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Nel complesso, i flussi migratori permanenti in entrata
verso i 23 Paesi OCSE, più la Federazione Russa, hanno registrato un declino nel
2010, per il terzo anno consecutivo, tuttavia, la flessione è risultata nel
complesso modesta (-3% rispetto al 2009) e il numero di migranti – oltre 4,1
milioni – ha sfiorato un picco maggiore rispetto a ogni periodo precedente al
2005 per il quale sono disponibili statistiche omogenee. I dati preliminari
mostrano che in gran parte dei Paesi europei membri dell’OCSE, ad eccezione
dell'Italia, oltreché in Australia e Nuova Zelanda, l’immigrazione ha iniziato a
segnare nuovamente un aumento nel 2011 e il Canada ha registrato un declino
significativo, a seguito delle cifre record del 2010.
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All’interno dell’area OCSE, il 2011 è stato
caratterizzato da un peggioramento delle condizioni economiche in alcuni Paesi
dell'eurozona, in particolare Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, che
ha generato speculazioni su di un aumento nell'emigrazione. I riscontri
disponibili ad oggi indicano che l’emigrazione da questi Paesi è in effetti
aumentata, ma solo in misura modesta. I flussi migratori in uscita dei cittadini
dei suddetti Paesi sono stati piuttosto esigui, ad eccezione dell'Irlanda, dove
le barriere linguistiche all'emigrazione possono rappresentare un problema
minore.
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Nel 2010, la migrazione dovuta alla libera circolazione,
in forte flessione dal 2007, ha rappresentato il 20% di tutti i flussi migratori
permanenti. A causa del calo nella domanda da parte dei datori di lavoro, la
migrazione di manodopera è altresì andata diminuendo e ha rappresentato solo il
21% del totale. Nel complesso, la migrazione a scopo di ricongiungimento
familiare è stata la principale categoria di ingresso nel 2010, con un 36% dei
flussi (percentuale che sale al 45% se si contano le famiglie che accompagnano i
lavoratori). La migrazione per ragioni umanitarie ha rappresentato solo il 6%
dei flussi nella UE e il 13% negli Stati Uniti.
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La migrazione dei lavoratori temporanei tende a reagire
con rapidità e decisione ai mutamenti nelle condizioni economiche: di fatto,
essa ha registrato una brusca flessione nel 2008 e nel 2009, ma si è osservato
solo un modesto calo, pari al 4%, nel 2010. La portata dei flussi di migrazione
dei lavoratori temporanei si attesta ora a circa 1,9 milioni di individui, un
dato significativamente maggiore rispetto agli 1,4 milioni stimati per la
migrazione permanente per motivi di impiego.
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In contrasto alla migrazione dei lavoratori permanenti e
temporanei, il numero degli studenti internazionali ha continuato a crescere nel
2009, aumentando del 6% per raggiungere i 2,6 milioni nei Paesi OCSE e nella
Federazione Russa. L’Australia ha sostituito la Francia quale terza destinazione
principale dopo Stati Uniti e Regno Unito. Gli studenti internazionali
rappresentano in media oltre il 6% di tutti gli studenti nei Paesi OCSE e da
Cina e India insieme partono un totale pari al 25% di studenti, che
costituiscono un’importante fonte di futura migrazione di lavoratori.
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Nel 2010, gli arrivi di persone che chiedono asilo nei
Paesi OCSE si attestavano ad un livello leggermente inferiore rispetto al 2009 e
molto al di sotto degli elevati numeri osservati al volgere del nuovo millennio.
La crisi economica non ha pertanto portato ad aumenti importanti nelle richieste
di asilo. La Francia è rimasta il Paese che ha accolto il maggior numero di
richiedenti asilo nel 2010, seguita da Stati Uniti e Germania. Il principale
Paese di provenienza nel 2010 è stato la Serbia, seguita da Afghanistan e Cina.
Nel 2011, questa tendenza è stata ribaltata da un aumento di oltre il 20% nelle
domande di asilo, principalmente a seguito della “Primavera Araba” e delle
crescenti richieste provenienti dall’Afghanistan.
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Nel 2010, la Cina è stata ancora una volta il principale
Paese di origine dei flussi migratori verso l’OCSE, essendo cittadino cinese
quasi un migrante su dieci, seguita da India, Polonia e Romania – ciascuno con
una quota pari al 5% del totale.
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La recessione economica ha colpito duramente e quasi
immediatamente gli immigrati nella maggior parte dei Paesi OCSE. I riscontri
empirici indicano che, nel complesso, l'impatto della crisi economica sulla
disoccupazione è risultato più pronunciato per i migranti che per gli individui
nati in loco. In generale, nell'area OCSE, il tasso di disoccupazione tra gli
individui nati all'estero è aumentato di quattro punti percentuali tra il 2008 e
il 2011, rispetto ai 2,5 punti per le persone del posto. Ancor più preoccupante
è l’aumento nella disoccupazione di lungo periodo tra gli immigrati. Nella
maggior parte dei Paesi, i migranti raggiungono una quota compresa tra il 14 e
il 30% della percentuale di aumento nella disoccupazione totale di lungo
periodo, un dato che, in gran parte dei casi, si attesta molto al di sopra della
loro presenza nel totale degli occupati.
La crisi ha colpito diversi gruppi di migranti sotto
diversi aspetti: in gran parte dei Paesi, le donne immigrate hanno subito minori
ripercussioni rispetto agli uomini nati all’estero; in numerosi Paesi, un numero
crescente di donne immigrate ha iniziato a lavorare per compensare le perdite di
reddito sofferte dagli uomini immigrati. In termini di livelli di
specializzazione, i lavoratori nati all’estero poco qualificati sono stati
maggiormente colpiti rispetto a quelli in possesso di qualifiche medie e alte,
un fatto non solo legato alle differenze nella distribuzione dell’occupazione
per settore, ma anche al tipo di lavori svolti (spesso temporanei) e al minore
grado di anzianità, che implica minori costi di licenziamento per i datori di
lavoro.
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L’aumento, tra il 2008 e il 2011, nella percentuale di
giovani che non studiano, non lavorano né seguono corsi di formazione (not in
education, employment or training – NEET)- un indicatore della “disoccupazione”
tra i giovani- è stato particolarmente marcato tra i migranti, un aspetto
particolarmente evidente in Grecia, Irlanda, Italia, Spagna e Svezia. Nella
maggioranza dei Paesi, l’incidenza di occupazione temporanea è inoltre aumentata
in misura maggiore per i lavoratori giovani nati all’estero che per le
rispettive controparti nate in loco o gli adulti nati all’estero (in età
compresa tra 25 e 54 anni). Similmente, in alcuni Paesi, la percentuale di
occupati a tempo parziale sul totale dell’occupazione è aumentata maggiormente
per i giovani immigrati che per i giovani del posto.
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Sia durante la crisi che durante la ripresa, l’adozione
di misure d'intervento specifiche per aiutare i giovani a trovare e mantenere un
posto di lavoro è ancora più importante per i nati all’estero con scarse
qualifiche, che sono vittime di una combinazione di svantaggi (livelli di
qualifica bassi, scarsa padronanza della lingua, accesso limitato alle reti),
che sono maggiormente esposti al rischio di disoccupazione futura e che
risentiranno con maggior probabilità di una riduzione del reddito totale durante
la loro vita lavorativa (il cosiddetto effetto "cicatrice").
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Nel biennio 2010-2011, si è osservato in numerosi Paesi
un passaggio a politiche in materia di immigrazione maggiormente restrittive, in
risposta alle mutate condizioni economiche e alla crescente sensibilità del
pubblico sulle problematiche migratorie. I nuovi governi hanno inasprito i
controlli sulle procedure di immigrazione e ristretto le possibilità di
immigrazione di lungo periodo per i migranti con scarse prospettive di impiego.
Più in generale, molti governi hanno rivisto le rispettive liste sulle figure
professionali richieste e sui programmi di lavoro temporanei e sottoposto i
datori di lavoro a maggiori controlli. I sistemi a punti per l’ammissione sono
diventati maggiormente modulati sulla domanda e i canali dettati dall’offerta
più restrittivi.
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L’integrazione continua a rappresentare una priorità
fondamentale per le politiche dei Paesi OCSE in tema di immigrazione. I Paesi
hanno adottato un’ampia gamma di iniziative legate all’integrazione, che
spaziano dalla realizzazione di strategie nazionali di ampio respiro al
perfezionamento e alla messa a punto dei piani di azione e dei programmi di
integrazione esistenti. Il centro dell’attenzione oscilla altresì tra gli
immigrati già inseriti e i nuovi arrivati. Una tendenza comune tra queste misure
di intervento è quella di assegnare priorità all’integrazione nel mercato del
lavoro e di rafforzare gli aspetti formativi dell’integrazione, ivi incluso
l’insegnamento della lingua.
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L’invecchiamento demografico e il ruolo che la
migrazione ricopre nel fare fronte a questa sfida non si riducono semplicemente
alla questione del numero di nuovi lavoratori in grado di sostituire quelli che
vanno in pensione. Se si esamina il contributo della migrazione alle
trasformazioni all’interno della forza lavoro, anziché i mutamenti nella
popolazione in età lavorativa, in termini di livelli di istruzione e
occupazione, risulta chiaro che il mercato del lavoro evidenzia un’evoluzione
troppo rapida perché i soli squilibri demografici costituiscano un indicatore
affidabile delle future esigenze occupazionali.
Il conseguimento scolastico dei nuovi ingressi nella
forza lavoro è risultato molto più alto rispetto a quello dei lavoratori che
sono andati in pensione nel periodo compreso tra il 2000 e il 2010. I nuovi
immigrati hanno mostrato livelli di istruzione compresi tra quelli dei nuovi
ingressi nella forza lavoro e quelli dei lavoratori in via di pensionamento, con
una percentuale di lavoratori in possesso di un grado di istruzione più elevato
tra i nuovi immigrati che tra i soggetti prossimi alla quiescenza. Nella maggior
parte dei Paesi, i nuovi ingressi ricoprono, tuttavia, un ruolo maggiormente
significativo nel mantenimento della dimensione della forza lavoro piuttosto che
nell’innalzamento delle qualifiche.
Ci si interroga altresì su quali saranno i tipi di
occupazione disponibili in futuro e sulle qualifiche che saranno necessarie
rispetto ai lavori e alle competenze del passato. Nel corso del decennio, i
nuovi immigrati hanno rappresentato il 15% degli ingressi nelle occupazioni in
forte crescita in Europa e il 22% negli Stati Uniti e ricoprono, pertanto, un
ruolo significativo nelle sezioni più dinamiche dell’economia, anche in
condizioni in cui gran parte della migrazione non è stata dettata dalla domanda,
ma un numero più elevato di immigrati è entrato ad occupare le posizioni
caratterizzate da un più forte declino: 28% in Europa e 24% negli Stati Uniti.
In alcuni Paesi, il dato è significativamente più elevato per i lavori meno
qualificati, con il rischio di produrre una segmentazione del mercato del
lavoro.
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A metà degli anni 2000, i migranti provenienti dall’Asia
rappresentavano il 17% di tutti i migranti in età superiore a 15 anni nei Paesi
OCSE e il 30% dei flussi migratori in entrata nel 2010 sono venuti dalla
regione. Dall’Asia, in particolare da Cina e India, ha inoltre origine una
considerevole percentuale di migrazione qualificata verso i Paesi OCSE: nel
breve periodo, è probabile che il continente in questione continuerà a
rappresentare un’area chiave nella fornitura di manodopera altamente
qualificata; nel più lungo periodo, tuttavia, di pari passo allo sviluppo del
continente asiatico, i lavoratori qualificati aumenteranno di numero, ma
verranno altresì favorite le condizioni per farli rimanere sul territorio e per
attrarre tale tipologia di forza lavoro da altre parti del mondo.
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In Asia, la gestione della migrazione dei soggetti con
minori qualifiche è difficile per l'elevata eccedenza di manodopera e le scarse
opportunità che spesso portano a frequenti episodi di corruzione nell'ambito del
reclutamento pubblico del personale e crescenti costi di migrazione per gli
individui con minori livelli di istruzione, nonché ad aspettative elevate
riguardo la percentuale di reddito prodotto all'estero. Alcuni programmi come il
Programma di Permessi di Lavoro della Corea (Employment Permit Scheme -EPS)
hanno avuto un esito positivo nell'affrontare tali sfide. Al contempo, i Paesi
di origine guardano alle Filippine come a un modello di integrazione della
manodopera in eccedenza nel mercato globale del lavoro in settori diversi, verso
destinazioni diverse e con diversi livelli di qualifiche, tutelandone allo
stesso tempo i diritti. In considerazione del fatto che la domanda di migranti
con qualifiche basse rimane esigua nei Paesi di destinazione che fanno parte del
Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gulf Co-operation Council -GCC) e
dell'OCSE, nonché all'interno della stessa Asia, la possibilità di un'espansione
significativa dell'offerta di questo tipo di migrazione rimarrà
circoscritta.
In futuro, i Paesi asiatici dovranno affrontare altresì
alcune sfide, tra cui gestire la migrazione per motivi familiari e di
matrimonio, ma anche mettere a punto strategie di integrazione maggiormente
onnicomprensive, allorchè l'insediamento, o quantomeno la più lunga permanenza,
per i migranti con qualifiche sia elevate che basse diventeranno più
frequenti.
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