Consultate
www.uil.it/immigrazione
. Aggiornamento quotidiano sui temi
di
interesse dei lavoratori stranieri
Newsletter periodica d’informazione
(aggiornata alla data del 28 marzo 2012)
Istat: oltre 3,5 milioni i cittadini non comunitari residenti in Italia
Dipartimento
Politiche Migratorie: appuntamenti pag.
2
Lavoro
– “interventi volti al contrasto del lavoro irregolare degli immigrati” pag.
2
Società
– I cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia pag.
2
Società
– Bucchino: “a rischio pensione immigrati che rimpatriano” pag.
4
Società
– Straniero irregolare con figlio in arrivo, che fare? pag.
5
Nordafricani
– Si recano in questura per un permesso e vengono espulsi pag.
6
Razzismo:
“sei troppo negro per la banca”
pag.
7
Italiani nel mondo – Sognando
Londra pag.
8
Dai
territori – Se il giovane immigrato ti dà lavoro
pag.9
Foreign
Press – The Impact of Chinese migration
pag.10
A cura del
Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna ad
uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Roma, 30 marzo
2012, UIL Nazionale, ore 09.00
Convegno
Ital – UIL: “Minori stranieri: un tasto sensibile”
(Guglielmo
Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 12
aprile, ore 09, sede FCEI
Riunione Tavolo
Immigrazione
(Giuseppe
Casucci)
Roma, 16 aprile
2012, ore 10.00, via del Velabro
Comitato
Direttivo del CIR
(Giuseppe
Casucci)
Roma, 26 aprile
2012, ore 16.00, via del Velabro
Assemblea
dei soci del CIR
(Giuseppe
Casucci)
Lavoro
Dal documento:
“la riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita”, pag. 24
Approvato dal
Consiglio dei Ministri del 23/03/12
“Per
evitare che la crisi economica determini l'irregolarità dei lavoratori stranieri
che abbiano perso il posto di lavoro, occorre adottare misure che ne facilitino
il reinserimento nel mercato, favorendo l’offerta che provenga dal bacino di
immigrati già all'interno del paese piuttosto che ricorrendo a nuovi flussi
dall'estero. Pertanto, la perdita
del posto di lavoro non può comportare la revoca del permesso di soggiorno del
lavoratore extracomunitario e dei suoi familiari, ma occorre prolungare il
periodo in cui lavoratore può essere iscritto nelle liste di collocamento,
estendendolo anche a tutto il periodo in cui sia ammesso a una prestazione per
disoccupazione. In tal senso, si intende intervenire nel concerto con il
Ministero dell’Interno”.
Società
(dal sito www.istat.it)
Roma, 28 marzo 2012 - Sono oltre 3 milioni e 500 mila gli stranieri non
comunitari regolarmente soggiornanti in Italia al 1° gennaio 2011. In questa
categoria sono compresi tutti gli stranieri non appartenenti all'Unione europea
in possesso di valido documento di soggiorno (permesso di soggiorno o carta di
lungo periodo) e i minori iscritti sul permesso di un adulto. Dal 2008 al 2011
si è registrata una crescita del 35% dei regolarmente soggiornanti in Italia.
Le collettività più numerose sono nell'ordine: Marocco, Albania, Cina, Ucraina
e Moldova. Quest'ultima collettività, tra il 2008 e il 2011, è quasi
raddoppiata, passando da meno di 81 mila soggiornanti nel 2008 a circa 142 mila
nel 2011. Il 37% dei cittadini non comunitari regolarmente presenti vive nel
Nord-ovest, il 29% nel Nord-est e il 22% al Centro; solo il 13% vive nel
Mezzogiorno. La Lombardia è la regione che ospita il numero maggiore di
stranieri soggiornanti (26,6%), seguita da Emilia-Romagna (12,6%) e Veneto
(12,1%). Quasi la metà dei cittadini non comunitari regolarmente presenti in
Italia (46,3%) ha un permesso a tempo indeterminato. Le collettività con la più
forte incidenza di carte e permessi di lungo periodo sono la macedone (61,8%),
la ghanese (60,2%),
l'albanese
(56,8%), la tunisina (56,4) e la marocchina (55,8%). I permessi a tempo
indeterminato sono particolarmente diffusi nel Nord-est. La quota più elevata
di soggiornanti di lungo periodo si registra nelle province di Bolzano, Biella,
Pistoia, Sondrio e Gorizia, dove raggiunge il 60% sul totale dei soggiornanti.
Tale quota non è particolarmente elevata nelle province che gravitano intorno
alle città metropolitane. Circa due
terzi dei
minori soggiornanti in Italia sono nati nel nostro Paese. Per Tunisia, Cina e
Filippine la quota supera il 79%. Nel 2010 sono stati rilasciati quasi 600 mila
nuovi permessi di soggiorno: il 60% per motivi di lavoro, il 39,9% per motivi
di famiglia. I nuovi permessi sono stati concessi soprattutto a marocchini,
cinesi e ucraini, ma in termini relativi le collettività più dinamiche sono
quella moldava, quella indiana e quella pakistana. Si evidenzia la maggiore
presenza femminile tra coloro che provengono dall'Ucraina (81,1%) dalla Moldova
(68,0%) e dalle Filippine (58,7%), mentre una maggiore presenza maschile si
rileva tra le persone provenienti da Egitto (gli uomini sono il 72,4%),
Bangladesh (72,1%), Tunisia (65,3%) e India (65,3%).
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Bucchino
(PD): “a rischio la pensione di migliaia di immigrati che rimpatriano”
Presentata
interrogazione al Ministro Fornero
Resosi conto
che l’Inps nella sua circolare n. 35 del 14 marzo 2012 aveva dato una
interpretazione lacunosa o comunque insufficiente (vedere il punto 8) in merito
al rapporto tra la riforma pensionistica e la norma che disciplina le pensioni
degli immigrati che rimpatriano, l’On. Gino Bucchino ha interrogato il Ministro
del Lavoro Elsa Fornero per sollecitare urgenti e importanti chiarimenti. Ma cosa ha scritto l’Inps (o meglio non
ha scritto) e cosa va chiarito? Qualcuno ricorderà che la legge n. 189 del
2002, integrando il Testo Unico sull’Immigrazione, aveva disposto che in caso
di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e
di sicurezza sociale maturati e può goderne al verificarsi della maturazione
dei requisiti previsti dalla normativa vigente al compimento del sessantacinquesimo
anno di età, anche in deroga al requisito minimo previsto dalla legge n. 335
del 1995 e cioè dei cinque anni. Fino al 31 dicembre 2011 tali lavoratori
(lavoratrici), come anche i lavoratori italiani, erano inoltre dispensati, al
compimento del sessantacinquesimo anno di età, dall’obbligo, oltre a quello
contributivo, di maturare un importo pensionistico pari o superiore a 1,2
l’importo dell’assegno sociale (comma 20, articolo 1 della legge n. 335 del
1995). In parole povere l’extracomunitario che rientrava definitivamente nel
Paese di origine e aveva versato in Italia anche meno di cinque anni di
contributi nel sistema contributivo, poteva ottenere una piccola pensione al
compimento del sessantacinquesimo anno di età, a prescindere dall’importo pensionistico
maturato. Con l’entrata in vigore della riforma pensionistica “Fornero” le
carte in tavola cambiano in maniera sostanziale ma l’Inps sembra non
accorgersene. Chiariamo: la riforma stabilisce infatti che dal 1° gennaio 2012
il requisito minimo contributivo, nel sistema contributivo, sale da 5 anni a 20
anni, fino al compimento del settantesimo anno di età quando ritorna a cinque
anni. La circolare dell’Inps summenzionata in primo luogo ci informa che
come i lavoratori italiani anche gli extracomunitari rimpatriati dal 1° gennaio
2012 conseguono il diritto alla pensione di vecchiaia al perfezionamento del
requisito anagrafico di 66 anni e in secondo luogo ci conferma che tali
lavoratori rimpatriati possono conseguire la pensione di vecchiaia al compimento
del predetto requisito anagrafico anche in deroga ai minimi contributivi
previsti dalla normativa vigente per la liquidazione del trattamento secondo le
regole del sistema contributivo (e cioè in deroga ai 20 anni specifichiamo
noi). Ciò che l’Inps si dimentica di chiarire – e per questo motivo l’On.
Bucchino ha presentato la sua interrogazione – è se la deroga vale anche
per l’altro requisito richiesto con la nuova riforma pensionistica e cioè
l’obbligo della maturazione di un importo pensionistico non inferiore a 1,5
l’importo dell’assegno sociale. Non si tratta di una questione di poca
importanza perché il lavoratore extracomunitario che rientra nel Paese di
origine potendo far valere in Italia solo pochi anni di contributi, con la
vecchia normativa poteva ottenere comunque il suo piccolo pro-rata a
prescindere dall’importo della sua pensione (era la legge a stabilirlo
chiaramente), ora invece – visto che la nuova legge richiede
esplicitamente a chi compie l’età pensionabile nel sistema contributivo di
dover maturare il nuovo minimo pensionistico pari a 1,5 l’importo dell’assegno
sociale – rischia di non essere in grado di maturare l’importo minimo e
di vanificare così l’obiettivo del legislatore della legge n. 189 del 2002 che
aveva inteso agevolare con un atto di generosità il lavoratore rimpatriato con
pochi anni di contribuzione in Italia. Nella sua interrogazione l’On. Bucchino
chiede quindi al Governo e al Ministro Elsa Fornero se si voglia chiarire se il
lavoratore extracomunitario il quale rimpatria definitivamente nel Paese di
origine e consegue il diritto alla pensione di vecchiaia al perfezionamento del
requisito anagrafico di 66 anni, o successivamente per l’applicazione degli
incrementi per speranza di vita, in deroga ai minimi contributivi previsti
dalla normativa vigente secondo le regole del sistema contributivo, sia
derogato altresì - come era previsto dalla normativa previgente – dal
vincolo che condiziona il conseguimento del diritto a prestazione al
perfezionamento di un importo di pensione che risulti essere non inferiore a
1,5 l’importo dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge
8 agosto 1995, n.335; inoltre se si è consapevoli che qualora il
lavoratore extracomunitario rimpatriato non fosse derogato dal vincolo
del perfezionamento dell’importo di pensione non inferiore a 1,5 l’importo
dell’assegno sociale, pari a euro 635 nel 2012, e, presumibilmente, avesse
versato in Italia solo pochi anni di contribuzione, non sarebbe in grado di
perfezionare un diritto a pensione e conseguentemente si contravverrebbe allo
spirito del comma 13 dell’articolo 22 della legge n. 189 del 30 luglio 2002 che
sarebbe snaturato nei suoi obiettivi e non avrebbe più ragione di esistere.
Che fare quando si è
una coppia di stranieri in condizione di irregolarità e la donna aspetta un
bambino? A cura dell’Avvocato Andrea Rossi
Divieto di espulsione per la
donna in gravidanza
Innanzitutto, è opportuno evidenziare che per le donne cittadine
extracomunitarie in stato di gravidanza, è previsto il divieto di espulsione e,
fino a 6 mesi dopo il parto hanno diritto ad un permesso di soggiorno per cure
mediche. Inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale n. 376 del 2000 ha esteso
tale divieto di espulsione anche al marito convivente della donna in stato di
gravidanza con possibilità anche per lui, di ottenere per questo periodo il
medesimo permesso. Tale permesso non è però rinnovabile né convertibile in
altro tipo di permesso e di conseguenza, alla scadenza i genitori dovranno
lasciare l’Italia.
La dichiarazione di
nascita è possibile anche senza esibire i documenti inerenti il soggiorno
Come esplicato dal Ministero dell’Interno nella circolare n. 19 del 7 agosto
2009 “Per lo
svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di
riconoscimento di filiazione (registro di nascita - dello stato civile) non
devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di
dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell'interesse pubblico della
certezza delle situazioni di fatto.” Ciò sta a significare che lo straniero
privo di documenti che attestino la regolarità del soggiorno può comunque
effettuare la dichiarazione di nascita presso le strutture ospedaliere entro
3gg dall’evento (non contando il giorno della nascita), oppure entro 10 giorni
presso gli Uffici di Stato Civile, del Comune dove è avvenuta la nascita. Tale
dichiarazione non comporta alcuna segnalazione alle Autorità. Si tratta di un
atto inerente lo stato civile, per il quale non è richiesta l'esibizione del
permesso di soggiorno, trattandosi di dichiarazione resa, anche a tutela del
neonato, nell'interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto. La denuncia di nascita non dà diritto
all'iscrizione automatica del bambino nell'anagrafe della popolazione
residente, ma consente di chiedere il certificato e l'estratto di nascita. I
genitori devono effettuare entrambi tale dichiarazione dietro presentazione di
passaporto o altro documento in corso di validità.
Nulla osta della
Rappresentanza Diplomatica per il riconoscimento del figlio naturale
Ai sensi dell’articolo 35 della legge 218 del 1995, che disciplina il
riconoscimento del figlio naturale (ossia il figlio nato fuori dal matrimonio avente
valore legale in Italia) “La capacità del genitore di fare il riconoscimento è regolata
dalla sua legge nazionale.” Ciò
comporta che, per effettuare il riconoscimento, il genitore straniero abbia
riconosciuta tale potestà mediante una dichiarazione della sua Ambasciata o
Consolato, tradotta e legalizzata presso la Prefettura, da cui risulti che, in
relazione all’applicazione del diritto internazionale privato, nulla osta al
riconoscimento secondo la legge nazionale del proprio Paese. Per quanto riguarda poi la permanenza
del minore in Italia, questa dipende dalla condizione del genitore. Sebbene
infatti, l’articolo 19 del T.U. preveda il divieto di espulsione per gli
stranieri minori degli anni 18, questo fa salvo il diritto a seguire il
genitore o l’affidatario espulsi. Se
quindi il genitore non soddisfa i requisiti per l’ottenimento di un titolo di
soggiorno il minore è soggetto, a seguito del genitore, a procedure di
espulsione dal territorio italiano. Alla scadenza del permesso per cure
mediche, rilasciato per lo stato di gravidanza e per i 6 mesi successivi al
parto, salvo ipotesi eccezionali e valutabili caso per caso, i genitori
stranieri dovranno lasciare l’Italia insieme al loro figlio.
Beffa per i
nordafricani:
Migliaia di
persone si sono presentati in Questura a
Roma, sulla base di una falsa notizia diffusa su internet. Nota di
denuncia della radicale Rita Bernardini
(redazionale)
Roma, 26 marzo 2012 – Con l’avvicinarsi della scadenza del 5 aprile (data
in cui scadranno i permessi temporanei di protezione umanitaria concessi lo
scorso anno a migliaia di tunisini), aumenta il nervosismo di migliaia di
cittadini stranieri arrivati nel 2011 mentre nel nord Africa erano in corso le
rivolte della cosiddetta primavera araba. Tra gli immigrati arrivati via mare
dalla Tunisia e quelli di origine sub sahariana fuggiti dalla guerra in Libia, si tratta di quasi 60 mila persone,
alcune spostatesi in altri Paesi
europei, ma molte rimaste nel nostro Paese. Gli stranieri provenienti dalla
Libia non hanno potuto godere del permesso di protezione umanitaria ed hanno
fatto invece domanda d’asilo. Richiesta, però, che gli è stata spesso
rifiutata. Per gli altri, il permesso di sei mesi è stato rinnovato di un altro
semestre ed ora sta arrivando alla scadenza. E’ forse per questo motivo che la
scorsa settimana si era sparsa la voce in tutta Italia che a Roma fosse in
corso una regolarizzazione straordinaria e bastasse presentare la
documentazione di un domicilio per sanare la propria situazione. Il risultato è
stato che migliaia di cittadini stranieri irregolari si siano presentati alle
questure di Roma chiedendo un permesso di soggiorno che non gli poteva essere
concesso. Molti di questi sfortunati hanno ricevuto, invece, la beffa di un
decreto di espulsione. Riportiamo di seguito la nota della radicale Rita
Bernardini, deputata del Pd e membro della Commissione giustizia della Camera. “Da giovedì della scorsa settimana l’Ufficio
stranieri di via Patini a Roma, che quotidianamente ha già un’utenza media di
mille persone, si è trovato di fronte ad un vero e proprio 'assalto' di oltre
4.000 stranieri, per lo più tunisini, illusi dalla notizia irresponsabilmente
diffusa via Internet che a Roma si stesse dando vita ad una sanatoria epocale
per regolarizzare cittadini privi del permesso di soggiorno. Di fronte alla
situazione di emergenza, colpisce il silenzio della politica e del
Governo”.
Nella dichiarazione, la deputata denuncia che “il rischio che corrono coloro
che si recano a via Teofilo Patini è quello di essere identificati e mandati
alle Questure di provenienza dove gli verrà notificato un decreto di espulsione
per cui queste persone, provenienti da tutta Italia e anche dalla Francia,
nella realtà dei fatti vedono strumentalizzato il loro stato di necessità per
ottenere un risultato esattamente inverso a quello sperano”. “Da tempo –
ricorda la nota – proponiamo di affrontare il problema delle centinaia di
migliaia di extracomunitari irregolari presenti sul nostro territorio anche
attraverso il pieno recepimento delle direttive del Parlamento europeo e del
Consiglio che favoriscono, per esempio, l’emersione del lavoro nero. Quello che
sicuramente non si può fare è rifiutarsi di governare il fenomeno dei
clandestini rischiando di lasciarli nelle mani della criminalità più o meno
organizzata. Quello che non si può fare è lasciare alle Questure il compito di
affrontare le emergenze di legislazioni tanto inapplicabili quanto criminogene.
Di fronte alla situazione di emergenza, colpisce il silenzio della politica e
del Governo”.
Per il
tribunale di Reggio Emilia la coppia gay ha il diritto di rimanere unita in Italia.
(www.stranieriinitalia.it) Roma – 26 marzo 2012 –
Rafael può vivere finalmente con suo marito Flavio, senza paura di
un’espulsione. Ora ha un permesso di soggiorno “per motivi familiari”, grazie a
una sentenza storica che sancisce che una coppia omosessuale sposata all’estero
ha il diritto di rimanere unita anche in Italia. È arrivato in questi giorni,
con il rilascio del permesso da parte della Questura di Reggio Emilia, il lieto
fine delle peripezie legali di un uruguayano e un italiano che si erano sposati
in Spagna. Lo scorso 13
febbraio Rafael aveva infatti vinto il ricorso presentato al Tribunale dopo che la Questura gli aveva negato
il documento perché in Italia il matrimonio gay non è riconosciuto.
L’uruguayano, sostenuto dall’associazione radicale Certi Diritti, non chiedeva
la trascrizione del matrimonio, materia che con il diritto di famiglia è di
competenza esclusiva dei singoli Stati dell’Ue. Chiedeva però l'applicazione
delle norme che regolamentano la libera circolazione dei cittadini europei e
dei loro famigliari. E il Tribunale gli ha dato ragione. Nel ricorso si era
fatto riferimento alla sentenza n. 1328/2011 della Corte di Cassazione.
Questa afferma che la nozione di “coniuge” prevista dall’art. 2 d.lgs. n.
30/2007 deve essere determinata alla luce dell’ordinamento straniero in cui il
vincolo matrimoniale è stato contratto e che lo straniero che abbia contratto
in Spagna un matrimonio con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso deve
essere qualificato quale “familiare”, ai fini del diritto al soggiorno in
Italia.
C’era
poi un richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 che
afferma, tra l’altro, che l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza
tra due persone dello stesso sesso”, spetta “il diritto fondamentale di vivere
liberamente una condizione di coppia” e che il “diritto all’unità della
famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare
(…) costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana”. “Il
rilascio del documento a Rafael da parte della Questura di Reggio Emilia
– commenta Certi Diritti - è il primo documento nella storia italiana che
dà efficacia al riconoscimento dello status famigliare delle coppie
omosessuali, un altro grande passo di civiltà per il superamento delle
diseguaglianze e delle discriminazioni”.
Asilo
(da www.ansa.it) BRUXELLES
- Nel 2011 sono arrivate a 301.000 le richieste d'asilo nell'Unione europea,
secondo i dati di Eurostat. In aumento di quasi il 20% rispetto alle 259.000
del 2010. Principale paese di provenienza: l'Afghanistan (28.000, il 9% del
totale), davanti a Russia (18.200, 6%), Pakistan (15.700, 5%), Irak (15.200,
5%); 13.900 dalla Serbia che aspira ad entrare nell'Ue. In Italia (terza meta
preferita dopo Francia con 56.300 e Germania con 53.300) 34.100 le richieste,
di cui 7.155 accettate. In Francia appena 4.580 quelle accolte. Delle
301.000 richieste presentate, circa il 90% era 'di prima istanza', il resto
'ripetizioni'. Delle 237.365 decisioni sulle richieste di prima istanza
prese nei 27 paesi Ue, sono state 59.465 quelle accolte, 177.900 (75%) quelle
respinte. La massima 'pressione' migratoria rispetto alla popolazione
locale E' stata registrata a Malta: 4.525 richieste per milione di abitanti
(4.200 per milione in Lussemburgo, 3.150 in Svezia, 2.925 in Belgio, 2.200 a
Cipro, 1.715 in Austria, 875 in Olanda). Tra i grandi paesi: 865 per milione in
Francia, 650 in Germania, 565 in Italia, 425 nel Regno Unito. Tra i paesi con
la maggiore affluenza, l'Olanda, pur guidata da un governo di centrodestra con
appoggio dello xenofobo Pvv, ha un tasso assoluto di risposte positive del
43,25% (6.830 accolte, di cui 2.050 per motivi umanitari, su 15.790 di prima istanza
trattate): piu' di Svezia al 33,15% (8.805 su 26.720), Belgio al 25,59% (5.075
su 19.825) e Germania al 24,01% (9.675 su 40.295). In Lussemburgo e' stato dato
parere positivo ad appena 35 richieste su 1.015.
Razzismo
GIOVANNA TRINCHELLA
Milano,
27 marzo 2012 - Entro il prossimo 2 aprile una sentenza che bolla come
discriminatoria un’azienda dovrà essere affissa nella bacheca della sede
milanese con l’invito per tutti ad «astenersi da espressioni volgari od
offensive a sfondo razziale». Eppure due anni fa nel nome del processo di
integrazione persino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva
mandato il suo augurio a Extrabanca, il primo istituto straniero dedicato
«prevalentemente, ma non esclusivamente» ai cittadini stranieri che vivono in
Italia. Invece il 22 marzo scorso la banca è stata condannata, prima volta di
un verdetto in tal senso in sede civile, per razzismo nei confronti di un
dipendente di origine senegalese. Per il giudice della sezione lavoro del
Tribunale di Milano, Fabrizio Scarzella, il dipendente dell’ufficio crediti è
stato molestato con frasi a sfondo razzista ed è stato violato dell'articolo 2
comma 3 del decreto legislativo 215 del 2003 sulla parità di trattamento tra le
persone indipendentemente dalla razza. Forse il rigurgito razzista potrebbe
essere stata la candidatura, non andata a buon fine, dello straniero alle
ultime elezioni comunali nella «Lista civica per Pisapia sindaco». E’
cominciata così la persecuzione da parte del presidente e da un dirigente dell'
istituto di credito. Scarzella ha condannato per discriminazione la spa,
imponendole di risarcire il dipendente, assistito dagli avvocati Alberto
Guariso e Livio Neri, con 5 mila euro e di divulgare la sua decisione tra i
dipendenti con l’affissione e accanto alla «carta dei valori» dell’istituto.
L'anno scorso il presidente della banca aveva cercato di dissuadere
l'impiegato, argomenta il giudice «dalla sua candidatura alle imminenti
elezioni comunali a cagione della sua razza e colore, accomunandolo agli
zingari e ai musulmani che vogliono rovinare Milano e specificando nel contempo
che lui» e un collega «erano "due negri africani" che stavano
"creando troppi problemi", che "avere troppi negri non poteva
giovare alla banca" e che era pertanto meglio assumere "una persona
di colore più chiaro"». Il dirigente, in un'altra occasione spiega il
giudice, «diceva al ricorrente che non poteva venire in Italia pretendendo un
posto manageriale, che era "in caserma, che nessuno aveva bisogno della
sua intelligenza e che doveva fare quello che dicevano" precisando, in
altra occasione, che "gli stranieri pretendono troppo, soprattutto quelli
che hanno la cittadinanza (...) devono sapere che sono ospiti"». Secondo
il giudice, gravità di questi comportamenti è determinata dal fatto che gli
insulti sono partiti da tre dirigenti capaci di condizionare il comportamento
degli altri dipendenti. «La sussistenza e la rilevanza giuridica di tali
condotte e del conseguente clima offensivo e umiliante creatosi nell'ambiente
lavorativo della resistente trova ulteriore conferma nelle posizioni apicali
ricoperte dai soggetti agenti scrive il giudice -, di per sé sole idonee a
condizionare anche l'operato e i comportamenti degli altri dipendenti sia
italiani che stranieri». Insulti che hanno «avuto l’effetto di violare la
dignità» del dipendente e «delle altre persone di colore o comunque straniere
presenti in azienda creando un clima lavorativo umiliante e offensivo…». Nel
frattempo il dipendente discriminato è stato sospeso; oggi la banca riceverà una
lettera da parte sua in cui si chiederà di rientrare al lavoro alla luce di
questa sentenza.
Italiani nel mondo
“SOGNANDO LONDRA” progetto GIM (giovani italiani migranti)”
Convegno promosso dalla UIM- Di
Cecilia Boscagli
Un piccolo
progetto quello presentato al
King’s Colleg di Londra il 20 marzo scorso, dove io stessa ho potuto
illustrarne i contenuti. Nell’arco di poco più di due mesi,
grazie al patrocinio della UIM ( Unione Italiani nel Mondo) , alla presenza del
vicepresidente Alberto Sera, ne ho commentato gli obiettivi e riferirne i
risultati: il supporto a
chi per studio, lavoro o
libera scelta, ha deciso di
lasciare il proprio paese in cerca di un inserimento, nella antica ma sempre moderna
Londra. Un sostegno, quello da me consigliato, legato
all’impatto con una realtà ed una lingua diversa, un progetto di
informazione , di orientamento e di sostegno. Una idea nata all’indomani della
mia decisione di voler
approfondire la conoscenza della lingua inglese, direttamente sul territorio
londinese. Una libera scelta, la mia, sorta parallelamente al mio secondo master post laurea in
psicologia, in Italia. Una decisione non supportata da alcun orientamento che mi ha permesso, però, di mettere a
fuoco le problematiche giovanili comuni, legate all’informazione, fuori dai confini nazionali. “Che siano i cervelli ad emigrare o siano lavoratori meno qualificati, il
bisogno di orientamento e di
supporto psicologico è basilare! “ ha affermato il Prof. di diritto europeo e responsabile PD a Londra, Andrea
Biondi, che ha ospitato l’iniziativa. Accanto allo strumento questionario, in via di elaborazione, ho
creato una pagina facebook. Un social network, quest’ultimo, fra i più utilizzati.
La pagina ha dato il titolo anche
a questo incontro – dibattito “sognando Londra “ g.i.m”. La stessa, che riporta il nome del progetto, ha ottenuto una
notevole visibilità. Oltre 200 le
adesioni e le relative interazioni,
con una maggioranza di donne, molte le richieste che confermano l’esigenza legata alla nascita del servizio.
Diverse le richieste di
orientamento legate allo studio
linguistico e non; al lavoro,
qualificato o temporaneo;
all’aspetto ludico, all’ evento olimpico o al viaggio di piacere. Per citarne solo alcuni e lasciarvi, invece, a disposizione la pagina per eventuali approfondimenti:
Ecco queste
sono soltanto alcune testimonianze
delle centinaia di richieste di informazioni utili a chi deve recarsi qui, che voi troverete nella pagina face book da me creata. Ma nell’incontro dibattito promosso a
Londra, concluso da Di Pietro, rappresentante della UIL
politiche internazionali, hanno portato la loro testimonianza “in diretta”
giovani italo-londinesi come: Germana, romana, linguista ed interprete
qualificata. Debora di origine nigeriana
ma nata in Italia, che sogna di ritornarci! Cristina, torinese, che lavora per l’organizzazione delle
prossime Olimpiadi. Eleonora, romana, emigrata per amore. Manuele, romano,
fotografo di moda nella city. Ed altri ancora che hanno regalato all’evento un
clima fresco e positivo, congeniale e a chi qui a Londra è venuto , per
studio, per lavoro, per amore …ed arricchente, anche per me che
ho avuto la fortuna di incontrarli durante il mio lavoro di ricercatrice junior nella
city.
Dai territori
Sembra che il mondo del lavoro sia
ridotto a una zattera di naufraghi in cui, per sopravvivere, chi sta su deve
buttare giù qualcun altro. Ma è vero il contrario.
Giovani e vecchi si possono aiutare a vicenda, ciascuno portando in dote la sua
specificità: chi la freschezza e chi l'esperienza. Naturalmente, ci sarebbe una
terza considerazione. Perché, per far accadere tutto questo, Marko e i suoi
amici sono dovuti andare in Germania e non sono rimasti a Bergamo...Ma questa è
un'altra faccenda, che mi guasta i buoni pensieri fatti finora. Per cui, per
amor di patria, meglio parlarne in altra occasione.
Foreign Press
CHONGQING AND JINTANG | from The Economist
“RETURN
to your hometown to work and care for your family”, reads a red banner strung
over the main street of Fuxing, a hillside town in the heart of China. Until
recently, farmers in surrounding villages dreamt only of getting away from
their pumpkin patches and earning good wages in factories on the coast more
than 1,000km (625 miles) away. Officials were happy to be rid of them. Now they
are desperate to get them to stay. Jintang county, to which Fuxing belongs,
once enjoyed the dubious honour of being the biggest labour-exporting county in
Sichuan province. Poor, deep inland and badly connected with overseas markets,
Sichuan had little choice but to encourage its huge, underemployed rural
population to find work elsewhere. Officials from counties like Jintang used to
tour factory towns near the coast touting the merits of their surplus
labour— and trading on the stereotype of the tough and determined
Sichuanese. In the 1980s and 1990s the number of people from Jintang who were
working elsewhere grew from almost nothing to 180,000 (out of a population of
900,000). More than a third of them went to factories in Guangdong province
(see map), the first area in
China to cash in on the country’s export boom. China’s migrant workers like to
stick close to others from their hometown, and many of Jintang’s workers ended
up in a single district of Dongguan, a centre of labour-intensive production in
Guangdong, making everything from electronics to clothing. A street in Dongguan
became known as Little Jintang. Chinese media say the Communist Party chief of
Jintang used to visit local factories to persuade them to hire his county’s
migrants. Six years ago Jintang set up an office in Dongguan for this purpose.
The
lure of home
A big change is now coming. Jintang is
administered by Sichuan’s capital, Chengdu, which like other inland cities is
beginning to boom, thanks to a flood of government investment in recent years
and the transfer of some manufacturing away from the coast in search of cheaper
land and labour. In Fuxing walls and lampposts are plastered with job
advertisements, not for work in distant coastal factories but for positions in
and around Chengdu. Some of them offer jobs with Foxconn, a huge Taiwanese firm
which makes Apple’s iPads and other computer products at a plant near the city
(for pay of more than 2,000 yuan—$320—a month, says one pink
poster). Foxconn’s largest factory is in Guangdong, but it opened a huge,
modern operation in Chengdu in October 2010, and has talked of expanding to an
astonishing 500,000 staff within five years. Chengdu officials have been
scrambling to make sure that as many jobs as possible go to locals (who appear
undeterred by a number of unexplained suicides at Foxconn’s huge plants in China).
By a roadside in Fuxing, a few dozen young men and women from the surrounding
countryside wait with piles of baggage for a bus to take them to Chengdu
(though technically in Chengdu, Fuxing is two to three hours’ drive away from
the city proper, much of it along a winding country road). It is just after the
lunar new year holiday, a time when migrant labourers have for more than two
decades returned to the coast after spending the festival in their home
villages. But for many of those at the bus-stop, Chengdu is their final
destination. They crowd around your correspondent, regaling him with stories of
how wages in Chengdu are now not much lower than on the coast, and how jobs
nearby are getting easier to find. In a change with implications that resound beyond
this small, remote corner of China, such stories mark the beginning of the end
of a phase in China’s development: one that was marked by lengthy journeys and
often miserable lives in faraway, Dickensian factories. Isolated Fuxing will
soon be just a few kilometres from an expressway. Villagers are excited about
the new road, not only because it will make travel to Chengdu much easier, but
because it will bring business and job opportunities closer. Workers in Fuxing
are putting the finishing touches to a large new open market and shopping
complex. Officials across the county have been busying themselves with what
until three or four years ago would have been an unthinkable task: persuading
migrants to stay in Jintang after the new-year festivities rather than go back
to the coast. They hold meetings with migrant-worker representatives and offer
tax breaks and help secure loans for those wanting to start up businesses. A
government-owned newspaper in Chongqing, a region neighbouring Sichuan, even
published a photograph of policemen carrying the bags of migrants returning to
spend the new-year holiday there. In a country where officials (and
long-established city-dwellers) often view migrant workers with disdain, the
signal was clear: welcome home. A stretch limousine was provided by a Chongqing
boss as a free shuttle service for the workers (see picture above). Officials
say that in 2011, for the first time, the number of local labourers migrating
from one part of Chongqing region to another exceeded the number leaving for
other provinces. Just a few years ago, 70% were going elsewhere. Xinhua, a
state-run news agency, reported that since 2008, four-fifths of people leaving
their homes for the first time in Henan, another big exporter of labour, had
been migrating within Henan. Before then, it said, the same proportion had left
for other provinces. In Sichuan the trend has been similar. In 2008, 58% of its
20m migrants were working outside the province. Last year the ratio dropped to
52%. A labour official in Chengdu says enthusiasm for staying close to home has
been especially marked this year. One factor, he says, has been the difficulty
that Europe’s downturn has caused coastal factories producing export goods. (By
no means all of the new jobs being created inland are in the export sector, the
traditional employer of migrant labour.). Migration over huge distances will
remain a striking feature of China’s labour market for years to come.
Employment along the coast suffered huge disruption late in 2008 as a result of
the global financial crisis, with millions of migrants losing their jobs. But
it quickly recovered as exports revived and stimulus measures helped spur
growth. Now coastal factories are back to hand-wringing about a shortage of
labour, notwithstanding the dark shadow cast by Europe’s misfortunes. But
recent changes in migration patterns, though they are only just beginning, may
be more than temporary distortions caused by troubled Western markets. They
reflect China’s evolving economy and its ageing population. Even deep in the
interior, the days of an abundant and apparently endless supply of cheap, young
labour are over. The number of 15- to 29-year-olds peaked last year, according
to UN estimates, and the working-age population as a whole will begin to
decline in a few years. More than 90% of people under 30 from rural areas are
already engaged in non-agricultural work, according to a report last year by
the Development Research Centre, a government think-tank. So pressed are some
businesses in Chongqing and Sichuan for semi-skilled labour that officials this
year helped companies from the two regions to visit other provinces in search
of workers. The shift in migration patterns may also reflect a rebalancing of
China’s economy. Domestic demand has made a bigger contribution to China’s
growth in recent years, driven by heavy investment in infrastructure and
property. To serve this expanding internal market, firms do not need to nestle
close to a port. The result is a fast-narrowing wage gap between the coast and
the interior. In 2004 coastal wages for migrant labourers were 15% higher than
inland, according to a survey by the National Bureau of Statistics. Now, many
workers in Sichuan say that taking into account transport costs and higher
living expenses on the coast, less well-paid jobs closer to home are beginning
to look much more competitive. Experiments are under way in Chengdu and its
environs, as well as in Chongqing, aimed at making it easier for migrants in
urban areas to enjoy the same welfare benefits as registered city-dwellers.
Lack of access to such benefits, particularly to urban schools, subsidised
housing and health care, is a big problem for migrants. Many leave their
children behind in their villages to be looked after (often not very
attentively) by grandparents or other relatives. Between August 2010 and
December last year, Chongqing awarded full urban-welfare rights to 3m migrants
from its rural hinterland who had lived for a certain period in urban areas.
Chengdu plans to eliminate welfare-related barriers to migration within the
city boundary by the end of this year. This will mean that Fuxing’s farmers
will be able to migrate to the city proper and enjoy the same benefits as were
once enjoyed only by holders of urban hukou, or household-registration papers. The farmers
will also be allowed to keep their land-use rights in the countryside. The
reforms impose a big financial burden on local governments, but for the moment
Chongqing and Chengdu—buoyed by a surge of government-led investment—are
enjoying the kind of boom that was once confined largely to the coast. Chengdu
boasted 15.2% growth in 2011, while Chongqing says its GDP grew 16.4%, faster
than almost every other provincial area. The shift will create new problems even
as it solves others, but it heralds a change of huge consequence for China’s
hitherto unbalanced development.