Newsletter periodica d’informazione

 

P

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno X n. 33 del 16 ottobre 2012

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

(in) Successo solo parziale per la regolarizzazione

 

Era meglio prorogare i termini per dare più tempo per fare emergere i lavoratori straneri irregolari. Da oggi entrano in vigore norme più severe

 

 

Con questo numero, abbiamo provato a migliorare la grafica della nostra newsletter. Da oggi il volto di Focus Immigrazione assume un look più snello ed una cura maggiore nella scelta delle notizie e commenti. Cercherà anche di essere maggiormente interattivo, pubblicando i contributi che potranno venire – sull’immigrazione – dal mondo UIL come dall’esterno. Non mancate di farci pervenire, commenti, suggerimenti e critiche.

 

 

 

 

 

SOMMARIO

 

 

Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti pag. 2

 

“Save the date”: Coordinamento Nazionale Immigrati pag. 2

Corsivo: (in)successo parziale per la regolarizzazione pag. 2

 

Uil: “dare più tempo a imprese e stranieri per regolarizzarsi pag. 4

 

“Meglio un decreto flussi che un regolarizzazione

Come questa” pag. 5

 

ASGI: “il concorso del MIUR è discriminatorio pag. 5

 

Arresti e brutalità per I profughi in Libia pag. 6

 

Riunione gruppo “migrazione ed inclusione” CES pag. 7

 

Apolidia: sì al Pds provvisorio per l’irregolare che lo chiede pag. 9

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 

 

Roma, 15 ottobre 2012, sede CNEL, ore 11.00

Riunione gruppo ONC

(Angela Scalzo)

Roma, 23/10/2012, ore 10 – 17, Corso Italia 33

ISFOL – Convocazione Tavolo Lavoro sulla valutazione sensibile alle diverse forme di discriminazione

(Angela Scalzo)

Roma, 26/10/2012, ore 10.30, Via Fornovo 8

Riunione Comitato Consultivo Tripartito OIL

(Giuseppe Casucci, Cinzia Del Rio)

Roma, 30/10/2012, Teatro Orione, ore 10.30

Caritas/Migrantes - Presentazione del XXII Rapporto del Dossier Statistico Immigrazione

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Roma, 08/11/2012, sede ANCI, ore 11.00

Incontro con il sindaco di Reggio Emilia Graziano Del Rio, su proseguimento campagna sui diritti di cittadinanza

(Giuseppe Casucci)


“Save the date”: 06/11/2012

  

 

 

 

Coordinamento Nazionale Immigrati UIL

Martedì 6 novembre 2012, ore 09.30 /16.00 – presso la UIL Nazionale, via Lucullo, 6 – Piano 6°, sala Bruno Buozzi

Temi dell’evento:

Ø     Bilancio della procedura di emersione dei lavoratori stranieri irregolari;

Ø     La campagna “12 x 12” per la ratifica della Convenzione ILO n. 189 “lavoro dignitoso per lavoratrici e lavoratori domestici”;

Ø    Programma 2012/2013 di attività del Dipartimento Politiche Migratorie

Modera: Giuseppe Casucci, Coord. Naz. Dipartimento Politiche Migratorie UIL

Oratori invitati:

Procedura di emersione

Prof Saverio Ruperto, Sottosegretario all’Interno, con delega sull’immigrazione;

Prefetto Mario Morcone Capo di Gabinetto Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione;

Alberto Sera, Vice Presidente Ital

Campagna “12 x 12” sul lavoro domestico

Luigi Cal, Direttore Ufficio ILO per l’Italia e San Marino;

Giuseppe Mastropietro           Direttore Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro, Ministero del Lavoro  

Ivana Veronese                       Segreteria Nazionale Uiltucs

Conclude: Guglielmo Loy, Segr. Conf.le UIL  


 

Regolarizzazione

 


(in) Successo parziale per la regolarizzazione

Luci ed ombre della procedura di emersione avviata dal dlgs n. 109/2012. Da oggi, per imprese e lavoratori stranieri irregolari tutto diventa molto più difficile.

Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Roma. 16 Ottobre 2012 – A conclusione della procedura di emersione, terminata ieri 15 ottobre alle 24.00, possiamo dare un giudizio moderatamente positivo sui suoi risultati, pur essendo obbligati a rilevare – per onestà intellettuale – le numerose carenze che l’hanno caratterizzata e le occasioni mancate che avrebbero potuto trasformarla in una grande chance di emersione dal lavoro nero di un bacino di lavoratori stranieri <sans papier> che numerosi osservatori valutano essere tra le 500 e le 800 mila persone. Vediamo prima i dati: alle ore 18.00 del 15 ottobre (ultimo dato disponibile dal sito del Viminale) abbiamo un totale di 129.814 moduli inviati. Mentre, le domande già pervenute allo sportello unico sono state 115.740. Dei moduli inviati, ben 112.274 sono relativi al settore del lavoro domestico. Mentre il lavoro subordinato degli altri settori raccoglie poco più di 17.500 domande. E’ credibile la genuinità degli invii, per quanto riferito ai settori? Ci permettiamo di dubitarne: il Marocco, tradizionalmente assente dal settore domestico, su un totale di 15.170 domande, ne ha inviate ben 12.424 per lavori di colf o bandante. Lo stesso dicasi per il Bangladesh (13.899 su 15.219), Pakistan (9.851 su 10.985), Egitto (8.085 su 10.413), Senegal, Tunisia, ecc. Sorge d’obbligo una domanda: se questi Paesi non hanno mai lavorato nel settore domestico, come mai le domande sono concentrate in quell’area di attività? La risposta appare banale: perché i costi per una richiesta relativa a colf e badante non supera i 2000 € (tra una tantum e contributi previdenziali), mentre in settori come l’edilizia o commercio, agricoltura il costo può essere tra tre a cinque volte maggiore. E qui veniamo ad un limite forte della regolarizzazione che la UIL (assieme al Tavolo Nazionale Immigrazione) ha denunciato da subito: è una procedura costosissima ed i soldi che l’imprenditore (o verosimilmente il lavoratore straniero irregolare) dovrebbe rischiare non verranno restituiti in caso la domanda dovesse fallire per qualsiasi ragione. Meglio allora fare richiesta sul settore domestico. Una volta avuto il permesso di soggiorno, si potrà cambiare datore di lavoro appena possibile.

Secondo aspetto: la necessità di dimostrare di essere stati presenti in Italia, ininterrottamente, dal 31 dicembre 2011, con documentazione attestata da un “organismo pubblico”. Abbiamo denunciato subito la irragionevolezza di questo criterio. Se la legge 94 del 2009 obbligava i pubblici funzionari (tranne insegnanti e medici) a denunciare chi si presentasse senza poter esibire il permesso, come pretendere allora che quegli stessi funzionari dovessero dare un certificato di qualsivoglia genere? E’ stato necessario il parere (tardivo) dell’Avvocatura Generale dello Stato per allargare la casistica degli organismi titolati a provare la presenza in Italia dello straniero irregolare, includendo prove ragionevoli come l’abbonamento ad un mezzo pubblico, una carta sim di cellulare, un certificato medico, una certificazione consolare o anche la certificazione di un’associazione solidale, ecc. Da quando è stato divulgato il parere dell’Avvocatura, il trend delle domande presentate è aumentato (anzi triplicato), ma i tempi rimasti erano troppo stretti. Abbiamo più volte richiesto di posticipare i termini di conclusione della procedura, ma abbiamo incontrato nel governo orecchie da mercante.

Un altro aspetto che consideriamo essere un “deterrente” all’adesione alla procedura di “ravvedimento operoso”, è l’assenza di parità di trattamento tra lavoratore e datore di lavoro. Quest’ultimo – anche se va male la domanda – sarà comunque al riparo dal rigore della legge (a meno che non abbia colpe manifeste); il lavoratore straniero invece rischia l’espulsione, anche se non ha nessuna responsabilità sull’esito eventualmente negativo della domanda. Tutto questo ha certo rallentato il trend di adesione, da parte dei datori di lavoro come degli stessi lavoratori immigrati. Attualmente la nostra valutazione iniziale (centomila domande) va corretta verso l’alto e ci si può aspettare un totale vicino alle 135 mila domande. Un risultato non disprezzabile, il cui merito va soprattutto ai funzionari del Ministero dell’Interno che hanno messo a disposizione personale qualificato, tecnologie ed un ottimo expertise. A loro, come al Ministero dell’Integrazione, deve andare il nostro doveroso ringraziamento. Nondimeno, non possiamo non rilevare, che l’emersione toccherà solo un quinto dell’enorme bacino di lavoro irregolare che alimenta un’economia sommersa che nel nostro Paese è valutata pesare tra il 20 ed il 25% del PIL. Rendere la regolarizzazione più semplice e maggiormente fruibile per imprese e lavoratori stranieri, come abbiamo ripetutamente chiesto, sarebbe stato un ottimo esempio di lotta allo sfruttamento delle condizioni lavorative di clandestinità, oltre che portare milioni di euro in più nelle casse dello Stato. Tutto questo è stato fatto solo in parte, ed è questa quella che consideriamo l’occasione sprecata, specie in un mercato del lavoro in cui continua il lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera irregolare etnica, con gravi effetti in termini di dumping sociale e lacerazione del tessuto della civile convivenza, come hanno dimostrato in passato episodi di intolleranza e razzismo. Un quadro reso più oscuro dall’assenza quest’anno del decreto flussi per lavoro subordinato (a parte quello stagionale) ed una strategia di gestione degli ingressi che ci appare ancora farraginosa e insufficiente a combattere gli ingressi clandestini. In effetti, a noi sembra che l’assenza di un vero governo dei flussi d’ingresso e regole complicate, rendano solo difficile l’ingresso legale in Italia per lavoro e finiscano, sia pur involontariamente, per lasciare spazio ai professionisti del traffico delle persone. Per tornare alla regolarizzazione, pur dando un giudizio nel complesso positivo sul lavoro svolto dal personale dei ministeri coinvolti, la procedura continua ad apparirci come un’occasione sprecata per la maggioranza che ne resterà fuori. Ma è anche un vero dramma.

Una volta concluse le operazioni di regolarizzazione, infatti, la normativa introdotta con la Direttiva CE n. 52 procurerà non pochi problemi a quei datori di lavoro che non hanno voluto o potuto presentare la domanda di emersione e –conseguentemente – ai loro lavoratori irregolari. Infatti, a partire da oggi, 16 ottobre 2012, sono pienamente operative le nuove sanzioni a carico dei datori di lavoro che impiegano stranieri in condizione di irregolarità (senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto, revocato o annullato). Se il rapporto di lavoro non sarà caratterizzato da condizioni di particolare sfruttamento, il datore rischia le pene già previste dal testo unico immigrazione e cioè la reclusione da sei mesi a tre anni, la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato ed in più, ora, anche il pagamento delle spese di rimpatrio dello straniero (nel caso di persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica, si aggiunge una sanzione pecuniaria che può arrivare a 150mila euro, come prevista dal d.lgs. 231/2001). Nei casi di sfruttamento, invece, le pene potranno arrivare a quattro anni e mezzo di reclusione e 7.500 euro di multa. Il lavoratore, in questi casi, potrà presentare una denuncia a carico del datore di lavoro ed ottenere un permesso di soggiorno per tutta la durata del processo. Quando ricorrerà – per legge - la condizione di “sfruttamento”? Quando sussiste anche una sola delle seguenti condizioni: 1) la sistematica retribuzione dei lavoratori è palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque è sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti. Insomma un vero incubo per imprese scorrette e lavoratori stranieri sfruttati che, oltre ad essere vittime delle furbizie del datore di turno, rischiano l’espulsione e per questo non andranno probabilmente mai a denunciare il loro sfruttatore.


 

 

 

 

 

 

 

 


Uil: “Dare più tempo a imprese e stranieri per la regolarizzazione”

Loy: "Se continua così non sarà un pieno successo"


Roma, 12 ottobre 2012 - "La regolarizzazione rischia un successo limitato. Se si vuole combattere la piaga della clandestinità, diamo più tempo a imprese e stranieri irregolari di emergere. Siamo d'accordo con il ministro Riccardi quando dice, in riferimento alla procedura di emersione in corso, che bisogna evitare sacche di presenze clandestine di stranieri in Italia. Perché questo avvenga, però, bisogna dare modo e tempi adeguati perchè imprese e lavoratori straneri aderiscano alla regolarizzazione". Lo afferma Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil. "Attualmente - sottolinea - siamo attorno a una media di 2.900 domande al giorno. Se continua così, non si supererà di molto la quota di centomila regolarizzazioni, pari forse a un quinto del bacino vero di irregolarità. Se questo sarà il risultato, a nostro avviso avremo sprecato una grande occasione di colpire il lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera irregolare etnica.  "L'avvocatura dello Stato - ricorda - ha recentemente allargato i criteri della regolarizzazione, che rimane però ancora molto costosa e poco garantista verso gli immigrati, per i quali i rischi di espulsione non scompaiono del tutto. Dato che sono già state cambiate alcune regole a procedura in corso, sarebbe opportuno, ora, concedere almeno più tempo perché imprese e stranieri possano aderire. Serve inoltre più informazione e certezza delle regole. Per questo motivo, assieme al Tavolo immigrazione, la Uil ha chiesto e ribadisce la necessità di una proroga della regolarizzazione al 15 novembre, una circolare per chiarire tutti gli aspetti di una procedura complessa e maggior informazione".


 

 

 

 

 

 

 

 

 


“Meglio un decreto flussi che una regolarizzazione come questa”

Il governo l'ha rovinata rendendola complicata e costosa. Se vuole combattere il lavoro nero, approvi subito nuove quote d’ingresso 



(
www.stranieriinitalia.it) Roma – 12 ottobre 2012 – Quando è stato annunciato che il governo avrebbe permesso ai lavoratori migranti illegali di essere messi in regola, molti hanno pensato che era un’ottima idea. Infatti lo era. Normalmente, l’occasione di regolarizzare il proprio status in un Paese straniero può trasformare enormemente la vita di una persona. Ma a un certo punto del cammino, il governo ha rovinato tutto e ha fatto perdere alla regolarizzazione il suo significato e il suo obiettivo. Innanzitutto, il governo non ha definito con precisione questa regolarizzazione. Molte delle regole erano e sono ancora poco chiare. Già questo ha lasciato confusi molti migrati irregolari e i loro datori di lavoro. I costi per accedere alla regolarizzazione, tra forfait, tasse e contributi arretrati, sono molto alti. Secondo alcune stime si va dai quasi tremila euro chiesti a un datore domestico ai dodicimila a lavoratore previsti per le aziende. Nell’attuale crisi economica, non molti possono affrontare questa spesa. I costi alti e le regole complicate hanno negato a molti lavoratori immigrati irregolari l’opportunità di essere messi in regola. Infatti, su mezzo milione di irregolari stimati in Italia, la regolarizzazione riuscirà a farne emergere poco più di centomila. A questo punto, anziché introdurre una regolarizzazione così complessa e costosa, il governo avrebbe fatto meglio a pubblicare un decreto flussi. È un segreto di Pulcinella che il decreto flussi, che dovrebbe permettere a nuovi lavoratori stranieri di arrivare qui, è normalmente usato dai lavoratori irregolari per ottenere un permesso. Le sue regole sono più semplici e costa molto meno mettersi in tasca un permesso in questo modo. Se il governo vuole davvero combattere seriamente il lavoro nero, pubblichi presto un decreto flussi. 
Stephen Ogongo Ongong’a 
TheAfricanews.com


 

 

 

 

 

 

 

Discriminazioni

 


ASGI: COMUNICATO STAMPA

Il Concorso indetto dal MIUR per il reclutamento di personale docente è discriminatorio.

ASGI chiede al Ministero dell’Istruzione di voler procedere alla modifica del bando che esclude i cittadini di Paesi terzi non UE dal concorso per il reclutamento di personale docente


L’ASGI denuncia che l’esclusione degli aspiranti docenti, esclusivamente sulla base della nazionalità, anche se titolari di titolo abilitativo all’insegnamento, e di ogni altro requisito di capacità e competenza previsto dal bando di concorso costituisce un atto discriminatorio

L’esclusione è incompatibile con il principio di parità di trattamento dei lavoratori migranti nell’accesso al lavoro di cui alla Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975, nonché con la normativa dell’Unione europea con riferimento a quelle categorie di cittadini di Paesi terzi protetti da principi di parità di trattamento (familiari di cittadini UE, soggiornanti di lungo periodo, rifugiati) di derivazione comunitaria.

Le antenne anti-discriminazioni dell’ASGI di Firenze e Roma, nell’ambito del progetto finanziato dalla Fondazione Soros – Open Society,  hanno inviato una lettera al Ministro dell’Istruzione e, per conoscenza al Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione e all’UNAR, lamentando l’esclusione dei cittadini di Paesi terzi non membri UE dal concorso recentemente indetto per il reclutamento di personale docente volta ad ottenere una modifica del bando al fine di permettere la partecipazione anche ai cittadini di Paesi terzi non UE.

Per approfondimenti:

Il testo della lettera inviata dall'ASGI al Ministro dell'Istruzione in data 03 ottobre 2012 (82.64 KB)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mediterraneo


Consiglio d'Europa: "Italia elabori strategia per far fronte ai flussi migratori"

"Il prossimo 31 dicembre prendera' fine il fondo destinato all'emergenza Nord Africa''


STRASBURGO, 13 ottobre 2012 - ''L'Italia deve elaborare un piano per far fronte ai flussi migratori prima che il tempo a sua disposizione venga meno''. Lo ha affermato alla fine della sua visita di tre giorni a Strasburgo, il parlamentare conservatore inglese Christopher Chope, incaricato dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa di redigere un rapporto sugli arrivi degli immigrati sulle coste italiane. Chope, ha tenuto a sottolineare di comprendere la situazione in cui si trova l'Italia, in quanto ''Paese europeo in prima linea sul fronte migratorio'', ma ha tenuto ad esprime anche preoccupazione per quanto accadrà quando ''il prossimo 31 dicembre prenderà fine il fondo destinato all'emergenza Nord Africa''. Sulla base delle informazioni raccolte durante i suoi incontri con ministri, membri della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare e rappresentanti di organizzazioni internazionali, Chope ritiene che il governo stia valutando le possibili opzioni per circa 18mila persone ospitate dai vari centri d'emergenza, ma non abbia ancora trovato una soluzione. Il relatore ha dichiarato infine di essere ''preoccupato'' per tutti coloro a cui non e’ stato riconosciuto alcuno status, ma che non possono essere rinviati in Libia o comunque nei loro Paesi d'origine.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Immigrazione: arresti, detenzione brutale e lavori forzati… in Libia è caccia ai migranti

Redattore Sociale, 11 ottobre 2012


L’allarme lanciato dalla Federazione internazionale dei diritti umani in occasione della presentazione del nuovo rapporto sulle condizioni di vita dei migranti in Libia. “Sono vittime di arresti mirati, lavori forzati e condizioni di detenzione brutali”. Arresti mirati e discriminatori, lavori forzati e condizioni di detenzione brutali nei campi gestiti da ex ribelli fuori controllo: nella Libia del post Gheddafi è caccia ai migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana. La denuncia arriva “Libia: si ponga fine alla caccia ai migranti” presentato oggi a Bruxelles e a Yamoussoukro in Costa d’Avorio e realizzato dalla Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh), Justice sans frontières pour les migrants (Jsfm) e Migreurop. Il rapporto è il risultato di un’inchiesta realizzata a giugno 2012 all’interno di 7 centri di detenzione a Tripoli, Bengasi e nella regione di Djebel Nafoussa che ha permesso di fare un bilancio sulle condizioni di vita dei migranti, riportando “violazioni flagranti e generalizzate dei diritti umani fondamentali”. Il conflitto, spiega il rapporto, ha provocato un esodo di massa di lavoratori migranti, ma la fase di ricostruzione ne sta attirando di nuovi.
“Soltanto un’esigua minoranza cerca di raggiungere l’Europa - ha dichiarato Messaoud Romdhani, vice presidente della Lega tunisina dei diritti dell’uomo. Si tratta essenzialmente di persone in fuga dai conflitti o dalla repressione nel Corno d’Africa che sono alla ricerca di una protezione internazionale che la Libia, che non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e non ha alcun sistema d’asilo, non è in grado di offrire”. Un dato confermato, spiega il rapporto, dalla lista delle intercettazioni in mare effettuate dalla guardia costiera libica fornita alla delegazione: “Quasi la totalità delle persone intercettate sono potenziali rifugiati di origine somala o eritrea”.
Per chi arriva in Libia dall’Africa Sub-sahariana, il rischio di finire dietro le sbarre è altissimo. “In Libia - spiega il rapporto -, gli stranieri considerati “illegali” rischiano di essere catturati ai check point o arrestati nelle loro abitazioni o luoghi di lavoro da gruppi di ex ribelli, al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità governative”. Arresti che avvengono in un contesto di razzismo radicato, come si legge nelle parole di un dirigente di un gruppo di ex ribelli: “La cosa più importante oggi è ‘ripulirè il paese dagli stranieri che non sono in regola e mettere fine alle pratiche di Gheddafi che lasciava entrare molti africani in Libia. Non vogliamo più che queste persone portino qui malattie e criminalità”. Sono in migliaia, inoltre, i migranti detenuti nei campi gestiti dagli ex ribelli.
Logo ITUC“Le condizioni di vita in questi campi sono inumani e degradanti - spiega Sara Prestianni, membro di Migreurop e di Jsfm. Le celle sono sovraffollate, le possibilità di uscire all’aria aperta eccezionali e i detenuti subiscono quotidianamente l’arbitrarietà e la brutalità delle guardie”. Alle violenze si aggiunge, poi, anche il lavoro forzato. “Abbiamo anche constatato che datori di lavoro esterni - racconta Geneviève Jacques, membro della presidenza internazionale della Fidh -, con la complicità delle guardie dei centri, reclutano i detenuti per lavorare nei cantieri o nei campi. I migranti non sanno per quanto tempo dovranno lavorare, nè se saranno pagati”. Nei centri di detenzione, infine, la missione delle tre organizzazioni ha permesso di raccogliere le testimonianze di chi ha tentato di attraversare il mediterraneo verso l’Europa. “Le loro testimonianze inducono a supporre che i respingimenti verso la Libia proseguono in violazione delle norme internazionali - aggiunge il testo. Il rapporto mostra ugualmente che la Libia è parte integrante del sistema europeo di esternalizzazione dei controlli di frontiera per impedire gli arrivi dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo sul territorio europeo e come questo sistema si stia rinnovando nel quadro dei negoziati in corso con le nuove autorità libiche”. Alle autorità dei paesi coinvolti, le tre organizzazioni chiedono un impegno concreto. Alle autorità libiche di porre fine agli arresti e alle detenzioni arbitrarie, di chiudere i centri di detenzione per migranti e di garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti. All’Unione europea, invece, di sospendere tutte le attività di cooperazione in materia migratoria con la Libia in assenza di misure che garantiscano la protezione dei diritti umani, di rinegoziare accordi di cooperazione nel pieno rispetto del diritto internazionale ed europeo relativo ai diritti umani e di rendere pubblici gli accordi, di mettere fine alle politiche di esternalizzazione dei controlli delle frontiere europee nei paesi vicini e, in particolare, in Libia. Ai paesi di provenienza dei migranti, infine, di vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali dei loro cittadini in Libia e di assicurare la loro difesa e protezione in caso di violazione di questi diritti e la liberazione dei loro cittadini dai centri di detenzione.


 

Sindacato europeo


Riunione del gruppo migrazione ed inclusione della CES: resoconto.

(Bruxelles, 11 ottobre 2012)

A cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL.


Roma, 15 ottobre 2012 – Si è tenuto lo scorso 11 ottobre a Bruxelles l’incontro semestrale del gruppo migrazione ed inclusione della Confederazione Europea dei Sindacati, presso la sede internazionale. L’incontro è stato presieduto dal Segretario Confederale CES Luca Visentini, ed aveva all’ordine del giorno temi di grande interesse quali:

a) Le politiche di migrazione ed inclusione in rapporto al mercato del lavoro;

b) La legislazione UE in campo migratorio: ricongiungimenti familiari, studenti, ricercatori e residenti di lungo periodo;

c) Libera circolazione delle persone e mobilità intra UE.

La dirigenza del gruppo (Marco Cilento) ha infine ripresentato – alla discussione – la bozza aperta alla riflessione sull’immigrazione, dal titolo: “Agenda CES sulla politica migratoria. Costruire una identità europea e posizioni in materia migratoria”. Documento già fatto circolare in primavera ed oggetto del dibattito interno alla UIL in una riunione del Coordinamento Nazionale Immigrati tenuta lo scorso 6 luglio a Roma. A nome della UIL era presente Giuseppe Casucci. Per quanto riguarda la politica migratoria Europea, un contribuito è venuto all’incontro dalla presenza di Stefano Manservisi, Direttore Generale della DG Home Affairs della Commissione Europea.

Il tema europeo, della necessità cioè che si abbandoni la logica di direttive specifiche per pensare ad un approccio normativo organico in materia di immigrazione, è stato affrontato nel suo intervento da Luca Visentini, Segr. Conf.le CES. “Nel momento storico in cui viviamo, segnato dalle perturbazioni sociali prodotte dalla crisi economica – ha detto il dirigente CES - la crescente disoccupazione può avere l'effetto di innescare una competizione  indesiderata tra i lavoratori  nazionali e lavoratori migranti. D’altro canto, la mobilità del lavoro  potrebbe alleviare le pressioni  sul mercato nelle regioni che hanno sofferto di più in termini di disoccupazione. Il nostro compito oggi è quello di  trovare un giusto equilibrio. Più precisamente, la sfida è quella di tenere insieme l'obiettivo di una maggiore integrazione del mercato del lavoro della UE e una efficiente  gestione dei flussi migratori “. Dopo aver ricordato alcune importanti direttive della Commissione Europea ancora in discussione (stagionali e intra corporate transfer), e quelle di recente ratifica in Italia quali la direttiva sui rimpatri e la direttiva 52 sui datori di lavoro, Visentini ha detto: “Sullo sfondo c'è l'idea lanciata dal programma di Stoccolma per codificare la legislazione dell'UE nel settore della migrazione economica”. “La codificazione della legislazione UE ha rilanciato un dibattito nel quale la CES vuole ribadire la sua richiesta di un quadro organico di norme in cui diritti  ed opportunità per i lavoratori  migranti  risultino maggiori e più accessibili”. Per il dirigente sindacale europeo, “l'azione  della CES  deve essere accompagnata da un attività coordinata di lobby, da parte dei sindacati nazionali, nei confronti dei propri governi nazionali. La nostra politica sulle migrazioni dovrebbe anche includere una strategia più precisa  per la cooperazione con i paesi di origine. Siamo consapevoli che CES può fare di più per sostenere questi processi, adottando una strategia globale per l'integrazione e assistenza agli immigrati, nei prossimi anni”. Per fare tutto ciò, ha avvertito il dirigente CES, è necessario che i sindacati nazionali mettano tra i primi posti della propria agenda, la questione migratoria, a livello nazionale come quello dell’Unione.

Tra gli altri argomenti citati da Visentini: “quello delle immigrazioni irregolari e del lavoro nero dei migranti” e la “Convenzione ILO (n. 189/2011), votata nel giugno 2011, nell’ambito della Conferenza Internazionale del Lavoro a Ginevra, che disegna un quadro di norme minime a favore dei lavoratori domestici”. “La CES è in prima linea insieme alla  CSI – ha concluso Visentini - nel chiedere ai governi, europei e non, una rapida ratifica ed adozione di questo importante strumento internazionale di tutela per i lavoratori domestici. Si è anche discusso della Convenzione Onu del 1990 sulla condizione dei migranti e delle loro famiglie. La convenzione, approvata ormai 22 anni fa, è stata ratificata solo da 47 Paesi, di cui nessuno appartenente alla Comunità Europea. Attualmente c’è in proposizione in Italia il lancio di una ICE (iniziativa dei cittadini europei) che prevede la possibilità che la stessa Commissione Europea possa agire in proposito, sulla base di una proposta ICE sostenuta da un milione di firme di cittadini provenienti da almeno 7 Stati Membri. Il direttore generale della DG Home Affairs è intervenuto su questo, confermando che la legislazione europea permette da quest’anno il lancio di proposte promosse da cittadini europei, ma sottolineando anche l’estrema complessità di una siffatta iniziativa.

Per quanto riguarda il lavoro fatto all'interno del Parlamento europeo sulla direttiva denominata (intra corporate transfer), il parere della CES è positivo, anche se alcuni punti di preoccupazione rimangono. In particolare il sindacato europeo vuole attirare l’attenzione sulla nuova nozione introdotta di “gruppo di società”. La modifica introdotta dalla LIBE estende il perimetro delle società in cui i lavoratori ICT (intra corporate transfer), possono essere trasferiti, minando potenzialmente i miglioramenti ottenuti finora. In effetti, tra le novità introdotte dal Parlamento europeo, la CES non può essere d'accordo su quella riguardante l'estensione della nozione di gruppo di società. Ai criteri aziendali di controllo (il possesso di azioni e diritto di nominare i manager) è stato aggiunto un terzo criterio nell’art.3.1.l., secondo il quale il controllo può ora essere desunto da accordi contrattuali tra le società ritenute controllanti e controllate. Questa misura allarga (potenzialmente senza limiti) l'estensione del perimetro del gruppo, esponendo così lo strumento ICT ad cattivi usi ed abusi, in particolare quando i permessi in materia di ICT sono utilizzati per nascondere i distacchi reali di lavoro. In alcuni settori il subappalto e la dipendenza del piccolo datore di lavoro dalle grandi multinazionali è la norma. Se la nozione di gruppo di società sarà aperta ad arrangiamenti contrattuali, il trasferimento di lavoratori ICT probabilmente funzionerà come una forma surrettizia di distacco dei lavoratori. Si è già detto che questo va contro lo spirito della direttiva ICT. Quindi, per la CES, la lettera l) dell'articolo 3 deve essere ripristinata nella sua versione originale. Un secondo punto di interesse è l'articolo 16 e la mobilità all'interno dell'UE dei titolari di ICT. Sono state introdotte anche alcune agevolazioni sul tema del ricongiungimento familiare (art.15). La CES è consapevole che il ricongiungimento familiare è un tema molto sensibile per coloro che decidono di trasferirsi in un altro Paese. La deroga alla direttiva 2003/86 che norma il tempo. per il trattamento delle domande e l'accesso al mercato del lavoro) ha introdotto alcune agevolazioni per i lavoratori ICT altamente qualificati in tema di management o alte cariche professionali. La CES auspica che questa solidarietà dimostrata per i professionisti e manager possa portare a un'analoga apertura in sede di revisione generale della normativa dell’Unione sul ricongiungimento familiare (vedi la prevista revisione della direttiva 2003/86). Inoltre, il lavoro del Parlamento europeo tende a confermare il principio della priorità dei lavoratori dell'Unione europea sul mercato del lavoro e del diritto degli Stati membri di pronunciarsi su chi ha diritto di entrare e lavorare nel proprio territorio. Tali misure possono sembrare indesiderabili per alcuni, ma sono tuttora presenti in tutta la legislazione dell'UE e vale la pena di discuterne nelle apposite sedi. Lavoratori stagionali. Per quanto riguarda la direttiva in discussione sul lavoro stagionale, il problema principale sembrerebbe quello di armonizzare il trattamento dei lavoratori che entrano con un permesso inferiore ai tre mesi (visto Schengen) e quelli con permesso da tre a nove mesi (attualmente regolato da decreto flussi o permesso di residenza per lavoro). In genere il permesso Schengen riguarda soprattutto i visti turistici, condizione che non gode di alcuna tutela; mentre un permesso per motivi stagionali (anche se inferiore al trimestre) necessita di norme relative alle condizioni di residenza e contrattuali dedicate a chi entra per lavoro, sia pure temporaneo (circular migration).

Il relatore, Mr. Moraes è attualmente impegnato nella ricerca di compromessi che gli permettano di guadagnare un maggioranza in appoggio al suo report. Le posizioni della CES sono volte a chiarire il campo di applicazione della direttiva e la nozione di lavoro stagionale, nonché ad evitare che quanto già approvato del report di Moraes non sia oggetto di nuovi compromessi. Le nostre proposte sulla parità di trattamento e protezione dei migranti possono essere considerate accettate visto il voto positivo del Comitato nel Parlamento Europeo. La CES accoglie con favore l'emendamento che introduce una responsabilità comune per l'appaltatore principale e le altre ditte di sub appalto in caso di violazione della direttiva sui migranti stagionali. Comunque, i miglioramenti raggiunti dal Parlamento Europeo debbono ora passare l’esame degli Stati Membri. Una disputa riguardante le basi legali sta rallentando il processo legislativo, dato che il testo attuale copre tutti i lavoratori stagionali, inclusi i lavoratori che rimangono nell’Unione Europea per meno di tre mesi (condizione regolata ora dal visto di ingresso Schengen). E’ sorto dunque un conflitto sulla possibilità di applicare la direttiva a questi lavoratori, almeno per la parte che concerne le “condizioni di ammissione” e quelle “di impiego”. Dato che si applicano differenti basi giuridiche, l’adozione della direttiva è stata rallentata per dirimere il contenzioso. Sulla base di quanto discusso con la Commissione Europea (presidenza e servizio legale), ci sarebbero tre opzioni:

Preservare il permesso unico (residenza più lavoro in un unico documento), limitando però il campo di applicazione della direttiva ai lavoratori stagionali che soggiornano per più di tre mesi. Facendo così la direttiva non varrà per chi soggiorna meno;

Ø Aggiungere l’articolo 77(2)(a), che si riferisce ai permessi di residenza breve, come base giuridica. Questi permessi brevi di residenza sono stati introdotti dal Trattato di Lisbona, ma non sono mai stati usati. Il Consiglio e la Commissione Europea sono contrarie a questa ipotesi;

Ø Separare il permesso d’ingresso da quello di lavoro. Tutte le disposizioni della direttiva relative ai diritti e parità di trattamento sarebbero, così, collegate al permesso di lavoro e non al documento di ingresso (che sarebbe variabile in relazione alla durata di permanenza). Ciò andrebbe bene sia per le condizioni di ingresso, che per le garanzie procedurali ed i diritti da applicare a tutti i lavoratori stagionali. In questo caso, sarebbe necessaria la ridefinizione della parti della proposta per allinearle con questa opzione. Il relatore appoggia questa terza opzione.


 

Giurisprudenza


Apolidia. Si' al permesso di soggiorno provvisorio per il clandestino che ne chiede il riconoscimento

Articolo di Emmanuela Bertucci, Aduc immigrazione - 3 ottobre 2012


La legge italiana tutela gli apolidi, riconoscendo loro gli stessi diritti attribuiti ai rifugiati politici (documenti di identita', permesso di soggiorno, lavoro, assistenza sanitaria, previdenza sociale, possibilita' di chiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni, ecc.) ma e' decisamente lacunosa nell'individuare le procedure per ottenere il riconoscimento dello status di apolide. Sintetizzando, e rimandando per approfondimento ad altro articolo che specificamente se ne occupa, il riconoscimento dello status di apolide puo' esser richiesto al Ministero dell'Interno (che in verita' molto raramente accoglie queste istanze) o al giudice civile, ma si tratta di procedimenti lunghi che durano – ben che vada – almeno un anno. E cosa accade “nel frattempo”? L'apolide di fatto – che diventera' apolide di diritto solo dopo il provvedimento che tale lo dichiara – come vive in Italia? Ha diritto ad un titolo di soggiorno?
Le norme in materia di immigrazione disciplinano solo parzialmente la questione, consentendo il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa apolidia alla persona che sia gia' titolare di pds per altri motivi e che chieda il riconoscimento dello status di apolide (art. 11, comma 1, lett. C del d.p.r. 364/99), mentre nulla prevedono per gli apolidi di fatto clandestini, che non hanno alcun permesso di soggiorno, e che sono la maggior parte. Nella nostra esperienza lo straniero clandestino che chiede il riconoscimento dell'apolidia viene guardato spesso con sospetto dai giudici, con il pregiudizio che il procedimento per il riconoscimento di apolidia sia solo un escamotage per “uscire dalla clandestinita'”, che la richiesta di un titolo di soggiorno provvisorio sia pretestuosa e che concedendo il permesso si “apra la strada” ad un numero considerevole di cause iniziate da persone non realmente apolidi che “ci provano”.
Eppure da qualche parte il ricorrente dovra' pur vivere e qualcosa dovra' mangiare, ma senza permesso di soggiorno non e' possibile lavorare, se non a nero. 
In molti dei giudizi civili instaurati in queste vicende, la richiesta di un provvedimento cautelare in corso di causa avanzata dall'attore e' stata rigettata dal giudice con le motivazioni piu' varie, a volte senza nemmeno prenderla in considerazione, altre sostenendo che la persona poteva essere mantenuta, nelle more del giudizio, dal fidanzato e che quindi non aveva esigenza di un permesso di soggiorno (?).
Il Tribunale di Roma, con un recente provvedimento cautelare nella causa instaurata da una ex cittadina cubana per essere dichiarata apolide (Tribunale di Roma, Sez. I civile, ordinanza del 6 luglio 2012), ha virtuosamente invertito questa tendenza, ordinando alla Questura di rilasciare un permesso di soggiorno provvisorio nelle more del giudizio, indispensabile per potersi sostentare legalmente e legittimamente, consentendo alla richiedente di svolgere attivita' lavorativa. Il Tribunale ha ben colto anche l'ulteriore profilo di pericolo relativo all'assenza di permesso di soggiorno e alla condizione di inespellibilita' di fatto della persona. 
Infatti, a differenza di un “qualsiasi” cittadino straniero extracomunitario clandestino, mentre quest'ultimo sceglie la propria condizione di clandestinita' e puo' porvi rimedio rientrando nel proprio Paese, un apolide di fatto non puo' stare in Italia legittimamente, ma non puo' nemmeno espatriare, ne' puo' tornare nel proprio Paese di provenienza, che non conosce. 
Si trova, in pratica, sequestrato in Italia.
La legge italiana prevede che chi non e' titolare di alcun permesso di soggiorno valido sia espulso. Ma l'apolide di fatto non potrebbe mai essere espulso, poiche' il suo Paese di origine non lo riconosce come proprio cittadino. A seguito di un eventuale controllo di polizia dunque, nel corso del quale emergerebbe inevitabilmente il mancato possesso di passaporto e di valido titolo di soggiorno, gli agenti di polizia non potrebbero che agire in uno dei seguenti modi: rilasciare la persona o condurla in un centro di permanenza temporanea, centri il cui scopo e' quello di evitare al soggetto di sottrarsi all'espulsione fintanto che ne viene accertata la nazionalita', e dunque si sa in quale paese rimpatriarlo. Nei casi di apolidia di fatto pero' lo Stato di provenienza non autorizzerebbe il rimpatrio (sempre perche' il soggetto non e' piu' cittadino di quel Paese) e le forze dell'ordine sarebbero costrette a rilasciarlo. Questa scena potrebbe riprodursi all'infinito.
Il Tribunale coglie queste esigenze, ben sintetizzate nel provvedimento che segue che, a quanto ci risulta, non ha precedenti:
“Il Giudice
a scioglimento della riserva che precede, letti gli atti ed esaminati i documenti, vista la richiesta cautelare formulata in corso di causa ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio sino al termine del giudizio;
ritenuta la sussistenza di entrambi i presupposti per l'accoglimento dell'istanza; 
considerato, quanto al fumus boni iuris che la documentazione prodotta da parte attrice e proveniente dall'Ambasciata cubana in Italia evidenzia come all'attrice lo Stato cubano (di cui risulta cittadina in base alla copia allegata del passaporto) abbia negato il diritto di residenza a Cuba a causa del perdurare della sua permanenza all'estero oltre il periodo massimo consentito (undici mesi);
che l'attrice, secondo il tenore della allegata documentazione ha acquisito lo “status di emigrante”, secondo la legislazione cubana;
considerato che siffatta situazione possa configurare il fumus dell'esistenza dello status di apolide in capo all'attrice, essendosi – sostanzialmente – verificata, nella specie, una revoca tacita della cittadinanza cubana e avendo conseguentemente la medesima perso la protezione tipicamente spettante al cittadino da parte del proprio Paese di origine;
considerata altresi' la sussistenza del presupposto del periculum in mora, atteso che i tempi occorrenti per la definizione del giudizio in via ordinaria potrebbero lasciare a lungo l'attrice priva di un valido titolo di soggiorno sul territorio nazionale con probabili, reiterati trattenimenti presso centri di permanenza temporanea ed impossibilita' di rimpatrio stante la non volonta' dello stato cubano di accoglierla;
ritenute superflue le istanze istruttorie e la causa matura per la decisione, ORDINA alla Questura competente il rilascio in favore di XXX di permesso di soggiorno provvisorio sino alla definizione del giudizio”
.