Newsletter periodica d’informazione
P
|
|
Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata
agli
|
Anno X n. 34 del 19 ottobre 2012 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Regolarizzazione, quello che è mancato
“Se l’obbiettivo era davvero quello di far emergere più lavoro nero possibile, forse allora ci voleva più coraggio rendendo la procedura di emersione più equa e fruibile. In questo senso, pur apprezzando il lavoro fatto dai ministeri coinvolti, a noi sembra comunque un’occasione in parte mancata”.
|
SOMMARIO
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti pag. 2
“Save the date”: Coordinamento
Nazionale Immigrati pag. 2 Regolarizzazione: “quello che è mancato" pag. 2
Sanzioni più dure per chi impiega irregolari pag. 3
Regolarizzazione, Riccardi: “non è un flop” pag. 4
Caritas: “un italiano su tre è povero" pag. 4
L’Espresso, Inchiesta: chi specula sui profughi pag. 5
Giurisprudenza su libertà religiosa pag. 8
El Pais: ecuadorianos buscan otra tierra pag. 8
|
A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 23/10/2012, ore 10 – 17, Corso Italia 33
ISFOL – Convocazione Tavolo Lavoro sulla valutazione sensibile alle diverse forme di discriminazione
(Angela Scalzo)
Roma, 26/10/2012, ore 10.30, Via Fornovo 8
Riunione Comitato Consultivo Tripartito OIL
(Giuseppe Casucci, Cinzia Del Rio)
Roma, 30/10/2012, Teatro Orione, ore 10.30
Caritas/Migrantes - Presentazione del XXII Rapporto del Dossier Statistico Immigrazione
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 08/11/2012, sede ANCI, ore 11.00
Incontro con il sindaco di Reggio Emilia Graziano Del Rio, su proseguimento campagna sui diritti di cittadinanza
(Giuseppe Casucci)
Modera: Giuseppe Casucci, Coord. Naz. Dipartimento Politiche Migratorie UIL
Oratori invitati:
Panel: “Procedura di emersione”
Prof Saverio Ruperto, Sottosegretario all’Interno, con delega sull’immigrazione;
Prefetto Mario Morcone, Capo di Gabinetto Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione;
Alberto Sera, Vice Presidente Ital
Panel: “Campagna “12 x 12” sul lavoro domestico”
Luigi Cal, Direttore Ufficio ILO per l’Italia e San Marino;
Rosanna Margiotta, Dirigente Ministero del Lavoro
Ivana Veronese Segreteria Nazionale Uiltucs
Conclude: Guglielmo Loy, Segr. Conf.le UIL
Pomeriggio: discussione del Coordinamento sul programma di attività 2012/2013
Regolarizzazione
Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL
Giuseppe Casucci, Coord. Dipartimento Politiche Migratorie UIL
Roma, 16 ottobre 2012 – 134.576 domande inviate. E’ questo il bilancio, alla mezzanotte di ieri, della procedura di emersione del lavoro etnico irregolare presente nel nostro Paese. Altre settemila persone alle 24.00 avevano compilato i moduli, ma non hanno fatto a tempo ad inviarli. Verranno considerati? Probabilmente no. Sono tante le persone che potranno emergere, oppure è stato un flop? Noi della UIL pensiamo di no: il lavoro svolto dai tantissimi funzionari del Ministero dell’Interno e degli sportelli unici, nonché dei Patronati e delle Associazioni che da sole hanno compilato ed inviato quasi 60 mila domande, è stato utile, addirittura prezioso. A tutti loro va un doveroso ringraziamento. Il problema, naturalmente sta a monte. Ad inizio estate il parlamento aveva espresso un parere unanime chiedendo al Governo di offrire ad imprese e famiglie una chance di far emergere i lavoratori impiegati irregolarmente, prima che le più severe norme introdotte dalla direttiva UE n. 52 entrassero in vigore. Il Governo l’ha fatto ma, prigioniero di veti incrociati da più parti politiche, ha costellato la procedura di lacci e laccioli, tanto da renderla complessa, costosa e poco equa.
Complessa: si è preteso che gli immigrati irregolari dovessero dimostrare (con certificazione da organismo pubblico) di essere in Italia dal 31 dicembre 2011. Ci sono voluti 20 giorni dopo lo start della regolarizzazione, perché l’Avvocatura Generale dello Stato allargasse la casistica delle prove possibili;
Costosa: si va da 2000 € per il lavoro domestico a più di 10 mila euro per altri settori ( tra una tantum, contributi ed anticipazioni Irpef). Non tutti avevano i soldi o il coraggio di rischiare cifre che, se la pratica andava male, non sarebbero state restituite;
Poco equa: si sono usati due pesi e due misure per datori e lavoratori. Ai primi viene data comunque la tutela dai rigori della legge (anche se la pratica verrà respinta, non per loro responsabilità), ai secondi resta il rischio di poter essere espulsi.
Il Ministro Cancellieri avrebbe dichiarato ieri
che forse, se le domande sono poche, vorrà dire che l’irregolarità non è così
diffusa in Italia. E’ un dubbio, certo, che anche noi abbiamo considerato. Ma
le testimonianze che vengono dai nostri patronati ci danno un altro messaggio.
Per almeno venti giorni, dall’inizio della regolarizzazione, su 10 persone che
visitavano i nostri sportelli, solo una in media era nelle condizioni di
presentare la domanda. Forse, dato l’arrivo tardivo del parere dell’Avvocatura,
si doveva dare più tempo alle imprese di inviare i moduli. E’ significativo, su
questo punto, un dato che viene dallo stesso Viminale: fino al 4 ottobre (data
del parere dell’avvocatura) la media giornaliera è stata di 2500 domande. Dopo
quella data e fino a ieri la media è schizzata oltre le 8000 richieste
giornaliere, a riprova che il lacciolo della prova di presenza era un
deterrente letale. Abbiamo chiesto più tempo per la regolarizzazione, non ci è
stato concesso. Se l’obbiettivo era davvero quello di far emergere più lavoro
nero possibile, forse allora ci voleva più coraggio rendendo la procedura più
equa e fruibile. In questo senso, pur apprezzando il lavoro fatto dai ministeri
coinvolti, a noi sembra comunque un’occasione mancata.
(www.italiaoggi.it) Roma, 16 Ottobre 2012 - Giro di vite per chi impiega irregolari. Terminata alle 24 di ieri la procedura per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri in Italia, d'ora in avanti i datori di lavoro dovranno affrontare sanzioni più dure se impiegano immigrati privi di permesso di soggiorno. Il regime sanzionatorio è contenuto nel decreto legislativo 109/2012, in attuazione della direttiva comunitaria 59/2009, entrato in vigore il 16 luglio: da oggi, scaduta la disposizione transitoria per l'emersione, saranno più severe le pene, tra cui una multa accessoria pari al costo medio del rimpatrio del lavoratore e il pagamento di almeno tre mesi di arretrati di stipendi, tasse e contributi.
Il divieto di impiego di stranieri irregolari è già punito dalla normativa italiana con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5mila euro per ogni lavoratore impiegato. Con il decreto scatteranno, però, ulteriori aggravanti nei casi in cui il divieto di impiego di irregolari, sia caratterizzato da "particolare sfruttamento", ossia siano occupati irregolarmente più di tre lavoratori, siano occupati minori in età non lavorativa, oppure ricorrano le ipotesi di sfruttamento del lavoro previste dall'articolo 603 bis del codice penale.
Il decreto prevede anche la preclusione ad ottenere il nulla osta all'ingresso di lavoratori stranieri per quei datori di lavoro che abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una condanna, anche non definitiva, per reati connessi allo sfruttamento del lavoro ossia all'occupazione illegale di cittadini stranieri e al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
La norma punta inoltre a favorire l'emersione dal lavoro nero attraverso la collaborazione dello straniero irregolare che decida di denunciare la propria situazione: nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, infatti, se lo straniero denuncia o coopera nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, può ottenere, con il parere favorevole del giudice, un permesso di soggiorno umanitario di sei mesi rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale.
Questo permesso di soggiorno per motivi umanitari consentirà, tra l'altro, lo svolgimento dell'attività lavorativa per il migrante. L'esito positivo del procedimento di emersione comporterà comunque, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni commesse.
"Attendevamo tra le 100 mila e le 150 mila domande. I paletti? Eravamo stretti tra le paure dell’invasione e le critiche di chi vedeva troppi controlli. Ora applicheremo la legge con durezza"
Roma – 18 ottobre 2012 - "Abbiamo recuperato 135
milioni di euro. Ma soprattutto abbiamo reso felici, dandogli una prospettiva
di dignità, 134.576 immigrati. Vi pare poco?" Intervistato oggi dl
Corriere della Sera, il ministro dell’integrazione Andrea Riccardi difende la
regolarizzazione appena conclusa, respingendo le critiche di chi parla di flop:
"Abbiamo sempre detto che attendevamo tra le 100 mila e le 150 mila
domande. Ma è paradossale leggere queste critiche dopo aver dovuto fronteggiare
chi temeva un’ondata di 800 mila clandestini". E i costi alti e la prova
di presenza, che hanno tagliato fuori molti datori e clandestini? "Abbiamo
dovuto mettere dei paletti. Perché questa – spiega Riccardi - è una
maggioranza tripartita. E taluni non hanno compreso che la ripresa richiede una
comprensione positiva del fenomeno migratorio. Così eravamo stretti tra le
paure dell’invasione e le critiche di chi vedeva troppi controlli. Sono due
posizioni miopi". Al ministro dell’Integrazione non sfugge l’enorme
sproporzione tra domande per lavoro domestico (80mila colf e 36 mila badanti) e
altri settori di lavoro subordinato (appena 18 mila). E se la spiega così:
"Le famiglie hanno mostrato un grande senso di realismo e legalità. Anche
se tirar fuori quei mille euro non era facile, lo hanno fatto. Mentre chi ne
aveva molti di più magari non ha fatto la regolarizzazione convinto di farla
franca". E con i datori che non hanno colto questa possibilità, Riccardi
non è tenero. "Io stesso solleciterò maggiori controlli contro questa
Italia che pascola nell’illegalità, che non paga le tasse e non mette in regola
gli immigrati ma neanche i nostri giovani. Il lavoro nero è una piaga. La legge
va applicata con durezza".
Società
Negli ultimi tre anni il numero di cittadini che si rivolgono ai centri di aiuto e' arrivato al 33,3% della popolazione. Pensionati, casalinghe e immigrati i piu' colpiti. A 6 milioni i pasti serviti nelle mense.
Profughi
di Michele Sasso e Francesca Sironi, L’Espresso 12 Ottobre 2012
Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori
Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga
dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre
dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone.
Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto
d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma
l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita
a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la
spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro.
In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel
nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha
alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori
spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino
a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in
un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono
stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.
IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola
magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato,
tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più
profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il
governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla
strada.
In Italia sono rimaste famiglie africane e
asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata,
composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia
grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma
quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia
federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi
proporzionale ai suoi abitanti. A coordinare tutto è la Protezione civile, che
da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come
responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole
per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati.
Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata
per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi
1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti,
ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie
fatiscenti.
IL
MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli
imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le
convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i
privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116
profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val
Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di
Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val
Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella
sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non
potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul
prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno
per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati
all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei
privati aveva già ottenuto di più.
Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a
testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi,
più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era
piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi
locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee.
Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla
Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano
vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che
occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo
stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro.
I richiedenti
asilo però non sono turisti, ma persone che hanno bisogno di integrarsi. La
legge prevede che ci siano servizi di mediazione culturale, che sono rimasti
spesso un miraggio o sono stati appaltati a casaccio:«A Napoli sono spuntate in
pochi mesi decine di associazioni mai sentite nominare», denuncia Jamal
Qadorrah, responsabile immigrazione della Cgil Campania: «Ogni albergatore
poteva affidare i servizi a chi voleva, nonostante ci sia un albo regionale
degli enti competenti. Tutti, puntualmente, ignorati». Non solo. «A luglio di
quest'anno abbiamo organizzato un incontro fra il Comune e gli albergatori»,
racconta Mohamed Saady, sindacalista della Cisl: «Diverse strutture non avevano
ancora un mediatore». Ed era passato più di un anno dall'inizio dell'emergenza.
I FURBETTI DEL MONASTERO. Il
business dei nuovi arrivati non ha lasciato indifferenti nemmeno i professionisti
della solidarietà. Cooperative come Domus Caritatis, che gestisce otto comunità
solo a Roma. Anche i suoi centri sono finiti nel mirino di Save The Children e
del garante dell'infanzia e dell'adolescenza del Lazio. Dopo numerose
segnalazioni l'ong è andata a controllare 14 strutture della capitale che si
fanno rimborsare 80 euro al giorno per l'accoglienza di minori stranieri non
accompagnati. Il risultato è un rapporto inquietante, presentato a maggio alla
Protezione civile e al Viminale, che "l'Espresso" ha esaminato. Si
parla di sovraffollamento, ma soprattutto di senzatetto quarantenni fatti
passare per ragazzini scappati dalla Libia. Durante l'indagine sono stati
intervistati 145 profughi. «Più di cento erano palesemente maggiorenni», denuncia
l'autrice del rapporto, Viviana Valastro: «Quelli che avevo di fronte a me
erano adulti. Altro che diciassettenni. Non posso sbagliarmi». Non solo. «Molti
di loro erano in Italia da tempo, non da pochi mesi. Alcuni arrivavano dagli
scontri di Rosarno».
Doppia truffa insomma: sull'età e sulla provenienza, per avere un rimborso più
che maggiorato e intascare milioni di euro. Tutto questo da parte di una
cooperativa strettamente legata all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento
e di San Trifone e a La Cascina, la grande coop della ristorazione che tre anni
fa è stata al centro di un'inchiesta per il tentativo di entrare nella gestione
dei cpt.
Save The Children non è stata la sola a denunciare la situazione romana. Anche
il presidente della commissione capitolina per la sicurezza, Fabrizio Santori,
esponente del Pdl, ha dovuto occuparsi di Domus Caritatis. La cooperativa
infatti gestiva una comunità che dava grossi problemi al vicinato, da cui
arrivavano continue proteste. Santori l'ha visitata e si è trovato davanti ad
alloggi di 35 metri quadri abitati da 10 persone. Peggio che in un carcere.
Eppure gli appartamentini di via Arzana, a metà strada fra Roma e Fiumicino,
più vicini all'aeroporto che alla città, permettevano di incassare più di 12
mila euro al mese.
Save The Children ha calcolato che in strutture di questo tipo, nella capitale,
vivono quasi 950 persone. Dati incerti, perché solo cinque cooperative hanno
accettato di fornirli. Domus Caritatis, dalla sua sede all'abbazia trappista
delle Tre Fontane, non ha voluto dare alcuna informazione. Il dossier dell'ong
internazionale descrive un caos assoluto: mancanza di responsabili, nessun
servizio di orientamento e accompagnamento legale, strutture inadeguate.
ACCOGLIENZA ALLA MILANESE. Al
Nord la situazione non cambia. A Milano si registrano casi come quello della ex
scuola di via Saponaro, gestito dalla Fondazione Fratelli di San Francesco
d'Assisi, che ha accolto 150 rifugiati. Ospitati in una comunità per la cura
dei senzatetto, l'accoglienza dei minori e degli ex carcerati: 400 persone, con
esigenze diverse, costrette a vivere sotto lo stesso tetto in una vecchia
scuola. «Le condizioni sono orribili: 10-12 letti per ogni camerata. E pieni di
pidocchi e pulci», racconta un ragazzo ancora ospite. Le stanze sono inadatte
perché costruite per ospitare alunni, non profughi, né tantomeno clochard che
vivono in strada. «Un contenitore della marginalità sociale dove sono frequenti
le risse: nigeriani contro kosovari, ghanesi contro marocchini e la lista dei ricoverati
in ospedale si allunga ogni giorno», racconta chi è entrato tra quelle mura.
Anche il personale è ridotto al minimo con pochi mediatori culturali (che
spesso sono ex ospiti che non disdegnano le maniere forti per mantenere
l'ordine), un solo assistente sociale e una psicologa per dieci ore alla
settimana. Troppo poche per chi ha conosciuto gli orrori della guerra, le botte
della polizia libica e porta sulla propria pelle i segni delle violenze. Anche
i disturbi psichici abbondano, insieme all'alcolismo dilagante. A sette chilometri dai frati, 440 profughi hanno
trovato alloggio a Pieve Emanuele, estrema periferia Sud di Milano. Qui sono
stati ospitati nel residence Ripamonti, di proprietà del gruppo Fondiaria Sai,
appena passata sotto il controllo di Unipol ma all'epoca saldamente in mano a
Salvatore Ligresti. I clienti abituali dell'albergo sono poliziotti, guardie
del vicino carcere di Opera o postini, che non bastano a riempire i 4 mila
posti letto dell'albergo. Grazie all'emergenza però nelle settimane di massimo
afflusso sono entrati nelle casse di Fonsai oltre 600 mila euro al mese.
Vacanze forzate in alloggi confortevoli (le camere sono dotate anche di tivù
satellitare) ma dove sono mancati completamente i corsi per imparare l'italiano
o l'assistenza legale e psicologica. «Si poteva trovare una sistemazione più
modesta e investire in altri sussidi» dice, banalmente, un ragazzo del Ghana.
Oggi a Pieve Emanuele sono rimasti in 80. Ma nel frattempo al residence sono
andati quasi sette milioni di euro.
PER UN PIATTO DI RISO. Lo Stato ha speso per l'emergenza 797 milioni di euro
nel 2011 e altri 495 milioni nel 2012. Solo una parte è servita per
l'accoglienza: centinaia di milioni di euro sono finiti in tendopoli,
spostamenti, trasferte, rimborsi agli uffici di coordinamento. Fondi di cui si
è persa la traccia. E sì che proprio per il buon uso dei soldi pubblici era
stato istituito un "Gruppo di monitoraggio e assistenza", con il
compito di visitare le strutture e segnalare i casi critici. Ma della task
force degli ispettori dopo pochi mesi non si è saputo più nulla. «Noi facevamo
parte del progetto ma da ottobre 2011 non siamo più stati convocati.
Considerando che è partito ad agosto, il gruppo è durato meno di tre mesi»,
spiega a "l'Espresso" Laura Boldrini, portavoce dell'Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «E' mancato completamente il
controllo da parte delle regioni e delle prefetture». La Corte dei conti della
Calabria è andata oltre: ha messo nero su bianco che le convenzioni
sottoscritte nella regione sono illegittime, perché non sono state sottoposte
al controllo preventivo della Corte, obbligatorio anche nell'emergenza. Non
solo. I giudici contabili di Catanzaro definiscono "immotivata" la
diaria: 46 euro al giorno sono troppi. E pensare che in provincia di Latina
sono riusciti a intascarseli quasi tutti spendendo solo 5 euro al giorno, per
garantire a 75 profughi un misero piatto di riso. I cinque avidi gestori della
cooperativa Fantasie sono stati arrestati dai carabinieri di Roccagorna.
Insospettiti dall'aumento di stranieri in paese, i militari sono arrivati ad un
casolare dove hanno trovato 46 persone alloggiate in 70 metri quadri.
Nonostante il blitz la cooperativa ha continuato a ricevere i contributi della
Regione Lazio per altri sei mesi: una truffa da 400 mila euro. Con le stesse
risorse Aurelio Livraghi, volontario della Caritas di Magenta, in provincia di
Milano, è riuscito a fare tutt'altro. «Milioni di italiani vivono con 1.200
euro al mese, perché loro no?». Osservazione semplice. Di un pensionato, che ha
dedicato ai 35 profughi arrivati in paese le sue giornate. Persone oggi
indipendenti: pagano un affitto, fanno la spesa, quattro di loro hanno già un
lavoro. Recitano anche in teatro. Una vita normale: altro che emergenza. E
quando finiranno i fondi? «Potranno andare avanti almeno un po' perché sono
riuscito a fargli mettere da parte dei risparmi». Non era difficile, sarebbe
bastato un minimo di organizzazione. E di umanità.
Giurisprudenza
Asilo politico. Professare pubblicamente la propria fede religiosa è una libertà insopprimibile
Articolo di Claudia Moretti, Aduc immigrazione
18 ottobre 2012
Con sentenza
dello scorso 5
settembre, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è pronunciata per difendere la
libertà religiosa, stavolta non a tutela delle minoranze cristiane in Medio
Oriente (sulle quali si erano pronunciati con risoluzioni il Parlamento europeo
e l'assemblea del Consiglio d'Europa), ma sulle minoranze islamiche nei Paesi a
maggioranza islamica.
Il caso sul quale la Corte si è pronunciata riguarda due membri del movimento
riformatore dell'Islam Ahmadiyya, che, perseguitati dalla maggioranza sunnita
del proprio Paese d'origine, il Pakistan, avevano richiesto asilo politico in
Germania. Secondo la legge pakistana, infatti, il loro credo religioso, se
pubblicamente professato, risulta blasfemo, e merita pene severe, fino anche a
quella capitale.
Come noto, la Convenzione
di Ginevra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la Carta dei diritti
fondamentali (norme cogenti in Europa) garantiscono la protezione ai rifugiati
che hanno “fondato timore” di esser perseguitati nel proprio Paese d'origine a
causa della loro razza, religione, opinione politica o appartenenza ad un
gruppo sociale, non potendo, avvalersi di alcuna protezione protezione nel
Paese stesso.
Questi i quesiti posti, in via pregiudiziale dalla corte federale tedesca:
In quali circostanze una violazione della libertà di religione può dar
luogo ad asilo politico in quanto “atto di persecuzione”?
E ancora: si può ritenere
influente sulla decisione di concedere o meno asilo il fatto che il richiedente
abbia la possibilità di rinunciare alla libera e pubblica professione della
propria fede religiosa (pur professandola in privato)?
La Corte a tal proposito ha rilevato che è diritto umano fondamentale la
libertà religiosa, ma che non tutte le violazioni sono tali e gravi sì da
costituire il presupposto per l'accoglienza come rifugiato. Solo quelle che
raggiungo la soglia della persecuzione vera e propria impongono agli Stati
membri l'accoglienza secondo le normative internazionali su richiamate.
Nel caso specifico, l'avere un proprio credo, comporta naturalmente l'esigenza,
la volontà e il desiderio di esternarlo e, a proprio modo, renderlo pubblico,
dichiararlo, diffonderlo, esercitarlo in pubblico. Tale possibilità, invero, ne
costituisce nucleo essenziale e irrinunciabile.
Appare dunque un risultato di cui ogni Stato membro deve tener conto, nei
confronti di qualsiasi minoranza religiosa.
Prensa Extranjera
Ø Menos de 1.000 extranjeros se han acogido al plan retorno del Gobierno
Luego
de tres años de aplicación, los programas de retorno de
inmigrantes implementados
por el Gobierno de Ecuador no registran un alto número de beneficiarios, a
pesar de que la crisis económica que afecta a países como España y Estados
Unidos ha golpeado a muchos ecuatorianos. En el caso de los ecuatorianos en
España, la secretaria del Migrante, Betty Tola, ha dicho que el retorno a
Ecuador es “minoritario”, y que hay connacionales que prefieren trasladarse a
otros países de Europa. La situación de parte de la comunidad
ecuatoriana en España no es buena. En diálogo con diario EL PAÍS, Tola señaló
que “la crisis en España ha impactado mucho a los ecuatorianos en términos de
empleo”. Según datos recabados por la funcionaria, unos 100.000 ecuatorianos no
tienen trabajo en
el país ibérico y dos tercios de esas personas no reciben ninguna prestación de
desempleo. Por otra parte, hay ecuatorianos que afrontan deudas hipotecarias
que no las pueden pagar. La Embajada ecuatoriana en Madrid ha dicho que en este
año se han producido unos 3.000 desahucios y que registros anteriores señalan
la existencia de unos 8.000 juicios hipotecarios pendientes entre la comunidad
ecuatoriana. Pero no todas son malas noticias para los ecuatorianos en el país
ibérico. Un nuevo convenio de seguridad social entre Ecuador y España, que ha
entrado en vigencia en este año, permite que ciudadanos de los dos países
puedan acceder a una pensión de jubilación sumando los periodos de trabajo
efectuados en ambas naciones. En cualquier caso, el número de ecuatorianos que
residen en España ha descendido. Según datos del Instituto Nacional de
Estadística (INE)de abril pasado, la cantidad de
nacionales ecuatorianos residentes en España disminuyó en un 10,1% entre enero
de 2010 y principios de este año. Esto, más allá de que la comunidad
ecuatoriana en el país ibérico sigue siendo la segunda más grande entre aquellas
que no pertenecen a la Unión Europea, superada solo por la marroquí. Así, hay
un porcentaje de ecuatorianos que se va de España, pero que no retorna a
Ecuador. “Se puede constatar una migración de ecuatorianos hacia otros lugares
de Europa, como lo hemos advertido en el Reino Unido, donde tenemos una Casa
del Migrante”, manifestó Tola. Desde 2008, más de 17.000 ecuatorianos, quienes
han regresado desde diversos países, se han beneficiado de los programas de
retorno de inmigrantes desarrollados por el gobierno de Ecuador. La cifra no es
mayor si se toma en cuenta que solo en el caso de España estarían residiendo,
según la secretaria Betty Tola, unos 600.000 ecuatorianos –entre
registrados y no registrados-. Estados Unidos e Italia son otros países con importantes
comunidades de ecuatorianos. El programa de envío a Ecuador de menaje de casa
exento de impuestos ha beneficiado hasta el momento a 7.214 ecuatorianos
retornados al país, mientras que 8.159 personas han regresado con el plan de
ayuda a connacionales en condición de alta vulnerabilidad. Junto con ello, el
Estado ecuatoriano ha entregado 2.034 créditos a emigrantes retornados por medio de la Banca del Migrante, en
tanto que 535 negocios productivos han sido impulsados a través del programa
Fondo Cucayo, el cual otorga un capital semilla no reembolsable que requiere
una contra parte por parte del inmigrante. A decir de la secretaria Betty Tola,
Ecuador ha invertido unos 11.6 millones de euros en los créditos otorgados por
la Banca del Migrante, y ha entregado otros 4 millones de euros en el Fondo
Cucayo. “Muchos migrantes han hecho un proceso de reagrupación familiar, en el
que hay hijos que ya están insertados en una dinámica que incluye la escuela y
las amistades. Entonces, me parece que el retorno al país de origen es más
complejo”, señaló Tola, al explicar por qué los migrantes ecuatorianos no se
han acogido en gran número a los planes de retorno.
La funcionaria dijo que en todo caso la Senami busca dar el mensaje de que “para quienes estén interesados en regresar,hay un conjunto de programas implementados por el gobierno ecuatoriano a los cuales se pueden acoger”. Organizaciones como la Federación Nacional de Asociaciones de Ecuatorianos en España (Fenadee), sin embargo,piden una revisión de los planes de retorno de la Senami para hacerlos más útiles para ecuatorianos que sí pensarían en regresar a su país frente a la crisis económica que soporta el país ibérico. Juan Carlos Lucero, presidente de la Fenadee, dijo a EL PAÍS que hay ecuatorianos interesados en aplicar al Fondo Cucayo pero que no tienen el dinero necesario para colocar toda la contrapartida económica que exige dicho programa de desarrollo productivo. “Para el envío del menaje de casa también se requiere de dinero para el transporte de las cosas del hogar. Y lo que ocurre es que aquí en España hay ecuatorianos que han perdido su trabajo y su vivienda, y no tienen recursos económicos. Es en ellos en los que debería pensar la Senami con sus planes de retorno”, señaló Lucero.
A decir del dirigente, “si bien hay países latinoamericanos que tratan de replicar el trabajo a favor de los inmigrantes que sí ha hecho la Senami, lo que hace falta en los planes de retorno es una mayor protección a quienes hoy no tienen dinero en España y quieren volver a Ecuador”.