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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno X n. 34 del 19 ottobre 2012

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Regolarizzazione, quello che è mancato

 

 

 

 

Se l’obbiettivo era davvero quello di far emergere più lavoro nero possibile, forse allora ci voleva più coraggio rendendo la procedura di emersione più equa e fruibile. In questo senso, pur apprezzando il lavoro fatto dai ministeri coinvolti, a noi sembra comunque un’occasione in parte mancata”.

 

 

 

 

 

SOMMARIO

 

 

 

Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti pag. 2

 

“Save the date”: Coordinamento Nazionale Immigrati pag. 2

Regolarizzazione: “quello che è mancato" pag. 2

 

Sanzioni più dure per chi impiega irregolari pag. 3

 

Regolarizzazione, Riccardi: “non è un flop” pag. 4

 

Caritas: “un italiano su tre è povero" pag. 4

 

L’Espresso, Inchiesta: chi specula sui profughi pag. 5

 

Giurisprudenza su libertà religiosa pag. 8

 

El Pais: ecuadorianos buscan otra tierra pag. 8

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 

 

Roma, 23/10/2012, ore 10 – 17, Corso Italia 33

ISFOL – Convocazione Tavolo Lavoro sulla valutazione sensibile alle diverse forme di discriminazione

(Angela Scalzo)

Roma, 26/10/2012, ore 10.30, Via Fornovo 8

Riunione Comitato Consultivo Tripartito OIL

(Giuseppe Casucci, Cinzia Del Rio)

Roma, 30/10/2012, Teatro Orione, ore 10.30

Caritas/Migrantes - Presentazione del XXII Rapporto del Dossier Statistico Immigrazione

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Roma, 08/11/2012, sede ANCI, ore 11.00

Incontro con il sindaco di Reggio Emilia Graziano Del Rio, su proseguimento campagna sui diritti di cittadinanza

(Giuseppe Casucci)


“Save the date”: 06/11/2012

  

 

 

 

Coordinamento Nazionale Immigrati UIL

Martedì 6 novembre 2012, ore 09.30 /16.00 – presso la UIL Nazionale, via Lucullo, 6 – Piano 6°, sala Bruno Buozzi

Temi dell’evento:

Ø     Bilancio della procedura di emersione dei lavoratori stranieri irregolari;

Ø     La campagna “12 x 12” per la ratifica della Convenzione ILO n. 189 “lavoro dignitoso per lavoratrici e lavoratori domestici”;

Ø     Programma 2012/2013 di attività del Dipartimento Politiche Migratorie

Modera: Giuseppe Casucci, Coord. Naz. Dipartimento Politiche Migratorie UIL

Oratori invitati:

Panel: “Procedura di emersione”

Prof Saverio Ruperto, Sottosegretario all’Interno, con delega sull’immigrazione;

Prefetto Mario Morcone, Capo di Gabinetto Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione;

Alberto Sera, Vice Presidente Ital

Panel: “Campagna “12 x 12” sul lavoro domestico”

Luigi Cal, Direttore Ufficio ILO per l’Italia e San Marino;

Rosanna Margiotta,      Dirigente Ministero del Lavoro   

Ivana Veronese                       Segreteria Nazionale Uiltucs

Conclude: Guglielmo Loy, Segr. Conf.le UIL  

Pomeriggio: discussione del Coordinamento sul programma di attività 2012/2013


 

Regolarizzazione

 


Regolarizzazione: quello che è mancato non sono gli stranieri irregolari, ma maggior coraggio da parte dell’Esecutivo

Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL

Giuseppe Casucci, Coord. Dipartimento Politiche Migratorie UIL


Roma, 16 ottobre 2012 – 134.576 domande inviate. E’ questo il bilancio, alla mezzanotte di ieri, della procedura di emersione del lavoro etnico irregolare presente nel nostro Paese. Altre settemila persone alle 24.00 avevano compilato i moduli, ma non hanno fatto a tempo ad inviarli. Verranno considerati? Probabilmente no. Sono tante le persone che potranno emergere, oppure è stato un flop? Noi della UIL pensiamo di no: il lavoro svolto dai tantissimi funzionari del Ministero dell’Interno e degli sportelli unici, nonché dei Patronati e delle Associazioni che da sole hanno compilato ed inviato quasi 60 mila domande, è stato utile, addirittura prezioso. A tutti loro va un doveroso ringraziamento. Il problema, naturalmente sta a monte. Ad inizio estate il parlamento aveva espresso un parere unanime chiedendo al Governo di offrire ad imprese e famiglie una chance di far emergere i lavoratori impiegati irregolarmente,  prima che le più severe norme introdotte dalla direttiva UE n. 52 entrassero in vigore.  Il Governo l’ha fatto ma, prigioniero di veti incrociati da più parti politiche, ha costellato la procedura di lacci e laccioli, tanto da renderla complessa, costosa e poco equa.

Complessa: si è preteso che gli immigrati irregolari dovessero dimostrare (con certificazione da organismo pubblico) di essere in Italia dal 31 dicembre 2011. Ci sono voluti 20 giorni dopo lo start della regolarizzazione, perché l’Avvocatura Generale dello Stato allargasse la casistica delle prove possibili;

Costosa: si va da 2000 € per il lavoro domestico a più di 10 mila euro per altri settori ( tra una tantum, contributi ed anticipazioni Irpef). Non tutti avevano i soldi o il coraggio di rischiare cifre che, se la pratica andava male, non sarebbero state restituite;

Poco equa: si sono usati due pesi e due misure per datori e lavoratori. Ai primi viene data comunque la tutela dai rigori della legge (anche se la pratica verrà respinta, non per loro responsabilità), ai secondi resta il rischio di poter essere espulsi.

Volti dell'immigrazioneIl Ministro Cancellieri avrebbe dichiarato ieri che forse, se le domande sono poche, vorrà dire che l’irregolarità non è così diffusa in Italia. E’ un dubbio, certo, che anche noi abbiamo considerato. Ma le testimonianze che vengono dai nostri patronati ci danno un altro messaggio. Per almeno venti giorni, dall’inizio della regolarizzazione, su 10 persone che visitavano i nostri sportelli, solo una in media era nelle condizioni di presentare la domanda. Forse, dato l’arrivo tardivo del parere dell’Avvocatura, si doveva dare più tempo alle imprese di inviare i moduli. E’ significativo, su questo punto, un dato che viene dallo stesso Viminale: fino al 4 ottobre (data del parere dell’avvocatura) la media giornaliera è stata di 2500 domande. Dopo quella data e fino a ieri la media è schizzata oltre le 8000 richieste giornaliere, a riprova che il lacciolo della prova di presenza era un deterrente letale. Abbiamo chiesto più tempo per la regolarizzazione, non ci è stato concesso. Se l’obbiettivo era davvero quello di far emergere più lavoro nero possibile, forse allora ci voleva più coraggio rendendo la procedura più equa e fruibile. In questo senso, pur apprezzando il lavoro fatto dai ministeri coinvolti, a noi sembra comunque un’occasione mancata.


 


Sanzioni più dure per chi impiega gli immigrati irregolari


(www.italiaoggi.it) Roma, 16 Ottobre 2012 - Giro di vite per chi impiega irregolari. Terminata alle 24 di ieri la procedura per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri in Italia, d'ora in avanti i datori di lavoro dovranno affrontare sanzioni più dure se impiegano immigrati privi di permesso di soggiorno. Il regime sanzionatorio è contenuto nel decreto legislativo 109/2012, in attuazione della direttiva comunitaria 59/2009, entrato in vigore il 16 luglio: da oggi, scaduta la disposizione transitoria per l'emersione, saranno più severe le pene, tra cui una multa accessoria pari al costo medio del rimpatrio del lavoratore e il pagamento di almeno tre mesi di arretrati di stipendi, tasse e contributi.

Il divieto di impiego di stranieri irregolari è già punito dalla normativa italiana con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5mila euro per ogni lavoratore impiegato. Con il decreto scatteranno, però, ulteriori aggravanti nei casi in cui il divieto di impiego di irregolari, sia caratterizzato da "particolare sfruttamento", ossia siano occupati irregolarmente più di tre lavoratori, siano occupati minori in età non lavorativa, oppure ricorrano le ipotesi di sfruttamento del lavoro previste dall'articolo 603 bis del codice penale.

Il decreto prevede anche la preclusione ad ottenere il nulla osta all'ingresso di lavoratori stranieri per quei datori di lavoro che abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una condanna, anche non definitiva, per reati connessi allo sfruttamento del lavoro ossia all'occupazione illegale di cittadini stranieri e al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

La norma punta inoltre a favorire l'emersione dal lavoro nero attraverso la collaborazione dello straniero irregolare che decida di denunciare la propria situazione: nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, infatti, se lo straniero denuncia o coopera nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, può ottenere, con il parere favorevole del giudice, un permesso di soggiorno umanitario di sei mesi rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale.

Questo permesso di soggiorno per motivi umanitari consentirà, tra l'altro, lo svolgimento dell'attività lavorativa per il migrante. L'esito positivo del procedimento di emersione comporterà comunque, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni commesse.


 

 

 

 

 


Regolarizzazione. Riccardi: “Non è un flop, abbiamo dato dignità a 135 mila immigrati”

"Attendevamo tra le 100 mila e le 150 mila domande. I paletti? Eravamo stretti tra le paure dell’invasione e le critiche di chi vedeva troppi controlli. Ora  applicheremo la legge con durezza"


Roma – 18 ottobre 2012 - "Abbiamo recuperato 135 milioni di euro. Ma soprattutto abbiamo reso felici, dandogli una prospettiva di dignità, 134.576 immigrati. Vi pare poco?" Intervistato oggi dl Corriere della Sera, il ministro dell’integrazione Andrea Riccardi difende la regolarizzazione appena conclusa, respingendo le critiche di chi parla di flop: "Abbiamo sempre detto che attendevamo tra le 100 mila e le 150 mila domande. Ma è paradossale leggere queste critiche dopo aver dovuto fronteggiare chi temeva un’ondata di 800 mila clandestini". E i costi alti e la prova di presenza, che hanno tagliato fuori molti datori e clandestini? "Abbiamo dovuto mettere dei paletti. Perché questa – spiega Riccardi - è una maggioranza tripartita. E taluni non hanno compreso che la ripresa richiede una comprensione positiva del fenomeno migratorio. Così eravamo stretti tra le paure dell’invasione e le critiche di chi vedeva troppi controlli. Sono due posizioni miopi". Al ministro dell’Integrazione non sfugge l’enorme sproporzione tra domande per lavoro domestico (80mila colf e 36 mila badanti) e altri settori di lavoro subordinato (appena 18 mila). E se la spiega così: "Le famiglie hanno mostrato un grande senso di realismo e legalità. Anche se tirar fuori quei mille euro non era facile, lo hanno fatto. Mentre chi ne aveva molti di più magari non ha fatto la regolarizzazione convinto di farla franca". E con i datori che non hanno colto questa possibilità, Riccardi non è tenero. "Io stesso solleciterò maggiori controlli contro questa Italia che pascola nell’illegalità, che non paga le tasse e non mette in regola gli immigrati ma neanche i nostri giovani. Il lavoro nero è una piaga. La legge va applicata con durezza".


 

 

Società

 


wallstreetitalia

Caritas: un italiano su tre è povero, sistema di welfare incapace

Negli ultimi tre anni il numero di cittadini che si rivolgono ai centri di aiuto e' arrivato al 33,3% della popolazione. Pensionati, casalinghe e immigrati i piu' colpiti. A 6 milioni i pasti serviti nelle mense.


In un anno sono stati serviti sei milioni di pasti nelle mense della CaritasRoma, 17 Ottobre 2012 - Più italiani che stranieri. Il rapporto segnala come gli interventi per fornire beni materiali per la sopravvivenza sono aumentati, nei primi sei mesi del 2012, del 44,5% rispetto al 2011. Secondo il rapporto, la richiesta di aiuti economici ai centri diocesani (dati 2011) è molto più diffusa tra gli italiani (20,4%) rispetto a quanto accade fra gli stranieri (7,4%). Questi ultimi, invece, chiedono più lavoro (17% contro 8,9% italiani) e soprattutto più orientamento (13,4% contro il 3,6%). Secondo i curatori del rapporto, la richiesta di sussidi economici è più alta fra gli italiani a causa dell’età media più anziana rispetto agli immigrati e alla conseguente maggiore diffusione di disabilità o altre patologie tra i nostri connazionali. Quanto agli aiuti erogati dai Centri, si confermano al primo posto beni e servizi materiali, sia nei confronti degli italiani che degli stranieri, mentre i sussidi economici forniti ancora una volta riguardano molto più gli italiani (23,8%) che gli immigrati (6,9%). Un dato che si spiegherebbe con il peggioramento delle condizioni economiche dei nostri connazionali. Perdita di lavoro. Chi si rivolge ai centri Caritas non è necessariamente un emarginato o un senzatetto. Da due anni e mezzo infatti diminuiscono in modo vistoso coloro che si dichiarano a reddito zero e vivono sulla strada. A chiedere aiuto sono più le donne (53,4%), i coniugati (49,9%), le persone con un domicilio (83,2%). Calano i disoccupati (-16,2%), gli analfabeti (-58,2%) e le persone senza dimora o con gravi problemi abitativi (-10,7% nei primi sei mesi del 2012 rispetto al 2011), a conferma di una progressiva normalizzazione sociale dell’utenza Caritas che sempre meno coincide con la grave marginalità sociale. Diversi i limiti evidenziati: la dispersione delle misure economiche su un gran numero di provvedimenti nazionali, regionali, locali, gestiti da enti e organismi di diversa natura, senza un coordinamento complessivo; l’estremo ritardo con cui vengono attivate le misure di sostegno economico, soprattutto quelle legate alla perdita del lavoro e alla perdita di autonomia psico-fisica. Ai quali si aggiunge l’estrema varietà nella definizione del livello di reddito della famiglia, necessario per poter usufruire di determinate prestazioni e il forte carattere categoriale di gran parte delle misure di sostegno economico o di agevolazione tariffaria degli enti locali: "Le soglie e i criteri di accesso alle varie opportunità assistenziali sono estremamente diversificate, creando dei vicoli ciechi spesso difficili da prevedere all’avvio dell’iter di richiesta della misura".
Negazione dei diritti. Infine, il progressivo restringimento delle disponibilità finanziarie nel settore socio-assistenziale sta determinando la chiusura o la negazione repentina dei diritti ad una serie di fasce sociali che, fino a poco tempo fa, beneficiavano dell’intervento. L’effetto complessivo, sottolinea il rapporto, è quello di "un vero e proprio percorso a ostacoli, dotato di irrazionale logica, in cui la presenza di barriere e veti incrociati rende quasi impossibile l’esigibilità dei diritti e la fruizione tempestiva del servizio, anche in presenza di oggettive situazioni di bisogno". A livello complessivo, come negli anni si conferma scorsi la presenza di una quota maggioritaria di stranieri rispetto agli italiani (70,7% contro 28,9% nel 2011), ma questi ultimi sono aumentati in misura esponenziale negli ultimi due anni (nel 2009 erano il 23,1%) e del 15,2% tra il 2011 e i primi sei mesi del 2012, quando hanno raggiunto il 33,3%. La maggiore incidenza degli immigrati raggiunge valori massimi nel Centro e Nord Italia, mentre, a causa di un elevato numero di poveri italiani, appare più bassa nel Mezzogiorno. Sei milioni di pasti. Secondo il rapporto sono oltre 6 milioni i pasti erogati in un anno, pari a una media di 16.514 al giorno, nelle 449 mense sparse su tutto il territorio nazionale. Numeri che danno un’idea del fenomeno delle persone, in Italia, che non riescono a soddisfare in modo autonomo un bisogno fondamentale come è quello alimentare. Tante le cifre sui servizi offerti dalla Caritas: 27.630 i volontari e 2.832 i Centri di ascolto che si fanno carico di un vasto bisogno sociale di persone e famiglie, italiane e straniere. Quasi 5 mila i servizi socio-assistenziali e le attività di contrasto alla povertà realizzate dalla Chiesa in Italia e più di 3.500 i centri di distribuzione di beni primari (cibo, vestiario, etc.) nelle diocesi. Ed è interessante anche notare come le Caritas diocesane abbiano istruito 3.897 pratiche per il "Prestito della speranza", un’iniziativa anticrisi promossa da Caritas e Abi (associazione delle banche). Oltre 26 milioni di euro la cifra complessiva richiesta. Ma le diocesi italiane hanno promosso anche altri 985 progetti anti-crisi, di cui 137 nell’ambito del microcredito per le famiglie e 61 in quello per le imprese.


 

Profughi

 


Inchiesta

l’Espresso online

Chi specula sui profughi

di Michele Sasso e Francesca Sironi, L’Espresso 12 Ottobre 2012

Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori


Migranti provenienti dal Mali in un hotel di Napoli. Foto di Luciana PassaroErano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese. 

IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla strada.
In Italia sono rimaste famiglie africane e asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata, composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti. A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.

IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116 profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei privati aveva già ottenuto di più. 
Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro.

 

I richiedenti asilo però non sono turisti, ma persone che hanno bisogno di integrarsi. La legge prevede che ci siano servizi di mediazione culturale, che sono rimasti spesso un miraggio o sono stati appaltati a casaccio:«A Napoli sono spuntate in pochi mesi decine di associazioni mai sentite nominare», denuncia Jamal Qadorrah, responsabile immigrazione della Cgil Campania: «Ogni albergatore poteva affidare i servizi a chi voleva, nonostante ci sia un albo regionale degli enti competenti. Tutti, puntualmente, ignorati». Non solo. «A luglio di quest'anno abbiamo organizzato un incontro fra il Comune e gli albergatori», racconta Mohamed Saady, sindacalista della Cisl: «Diverse strutture non avevano ancora un mediatore». Ed era passato più di un anno dall'inizio dell'emergenza.

I FURBETTI DEL MONASTERO. Il business dei nuovi arrivati non ha lasciato indifferenti nemmeno i professionisti della solidarietà. Cooperative come Domus Caritatis, che gestisce otto comunità solo a Roma. Anche i suoi centri sono finiti nel mirino di Save The Children e del garante dell'infanzia e dell'adolescenza del Lazio. Dopo numerose segnalazioni l'ong è andata a controllare 14 strutture della capitale che si fanno rimborsare 80 euro al giorno per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati. Il risultato è un rapporto inquietante, presentato a maggio alla Protezione civile e al Viminale, che "l'Espresso" ha esaminato. Si parla di sovraffollamento, ma soprattutto di senzatetto quarantenni fatti passare per ragazzini scappati dalla Libia. Durante l'indagine sono stati intervistati 145 profughi. «Più di cento erano palesemente maggiorenni», denuncia l'autrice del rapporto, Viviana Valastro: «Quelli che avevo di fronte a me erano adulti. Altro che diciassettenni. Non posso sbagliarmi». Non solo. «Molti di loro erano in Italia da tempo, non da pochi mesi. Alcuni arrivavano dagli scontri di Rosarno». 
Doppia truffa insomma: sull'età e sulla provenienza, per avere un rimborso più che maggiorato e intascare milioni di euro. Tutto questo da parte di una cooperativa strettamente legata all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone e a La Cascina, la grande coop della ristorazione che tre anni fa è stata al centro di un'inchiesta per il tentativo di entrare nella gestione dei cpt.
Save The Children non è stata la sola a denunciare la situazione romana. Anche il presidente della commissione capitolina per la sicurezza, Fabrizio Santori, esponente del Pdl, ha dovuto occuparsi di Domus Caritatis. La cooperativa infatti gestiva una comunità che dava grossi problemi al vicinato, da cui arrivavano continue proteste. Santori l'ha visitata e si è trovato davanti ad alloggi di 35 metri quadri abitati da 10 persone. Peggio che in un carcere. Eppure gli appartamentini di via Arzana, a metà strada fra Roma e Fiumicino, più vicini all'aeroporto che alla città, permettevano di incassare più di 12 mila euro al mese. 
Save The Children ha calcolato che in strutture di questo tipo, nella capitale, vivono quasi 950 persone. Dati incerti, perché solo cinque cooperative hanno accettato di fornirli. Domus Caritatis, dalla sua sede all'abbazia trappista delle Tre Fontane, non ha voluto dare alcuna informazione. Il dossier dell'ong internazionale descrive un caos assoluto: mancanza di responsabili, nessun servizio di orientamento e accompagnamento legale, strutture inadeguate. 

ACCOGLIENZA ALLA MILANESE. Al Nord la situazione non cambia. A Milano si registrano casi come quello della ex scuola di via Saponaro, gestito dalla Fondazione Fratelli di San Francesco d'Assisi, che ha accolto 150 rifugiati. Ospitati in una comunità per la cura dei senzatetto, l'accoglienza dei minori e degli ex carcerati: 400 persone, con esigenze diverse, costrette a vivere sotto lo stesso tetto in una vecchia scuola. «Le condizioni sono orribili: 10-12 letti per ogni camerata. E pieni di pidocchi e pulci», racconta un ragazzo ancora ospite. Le stanze sono inadatte perché costruite per ospitare alunni, non profughi, né tantomeno clochard che vivono in strada. «Un contenitore della marginalità sociale dove sono frequenti le risse: nigeriani contro kosovari, ghanesi contro marocchini e la lista dei ricoverati in ospedale si allunga ogni giorno», racconta chi è entrato tra quelle mura. Anche il personale è ridotto al minimo con pochi mediatori culturali (che spesso sono ex ospiti che non disdegnano le maniere forti per mantenere l'ordine), un solo assistente sociale e una psicologa per dieci ore alla settimana. Troppo poche per chi ha conosciuto gli orrori della guerra, le botte della polizia libica e porta sulla propria pelle i segni delle violenze. Anche i disturbi psichici abbondano, insieme all'alcolismo dilagante. A sette chilometri dai frati, 440 profughi hanno trovato alloggio a Pieve Emanuele, estrema periferia Sud di Milano. Qui sono stati ospitati nel residence Ripamonti, di proprietà del gruppo Fondiaria Sai, appena passata sotto il controllo di Unipol ma all'epoca saldamente in mano a Salvatore Ligresti. I clienti abituali dell'albergo sono poliziotti, guardie del vicino carcere di Opera o postini, che non bastano a riempire i 4 mila posti letto dell'albergo. Grazie all'emergenza però nelle settimane di massimo afflusso sono entrati nelle casse di Fonsai oltre 600 mila euro al mese. Vacanze forzate in alloggi confortevoli (le camere sono dotate anche di tivù satellitare) ma dove sono mancati completamente i corsi per imparare l'italiano o l'assistenza legale e psicologica. «Si poteva trovare una sistemazione più modesta e investire in altri sussidi» dice, banalmente, un ragazzo del Ghana. Oggi a Pieve Emanuele sono rimasti in 80. Ma nel frattempo al residence sono andati quasi sette milioni di euro. 
PER UN PIATTO DI RISO. Lo Stato ha speso per l'emergenza 797 milioni di euro nel 2011 e altri 495 milioni nel 2012. Solo una parte è servita per l'accoglienza: centinaia di milioni di euro sono finiti in tendopoli, spostamenti, trasferte, rimborsi agli uffici di coordinamento. Fondi di cui si è persa la traccia. E sì che proprio per il buon uso dei soldi pubblici era stato istituito un "Gruppo di monitoraggio e assistenza", con il compito di visitare le strutture e segnalare i casi critici. Ma della task force degli ispettori dopo pochi mesi non si è saputo più nulla. «Noi facevamo parte del progetto ma da ottobre 2011 non siamo più stati convocati. Considerando che è partito ad agosto, il gruppo è durato meno di tre mesi», spiega a "l'Espresso" Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «E' mancato completamente il controllo da parte delle regioni e delle prefetture». La Corte dei conti della Calabria è andata oltre: ha messo nero su bianco che le convenzioni sottoscritte nella regione sono illegittime, perché non sono state sottoposte al controllo preventivo della Corte, obbligatorio anche nell'emergenza. Non solo. I giudici contabili di Catanzaro definiscono "immotivata" la diaria: 46 euro al giorno sono troppi. E pensare che in provincia di Latina sono riusciti a intascarseli quasi tutti spendendo solo 5 euro al giorno, per garantire a 75 profughi un misero piatto di riso. I cinque avidi gestori della cooperativa Fantasie sono stati arrestati dai carabinieri di Roccagorna. Insospettiti dall'aumento di stranieri in paese, i militari sono arrivati ad un casolare dove hanno trovato 46 persone alloggiate in 70 metri quadri. Nonostante il blitz la cooperativa ha continuato a ricevere i contributi della Regione Lazio per altri sei mesi: una truffa da 400 mila euro. Con le stesse risorse Aurelio Livraghi, volontario della Caritas di Magenta, in provincia di Milano, è riuscito a fare tutt'altro. «Milioni di italiani vivono con 1.200 euro al mese, perché loro no?». Osservazione semplice. Di un pensionato, che ha dedicato ai 35 profughi arrivati in paese le sue giornate. Persone oggi indipendenti: pagano un affitto, fanno la spesa, quattro di loro hanno già un lavoro. Recitano anche in teatro. Una vita normale: altro che emergenza. E quando finiranno i fondi? «Potranno andare avanti almeno un po' perché sono riuscito a fargli mettere da parte dei risparmi». Non era difficile, sarebbe bastato un minimo di organizzazione. E di umanità.


 

Giurisprudenza


Asilo politico. Professare pubblicamente la propria fede religiosa è una libertà insopprimibile

Articolo di Claudia Moretti, Aduc immigrazione

18 ottobre 2012


Con sentenza dello scorso 5 settembre, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è pronunciata per difendere la libertà religiosa, stavolta non a tutela delle minoranze cristiane in Medio Oriente (sulle quali si erano pronunciati con risoluzioni il Parlamento europeo e l'assemblea del Consiglio d'Europa), ma sulle minoranze islamiche nei Paesi a maggioranza islamica.
Il caso sul quale la Corte si è pronunciata riguarda due membri del movimento riformatore dell'Islam Ahmadiyya, che, perseguitati dalla maggioranza sunnita del proprio Paese d'origine, il Pakistan, avevano richiesto asilo politico in Germania. Secondo la legge pakistana, infatti, il loro credo religioso, se pubblicamente professato, risulta blasfemo, e merita pene severe, fino anche a quella capitale.
Come noto, la Convenzione di Ginevra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la Carta dei diritti fondamentali (norme cogenti in Europa) garantiscono la protezione ai rifugiati che hanno “fondato timore” di esser perseguitati nel proprio Paese d'origine a causa della loro razza, religione, opinione politica o appartenenza ad un gruppo sociale, non potendo, avvalersi di alcuna protezione protezione nel Paese stesso.
Questi i quesiti posti, in via pregiudiziale dalla corte federale tedesca:
In quali circostanze una violazione della libertà di religione può dar luogo ad asilo politico in quanto “atto di persecuzione”?
E ancora: si può ritenere influente sulla decisione di concedere o meno asilo il fatto che il richiedente abbia la possibilità di rinunciare alla libera e pubblica professione della propria fede religiosa (pur professandola in privato)?
La Corte a tal proposito ha rilevato che è diritto umano fondamentale la libertà religiosa, ma che non tutte le violazioni sono tali e gravi sì da costituire il presupposto per l'accoglienza come rifugiato. Solo quelle che raggiungo la soglia della persecuzione vera e propria impongono agli Stati membri l'accoglienza secondo le normative internazionali su richiamate.
Nel caso specifico, l'avere un proprio credo, comporta naturalmente l'esigenza, la volontà e il desiderio di esternarlo e, a proprio modo, renderlo pubblico, dichiararlo, diffonderlo, esercitarlo in pubblico. Tale possibilità, invero, ne costituisce nucleo essenziale e irrinunciabile.
Appare dunque un risultato di cui ogni Stato membro deve tener conto, nei confronti di qualsiasi minoranza religiosa.


 

Prensa Extranjera


El inmigrante ecuatoriano busca otras tierras para afrontar la crisis

Ø     Los últimos datos indican que los ecuatorianos que huyen de la crisis en España prefieren ir a otros países de la UE antes que regresar al país andino

Ø     Menos de 1.000 extranjeros se han acogido al plan retorno del Gobierno


Luego de tres años de aplicación, los programas de retorno de inmigrantes implementados por el Gobierno de Ecuador no registran un alto número de beneficiarios, a pesar de que la crisis económica que afecta a países como España y Estados Unidos ha golpeado a muchos ecuatorianos. En el caso de los ecuatorianos en España, la secretaria del Migrante, Betty Tola, ha dicho que el retorno a Ecuador es “minoritario”, y que hay connacionales que prefieren trasladarse a otros países de Europa. La situación de parte de la comunidad ecuatoriana en España no es buena. En diálogo con diario EL PAÍS, Tola señaló que “la crisis en España ha impactado mucho a los ecuatorianos en términos de empleo”. Según datos recabados por la funcionaria, unos 100.000 ecuatorianos no tienen trabajo en el país ibérico y dos tercios de esas personas no reciben ninguna prestación de desempleo. Por otra parte, hay ecuatorianos que afrontan deudas hipotecarias que no las pueden pagar. La Embajada ecuatoriana en Madrid ha dicho que en este año se han producido unos 3.000 desahucios y que registros anteriores señalan la existencia de unos 8.000 juicios hipotecarios pendientes entre la comunidad ecuatoriana. Pero no todas son malas noticias para los ecuatorianos en el país ibérico. Un nuevo convenio de seguridad social entre Ecuador y España, que ha entrado en vigencia en este año, permite que ciudadanos de los dos países puedan acceder a una pensión de jubilación sumando los periodos de trabajo efectuados en ambas naciones. En cualquier caso, el número de ecuatorianos que residen en España ha descendido. Según datos del Instituto Nacional de Estadística (INE)de abril pasado, la cantidad de nacionales ecuatorianos residentes en España disminuyó en un 10,1% entre enero de 2010 y principios de este año. Esto, más allá de que la comunidad ecuatoriana en el país ibérico sigue siendo la segunda más grande entre aquellas que no pertenecen a la Unión Europea, superada solo por la marroquí. Así, hay un porcentaje de ecuatorianos que se va de España, pero que no retorna a Ecuador. “Se puede constatar una migración de ecuatorianos hacia otros lugares de Europa, como lo hemos advertido en el Reino Unido, donde tenemos una Casa del Migrante”, manifestó Tola. Desde 2008, más de 17.000 ecuatorianos, quienes han regresado desde diversos países, se han beneficiado de los programas de retorno de inmigrantes desarrollados por el gobierno de Ecuador. La cifra no es mayor si se toma en cuenta que solo en el caso de España estarían residiendo, según la secretaria Betty Tola, unos 600.000 ecuatorianos –entre registrados y no registrados-. Estados Unidos e Italia son otros países con importantes comunidades de ecuatorianos. El programa de envío a Ecuador de menaje de casa exento de impuestos ha beneficiado hasta el momento a 7.214 ecuatorianos retornados al país, mientras que 8.159 personas han regresado con el plan de ayuda a connacionales en condición de alta vulnerabilidad. Junto con ello, el Estado ecuatoriano ha entregado 2.034 créditos a emigrantes retornados por medio de la Banca del Migrante, en tanto que 535 negocios productivos han sido impulsados a través del programa Fondo Cucayo, el cual otorga un capital semilla no reembolsable que requiere una contra parte por parte del inmigrante. A decir de la secretaria Betty Tola, Ecuador ha invertido unos 11.6 millones de euros en los créditos otorgados por la Banca del Migrante, y ha entregado otros 4 millones de euros en el Fondo Cucayo. “Muchos migrantes han hecho un proceso de reagrupación familiar, en el que hay hijos que ya están insertados en una dinámica que incluye la escuela y las amistades. Entonces, me parece que el retorno al país de origen es más complejo”, señaló Tola, al explicar por qué los migrantes ecuatorianos no se han acogido en gran número a los planes de retorno.

La funcionaria dijo que en todo caso la Senami busca dar el mensaje de que “para quienes estén interesados en regresar,hay un conjunto de programas implementados por el gobierno ecuatoriano a los cuales se pueden acoger”. Organizaciones como la Federación Nacional de Asociaciones de Ecuatorianos en España (Fenadee), sin embargo,piden una revisión de los planes de retorno de la Senami para hacerlos más útiles para ecuatorianos que sí pensarían en regresar a su país frente a la crisis económica que soporta el país ibérico. Juan Carlos Lucero, presidente de la Fenadee, dijo a EL PAÍS que hay ecuatorianos interesados en aplicar al Fondo Cucayo pero que no tienen el dinero necesario para colocar toda la contrapartida económica que exige dicho programa de desarrollo productivo. “Para el envío del menaje de casa también se requiere de dinero para el transporte de las cosas del hogar. Y lo que ocurre es que aquí en España hay ecuatorianos que han perdido su trabajo y su vivienda, y no tienen recursos económicos. Es en ellos en los que debería pensar la Senami con sus planes de retorno”, señaló Lucero.

A decir del dirigente, “si bien hay países latinoamericanos que tratan de replicar el trabajo a favor de los inmigrantes que sí ha hecho la Senami, lo que hace falta en los planes de retorno es una mayor protección a quienes hoy no tienen dinero en España y quieren volver a Ecuador”.