con Motta e Marrone, Pdl, e Carossa, Lega protesta vivacemente. La richiesta di archiviazione al presidente della sezione Gip del tribunale affronta in modo articolato una questione complessa. Scrive Borgna: «La legge Reale punisce, con una contravvenzione, due diverse condotte: quella di chi usa caschi protettivi o “qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. E poi si punisce la condotta di chi, in ogni caso (dunque senza possibilità di giustificato motivo) usa i predetti copricapo o indumenti “in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico”».
Aggiunge il magistrato: «E’ noto che la norma fu introdotta nel 1975 a tutela dell’ordine pubblico, per fronteggiare il diffuso fenomeno dell’utilizzo di caschi che mascheravano completamente il volto durante manifestazioni di piazza. Di tale genesi storica conviene, come sempre, tenere conto per una corretta interpretazione, anche sistematica, del divieto da essa imposto».
Borgna dà atto che «la signora F. G.S. indossa il burqa il ossequio ai suoi principi religiosi, rispettati dall’articolo 8 della Costituzione italiana. Che al 19 riconosce e protegge il diritto per chiunque di manifestare “in qualsiasi forma” (e dunque anche attraverso la propria immagine esteriore) fede e appartenenza religiosa. L’unico limite che la Costituzione frappone è quello del buon costume, qui palesemente rispettato».
Per il procuratore aggiunto ogni magistrato è tenuto ad applicare la legge «ed è la struttura stessa della “Reale” a motivare la richiesta di archiviazione: perché, al di fuori delle condizioni potenzialmente in grado di mettere a rischio l’ordine pubblico, il legislatore ha totalmente affidato al prudente apprezzamento del magistrato la verifica sull’eventuale giustificazione della condotta incriminata».
Borgna dice anche: «Ci rendiamo conto che di fronte a comportamenti di massa, e non isolati come in questo caso, la questione potrebbe assumere un altro rilievo. Ma deve essere eventualmente il Parlamento ad affrontarla».



Immigrati: l’illegalità tra le mura dei centri di accoglienza
Antimafia Duemila, 12-06-2012
Rino Giacalone
L’ultimo di centro di accoglienza (si fa per dire accoglienza) costruito a Trapani è costato 6 milioni di euro. Visto dall’esterno sembra una sorta di super carcere. Dentro è peggio. Vivono male gli immigrati clandestini che prima dei 180 giorni da qui non possono uscire in attesa che le rispettive autorità diplomatiche comunichino a quelle italiane il riconoscimento, vivono male gli agenti, poliziotti e carabinieri, che debbono occuparsi della loro sorveglianza. Vestono costantemente la divisa attrezzata per reprimere le sommosse, e con il caldo che fa non stanno certo bene. Muoversi con gli equipaggiamenti antisommossa non è come fare una passeggiata. La struttura dipinta di giallo canarino si trova a ridosso dello svincolo autostradale della Palermo-Trapani. Una commissione a suo tempo nominata dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, e presieduta dall’odierno sottosegretario agli esteri, ambasciatore De Mistura, aveva bocciato la sua costruzione, ma il Governo Berlusconi e il ministro Maroni vollero ugualmente andare avanti. E da pochi mesi il centro è stato aperto. E nuovo di zecca è al centro di polemiche tanto quanto le altre strutture che esistono a Trapani, il Vulpitta, famigerato e famoso per il rogo che nel 1999 fece strage di clandestini, e quello di Salinagrande dove vengono tenuti gli immigrati in attesa di ricevere lo status di rifugiato politico.
Oggi questi centri hanno ricevuto la visita di una delegazione di parlamentari. I centri sono usciti bocciati.  "I Cie sono delle polveriere umane. Al loro interno la situazione e' esplosiva, anche perché gli immigrati sono costretti a una carcerazione che si prolunga fino a 18 mesi. Abbiamo avuto la conferma che la legge voluta dal Governo Berlusconi e dall'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni e' un disastro". Lo ha denunciato il parlamentare del Pd Livia Turco che nella visita è stata accompagnata da Alessandra Siragusa, Roberto Giachetti e dall'ex presidente della Rai Roberto Zaccaria. In queste ore la struttura di detenzione amministrativa di Milo, che ospita oltre 200 stranieri in attesa di identificazione, e' nell'occhio del ciclone per la diffusione di un video su presunti maltrattamenti subiti dai migranti reclusi, girato con i cellulari da alcuni reclusi. I deputati hanno descritto, nel corso di una conferenza stampa, le attuali condizioni e le anomalie riscontrate nei centri. "All'interno dei Cie si vivono drammi umani - ha proseguito Turco - Riferiremo al ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri la situazione riscontrata, anche per capire se sia consapevole dell'entita' del problema". Al momento, nel Cie di Milo sono presenti 109 stranieri in attesa di identificazione, mentre al Serraino Vulpitta sono 43. Tra gli ospiti, secondo il resoconto dei deputati, anche un diciassettenne proveniente da Gorizia. Con la delegazione parlamentare, Fulvio Vassallo, membro dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. "Stamattina al Vulpitta abbiamo visto una persona reclusa con lividi riconducibili a manganellate, anche se non abbiamo le prove che si sia trattato realmente di maltrattamenti", ha riferito Vassallo. La visita dei giornalisti due settimane fa, guidati dal presidente della Fnsi Roberto Natale, e le recenti ispezioni parlamentari hanno pero' prodotto alcuni effetti sulle condizioni di vita nei Cie. "Rispetto a un mese fa - ha detto Siragusa - le condizioni sono migliorate. Mentre prima i migranti mangiavano per terra, adesso hanno dei tavoli a disposizione per consumare i pasti". Alla visita di oggi, ne 
seguiranno altre due sempre nelle strutture trapanesi entro la fine del mese. "Al termine di questa serie di controlli condotti in Sicilia, Campania e Friuli, realizzeremo un report finale dove evidenzieremo tutte le criticita'", ha annunciato Zaccaria. L’on. Livia Turco è andata giù pesante contro la Boss-Fini. Ha rivendicato le cose positive della legge 40 che reca il suo nome e quello del presidente Napolitano che era ministro all’Interno quando questa norma fu varata. Fu proprio Napolitano da ministro dell’Interno ad inaugurare il centro Vulpitta di Trapani che doveva essere un fiore all’occhiello e invece oggi lega il suo nome a quella incredibile strage. L’on. Turco ha ricordato che la severità della Bossi Fini non ha rallentato i flussi migratori, anzi ha determinato nuova crisi.



Ricongiungimenti familiari per rifugiati: il Cir propone un programma nazionale.
Dopo il successo del progetto “Ritrovarsi per ricostruire”, che ha coinvolto 700 persone con 317 familiari ricongiunti, la proposta di convertirlo in un programma nazionale.
Immigrazioneoggi, 12-06-2012
Passare dai singoli progetti a un programma nazionale per i ricongiungimenti familiari dei rifugiati e delle persone in protezione sussidiaria.
A chiederlo è Cristopher Hein direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) in occasione della presentazione dei risultati del progetto Ritrovarsi per ricostruire che si è svolta ieri a Roma. “Attraverso questa iniziativa sono state sperimentate modalità e metodologie per permettere ai rifugiati di ricostruirsi un percorso con le loro famiglie. Oggi, però, il progetto finisce qui ma il problema si presenterà ancora, per altre migliaia di persone” ha sottolineato Hein.
Per questo il Cir ha presentato la proposta di convertire la sperimentazione in un programma nazionale.
Il progetto Ritrovarsi per ricostruire, che si concluderà ufficialmente il 15 giugno prossimo, ha coinvolto da maggio del 2010 oltre 700 persone (originariamente il target previsto era di 300) mentre i familiari ricongiunti sono stati 317, di cui 121 coniugi e 177 figli, 2 fratelli e 17 genitori. In totale, quindi, il numero totale delle persone supportate dal progetto ha superato le mille unità.
I ricongiungimenti hanno riguardato in particolare persone provenienti dall’Eritrea (131), Afganistan (79), Camerun (33), Costa d’avorio (36), Somalia (91), Togo (97), Congo (34) ed Etiopia (53). Rispetto allo status, il 68% è un rifugiato e il 32% è titolare di protezione sussidiario. Il 79% sono uomini e il 21% donne. Il progetto è stato coordinato dal Cir in partenariato con il Centro Astalli, la Federazione delle Chiese evangeliche, la cooperativa Roma Solidarietà onlus, la fondazione Franco Verga, la fondazione Ruah, il consorzio Promidea e si è avvalso del supporto tecnico del Codacons e Contagelis.



Don Colmegna: "Clima teso il Comune in ritardo sui rom"
Il presidente della Casa della Carità: "Occorre passare dalle parole ai fatti, servono
politiche di integrazione e interventi mirati per far uscire dalla precarietà le famiglie"
la Repubblica, 12-06-2012
ZITA DAZZI
«È ora di darsi una mossa sui rom. Bisogna scegliere una strategia per affrontare il nodo di Milano. Non si può agire solo su pressione dell’opinione pubblica con sgomberi che non fanno altro che riprodurre l’emergenza, senza un progetto di inclusione per il lungo periodo». L’appello al Comune arriva da don Virginio Colmegna, al termine della prima mattinata di convegno alla Triennale per la presentazione dell’indagine sulla condizione dei rom e synti in Italia, nell’ambito del progetto europeo «Eu inclusive».
Il presidente della Casa della carità ascolta i risultati dell’inchiesta condotta in dieci regioni con 1.700 interviste realizzate sotto la direzione del consorzio Aaster di Aldo Bonomi. E poi prende la parola, rispondendo a chi gli chiede delle continue proteste per i nuovi e vecchi insediamenti rom nelle periferie: «Noi siamo per il superamento dei campi, non è da oggi che lo diciamo. Non vogliamo battaglie ideologiche, ma una programmazione territoriale seria. Diamo atto al Comune di aver molto cambiato i toni e le parole usate per questo tema, come anche di aver avviato una consultazione dei diretti interessati e dei loro rappresentanti. Ma è ora di passare dalle parole ai fatti. Servono politiche di integrazione, diritti, accompagnamento al lavoro, patti di cittadinanza per far uscire dalla precarietà le tante famiglie che vogliono emanciparsi».
Sono discorsi che Colmegna faceva ai tempi della giunta Moratti, e che oggi ripete, in
attesa della presentazione del 'Piano rom' comunale, prevista a giorni: «Si è chiarito in questi giorni che i fondi del 'Piano Maroni' sono stati sbloccati - dice l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino che oggi andrà a concludere la due giorni di dibattito con il collega alla Sicurezza Marco Granelli - Quindi potremo intervenire con più puntualità. Dobbiamo superare alcune situazioni di profonda illegalità, ma anche lavorare a nuovi percorsi di mediazione e inserimento, in particolare verso i bambini».  La ricerca curata da Donatella De Vito racconta la grave deprivazione per cui i rom scappano dalla Romania. In Italia il 65 per cento vive in campi, uno su tre invece ha trovato casa. Il 19 per cento è analfabeta, il 34 per cento non ha titoli di studio. Il 35 per cento lavora, ma di questi un terzo lo fa in nero.



LA SOCIETÀ CHE CAMBIA
Rom, poveri e italiani Ma un terzo lavora
Avvenire, 12-06-2012
Paolo Lambruschi
Lavorano anche se non in regola, si spostano per necessità come i migranti, preferiscono abitare in case e non in campi-ghetto, quindi basta chiamarli nomadi. La prima indagine nazionale sulla condizione di rom e sinti, presentata ieri a Milano dalla Casa della Carità, smentisce i pregiudizi radicati in Italia sul «popolo del vento». Curata in collaborazione con il consorzio Aaster e svolta nel progetto «Eu Inclusive», la ricerca copre un buco tutto italiano.
«Abbiamo avuto tre anni di stato d’emergenza – spiega il sociologo Aldo Bonomi, curatore della ricerca – che attribuiva poteri straordinari ai prefetti di cinque regioni in riferimento ai rom e ai loro insediamenti, ma non sapevamo nemmeno quanti fossero e quali problemi avessero. Ora sappiamo che sono circa 170 mila, la metà italiani, che in tutto sono solo lo 0,2% della popolazione e che il 60% è minorenne. Eppure fanno paura e la loro condizione è stata trattata per anni come problema di ordine pubblico. Ora almeno il linguaggio pare cambiato».
Lo stato di emergenza, ricordiamo, è stato giudicato illegittimo dal Consiglio di Stato, ma un ricorso presentato a febbraio dal governo potrebbe sospendere la sentenza e tornare all’emergenza. Questa situazione ha portato a un blocco delle risorse già stanziate, vale a dire 33 milioni di euro in tutto il Belpaese e cinque milioni solo a Milano, stanziate per il piano elaborato dall’ex ministro dell’Interno Maroni.
Ma veniamo alla fotografia dei rom in Italia, scattata intervistando 1668 persone di 60 insediamenti in 10 regioni italiane. Conferma la situazione di povertà, esclusione e discriminazione di questa minoranza etnica che in tutta Europa è lo standard su cui misurare le politiche di inclusione.
Anzitutto il tasso di occupazione è più alto del previsto. Quasi il 35% ha un lavoro, anche se a volte irregolare, e l’ambito lavorativo è quello dove meno si sentono discriminati (circa il 30%). L’universo degli occupati è composto da un 20% di regolari e un 11% di irregolari, mentre tutto il resto fa lavoro nero, soprattutto come autoimpiegati in settori quali la raccolta di metalli o l’edilizia e in attività domestiche nel caso delle donne, di cui solo una su cinque è occupata perché si occupano dei figli. Il totale dei disoccupati è il 27%, oltre due su tre di costoro si dicono disposti a lavorare.
«Ma occorre riflettere sull’irregolarità distinguendola dall’informalità – aggiunge Bonomi – ad esempio a Berlino, pagando sei euro al comune, i musicisti di strada rom ottengono un’autorizzazione a suonare anche sul metro girando gratis. Da noi non se ne parla, eppure sarebbe un passo avanti verso l’inclusione, che sarebbe la strategia da perseguire, non l’assimilazione. Trattiamoli da migranti, sette su 10 vengono in Italia per miseria».
Se l’ambito lavorativo è centrale, la casa è il secondo fattore di inclusione sociale. Infatti quasi la metà dei rom che vivono in abitazioni è occupato, mentre tra gli abitanti dei campi abusivi la percentuale scende al 24%. E in Italia, soprattutto in città come Roma e Milano, tre quarti di rom e sinti vive in insediamenti a loro esclusivamente destinati simili ai ghetti con forti conseguenze anche in termini di istruzione.
Se solo uno su quattro dichiara infatti di avere la licenza elementare, tra i rom che vivono in campi irregolari il 23% dei minori non sono scolarizzati contro il 7% di coloro che vivono in casa. In generale quasi il 20% dei rom è analfabeta, percentuale che cresce per le donne al 25% e si riduce al 10% considerando i minori di 20 anni. Da sfatare il mito che non vogliono vivere in case, solo un terzo risiede in case di proprietà o in affitto, ma l’85% dei provenienti dalla ex Jugoslavia e il 62% dei provenienti dalla Romania ha un progetto migratorio stanziale ed è disponibile a restare in Italia dove è arrivato per cercare un lavoro e una qualità di vita migliore . Semmai il problema della vita in campi o in realtà abitative diverse riguarda rom e sinti italiani che sono giostrai, circensi o allevatori di bestiame. Quanto alla discriminazione, i rom si sentono esclusi dall’accesso ai servizi (67,5%) e nei luoghi pubblici (34,3%).
«Ma il 72% dei rom dichiara che la discriminazione non è diminuita negli ultimi dieci anni – commenta Bonomi – significa che occorre lavorare sull’opinione pubblica».
Infine il mito della ricchezza: tre quarti dichiarano un reddito famigliare di 600 euro mensili, sotto la soglia di povertà.
Per il presidente della Casa della Carità, don Virginio Colmegna, occorre intensificare «i progetti di mediazione e accompagnamento sociale che partono dai diritti di queste persone, le rendono protagoniste e, al tempo stesso, ascoltano i bisogni e le difficoltà dell’intera cittadinanza. Va garantita la dignità con l’accesso alla sanità, all’istruzione e alla casa, diritti universali, non la favela. Serve un piano nazionale e piani locali, ma non si può andare avanti solo condizionati dalla pressione dell’opinione pubblica con risposte di emergenza».

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