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Attualità : Rifugiati in Italia da almeno 3 anni: solo il 51% ha un’occupazione
(22/06/12)

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati ha realizzato una ricerca per indagare il livello di integrazione dei rifugiati in Italia. Ne emerge un quadro non confortante: sui quasi 300 protetti internazionali intervistati solo il 51,4% ha un lavoro, nella maggioranza dei casi non in linea con l’esperienza formativa e professionale pregressa, e il 18% vive in condizioni di disagio quali stabili occupati o centri di accoglienza.

La ricerca “Le Strade dell’Integrazione”, finanziata dal Ministero dell’Interno e dalla Commissione Europea nell’ambito del Fondo Europeo per i Rifugiati, è stata realizzata da CIR, Dipartimento di Scienze Sociali della Sapienza Università di Roma, Associazione Comitato per il Centro Sociale di Caserta e Associazione Xenia di Bologna. E’ stato analizzato l’impatto che i percorsi di accoglienza e i servizi per l’integrazione hanno sulle capacità, sulle opportunità e le realtà di autonomia, di inserimento socio-economico e di integrazione di un target di persone in protezione internazionale presenti in Italia da almeno 3 anni. I territori interessati sono stati Torino, Bologna, Roma, Caserta, Lecce, Badolato e Catania, dove sono stati raccolti in totale 222 questionari rivolti a rifugiati e protetti sussidiari, 59 interviste in profondità svolte a rifugiati e 33 interviste a operatori del settore.

Dalla lettura dei dati emerge un quadro non del tutto confortante. Del campione intervistato, il 44,6% è disoccupato e solo il 51,4% ha un lavoro. Di questi ultimi, la maggioranza non svolge occupazioni in linea con i percorsi professionali pregressi: tra i 18 laureati che hanno risposto al questionario, c’è chi fa il bracciante agricolo, chi il custode, chi distribuisce i giornali, chi è muratore, alcuni fanno gli interpreti o i mediatori. Solo una persona svolge un’attività in linea con la sua professione, il pediatra. Al di là del titolo il 17% è operaio non specializzato, il 40% lavora nel settore delle pulizie, dell’assistenza domestica, della ristorazione o del commercio. Il 75% si dice soddisfatto del lavoro che svolge, ma con motivazioni che fanno riflettere: “perché mi consente di vivere” (27%), “perché non c’è altro” (18%), “perché mi permette di mantenere la famiglia” (16%), “perché mi permette una vita dignitosa” (9%). Ben il 22% degli intervistati lavora in nero.

Per quanto riguarda la condizione alloggiativa, il 26% condivide casa con degli amici, il 22% con altre persone, solo il 10% vive da solo e il 21.5% con il proprio nucleo familiare. Il 18% in altre condizioni: occupazioni, presso il datore di lavoro, in centri di accoglienza. Una percentuale rilevante di rifugiati, sebbene in Italia da più di 3 anni, non ha una situazione abitativa autonoma e dignitosa. Pochi quelli che sono soddisfatti della loro condizione abitativa: ben il 50% non risponde o non è soddisfatto della propria condizione abitativa. Perché? Vivono in case sporche, senza riscaldamento e in diversi casi senza acqua. Un ulteriore dato preoccupante è che sulle 222 persone che hanno risposto al questionario solo 60 hanno dichiarato di aver trascorso del tempo in uno SPRAR (27%) e 69 in un CARA (31,1%). Ovvero solo il 58% dichiara di aver trascorso un periodo nel circuito dell’accoglienza.

Le Strade dell’Integrazione

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