19 giugno 2012

"Vorrei diventare cittadino italiano Ma dicono di no, anche se ne ho diritto"
Saad Al Tarazi è originario di Gaza, si trova in Italia dal 2004, ma solo nel 2008 ha ottenuto lo status di rifugiato. E' una persona altamente qualificata, laureato in ingegneria dei metalli, ma non può accettare l'offerta di lavoro di un'azienda svizzera perché non ha la cittadinanza italiana
la Repubblica, 19-06-2012
Saad H. N. Al Tarazi
ROMA - Ecco la lettera di un giovane palestinese di Gaza, che parla della sua condizione di profugo in Italia, paese del quale vorrebbe - a norma di legge - diventare cittadino.
Cara Repubblica, Mi rivolgo a voi per portare a conoscenza una situazione che mi riguarda personalmente ma che, secondo me, ha una valenza di interesse generale. Sono uno studente palestinese di religione cristiana (Chiesa Greco-Ortodossa) costretto a lasciare Gaza per le ragioni che si possono intuire. Sono arrivato in Italia il 30 dicembre 2004 ed ho ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di studio.
L'ingegnere guardiano notturno. Dal mio arrivo in Italia, ho conseguito una laurea in Scienze e Tecnologie Orafe presso l'Università Milano Bicocca e attualmente frequento il Master in Ingegneria nel settore orafo presso il Politecnico di Torino, sede di Alessandria. Durante tutti questi anni ho pagato le tasse universitarie, mantenendomi grazie a un lavoro part-time presso la Fondazione "la Vincenziana", dove svolgo servizi di guardiano notturno.
Il calcolo degli anni. Il 15 ottobre 2008 ho presentato domanda per asilo politico ed il 6 novembre 2008 ho ottenuto lo Status di rifugiato politico. Successivamente, ho presentato domanda per ottenere la cittadinanza italiana il 9 settembre 2010, presso la Prefettura di Milano. A un anno dalla domanda, ho ricevuto comunicazione dalla Prefettura da cui si deduce che per concedere la cittadinanza si tiene conto non da quanti anni sono in Italia (dal 2004) ma della data in cui ho ricevuto lo Status di rifugiato politico, nel mio caso il 6 Novembre 2008, e solamente da tale data partono i cinque anni dopo i quali viene concessa la cittadinanza.
Il ricorso al TAR. Successivamente ho fatto ricorso al TAR , e ho vinto. Qualche giorno dopo il gi 26/04/2012 il mio avvocato ha inviato tutti i documenti alla prefettura di Milano, ad oggi non ho ricevuto nessuna risposta. Il motivo principale per il quale mi permetto di sollecitare che mi venga concessa la cittadinanza italiana nel più breve tempo possibile è che mi è stato offerto di lavorare presso una importante azienda orafa nel Canton Ticino, Svizzera, ma purtroppo lo Status di rifugiato politico è incompatibile con la normativa dell'Ufficio svizzero di Immigrazione, mentre se avessi la cittadinanza italiana, potrei lavorare come "frontaliero", senza neppure togliere la possibilità di impiego ad alcuno in Italia.
La famiglia lontana. La mia famiglia vive in Australia anche loro sono rifugiati, ho chiesto il visto al ambasciata australiana per andare a vedere la mia famiglia però loro hanno rifiutato il visto per motivo che io sono rifugiato in Italia. Sono molto amareggiato e mi domando come non sia possibile trovare un rimedio che consentirebbe, a me, di risolvere una questione vitale, alla società svizzera di trovare il collaboratore tecnico che da tempo cercava e allo Stato italiano di applicare le imposte sulle mio reddito in quanto residente in Italia.
 


Aumentano rifugiati e richiedenti asilo tra i migranti: oltre 16 milioni nel mondo, cresciuti di 800 mila nell’ultimo anno.
Domani la Giornata mondiale del rifugiato. Guterres (Unhcr): “il 2011 ha visto sofferenze di dimensioni memorabili”.
Immigrazioneoggi, 19-06-2012
Nel 2011 circa 4,3 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di guerre o persecuzioni, facendo registrare oltre 800 mila nuovi rifugiati, la cifra più alta dal 2000. 3,5 milioni sono invece gli sfollati all’interno del proprio Paese, il 20% in più rispetto al 2010.
È quanto emerge dal Rapporto annuale dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), 2011 Global Trends, in cui sono raccolte informazioni e dati sulla portata delle migrazioni forzate provocate da una serie di gravi crisi umanitarie, cominciate alla fine del 2010 in Costa d’Avorio e seguite da altre in Libia, Somalia, Sudan e altri Paesi.
Il Rapporto è stato diffuso in occasione della Giornata mondiale dei Rifugiati, che si celebrerà domani. “Il 2011 ha visto sofferenze di dimensioni memorabili. Il fatto che così tante vite siano state sconvolte in un periodo di tempo così breve implica enormi costi personali per tutti coloro che ne sono stati colpiti – ha dichiarato António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati – possiamo solo essere grati del fatto che nella maggior parte dei casi il sistema internazionale atto a proteggere queste persone sia rimasto saldo e che le frontiere siano rimaste aperte. Questi sono tempi difficili”.
Dallo studio emerge che, complessivamente, alla fine del 2011 in tutto il mondo vi erano 42,5 milioni di persone tra rifugiati (15,4 milioni), sfollati interni (26,4 milioni) o persone in attesa di una risposta in merito alla loro domanda d’asilo (895.000). Una cifra che risulta inferiore a quella dell’anno precedente (43,7 milioni), soprattutto per effetto del ritorno alle proprie case di un gran numero di sfollati: 3,2 milioni, la cifra più alta da oltre un decennio.
Considerato in un’ottica decennale, il rapporto evidenzia diverse tendenze preoccupanti. In primo luogo, il fenomeno delle migrazioni forzate colpisce numeri maggiori di persone a livello globale, con cifre annuali che superano i 42 milioni di persone in ognuno degli ultimi cinque anni. Inoltre, una persona che diventa rifugiato è probabile che rimanga in tale condizione per molti anni, spesso bloccato in un campo profughi o vivendo in condizioni precarie in un centro urbano: dei 10,4 milioni di rifugiati che rientrano nel mandato dell’Unhcr infatti quasi i tre quarti (7,1 milioni) si trovano in esilio protratto da almeno cinque anni, in attesa di una soluzione alla loro condizione.
L’Afghanistan si conferma il Paese d’origine del maggior numero di rifugiati (2,7 milioni), seguito da Iraq (1,4 milioni), Somalia (1,1 milioni), Sudan (500.000) e Repubblica Democratica del Congo (491.000). Riguardo alle destinazioni, emerge che i quattro quinti dei rifugiati di tutto il mondo fuggono nei Paesi limitrofi. Ciò si riflette ad esempio nelle numerose popolazioni di rifugiati presenti in Pakistan (1,7 milioni), Iran (886.500), Kenya (566.500) e Ciad (366.500). Tra i Paesi industrializzati il principale Paese d’accoglienza è la Germania, con 571.000 rifugiati. Il Sudafrica è invece il primo Paese per numero di domande d’asilo ricevute nell’ultimo anno (107.000), confermando la posizione degli ultimi quattro anni. L’Italia, con 58.000 rifugiati, presenta cifre contenute rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea, in termini sia assoluti che relativi. In Francia, Paesi Bassi e Regno Unito i rifugiati sono tra i 3 e i 4 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, in Svezia oltre 9, mentre in Italia meno di 1 ogni 1.000 abitanti. Per quanto riguarda le domande di asilo, nel 2011 sono state presentate poco più di 34.000 domande. Un incremento, rispetto agli anni precedenti, determinato dagli effetti della Primavera araba e della guerra in Libia. Alla fine del 2011, si sottolinea nel Rapporto, donne e bambine rappresentavano il 48% di tutti i rifugiati e la metà di tutti gli sfollati e dei rifugiati rimpatriati. Inoltre, il 46% dei rifugiati e il 34% dei richiedenti asilo è composto da bambini e ragazzi con meno di 18 anni.



Ottocentomila persone in fuga il 2011 è stato l'anno dei rifugiati
Sangue, rivolte e repressioni: i 12 mesi passati sono stati segnati da un numero mai così alto di nuovi rifugiati. Il nuovo rapporto Unhcr: "Sofferenze di dimensioni memorabili". Boom di richieste di asilo in Italia: +240%. Ma c'è anche una nota positiva: 3,2 milioni di persone sono tornate a casa
la Repubblica, 18-06-2012
VALERIA FRASCHETTI
ROMA - Altro che anno della caduta di Gheddafi, Ben Ali e Mubarak. O del trionfo di Ouattara in Costa d'Avorio e della fine di Bin Laden. Per centinaia di migliaia di persone il 2011 sarà soprattutto ricordato come l'anno in cui sono state costrette a abbandonare casa e patria. Come "l'anno dei rifugiati". Primavere arabe, nuovi conflitti, crisi di vecchia data, ma con un flusso in uscita che non s'arresta, hanno regalato all'ultimo anno un record pesante: quello con il più alto numero di persone diventate rifugiate dal 2000. Ottocentomila. Tante ne conta l'ultimo rapporto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati 1(Unhcr). Che, complessivamente, rileva che nello stesso periodo 4,3 milioni di persone sono state protagoniste di migrazioni forzate. "Il 2011 ha visto sofferenze di dimensioni memorabili", ha dichiarato l'Alto commissario dell'agenzia Onu Antonio Guterres.
La lunga lista delle crisi umanitarie. Costa d'Avorio, poi Libia, Somalia, Sudan e altri Paesi ancora. Una sequela di crisi umanitarie che alla fine del 2011 ha contribuito a registrare nelle statistiche demografiche del pianeta la cifra di 42,5 milioni di persone tra rifugiati (15,4 milioni), sfollati interni (2,64 milioni) e richiedenti asilo (895mila). Solo gli scontri in Costa d'Avorio, tra i sostenitori del neoeletto presidente Ouattara e quelli del suo predecessore Gbagbo, hanno creato un esodo di 200mila ivoriani. Altri 300mila rifugiati sono quelli prodotti dalla carestia e dalla guerra in Somalia.
Il triste primato dell'Afghanistan. È l'Afghanistan, però, che si conferma il Paese d'origine del maggior numero di rifugiati, 2,7 milioni. In pratica: un rifugiato su quattro al mondo è afgano. Seguono Iraq (1,4 milioni), Somalia (1,1 milioni) e Sudan (500mila). Uno tsunami umano che tracima puntualmente nei Paese limitrofi, come dimostra il fatto che quelli che ospitano più rifugiati sono il Pakistan, l'Iran, il Kenya e il Chad. Tutti Paesi che già faticano a garantire standard di vita dignitosi ai propri cittadini. E che confermano, quindi, un altro dato preoccupante: quattro quinti dei rifugiati si trovano in Paesi in via di sviluppo, quasi la metà in economie dove il reddito pro-capite non arriva ai 3.000 dollari.
Gli effetti sull'Italia. Poi, l'effetto sull'Italia dei rivolgimenti nordafricani e mediorientali. Nonostante allarmi e allarmismi, il nostro Paese ha solo un rifugiato ogni mille abitanti, 58mila in tutto. Mentre in Francia, Regno Unito e Olanda il rapporto è di 3-4 ogni mille. Eppure, le primavere arabe fanno balzare l'Italia al quinto posto per numero di domande d'asilo: 34.000. Un incremento pazzesco: +240 per cento in un anno.
La nota positiva. La nota positiva nel rapporto annuale Unhcr esiste, e viene dalla popolazione degli sfollati. In 3,2 milioni, la cifra più alta da oltre un decennio, hanno fatto ritorno a casa. Il fenomeno è stato più evidente in Libia, dove la fine del conflitto tra gheddafisti e ribelli ha spinto 150mila cittadini fuggiti dalle bombe a fare ritorno nelle loro case abbandonate pochi mesi prima. Tendenza simile in Costa d'Avorio con la fine delle violenze politiche, che ha visto 135mila persone lasciare la Liberia per tornare a Abidjan e dintorni.
Il ritorno degli iracheni. Anche in Iraq, evidentemente, la sicurezza interna sta migliorando se i rifugiati rientrati sono stati 67mila, il doppio del 2010. Un incremento dovuto anche all'introduzione di un sussidio per i rimpatriati e al conflitto nella vicina Siria, ospite di un gran numero di rifugiati iracheni. Che, scampati a una guerra in patria, si sono ritrovati in mezzo a una nuova guerra civile.



Roma: una task force di eccellenza per la salute dei bambini di origine straniera. Firmato ieri il protocollo di collaborazione tra l’Inmp e l’Ospedale Bambino Gesù.
Le due strutture attiveranno un call center, un ambulatorio pediatrico e uno sportello di accoglienza internazionale.
Immigrazioneoggi, 19-06-2012
Un accordo di collaborazione per salvaguardare e migliorare la salute dei cittadini non italiani e delle famiglie italiane in procinto di partire verso mete lontane è stato sottoscritto ieri a Roma tra l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) e l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù.
Scopo dell’accordo – della durata di 1 anno – è rendere migliore l’accoglienza e la salute dei piccoli migranti e delle loro famiglie e di tutti i cittadini italiani e non italiani che si spostano da un’area all’altra della Terra. Un fronte comune di eccellenza e di impegno internazionale per rispondere all’alta mobilità delle popolazioni e al ritorno di malattie un tempo ritenute debellate nei Paesi avanzati, le cosiddette “malattie della povertà” (tubercolosi, malaria, colera, ecc.).
Nel dettaglio, l’alleanza tra le due strutture di eccellenza prevede l’avvio di un servizio di consulenza pediatrica grazie all’attività del call center per l’accoglienza del bambino non italiano presso lo sportello accoglienza internazionale del Bambino Gesù (06-6859.2688, inizialmente il martedì e il giovedì, dalle 12 alle 14).
L’accordo prevede anche l’apertura – una volta a settimana – di un ambulatorio pediatrico con personale del Bambino Gesù presso la sede dell’Inmp; la presa in carico da parte del Bambino Gesù dei minori appositamente segnalati dall’Inmp che necessitano di ricovero o di cure altamente specialistiche. L’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà, dal canto suo, garantirà la presa in carico delle famiglie segnalate dal Bambino Gesù i cui figli sono in cura presso la struttura pediatrica e l’organizzazione congiunta di appositi percorsi formativi nell’ambito della medicina transculturale.



Le strade dell'integrazione L'impatto con l'Italia del rifugiato
La ricerca ha analizzato i percorsi di accoglienza e i servizi per l'integrazione hanno avuto sulle capacità, sulle opportunità e le realtà di autonomia, di inserimento socio-economico e di integrazione di un target di persone in protezione internazionale, presenti in Italia da almeno 3 anni. Nello studio, sviluppato su 7 territori (Torino, Bologna, Roma, Caserta, Lecce, Badolato e Catania), si sono raccolti 222 questionari
la Repubblica, 19-06-2012
ROMA - Il Consiglio Italiano per i Rifugiati 1 (CIR) ha presentato oggi a Roma i risultati della ricerca Le Strade dell'Integrazione finanziata dal Ministero dell'Interno - Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione e dall'Unione Europea, nell'ambito del Fondo Europeo per i Rifugiati. Il progetto è stato realizzato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, dal Dipartimento di Scienze sociali della Sapienza Università di Roma, dall'Associazione Comitato per il Centro Sociale (Caserta) e dall'Associazione Xenia (Bologna). La ricerca ha analizzato l'impatto che i percorsi di accoglienza e i servizi per l'integrazione hanno avuto sulle capacità, sulle opportunità e le realtà di autonomia, di inserimento socio-economico e di integrazione di un target di persone in protezione internazionale, presenti in Italia da almeno 3 anni.
Lo studio in sette città. Nello studio, che si è sviluppato su 7 territori (Torino, Bologna, Roma, Caserta, Lecce, Badolato e Catania), si sono raccolti 222 questionari rivolti a rifugiati e titolari di protezione sussidiaria  presenti in Italia da almeno tre anni; 59 interviste in profondità a titolari di protezione internazionale e 33 interviste a operatori del settore che, a vario livello, lavorano nel settore dell'accoglienza e dell'integrazione. Si sono inoltre realizzati 7 focus group in cui si sono messi a confronto i titolari di protezione internazionale e gli operatori che hanno dialogato sui temi dell'accoglienza e dell'integrazione.
"Ancora molto da costruire". Come sottolinea Christopher Hein, direttore del CIR, "le evidenze raccolte nella ricerca ci parlano di un sistema che ha ancora molto da costruire prima di dirsi completo. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, anche grazie al Fondo Europeo, non abbiamo ancora un vero programma nazionale di integrazione. Molto spesso i rifugiati escono dai centri di prima accoglienza senza avere possibilità di accesso a percorsi di integrazione e molti percepiscono un vuoto e un'assenza di opportunità".
Un'istantanea poco confortante. I dati emersi dalla ricerca presentano una fotografia certamente non confortante sul livello di integrazione dei rifugiati nel nostro Paese. Dobbiamo ricordare che i dati quantitativi e le interviste qualitative si riferiscono a un campione statistico limitato, ma  secondo il CIR rappresentativo di una realtà molto più ampia. Dall'analisi quantitativa, i cui dati trovano un riscontro anche nelle storie raccolte attraverso le interviste qualitative, emerge che per quanto riguarda il lavoro il 44,6% degli intervistati è disoccupato, il 4% non risponde, e solo il 51,4 % risponde che ha un'occupazione.
Solo lavori dequalificati. Altro dato indicativo è che le occupazioni sono molto spesso non in linea con quella che è la pregressa esperienza personale dei rifugiati: tra i 18 laureati che hanno risposto al questionario, c'è chi fa il bracciante agricolo, chi il custode, chi distribuisce giornali, chi è muratore alcuni fanno anche gli interpreti o i mediatori. Solo uno ha un'attività in linea con la sua professione, il pediatra. Al di là del titolo di studio il 17% è operaio non specializzato, e un altro 40% del campione lavora nel settore delle pulizie, dell'assistenza domestica, dell'agricoltura, della ristorazione o del commercio. Il 75%  si dice soddisfatto del lavoro che svolge, ma con motivazioni che fanno riflettere: "perché mi consente di vivere" (27%), "perché non c'è altro" (18%), "perché mi permette di mantenere la famiglia" (16%), "perché mi permette una vita dignitosa" (9%). Ben il 22% degli intervistati lavora in nero.
Gli alloggi. Per quanto riguarda la condizione alloggiativa  il 26% condivide casa con degli amici, il 22% con altre persone, solo il 10% vive da solo e il 21.5% con il proprio nucleo familiare. Il 18% in altre condizioni: occupazioni, presso il datore di lavoro, in centri di accoglienza. Una percentuale rilevante di rifugiati, sebbene in Italia da più di 3 anni, non ha una situazione abitativa autonoma e dignitosa. Pochi quelli che sono soddisfatti della loro condizione abitativa: ben il 50% non risponde o non è soddisfatto della propria condizione abitativa. Perché? Vivono in case sporche, senza riscaldamento e in diversi casi senza acqua. Un ulteriore dato preoccupante è che sulle 222 persone che hanno risposto al questionario solo 60 hanno dichiarato di aver trascorso del tempo in uno SPRAR (27%) e 69 in un CARA (31,1%). Ovvero solo il 58% dichiara di aver trascorso un periodo nel circuito dell'accoglienza.
Potenziarelo SPRAR. E gli altri? "Questo dato si rispecchia con una realtà che come CIR vediamo sempre più spesso realizzarsi: la difficoltà di accesso a forme materiali di accoglienza. Lo diciamo chiaramente se non c'è un accesso subito a forme dignitose di accoglienza qualsiasi integrazione non può avere senso. Lo SPRAR 2 (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) deve essere fortemente potenziato. 3.000 posti non sono assolutamente sufficienti" continua Christopher Hein Direttore del CIR.
 Ciò che energe dalle interviste. Nelle interviste qualitative in molti, sia tra gli operatori che tra i rifugiati, lamentano l'assenza di un programma coordinato, l'accesso a diritti certi e servizi omogenei. "E' ormai arrivato il tempo che l'Italia investa in un programma di integrazione per i rifugiati" ha dichiarato Christopher Hein direttore del CIR. "Anche considerando il contesto economico e politico non certo favorevole, crediamo che un programma per favorire l'integrazione per i rifugiati sia un investimento dello Stato per il futuro. Parliamo infatti di persone che hanno il diritto e le capacità per diventare domani dei cittadini lavoratori che contribuiscono alle entrate fiscali e ai fondi previdenziali. Se invece vengono abbandonati e se finiscono, come succede nella maggior parte dei casi, in lavori dell'economia sommersa c'è un doppio problema: da una parte i rifugiati vengono sfruttati e si trovano senza diritti, d'altra parte non comporta alcun beneficio da parte dello Stato."
Procedure più snelle. Il CIR sottolinea come in vari progetti si sia già sperimentato che un investimento iniziale nei percorsi di integrazione destinato a favorire l'accesso all'occupazione regolare e il reperimento di un alloggio ha dei risultati sostenibili, e permette anche la ripresa di una vita normale, la possibilità di ricongiungimento coi familiari e di pianificare il proprio futuro. "Siamo convinti e possiamo dimostrarlo che una procedura d'asilo più snella, tempi più brevi per tutti gli iter burocratici e di conseguenza una durata più breve dell'accoglienza porterebbe a un'importante economia di spesa che potrebbe essere investita precisamente per sviluppare un programma di integrazione e finanziare altre soluzioni come, per esempio, un serio programma di RVA con misure di reintegrazione nei paesi di origine per richiedenti asilo che hanno avuto un diniego" conclude Hein.
In 20 mila appesi ad un filo. Infine il CIR guarda con preoccupazione al prolungarsi dell'accoglienza senza soluzioni di circa 20mila profughi che lo scorso anno sono arrivati dal Nord Africa, nei confronti dei quali il governo non ha preso alcun provvedimento nonostante numerose proposte e sollecitazioni fatte negli ultimi mesi da enti di tutela per i rifugiati in Italia. In occasione della giornata mondiale per il rifugiato il CIR ribadisce che una soluzione politica deve essere urgentemente trovata per prevenire un deterioramento anche psicologico di queste persone nella maggior parte dei casi si trovano da 15 mesi in centri di accoglienza senza avere una prospettiva per il loro futuro.



Mai più «Mare chiuso»
Il doc di Andrea Segre invade l’Italia nel giorno del Rifugiato
Il film sulle vittime dei respingimenti voluti dall’accordo Berlusconi-Gheddafi
E insieme contro la xenofobia
l'Unità, 19-06-2012
Gabriella Gallozzi
C’È UNA DOPPIA BATTAGLIA IN «MARE CHIUSO», IL NUOVO, MAGNIFICO, DOCUMENTARIO DI ANDREA SEGRE CHE OGGI, IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO, FARÀ IL GIRO DELLE PIAZZE, DELLE SCUOLE, DEI CINEMA D’ITALIA (A ROMA, TRA GLI ALTRI, AL KINO VILLAGE, ORE 21). Quella condotta dai migranti africani culminata con la storica sentenza della Corte europea per i diritti umani (23 febbraio 2012) che ha condannato l’Italia a risarcire quei rifugiati (22 per l’esattezza) respinti in Libia nel 2009 a causa dello scellerato accordo tra Berlusconi e Gheddafi. E quella che lo stesso regista, trentaseinne, conduce da anni col suo cinema: dare volto e voce all’universo dei migranti per combattere l’ondata xenofoba e i facili pregiudizi che, soprattutto negli ultimi tempi, sono diventati pericolosi strumenti di consenso politico. Una battaglia che stavolta si fa ancora più concreta con la campagna «Mai più respinti», per chiedere al nostro governo l’impegno a non fare mai più respingimenti in mare. Promossa dalla ZaLab, Open Society Foundations e Amnesty International Italia la campagna ha in Mare chiuso il suo manifesto.
Dopo aver mostrato le condizioni di schiavitù dei braccianti neri di Rosarno (Sangue verde), Andrea Segre, infatti, «torna» in Libia, da dove era partito col suo Come un uomo sulla terra, per raccontare col giornalista Stefano Liberti questo ulteriore caso di violazione dei diritti umani compiuti dal nostro governo.
IN PIENO MEDITERRANEO
Tra il maggio del 2009 e il settembre 2010 oltre duemila migranti a bordo delle carrette del mare, sono stati intercettati in pieno Mediterraneo e respinti dalla polizia e dalla marina italiane in Libia, da dove fuggivano alle violenze e alle torture del regime. Una pagina nera di cui sin qui si è saputo pochissimo. Anche perché il governo Berlusconi, con la Lega in testa, ne ha fatto una sorta di fiore all’occhiello della sua politica sulla «sicurezza». Fa gridare vendetta ancora oggi come mostra Mare chiuso il volto plastificato dell’ex premier mentre spiega al popolo come i «respinti» non siano gente che sfugge alle guerre e alla miseria, ma persone scelte ad hoc da organizzazioni criminali con mire sull’Italia. Eccoli, infatti, questi «pericolosi criminali» ai quali Segre dà la parola. Sono loro, infatti, a ricostruire in prima persona questa storia. Compresa la «vittoria» al tribunale di Strasburgo. Molti di loro si sono rifugiati nel campo Unhcr di Shousha in Tunisia, all’indomani dello scoppio della guerra in Libia. E da qui raccontano, per la prima volta, cosa ha significato essere stati respinti ed essere finiti lì, in mezzo al deserto dopo aver subito le violenze delle galere di Gheddafi. Sono racconti carichi di emozione, contagiosi. Tanti testimoni e tante storie che ti inchiodano. Che resti lì ad ascoltare quasi con la suspense di un giallo.
Una donna col suo bambino comincia il racconto di quel viaggio della speranza. Una carretta come tante, la confusione, gente accalcata, ragazze incinte, bambini, la paura, la mancanza di cibo ed acqua. Il racconto si fa immagine grazie a un documento straordinario «rubato» col cellulare da uno dei tanti passeggeri. Poi l’imbarcazione si rompe. Bloccati in mezzo al mare. Lanciano l’allarme. Arriva prima un elicottero dell’esercito italiano, poi una nave della marina. I racconti dei testimoni parlano a questo punto di «pericolo scampato». Quasi un sospiro di sollievo collettivo. «Il sogno italiano che si avvera». Le donne i bambini vengono fatti salire per primi, seguiti dagli uomini. «In principio gli italiani ci si rivolgevano in inglese», dice qualcuno. Poi arrivano i primi soccorsi ma ad un tratto una telefonata cambia tutto. È sempre la donna col bambino a raccontare: «Gli italiani hanno cambiato espressione, non ci parlavano più inglese ma facevano finta di non capire quando chiedevamo acqua, cibo». Via i documenti dalle loro tasche in cambio di numeri messi intorno al collo. Poi strattoni, maltrattamenti, ferite. Senza dare nessuna spiegazione la nave fa dietro front e torna a Tripoli. C’è ancora a chi spuntano le lacrime ricordando quel momento. E più di uno non è più qui a raccontare, morto dietro le sbarre della galera libica dove sono finiti d’ufficio tutti i «respinti». Mare chiuso però ha comunque il suo happy end: la sentenza della corte dei diritti umani di Strasburgo contro l’Italia che fa da cornice all’intero film. Un film, appunto, per dire «mai più».



Rifugiati e Darfur, tutte le cose da ricordare nella Giornata mondiale dei richiedenti asilo
Sit in e conferenza al Senato la mattina. Alle 20 concerto e mostra "Volti e colori del Darfur" al Colosseo. Grazie all'impegno di Italians for Darfur 1. All'iniziativa hanno aderito Articolo 21 2, Unione giovani ebrei italiani 3, Artisti socialmente utili 4 ed Electronic Art Café
la Repubblica,019-06-2012
ROMA - Anche quest'anno si celebra in tutto il mondo la Giornata per il rifugiato che sarà concomitante con il Global Day for Darfur 2012, dedicato alla crisi in atto nella regione sudanese dal febbraio 2003 e che dal 2007 viene ricordata anche in Italia, grazie all'impegno di Italians for Darfur 5, associazione Onlus di cui fanno parte giornalisti, operatori umanitari ed esponenti della società civile. All'iniziativa hanno aderito Articolo 21 6, Unione giovani ebrei italiani 7, Artisti socialmente utili 8 ed Electronic Art Café di Achille Bonito Oliva e Umberto Scrocca.
Quest'anno l'evento ha una valenza ancor più importante, visto l'inasprimento della situazione sul campo e il rischio di peggioramento del conflitto dopo l'indipendenza del Sud Sudan, con conseguenze disastrose sul piano umanitario.
Lo spettacolo. Per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, il presidente della Repubblica e i presidenti di Camera e Senato hanno già inviato messaggi di sostegno all'iniziativa, per l'intera giornata del 20 Italians for Darfur e i rifugiati sudanesi e congolesi manifesteranno e daranno vita a momenti di approfondimento e di spettacolo con artisti di fama nazionale e internazionale. Il programma prevede un sit - in e una conferenza al Senato della Repubblica, alle ore 11, con Niemat Ahmadi, sopravvissuta del Darfur divenuta simbolo della campagna americana "United for End Genocide 9", di cui Italians for Darfur è promotrice dall'inizio con Save Darfur Coalition 10, sostenuta da George Clooney.
L'evento al Colosseo. Alle 14, la presidente dell'associazione, Antonella Napoli, sarà in audizione in Commissione Diritti Umani con UNHCR 11, AMNESTY 12 e altri rappresentanti di rifugiati e organizzazioni per i diritti umani. Infine, alle 20, prenderà il via la serata  -  evento al Colosseo con il concerto di Tony Esposito e Mark Kostabi, testimonial della campagna 2012. Opening act il cantautore Frail, esibizione offerta dalla radio ufficiale dell'evento, Radio Manà Manà. All'iniziativa sono collegati un libro e la mostra 'Volti e colori del Darfur', di cui è curatrice la stessa Napoli, allestita nell'area antistante l'Arco di Costantino.    

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