11 luglio 2012

Gommone dalla Libia 54 morti, un superstite  «Alla deriva senz'acqua per 15 giorni»
Corriere della sera, 11-07-2012
Alfio Sciacca
«Ho visto morire i miei compagni uno alla volta, tra loro anche tre miei parenti. Io mi sono salvato aggrappandomi ad una tanica del carburante sulla quale ho continuato a vagare per giorni». Dal letto dell'ospedale di Zarzis, in Tunisia, un giovane eritreo racconta la sua odissea che è anche la storia dell'ultima tragedia della disperazione. Quando forse ci si illudeva che quest'estate potesse essere archiviata come una delle più tranquille sul fronte dell'emergenza immigrazione è successo ancora. E il bilancio è pesantissimo. Stando al racconto dell'unico superstite, in mare sarebbero morte 54 persone, in gran parte somali ed eritrei, partite dalla Libia e dirette in Italia, La meta l'avevano anche avvistata ma sarebbero state risucchiate dalle correnti ritornando in mare aperto. Stando al racconto del giovane eritreo che a Zarzis ha incontrato i funzionari dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) la partenza risalirebbe a fine giugno. «Nei pressi di Tripoli ci siamo imbarcati su un gommone — ha raccontato il giovane — e già alla partenza abbiamo capito che sarebbe stata durissima. Ci hanno consentito di portare a bordo solo alcune bottiglie d'acqua e dei biscotti. Molti sono morti ancor prima che il gommone andasse a fondo. Molti, compreso io, per la disperazione abbiamo cominciato a bere l'acqua del mare. Ma non tutti hanno resistito. Eppure pensavamo di avercela fatta». Poi la beffa. Quasi in prossimità delle coste italiane, forse di Lampedusa, i migranti hanno perso il controllo del natante che è rimasto in balia delle correnti, vagando nel Canale di Sicilia per almeno 15 giorni. «Poi il gommone si è sgonfiato e siamo finiti in mare — ha riferito il superstite —. Io sono riuscito a salvarmi per fortuna: ho visto una tanica di carburante alla quale mi sono aggrappato». Il giovane sarebbe rimasto in balìa del mare ancora per giorni fino a che non è stato intercettato da una motovedetta dalla Guardia costiera tunisina. Questo è avvenuto tre giorni fa. Ora è ricoverato in ospedale molto disidratato e con ustioni su tutto il corpo. I dirigenti dell'Unhcr che hanno ascoltato la sua testimonianza la ritengono credibile. Sanno benissimo che centinaia di somali ed eritrei premono sulle coste libiche per tentare di prendere il mare verso l'Italia. «E' una vera tragedia» afferma Alexander Aleinikoff, vice Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, tenendo a ricordare che «dall'inizio dell'anno ad oggi circa 1.300 persone sono giunte via mare in Italia dalla Libia e si stima che quest'anno siano già 170 le persone morte o disperse in mare nel tentativo di raggiungere l'Europa». E un richiamo forte arriva dal portavoce dell'Unhcr Laura Boldrini che si rivolge agli uomini di mare. «Questa tragedia testimonia drammaticamente quanto sia necessario un maggiore e più efficiente coordinamento tra gli stati per il soccorso in mare. Abbiamo la sensazione che troppo spesso si preferisca non vedere». E ancora: «Mi chiedo come si può con un mar Mediterraneo che è crocevia del traffico di navi e pescherecci che nessuno si accorga di un barcone in avaria per giorni? Bisogna tornare a sentire forte il richiamo della legge del mare che impone di prestare immediatamente aiuto a chi è in difficoltà». Per l'Unhcr l'emergenza immigrazione non si può considerare archiviata, e occorre attrezzare Lampedusa per tornare ad esser «porto sicuro» in modo da gestire eventuali nuovi flussi migratori.


 



«Partiti dalla Libia, un’odissea di 15 giorni»
Profughi, 54 corpi in mare «Sono morti uno ad uno»
L’unico sopravvissuto: «Si sono spenti uno ad uno, uccisi dalla sete»
Erano tutti eritrei, diretti in Sicilia a bordo di un gommone che si stava sgonfiando
La denuncia dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati: altri 50 sono ancora alla deriva
l'Unità, 11-07-2012
Emidio Russo
Erano rimasti senz’acqua, a bordo di un gommone in pessime condizioni. Stavano tentando disperatamente di raggiungere le coste della Sicilia. Sono morti in 54, «si sono spenti uno dopo l’altro», come racconta l’unico superstite all’Alto Commissariato Onu per i rifugiati.
«Sono morti uno ad uno. Di sete. I venti ci hanno spinto lontani, proprio mentre ci stavamo avvicinando alle coste italiane». È sempre più cimitero Mediterraneo. Una nuova strage in mare nel nostro mare: ci sarebbero almeno 54 cadaveri tra le coste libiche e quelle italiane. Profughi morti nel tentativo di giungere in Italia fuggendo dalla Libia. La denuncia arriva dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), che ha raccolto la testimonianza di un unico superstite: si tratta di un cittadino eritreo, che ha raccontato che erano in 55 ad essersi imbarcati in Libia. Un racconto terribile, una discesa agli inferi in nome delltazione dopo un calvario durato almeno quindici giorni. Come si legge in un comunicato diffuso dallo stesso Unhcr, alcuni pescatori hanno avvistato l’uomo due notti fa a largo delle coste tunisine e hanno allertato la Guardia Costiera tunisina che ha soccorso il superstite.
L’uomo è stato immediatamente portato all’ospedale di Zarzis dove è ricoverato per assideramento e disidratazione. Operatori dell’Unhcr hanno incontrato in ospedale il sopravvissuto che ha dichiarato di esser partito da Tripoli a fine giugno. Dopo un giorno di navigazione l’imbarcazione sarebbe giunta in prossimità della costa italiana ma i forti venti l’avrebbero spinta indietro. Nel giro di pochi giorni il gommone ha iniziato a sgonfiarsi. In base alla testimonianza del sopravvissuto non c’era acqua a bordo ed i passeggeri avrebbero iniziato a morire di disidratazione.
Molti, compreso il superstite, hanno bevuto acqua marina. L’uomo è stato soccorso mentre era aggrappato a resti dell’imbarcazione ed una tanica. Secondo quanto riportato dall’uomo circa la metà dei deceduti erano di nazionalità eritrea, compresi tre suoi parenti.
L’ONDA UMANA
Dall’inizio dell’anno ad oggi circa 1.300 persone sono giunte via mare in Italia dalla Libia. Un’imbarcazione con 50 fra eritrei e somali è tuttora in mare aperto dopo che ieri l’altro i passeggeri hanno rifiutato il soccorso delle forze armate maltesi. Nel 2012 fino ad ora sono giunte a Malta circa mille persone, in 14 sbarchi. Altre due imbarcazioni sono state intercettate dai maltesi ma hanno continuato il loro viaggio verso l’Italia. L’Unhcr stima che quest’anno siano circa 170 le persone morte o disperse in mare nel tentativo di giungere in Europa dalla Libia.
Sotto accusa, però, non è soltanto la povertà in Eritrea e la guerra civile di fatto che imperversa in Libia, che spinge migliaia di persone a cercare disperatamente fortuna a queste sponde del Mare nostrum. Nel mirino c’è l’incaopacità di affrontare il tema dei grandi flussi migratori con politiche di lungo respire. Proprio di questo ha parlato ieri anche il ministro Andrea Riccardi. «Vogliamo lavorare sul Mediterraneo non solo con interventi emergenziali, ma con una politica complessiva di sicurezza. Le recenti elezioni in Libia ci fanno ben sperare in un governo stabile con cui parlare. Lavoriamo con la Tunisia, con il Marocco e io mi sono recato in Niger».Così ha detto il titolare della Cooperazione Internazionale Riccardi, che ha incontrato al suo arrivo a Mazara del Vallo (Trapani) il vescovo Domenico Mogavero, il prefetto di Trapani Marilisa Magno, il vicesindaco mazarese Pietro Ingargiola e le autorità militari locali. Dopo una visita alla Casa della Comunità speranza delle suore francescane missionarie di Maria, che fanno corsi per bambini stranieri, e alla casbah della città, il ministro è andato al porto nuovo per incontrare una rappresentanza degli equipaggi dei tre pescherecci mazaresi sequestrati dalle milizie libiche a Bengasi con l’accusa di aver operato in acque territoriali libiche e rilasciati la scorsa settimana. Riccardi è salito a bordo di uno dei motopesca e da lì ha lanciato in acqua una corona di alloro in ricordo delle vittime del mare, mentre le barche suonavano le loro sirene. E ancora non sapevano della nuova strage a pochi chilometri di distanza.



Barcone alla deriva «In 54 morti di sete»
Avvenire, 11-07-2012
Bice Benvenuti
Nuova strage sulle vie dell’immigrazione. Sarebbero 54 le persone decedute nel tentativo di giungere via mare in Italia dalla Libia. È quanto appreso dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati. Secondo quanto riportato dall’unico superstite, un cittadino eritreo, 54 persone, imbarcate dalla Libia, sarebbero morte di disidratazione dopo un calvario durato 15 giorni.
«È una vera tragedia – ha osservato Alexander Aleinikoff, vice Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati – 54 persone sono morte». Alcuni pescatori hanno avvistato l’uomo nella notte tra domenica e lunedì, al largo delle coste tunisine e hanno allertato la Guardia costiera del Paese africano che ha soccorso il superstite. L’uomo è stato portato all’ospedale di Zarzis dove è ricoverato per assideramento e disidratazione. Operatori dell’Acnur hanno incontrato il sopravvissuto che ha dichiarato di esser partito da Tripoli a fine giugno.
Dopo un giorno di navigazione, l’imbarcazione sarebbe giunta in prossimità della costa italiana ma i forti venti l’avrebbero spinta indietro. Nel giro di pochi giorni il gommone ha iniziato a sgonfiarsi. In base alla testimonianza del sopravvissuto non c’era acqua a bordo ed i passeggeri avrebbero iniziato a morire disidratati. Molti, compreso il superstite, hanno bevuto acqua marina. L’uomo è stato soccorso mentre era aggrappato a resti dell’imbarcazione e a una tanica. Secondo quanto raccontato dall’uomo, circa la metà dei deceduti erano di nazionalità eritrea, compresi tre suoi parenti. «Mi appello ai comandanti delle imbarcazioni nel Mediterraneo affinché prestino la massima attenzione a possibili casi di migranti e rifugiati in difficoltà che necessitano di essere soccorsi», ha detto Aleinkioff. E commentando l’ultimo dramma del mare, il ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi, ha detto che questa «gravissima tragedia interpella tutti i Paesi d’Europa e quelli che si affacciano sul Mediterraneo: occorre rafforzare il dialogo e le politiche di cooperazione con i Paesi della sponda sud, specie con i nuovi governi nati o che stanno nascendo dopo la primavera araba. Il Mediterraneo deve tornare ad essere un mare sicuro per tutti».
Ma in queste ore, al largo del Mediterraneo, si starebbe consumando un’altra tragedia. Un’imbarcazione con 50 persone - eritrei e somali - è «in mare aperto dopo che lunedì i passeggeri hanno rifiutato il soccorso maltese». È sempre l’Acnur a renderlo noto in coda allo stesso comunicato. Ma sulla vicenda gli stessi funzionari dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati ammettono di non avere informazioni più dettagliate. Ignota la provenienza della seconda imbarcazione. Ignota la sua rotta. Ancora a tarda sera, nessuna segnalazione neppure da parte della Guardia costiera. E a questo punto si teme il peggio. Oggi le ricerche riprenderanno, Ma occorre fare presto perché il gran caldo rende ancora più problematica la permanenza in mare senza attrezzature adegiate. Da inizio anno sono giunte a Malta circa 1.000 persone, in 14 sbarchi. Altre due imbarcazioni sono state intercettate dai maltesi ma hanno continuato il viaggio verso l’Italia.

 

Immigrazione, sbarchi al Sud
Oltre settanta persone
ANSA, 11-07-2012
CATANIA  - Proseguono gli sbarchi di migranti sulle coste del Sud Italia.
Nel Siracusano: un gommone e' stato segnalato, ieri, da un guardacoste veloce del gruppo aeronavale della guardia di finanza di Messina a 60 miglia a sud di Portopalo di Capo Passero.Si tratta del terzo sbarco di migranti in tre giorni. Le 51 persone a bordo del natante, (39 uomini 11 donne e una bambina di circa 3 anni), sono state trasbordate sull'imbarcazione delle fiamme gialle. Il convoglio e' arrivato nella notte nel porto di Pozzallo.
Una barca a vela con a bordo 25 immigrati di nazionalità siriana, poi, é stata trovata incagliata la notte scorsa vicino alle coste reggine della Calabria da una motovedetta della guardia di finanza. I migranti, tra i quali 12 donne, due delle quali incinte ed una ultraottantenne, e 4 bambini, sono stati trasbordati sulla motovedetta e condotti a Roccella Ionica. Le loro condizioni sono buone e sono ospitati in una struttura del Comune.



Sicilia, Puglia e Calabria ora tutto il Sud è sotto assedio
Gli sbarchi evitano Lampedusa: ecco le nuove rotte
la Repubblica, 11-07-2012  
VLADIMIRO POLCHI
ROMA — La notte del 9 luglio trenta pachistani sono sbarcati sulle coste pugliesi. Li ha soccorsi la Guardia di finanza mentre percorrevano a piedi la litoranea di Santa Maria di Leuca. Lo stesso giorno nel siracusano l'equipaggio di un guardacoste veloce del gruppo aeronavale della guardia di finanza di Messina ha soccorso un gommone a circa 30 miglia a sud di Portopalo di Capo Passero: a bordo 62 migranti, 51 maschi e 11 donne, di provenienza sub sahariana. Sono gli Ultimi arrivi del 2012. Da un paio di settimane, infatti, non passa giorno senza che si registri un nuovo sbarco. Il bilancio? Quattromilacinquecento arrivi dall'inizio dell'anno. La novità? Cambiano le coste di approdo: Lampedusa è fuori gioco, Puglia, Calabria e Sicilia si dividono ora le nuove "rotte della speranza".
L'Italia ha chiuso il bilancio del 2011, l'annushorribilis degli sbarchi (dopo la contrazione registrata nel biennio 2009/2010), con ben 62mila migranti arrivati sulle nostre coste. Il timore è che il 2012 porti una nuova ondata di arrivi, anche per il crollo del muro dei re- spingimenti in mare, dovuto alla bocciatura dell'accordo italo-libíco da parte della Corte europea dei diritti umani (accordo rinnovato dall'attuale governo, con la promessa però di rinunciare ai respingimenti). A lanciare l'allarme di nuovi sbarchi è stata l'ultima relazione dei servizi segreti al Parlamento: con il persistere della crisi in Nord Africa c'è il rischio di «una riattivazione delle direttrici verso la Sicilia e la Sardegna, oltre a un consolidamento delle rotte egiziane e mediorientali verso Calabria e Puglia». Lo stesso ministro degli Esteri libico, Ashour Bin Khayal, nella sua recente visita a Roma ha avvertito il governo italiano: «Sul confine di Egitto e Libia sono in arrivo diversi flussi di immigrati africani ea nche se per ora non si tratta di grandi numeri temiamo un aumento. La situazione al momento non è cosi grave, ma gli indicatori mostrano che le cose potrebbero peggiorare».
Ma finora gli sbarchi del 2012 non giustificano gli allarmismi. «Non è in corso alcuna emergenza, siamo di fronte a numeri dei tutto fisiologici di arrivi via mare— avverte Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Unhcr — circa 4.500 persone di fronte alle 45mila del primo semestre 2011. Oggi le rotte partono per lo più da Grecia, Turchia, Egitto, Tunisia e Libia. Da quest'ultimo Paese quest'anno sono sbarcate in Italia 1,300 persone, per lo più somali ed eritrei bisognosi di protezione internazionale». E continua: «A differenza dello scorso anno i nuovi flussi sono più distribuiti tra Sicilia, Puglia e Calabria. Lampedusa è fuori dalle rotte, anche perché dichiarata "porto non sicuro" da un'ordinanza che chiediamo da tempo che sia revocata. La rotta verso la Puglia è quella più cresciuta quest anno, con arrivi anche via traghetto, di pachistani e afgani. Ma ripeto: nessun all arme. Oggi i 4/5 dei rifugiati vivono nel sud del Mondo. Sono appena tornata da un campo in Kenya. Ebbene: ci vivono 500mila persone. È la terza città del Paese. Ê li l'emergenza>>.



Nel 2011 oltre 170 mila stranieri in più tra gli occupati. Fornero: “anche per gli immigrati benefici dalla riforma del lavoro”.
Il Ministero del lavoro ha presentato il Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati. Gli occupati italiani sono diminuiti di 75 mila unità. Per gli immigrati più contratti a tempo indeterminato. In aumento la richiesta di lavoratori qualificati.
Immigrazioneoggi, 11-07-2012
Nell’ultimo anno gli occupati stranieri, comunitari e non, sono aumentati di circa 170mila unità, nonostante la crisi, contro una riduzione degli occupati italiani di ben 75 mila unità, ma il tasso d’occupazione per italiani e stranieri resta negativo.
È quanto rileva la seconda edizione del Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati presentato ieri dal Ministero del lavoro.
Nonostante il periodo difficile per il mondo del lavoro, spiega il rapporto, gli occupati comunitari ed extracomunitari hanno conosciuto un incremento in termini assoluti equivalente rispettivamente di +42.780 e +127.419 unità. Un dato che rispecchia l’andamento degli ultimi tre anni, dove “il numero di occupati a livello generale ha conosciuto nel caso degli italiani, un decremento costante pari a -1,6% punti nel 2010 e a -0,4 punti percentuali nel 2011. Nettamente difforme la variazione tendenziale osservata nel caso dei cittadini stranieri. Per la componente Ue si registrano un +16,3% nel 2010 e un +6,1% nel 2011; nel caso degli extracomunitari l’andamento è ugualmente positivo ma con dinamica crescente, passando da +6,6% del 2010 a 9,2% del 2011”.
Una dinamica che però appare difforme se si guarda il tasso di occupazione. “L’indicatore in questione – spiega il rapporto – per l’arco temporale considerato presenta performance sostanzialmente negative per tutte e tre le componenti analizzate. La mancanza di sincronicità tra le dinamiche del tasso di occupazione e del numero di occupati è spiegabile in ragione del fatto che, nel caso degli stranieri, la popolazione è cresciuta ben più del numero dei lavoratori (nell’ultimo anno i cittadini Ue di 15 anni e oltre sono aumentati di quasi 9 punti e gli extra Ue di quasi 10) e questo ha dato luogo ad una diminuzione del tasso di occupazione nel triennio 2009-2011”.
Tra gli stranieri, rileva il Rapporto, vi è una maggiore diffusione di contratti a tempo indeterminato rispetto agli italiani. Nel 2011, infatti, i rapporti di lavoro avviati per gli immigrati sono, nel 18% dei casi, contratti a tempo indeterminato. Tra i lavoratori stranieri di provenienza Ue la quota di contratti definitivi è pari al 22% del totale e tra i lavoratori extracomunitari sale al 39%. La differenza è ancora più marcata considerando il genere: se in media i rapporti di lavoro sottoscritti dalle donne italiane sono nel 17% dei casi a tempo indeterminato, per le colleghe straniere la percentuale sale al 29% e al 48% per le extracomunitarie.
I settori di maggior domanda di lavoro sono l’agricoltura (32,3% del totale), le costruzioni (27,9%), l’industria in senso stretto (20,8%), e i servizi alla persona (16,1%) i quali, focalizzandosi solo sugli extracomunitari, raccolgono più del 60% del totale. La domanda è superiore al nord del Paese rispetto a centro e sud. Da segnalare anche il fattore che, secondo il rapporto, c’è una crescita della domanda di lavoro qualificato: nel 2011 ha infatti superato quella del lavoro non qualificato.
“Solo un’attenta analisi del fenomeno – ha detto il ministro Elsa Fornero, presentando il Rapporto – permette di mettere a punto strumenti efficaci per migliorare le nostre politiche di gestione dei flussi e di organizzazione del mercato del lavoro. È cruciale conoscere l’andamento della domanda e dell’offerta di lavoro e speriamo che gli effetti della riforma, che tocca anche gli immigrati, riguardino anche questi aspetti”.



Web libero in biblioteca per riavvicinare le madri ai figli rimasti in patria
Un modo per alleviare un dramma nascosto
la Repubblica, 11-07-2012
ZITA DAZZI
TRE milioni di emigrati, un milione di orfani bianchi. Bambini che rimangono in Romania, lontani dai genitori, affidati a nonni o altri parenti, in un'attesa che può durare mesi o anni, prima che il ritorno o la visita di mamma e papa diventi realtà. Solo nella città di Milano sono 12.900 i romeni iscritti all'anagrafe,quasi la metà è composta da donne e molte di queste sono anche madri. Dati precisi sulle mamme romene non ce ne sono, ma se le stime dell'Ismu sono vere, i due terzi delle donne straniere in Lombardia ha almeno due figli e di queste una su tre non ha modi di portarli in Italia. Per tentare di alleviare la sofferenza dei bambini rimasti in Romania, il Comune di Milano ha deciso di aprire le porte delle biblioteche attrezzate con computer e collegamento via Skype, mettendo le postazioni a disposizione delle mamme che possono cosi chia- mare i figli, parlare con loro con regolarità e anche vederli. Per quanto una comunicazione mediata dall'mformatica possa difficilmente essere sostitutiva di un contatto diretto, è la prima volta che un progetto del genere viene promosso e sostenuto da una pubblica amministrazione. La delibera digiunta firmata dagli assessori alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, e alla Cultura, Stefano Boeri, è stata approvata nelle scorse settimane e il progetto «Te Iubeste Mama» («La mamma ti vuole bene» in romeno) è partito, per ora in via sperimentale, nelle biblioteche rionali del Gallaratese (via Quarenghi 21), di Baggio (via Pistoia 10), di Crescenzago (via Don Orione 19) e di San Cristoforo (via Fra Cristoforo 6), che a turno un pomeriggio alla settimana garantiscono dalle 14 alle 16 l'accesso libero e gratuito alle postazioni Internet connesse via Skype con la Romania. L'idea è dell'Associazione donne romene in Italia e dell'Associazione romeni in Italia, col patrocinio del Consolato della Romania e dell'Associazione italiana biblioteche, la realizzazione concreta del settore Biblioteche del Comune e del loro direttore Aldo Pirola.
«È un progetto che abbiamo pensato per aiutare le mamme del nostro Paese, che sempre più spesso devono partire, spinte da una necessita economica, per mandare avanti l'intera famiglia, lasciandosi alle spalle i figli ancora piccoli. Questo distacco provoca un grande dolore, sia a loro, sia ai figli — spiega Silvia Dumitrache, presidente dell'Associazione delle donne romene in Italia—. È un dramma non molto conosciuto e l'attesa di un ricongiungimento è spesso molto lunga, perché chi viene qui per cercare motivi di lavoro non può portarsi i figli, se vuole lavorare. Bisogna aiutare queste donne a non perdere il contatto con i loro bambini, che possono avere danni psicologici molto forti per la lontananza dei genitori». Il problema è nazionale, viste le dimensioni del fenomeno migratorio dalla Romania, che da quando è entrata a far parte dell'Unione Europea ha visto partire centinaia di migliaia di persone, disperate per la mancanza di lavoro in patria. Le donne quasi tutte finiscono a lavorare come assistenti familiari, occupandosi dei bambini italiani, dopo aver lasciato i propri ai nonni. Un dramma che ora si cerca di ammorbidire nelle biblioteche milanesi.

La mappa dei luoghi che accolgono gli immigrati
DIECI esplorazioni dei primo approdo a Milano, cento «mappe» topografiche con le schede che descrivono i sopralluoghi nei «punti cardine» degli immigrati al loro arrivo in città. Dormitori, docce, guardaroba, mense, ambulatori, ma anche rifugi di fortuna, punti di ritrovo, quasi un vademecum deiluoghi attraverso i quali i migranti rimbalzano nei primi tempi dopo il loro sbarco nella metropoli, alla ricerca di un aiuto per trovare una casa stabile e un lavoro per sostentarsi. Un lavoro durato mesi e diventato un libro, accompagnato da un video racconto su alcuni di q uesti spazi e che dà voce ad alcuni dei cento stranieri di 41 nazionalità diverse intervistati per costruire l'indagine.
È questo il soggetto di una tesi di dottorato in Governo e progettazione del territorio di Nausica Pezzoni,41 anni, laureata alla facoltà di Architettura del Politecnico, che ha presentato il suo lavoro anche all'assessore alle Politiche sociali del Comune, Pierfrancesco Majorino e al suo staff, in vista della creazione dell'Immigration center. «Penso sia utile sapere quali sono i servizi di primo accesso ai migranti della città, i centri a cui rivolgersi per lavarsi, vestirsi, curarsi chiedere notizie, in un "abitare transitorio" che costruisce un'immagine di città diversa per ogni persona che stia cercando di orientarvisi», spiega la ricercatrice. Non è escluso che tutto il lavoro fatto dalla Pezzoni possa essere alla base della mappatura dei servizi rivolti agli stranieri che il Comune progetta, mentre sviluppa il grande centro dove concentrare tutte le risorse e le informazioni rivolte al mondo dell'immigrazione. «La città che emerge dalla mia ricerca — conclude Pezzoni—è una sintesi della città che "include", quella che "mette in relazione", ciò che attrae e i confini della città che "divide"».



Genitori ai clan: "Via bimbi rom da scuola" incendiati campo nomadi: 18 arresti
Raid incendiari sollecitati dalle famiglie del quartiere. Il rogo risale al dicembre del 2010. Tra le accuse l'aggravante dell'odio razziale
la Repubblica, 10-07-2012
Hanno chiesto ai clan di 'cacciare' i rom dalla zona, perché non volevano che i loro bambini frequentassero la stesso scuola dei loro figli. E' questo, secondo le indagini della procura di Napoli il movente dei raid incendiari avvenuti nell'accampamento di via Gianturco nel dicembre del 2010. Aggressioni "vili e feroci" come li definisce il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo che hanno portato oggi all'arresto di 18 persone appartenenti al clan camorristico Casella-Circone attivo nell'area orientale di Napoli, in un'operazione congiunta di carabinieri e polizia.
I REATI Sono ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione e danneggiamento seguito da incendio, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di odio razziale.
L'iniziativa sarebbe partita da alcuni genitori del quartiere che, dopo avere fatto invano pressioni sul capo d'istituto perché allontanasse i piccoli nomadi, avevano pensato di ricorrere alle maniere forti rivolgendosi ai boss di zona. Le indagini, scattate in seguito  alla denuncia di due nomadi, hanno documentato anche gli affari illeciti del clan, soprattutto estorsioni a imprenditori del, identificato personaggi dediti alla ricettazione e al riciclaggio di auto rubate.
LA TESTIMONIANZA "Parcheggiarono
lo scooter e dopo essere scesi uno di loro si avvicinò a mia moglie Mariana riferendo con fare minaccioso queste frasi: 'Qua nel rione non dovete mandare più i vostri figli a scuola. Se li volete far studiare li dovete mandare lontano da quì'. Queste frasi vennero proferite in dialetto napoletano e durante la conversazione lo sconosciuto interlocutore si guardava intorno e gesticolava in modo teatrale per farsi notare dai compagni del campo". E' un brano della deposizione fatta ai carabinieri da Costel Costantin, il nomade rumeno che, assieme alla moglie Mariana Octavian, ha consentito di ricostruire l'incendio appiccato nel dicembre del 2010 nell'accampamento di via Gianturco.
GLI ELOGI DEL GIP La decisione dei coniugi Constantin di collaborare alle indagini viene elogiata dal gip Egle Pilla, che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare su richiesta del pm Vincenzo D'Onofrio. L'incendio doloso è contestato a quattro indagati: Domenico Casella, Alfonso Di Giovanni, Emanuele Virente e Maurizio Virente. Ascoltato dai carabinieri della compagnia di Poggioreale, Costel Costantin fa una premessa: "Da circa nove anni abbiamo lasciato la Romania per vivere nel vostro Paese e cercare un po' di fortuna. Se non ricordiamo male, all'inizio dell'anno 2009 ci trasferimmo definitivamente presso il campo nomadi di via Gianturco conducendo la nostra vita in modo regolare e senza avere mai problemi con nessuno. Non era il nostro caso in quanto i nostri figli avevano frequentato la scuola in Romania, ma gli altri connazionali hanno sempre cercato di rispettare le leggi e quindi di mandare i figli a scuola. Naturalmente questi bambini vennero iscritti presso la scuola vicina al campo nomadi".
IL RAID Fu proprio questo che i clan non tollerarono: il 2 dicembre 2010 le minacce più volte fatte ai nomadi vennero messe in atto e l'accampamento fu dato alle fiamme.In 50 (eritrei e somali) sono ancora in mare. Dall'inizio dell'anno ad oggi circa 1.300 persone sono giunte via mare in Italia dalla Libia. Un'imbarcazione con 50 fra eritrei e somali è tuttora in mare aperto dopo che ieri i passeggeri hanno rifiutato il soccorso delle Forze Armate Maltesi. Nel 2012 fino ad ora sono giunte a Malta circa 1.000 persone, in 14 sbarchi. Altre due imbarcazioni sono state intercettate dai maltesi ma hanno continuato il loro viaggio verso l'Italia.  L'UNHCR stima che quest'anno siano circa 170 le persone morte o disperse in mare nel tentativo di giungere in Europa dalla Libia.



Integration Cup: un torneo per dare un calcio al razzismo
Organizzato da Wind, il torneo si basa su un'idea semplice ma efficace: vincolare l'iscrizione di una squadra alla presenza in rosa di un numero minimo di immigrati. E a settembre la finale...
l'Unità, 10-07-2012
Balotelli un po' il tema dell'integrazione l'ha fatto riemergere, durante questi ultimi Europei. Se ne parla sempre poco – e spesso male, travolgendo ogni discorso con preconcetti e perché no, retorica. Wind prova a fare una cosa diversa, partendo proprio dal calcio. E organizza una Integration Cup, un torneo di calcio a 5, patrocinato dal Coni, che si svolgerà in 8 città italiane nei mesi di giugno, luglio e settembre, alla cui base c'è un'idea semplice e quanto mai efficace: vincolare l'iscrizione di una squadra alla presenza in rosa di un numero minimo di immigrati. Nello specifico, su 12 giocatori, sette dovranno appartenere a comunità straniere.
«L'iniziativa Integration Cup nasce dall'esigenza di essere sempre più vicini ad una parte della società, quella dei migranti che popola il territorio italiano - spiega Mauro Accroglianò, direttore marketing Mobile Consumer di Wind - Da sempre Wind ha avuto un occhio di riguardo verso queste realtà, sia con offerte tariffarie sia con attività socio culturali volte all'integrazione delle persone».
In ciascuna delle città scelte da Wind (Torino, Udine, Genova, Milano, Parma, Roma, Firenze e Reggio Calabria) si sfideranno 8 squadre divise in gironi. Dai playoff di ogni singolo girone usciranno poi le 8 finaliste che accederanno alla fase finale, prevista a Roma e disputata al centro sportivo Giulio Onesti dell'Acqua Acetosa dal 14 al 16 settembre. In occasione della finale ci sarà anche una cena multietnica accompagnata dalla musica di complessi composti dalle diverse etnie partecipanti.
Per Wind iniziative del genere sono all'ordine del giorno ma non si tratta di semplice beneficenza o moralismo. Sono parte di una strategia aziendale: «Wind si interessa a queste comunità già dal 2004 facendo offerte dedicate sia in Italia che all'estero - dice ancora Accroglianò - Abbiamo organizzato dei call center direttamente in lingua. I clienti rumeni, ad esempio, ricevono già risposte nella loro lingua. E' una cosa estremamente importante per creare questo senso di comunità cui teniamo molto. Non ultimo abbiamo fatto una partnership con una società di money transfer, che sarà implementata a breve, abbinando al trasferimento monetario la consegna di una ricarica».
Si tratta insomma di adeguare le esigenze aziendali a quelle di un tessuto sociale in continuo cambiamento. Accompagnando ad iniziative sociali offerte di servizi utilizzabili da chiunque popoli il nostro territorio, che sia italiano o straniero. «La nostra azienda – conclude Accroglianò – è stata la prima compagnia italiana ad intuire le reali potenzialità economiche del mercato etnico». Se poi a quest'intuizione si accompagnano iniziative come la Wind Integration cup è ancora meglio.

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