Regolarizzazione stranieri irregolari: continua il rischio di possibile occasione mancata

Ad una settimana circa dalla sua conclusione, inviate solo 65 mila richieste. La media  di 2824 al giorno. Salvo impennate dellĠultima ora , si rischia di non superare quota centomila. Malgrado il parere dellĠAvvocatura generale dello Stato, che ha allargato la casistica di organismi titolati a certificare la presenza dellĠimmigrato alla data del 31/12/2011, non cresce il trend delle richieste.

Tra le cause possibili: scarsa informazione, costi alti e rischi per gli immigrati. Urge una proroga per salvare il salvabile.

(a cura del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL)

 

 


Roma, 8 ottobre 2012- La procedura di emersione di lavoratori stranieri irregolari, regolata dal  Dlgs n.109/2012, iniziata lo scorso 15 settembre ed in conclusione luned“ della prossima settimana, sta per diventare  unĠoccasione (almeno in parte) mancata. Al 7 ottobre 2012, 23Ħ giorno di regolarizzazione, sono stati inviati 64.956 moduli. La media  di 2.824 al giorno. A questo ritmo non si arriverˆ oltre le 90 mila richieste e, anche se in questĠultima settimana si prevede unĠimpennata degli invii, difficilmente si supererˆ quota centomila. Un vero peccato, considerando che il numero di stranieri irregolari nel nostro Paese  valutato essere da molti centri studi, non inferiore a quota mezzo milione. Gioved“ scorso, lĠAvvocatura Generale dello Stato ha diffuso un parere volto ad allargare la casistica di Organismi titolati a certificare la presenza in Italia degli stranieri irregolari alla data del 31 dicembre 2011. ComĠ noto, questa  una condizione imposta dal dlgs n. 109/2012 ed  stata certamente causa finora del basso numero di adesioni alla procedura di emersione. La nuova decisione porta ad allargare potenzialmente il numero delle persone che possono dimostrare di essere in Italia dalla fine dello scorso anno: basta un abbonamento annuale alla metro, al treno o al bus; lĠiscrizione del figlio a scuola; la titolaritˆ di schede telefoniche di operatori italiani, un certificato medico o anche unĠattestazione di un centro di accoglienza per provarlo. Finora, per˜, la diffusione di questo parere dellĠAvvocatura, non ha suscitato grandi fermenti ed il trend giornaliero dei moduli inviati  rimasto per ora lo stesso. Vedremo, naturalmente, cosa succederˆ questa settimana. Ma  dĠobbligo una certa cautela e sarebbero necessari adeguati correttivi: intanto la decisione dellĠAvvocatura andrebbe esplicitata in una circolare puntuale a questure e prefetti, invece che limitarsi a spiegarla attraverso le faq del sito del Viminale. Andrebbe anche maggiormente pubblicizzata dai mass media. Poi, come hanno chiesto i sindacati ed altre associazioni del Tavolo Immigrazione, sarebbe necessaria una proroga, meglio se di un mese al 15 novembre. In effetti, non  cos“ automatica la reazione degli aventi diritto, nŽ la disponibilitˆ dei datori di lavoro, per cui resta ancora il problema dei costi alti della regolarizzazione. Ne  un sintomo il fatto che, su quasi 65 mila domande inviate, ben 57 mila riguardano il settore del lavoro domestico. Se si aggiunge che oltre 30 mila domande sono state fatte per lavoratori provenienti da Paesi a religione islamica (in genere poco propensi a fare questo tipo di lavoro), la spiegazione dellĠarcano appare chiara: tutti si rifugiano sulle richieste per il settore domestico dove  possibile fare un contratto di 20 ore settimanali, pagare meno contributi, ed avere un costo complessivo minore da rischiare nella regolarizzazione (circa 2000 Û invece che 5/8000 di altri settori). Bisogna poi ricordare che cĠ un altro deterrente: lĠassenza di paritˆ di trattamento tra lavoratore e datore di lavoro. QuestĠultimo – anche se va male la domanda – sarˆ comunque al riparo dal rigore della legge (a meno che non abbia colpe manifeste); il lavoratore straniero invece rischia lĠespulsione, anche se non ha nessuna colpa sullĠesito eventualmente negativo della domanda. Tutto questo, ed altri fattori, sono a nostro parere la causa possibile della (per ora) scarsa adesione alla procedura di emersione. UnĠoccasione sprecata per chi ne resterˆ fuori, ma anche un vero dramma. Una volta concluse le operazioni di regolarizzazione, infatti, la normativa introdotta con la Direttiva CE n. 52 procurerˆ non pochi problemi a quei datori di lavoro che non hanno voluto o potuto presentare la domanda di emersione.
Infatti, a partire dal 16 ottobre, saranno pienamente operative le nuove sanzioni a carico dei datori di lavoro che impiegano stranieri in condizione di irregolaritˆ (senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto, revocato o annullato). Se il rapporto di lavoro non sarˆ caratterizzato da condizioni di particolare sfruttamento, il datore rischia le pene giˆ previste dal testo unico immigrazione e cio la reclusione da sei mesi a tre anni, la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato ed in pi, ora, anche il pagamento delle spese di rimpatrio dello straniero (nel caso di persone giuridiche, societˆ e associazioni anche prive di personalitˆ giuridica, si aggiunge una sanzione pecuniaria che pu˜ arrivare a 150mila euro, come prevista dal d.lgs. 231/2001). Nei casi di sfruttamento, invece, le pene potranno arrivare a quattro anni e mezzo di reclusione e 7.500 euro di multa. Il lavoratore, in questi casi, potrˆ presentare una denuncia a carico del datore di lavoro ed ottenere un permesso di soggiorno per tutta la durata del processo.  Quando ricorrerˆ – per legge -  la condizione di ÒsfruttamentoÓ? Quando sussiste anche una sola delle seguenti condizioni: 1) la sistematica retribuzione dei lavoratori  palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque  sproporzionata rispetto alla quantitˆ e qualitˆ del lavoro prestato; 2) la sistematica violazione della normativa relativa allĠorario di lavoro, al riposo settimanale, allĠaspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o lĠincolumitˆ personale; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.