31 ottobre 2012

IMMIGRATI I NUMERI E LA REALTÀ
La Stampa, 31-10-2012
Giovanna Zincone
Radiografando l'immigrazione con occhi aperti al mondo, il Dossier Statistico Caritas anche quest'anno ci parla dell'Italia.
Rende evidenti emergenze dei presente, pecche radicate, problemi strutturali. Secondo le stime Caritas, un po' più generose come sempre di quelle Istat, gli stranieri nel nostro paese sono 5 milioni, una cifra appena più alta dell'anno precedente. La crisi, quindi, ha diminuito solo di poco il tasso d'incremento degli ingressi, ma non ha ancora intaccato il totale dei presenti. Siamo ormai sopra alla media europea, e la rapidità con cui il fenomeno si è sviluppato specie nell'ultimo decennio ha generato contraccolpi. Stando a vari son- daggi, per gli italiani gli immigrati sono troppi. In questa opinione si profilano due pecche nazionali: la riluttanza a fare i conti con la realtà e l'incongruenza dei giudizi.
Questi 5 milioni sono troppi rispetto a cosa? Non rispetto alle esigenze della nostra economia: gli immigrati sono circa l'8% della popolazione, ma il 10% della forza lavoro. Si tratta di una componente poco concorrenziale, collocata in larga misura nelle fasce basse dell'occupazione e del reddito: l'83% dei comunitari e il 90% dei non comunitari sono operai. Sempre secondo i sondaggi, gli italiani concordano sul fatto che i lavoratori stranieri ricoprano mansioni lasciate scoperte dagli autoctoni. Temono semmai che consumino più risorse pubbliche di quante ne producano, ma è vero il contrario, come conferma anche il rapporte Caritas.
Il largo numero di immigrati alla base della piramide lavorativa non dipende solo dal fatto che molti italiani rifiutano certe mansioni, ma anche dal fatto che quella base è molto, troppo e crescentemente larga. La nostra economia attrae dalFestero soprat- tutto lavoratori non specializzati ed esporta giovani, anche specializzati, perché si colloca in settori arretrati nella divisione internazionale dei la- yoro. La nostra è un'economia seduta. È un sistema che scoraggia i giovani cervelli: il 62% per cento dei ricercatori italiani emigrati in Gran Bretagna ha meno di 35 anni, e li solo il 9% di nostri accademici ha piü di 50 anni. Che escano più persone qualificate di quante ne arrivino è inevitabile. Dubito che la Carta Blu dell'Ue, introdotta anche in Italia per favorire l'immigrazione di stranieri qualificati, rovesci il senso di marcia delle competenze in entrata e in uscita dal nostro paese. Abbiamo infatti un altro magnete di lavoro purtroppo spesso poco qualificato: un welfare marcatamente familiare che impiega numerose addette nelle funzioni di cura domestiche, anche e molto degli anziani. Questa strategia di delega alle famiglie può essere migliorata, ma evitare di internare gli anziani non autosufficienti è una buona cosa. Meno buono è che il welfare domestico costituisca un ricettacolo di lavoro nero. Anche la regolarizzazione del 2012 è stata utilizzata soprattutto da colf e badanti. Irregolarità e lavoro nero sono più facili da praticare in casa, ma lo sono anche in un tessuto di piccole imprese che, per quanto ricco di creatività ed esemplari successi, costituisce un altro limite e una fragilità del sistema Italia. In un contesto culturale che non ama le regole, le imprese non fanno eccezione. Nel 2011 il 61% per cento delle imprese controllate risulta non in regola, quindi talora più a rischio di incidenti sul lavoro. Per quanto in calo rispetto al passato, gli incidenti restano piü alti della, media europea e, per gli immigrati, addirittura in aumento (dal 15% al 15,9%).
I «troppi» immigrati pagano quindi prezzi piuttosto alti: si collocano nella fascia più bassa dei redditi e delle occupazioni, sono più esposti a trattamenti irregolari e a rischi di incidenti. La crisi ha prodotto un aumento della loro disoccupazione che è decisamente più alta (12,1%) di quella dei nati in Italia. D'altra parte, il lavoro immigrato resta fondamentale per i datori di lavoro. Mentre gli occupati nati in Italia sono diminuiti, quelli nati all'estero sono aumentati di 170 mi la unità. E non solo perché sono più flessibili: è alta infatti la loro quota tra gli assunti a tempo indeterminato. Gli immigrati costituiscono quindi un polmone sociale, ma è un polmone a rischio. Per loro, come per tutti i lavoratori, molto dipende dalla tenuta della nostra economia e da norme che aiutino ad af-frontare la turbolenza in corso. È stato quindi opportuno rialzare il tempo di disoccupazione tollerata da 6 a 12 mesi, ma ancora meglio sarebbe lasciarlo alla valutazione dei singoli casi.
Il rapporto Caritas fornisce numeri, ma nella sua introduzione ci ricorda che gli immigrati non sono numeri, sono individui e famiglie degni di rispetto. Nei loro confronti si evidenzia, invece, un altro grave vizio nazionale che irrompe nei rapporti sociali e politici: la mancanza di rispetto, l'uso di un linguaggio volgare. Anche nel Dossier Caritas emerge dunque un'Italia che - come ha affermato Monti - non necessita di interventi moderati, ma di riforme radicali. D'altra parte, il nostro paese ha un grande bisogno di moderazione nei toni, di quelle buone maniere pubbliche che Monti cerca di diffondere. Auguriamoci che questa non si riveli la più difficile delle sue riforme.



L'Italia è ancora un sogno per molti
Gli stranieri regolari hanno superato quota 5 milioni
La Stampa, 31-10-2012
FRANCESCA PACI
Ci sono i «fantasmi» come i richiedenti asilo che ieri manifestavano al Pantheon contro la vacuità del proprio status giuridico, ma ci sono anche i concretissimi braccianti che, seppur in lieve calo, costituiscono il 25% del lavoro agricolo. Il XXII Dossier Immigrazione realizzato da Caritas e Migrantes fotografa l'Italia di oggi per immaginare quella di domani.
I dati appena presentati a Milano disegnano un Paese sempre più europeo, dove nel 2011 gli stranieri regolari hanno superato quota 5 milioni (1,3 milioni comunitari) rappresentando 1'8,2% della popolazione (il 22% è under 18). Sono soprattutto cristiani (circa un milione i romeni), abitano in prevalenza al Nord (uno su 4 in Lombardia), si concentrano nelle fasce basse del mercato del lavoro (se fra gli italiani gli operai sono il 40%, la quota sale all'83% fra gli immigrati comunitari e al 90% tra i non comunitari) ma si trovano anche nel terziario, nell'industria, nell'imprenditoria (9,1%), nel calcio (il 48,9% dei giocatori della Serie A) e, ovviamente,
nell'assistenza familiare.
«C'è una stabilizzazione, si è chiusa la stagione degli arrivi crescenti e si aperta quella della presenza più Stabile», nota il ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Riccardi. Gli immigrati sono in Italia per restare, come prova il sorpasso dei permessi di soggiorno di lungo termine su quelli ordinari (57854 contro 50860), e con gli italiani condividono aspettative, progetti, paure.
II lavoro, per esempio. Sebbene aumenti il numero degli stranieri occupati (2,5 milioni, +22%, un decimo del totale), la crisi non li risparmia affatto (gli uomini sono i più colpiti). Secondo Caritas e Migrantes sarebbe infatti la loro crescita demografica a gonfiare la cifra dei lavoratori che invece in termini assoluti è passata dal 67,8% del 2008 al 63% attuale (nello stesso periodo l'occupazione italiana è calata dell'1,4%). Gli stranieri inoltre, sono più esposti al rischio di infortuni (15,9% del totale) e devono necessariamente risparmiare in più possibile per inviare a casa circa 1.618 euro l'anno (le rimesse del 2011 sono state 7,4 miliardi di euro).
E poi la scuola, avamposto dell'integrazione silenziosa, dove aumenta la presenza di studentesse straniere (47,5%) e diminuisce il numero di scuole statali e non che rifiutano gli immigrati (nell'anno scolastico 2011/12 il 73% degli istituti ha una percentuale di non italiani compresa tra 1 e 30).



Immigrati, Lombardia da record "Uno su 4 sceglie di vivere qui"
Il dossier della Caritas sui numeri della regione, che attira sul proprio territorio il 23,5%
degli stranieri che si sono trasferiti in Italia. A Milano c'è uno straniero in una famiglia su 5
la Repubblica, 30-10-2102
In Italia uno straniero su quattro sceglie di vivere in Lombardia, dove se ne contano oltre un milione. A Milano continuano ad aumentare e oggi costituiscono il 17,7 per cento della popolazione: nel 2010 erano il 16,4. Davanti alla crisi gli immigrati si dimostrano più flessibili e capaci di adattarsi, mantenendo una percentuale di occupazione stabile al 16 per cento (mentre cala quella di tutta la regione), continuano a creare imprese, passate in sei anni da 28mila a oltre 56mila, e inviano soldi nel proprio Paese d'origine tanto quanto nel 2010: circa 1,6 miliardi di euro in un anno.
L'80 per cento degli stranieri coniugati in Lombardia vive stabilmente qui con il partner. E a Milano il numero di famiglie straniere supera quello degli immigrati singoli: in città una famiglia su cinque ha almento un componente straniero. E' quanto è emerso dal Dossier statistico immigrazione 2012 presentato dalla Caritas Ambrosiana all'auditorium San Fedele. Mentre in Italia gli stranieri per la prima volta nel 2011 superano i 5 milioni, la Lombardia supera il milione attirando il 23,5 per cento degli immigrati sul proprio territorio. A scegliere questa regione - e in particolare Milano, dove un residente su sei è immigrato - sono soprattutto persone provenienti dalle Filippine (15,6 per cento), dall'Egitto (13,5) e dalla Cina (8,8). A registrare un forte aumento di presenze nell'ultimo anno anche i peruviani (+19,8 per cento) e gli ucraini (+11,8). Dal 2009, inoltre, le donne sono più numerose degli uomini: a Milano di circa 2mila unità.
Nel panorama di contrazione complessiva del mercato del lavoro, sia nazionale sia regionale, sono proprio gli immigrati a dimostrare maggior flessibilità, adattandosi magari a mansioni piu' precarie e meno retribuite. Gli occupati nati all'estero sono aumentati a livello nazionale, in Lombardia restano uno percentuale stabile, 16 per cento, e lavorano soprattutto nel settore dei servizi alle imprese (25 per cento), nelle costruzioni (17), in alberghi e ristoranti (8,7) e nei trasporti (7.9). Con oltre 100mila addetti è la Romania il paese con più immigrati occupati in Lombardia, seguito da Marocco (53mila), Albania (51mila 13), Egitto (43mila 572) e Cina (31mila 560).
Nonostante la crisi, il numero di imprenditori stranieri negli ultimi sette anni è raddoppiato in Italia e anche in Lombardia, dove ne riesiede il 22,6 per cento. La vena imprenditoriale, soprattutto nel settore dell'artigianato, è più spiccata negli immigrati romeni, cinesi ed egiziani. Terzo segno di "buona sopravvivenza alla crisi" da parte della popolazione immigrata, emerso dal Dossier della Caritas, è quello deòle somme inviate nei Paesi di origine, che dopo un calo leggero registrato nel 2010 sono tornate a crescere. Nel 2011 dalla Lombardia sono stati inviati 1,6 miliardi di euro, il 21,3 per cento di quanto spedito da tutto il Paese.



Immigrati: bloccata barca a vela con 13 clandestini nel leccese
Libero, 31-10-2012
Lecce, 31 ott. (Adnkronos) - Una barca a vela con 13 immigrati clandestini e' stata bloccata a largo di Santa Maria di Leuca (Lecce). L'imbarcazione e' stata individuata nell'ambito dell'operazione congiunta "Aeneas 2012", condotta dall'Agenzia Europea Frontex, che vede il coinvolgimento di mezzi aeronavali della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto e di altri Paesi europei, contro le organizzazione dedite al traffico illecito di clandestini verso le coste pugliesi.
E' dunque scattato il dispositivo navale di controllo, con una vedetta della Guardia di Finanza di Gallipoli e un'unita' della Capitaneria di Porto di Leuca, che ha monitorato l'imbarcazione fino al suo ingresso nel porto di Santa Maria di Leuca.
Sono stati individuati complessivamente 13 clandestini, tutti uomini di nazionalita' siriana, che sono stati portati nel centro di temporanea assistenza "Don Tonino Bello" di Otranto. L'imbarcazione e' stata sottoposta a sequestro.



Quel maxi sbarco e le storie dei migranti ventuno anni dopo
Dall'Albania al porto di Bari, le vite cambiate
Corriere della sera, 31-10-2012
Alessandra Coppola Stefania Ulivi
Adesso quella nave se la ricordano tutti: piena fino all'inverosimile, carica di uomini, donne, bambini, ragazzi albanesi. Ma quell'8 agosto 1991, quando la «Vlora» entra nel porto di Bari, nessuno ha idea di cosa stia succedendo e meno che mai che quel giorno avrebbe certificato un passaggio storico per l'Italia, terra di emigranti. Eravamo diventati un Paese d'arrivo, non più di partenza. E questo ci avrebbe inevitabilmente cambiati.
Ci ha pensato Daniele Vicari, il regista di Diaz-Don't Clean Up This Blood, a ricostruire quella vicenda nel documentario La nave dolce (dall'8 novembre nelle sale, distribuito da Microcinema). Dolce perché carica (anche) di zucchero. «Alcuni avvenimenti storici, apparentemente marginali, dettano il tempo di immensi cambiamenti: l'arrivo della nave è uno di questi. Quell'approdo impressionante è stato l'innesco di una rivoluzione socioculturale di proporzioni fino a oggi inimmaginabili. In Italia nel '91 c'erano poco più di 30 mila stranieri, oggi ce ne sono quasi 5 milioni».
Vicari ha ritrovato alcune delle persone che erano sulla Vlora, come Kledi Kadiu, Eva Karafili, il comandante Halim Milaqi e tanti altri. Lui, figlio e nipote di emigranti, a Bari non c'era, ma ne ha un ricordo netto che è andato a ripescare nel materiale d'archivio, compreso la conferenza stampa dell'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che attaccò con durezza il sindaco di Bari. «Mi ricordo l'emozione che ho provato quando, guardando i materiali di repertorio, a un certo punto gli operatori televisivi cominciano a stringere il campo. Da immagini totali si passa alle inquadrature su corpi e volti, restituendo umanità alla massa indistinta. Ho voluto fare lo stesso».
La nave dolce racconta l'arrivo, ma anche la parte meno nota e più sconvolgente di quell'agosto: i giorni nello stadio prima dei rimpatri. E ci restituisce, al di là di paure e manipolazioni, un pezzo della nostra storia.


Immigrati, a Bracciano istituita cittadinanza onoraria 'ius soli'
Roma - (Adnkronos) - Il Comune ha deciso di assegnare un riconoscimento ai bambini nati in Italia da genitori stranieri. L'iniziativa, sia pure di natura simbolica, ha l'obiettivo di favorire l'intercultura e l'integrazione tra popoli
Roma, 30 ott. - (Adnkronos) - Cittadinanza onoraria 'ius soli' ai bambini di 6 anni figli di genitori stranieri ma nati in Italia. L'iniziativa e' del Comune di Bracciano, che ha deciso di assegnare ''un riconoscimento, sia pure di natura simbolica, con l'obiettivo di favorire l'intercultura e l'integrazione tra popoli''. E' quanto ha stabilito il Consiglio comunale nel corso dell'ultima seduta con l'approvazione di uno specifico regolamento.
''E' una esigenza - ha detto il consigliere delegato alla Partecipazione Mauro Negretti - che sentiamo come uomini prima che amministratori. Con questo provvedimento vogliamo dare un segnale perche' crediamo che chi vive a Bracciano, studia e gioca gomito a gomito con i nostri figli abbia un diritto di cittadinanza''.
L'articolo 11 del Regolamento adottato stabilisce che ''al fine di promuovere l'integrazione in questo territorio con la popolazione straniera residente a Bracciano che nasce, vive, cresce, studia e lavora in Italia, e con l'obiettivo di contrastare i disagi derivanti dalla complessita' delle procedure previste per il riconoscimento da parte dello Stato della Cittadinanza Italiana per coloro che nascono in Italia, e' istituito nel Comune di Bracciano l'istituto della Cittadinanza Onoraria 'Ius soli'. Il riconoscimento e' conferito a tutti i nati in Italia da genitori cittadini stranieri al compimento del sesto anno di eta' residenti a Bracciano''.
La cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria ius soli e' fissata per il 2 giugno di ogni anno, Festa della Repubblica. I nuovi 'cittadini', oltre al Tricolore italiano, riceveranno anche una copia della Costituzione italiana.
''Si tratta - commenta il sindaco di Bracciano Giuliano Sala - di un provvedimento importante mirato a favorire l'integrazione tra i cittadini e che si pone all'avanguardia rispetto ad una normativa nazionale che ancora mette ostacoli ad una reale integrazione tra vecchi e nuovi italiani. Gli stranieri per quanto ci riguarda - prosegue Sala - sono una risorsa, un valore aggiunto per Bracciano e per il Paese. Per cio' che ci compete e' quanto possiamo fare''.
L'auspicio ''e' che il dibattito a livello nazionale arrivi ad un pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza per tutti i bimbi, figli di genitori stranieri, che nascono in Italia''.


Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza
Avvenire, 29-10-2012
Cari fratelli e sorelle!
 Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). A tale dichiarazione hanno fatto eco il Servo di Dio Paolo VI, che ha chiamato la Chiesa «esperta in umanità» (Enc. Populorum progressio, 13), e il Beato Giovanni Paolo II, che ha affermato come la persona umana sia «la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso» (Enc. Centesimus annus, 53). Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem).
 In tale contesto, ho voluto dedicare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013 al tema «Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza», in concomitanza con le celebrazioni del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e del 60° della promulgazione della Costituzione Apostolica Exsul familia, mentre tutta la Chiesa è impegnata a vivere l’Anno della fede, raccogliendo con entusiasmo la sfida della nuova evangelizzazione.
 In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque, riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1).
 Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona. Ed è proprio a questa dimensione che la Chiesa è chiamata, per la stessa missione affidatale da Cristo, a prestare particolare attenzione e cura: questo è il suo compito più importante e specifico. Verso i fedeli cristiani provenienti da varie zone del mondo l’attenzione alla dimensione religiosa comprende anche il dialogo ecumenico e la cura delle nuove comunità, mentre verso i fedeli cattolici si esprime, tra l’altro, nel realizzare nuove strutture pastorali e valorizzare i diversi riti, fino alla piena partecipazione alla vita della comunità ecclesiale locale. La promozione umana va di pari passo con la comunione spirituale, che apre le vie «ad un’autentica e rinnovata ineconversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 6). E’ sempre un dono prezioso quello che porta la Chiesa guidando all’incontro con Cristo che apre ad una speranza stabile e affidabile.
 La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri. Coloro che emigrano portano con sé sentimenti di fiducia e di speranza che animano e confortano la ricerca di migliori opportunità di vita. Tuttavia, essi non cercano solamente un miglioramento della loro condizione economica, sociale o politica. È vero che il viaggio migratorio spesso inizia con la paura, soprattutto quando persecuzioni e violenze costringono alla fuga, con il trauma dell’abbandono dei familiari e dei beni che, in qualche misura, assicuravano la sopravvivenza. Tuttavia, la sofferenza, l’enorme perdita e, a volte, un senso di alienazione di fronte al futuro incerto non distruggono il sogno di ricostruire, con speranza e coraggio, l’esistenza in un Paese straniero. In verità, coloro che migrano nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato. Occorre, infatti, ribadire che «la solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranti e rifugiati, insieme alle difficoltà, possono sperimentare anche relazioni nuove e ospitali, che li incoraggiano a contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede, che dona impulso alle comunità di antica tradizione cristiana, incoraggia ad incontrare Cristo e invita a conoscere la Chiesa.
 Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono.
 
 A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazio¬ne irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimen¬to delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).
 Cari fratelli e sorelle migranti, questa Giornata Mondiale vi aiuti a rinnovare la fiducia e la speranza nel Signore che sta sempre accanto a noi! Non perdete l’occasione di incontrarLo e di riconoscere il suo volto nei gesti di bontà che ricevete nel vostro pellegrinaggio migratorio. Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49).
 Affido ciascuno di voi alla Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione, «stella del cammino», che con la sua materna presenza ci è vicina in ogni momento della vita, e a tutti imparto con affetto la Benedizione Apostolica.
 Dal Vaticano, 12 ottobre 2012
 BENEDICTUS PP. XVI

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