21 settembre 2012

L’associazione A Buon Diritto presenta un report su Lampedusa al presidente Napolitano.
Il dossier “Lampedusa non è un’isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia” sarà reso pubblico la prossima settimana.
Immigrazioneoggi, 21-09-2012
Una delegazione dell’associazione A Buon Diritto onlus, guidata dal presidente Luigi Manconi, ha presentato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il rapporto Lampedusa non è un’isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia, curato dalla stessa Associazione.
Nel corso dell’incontro avvenuto a Napoli – secondo quanto riferisce A Buon Diritto – sono state analizzate le diverse questioni relative alla presenza nel nostro Paese di immigrati e richiedenti asilo e, in particolare, si è considerata la “grande questione della cittadinanza”, ovvero l’opportunità di riconoscere la cittadinanza italiana agli stranieri nati e residenti in Italia e di facilitare l’acquisizione della cittadinanza agli stranieri regolarmente soggiornanti da un periodo congruo di tempo.
Il rapporto Lampedusa non è un’isola è stato discusso, in incontri pubblici, dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, dal capo della Polizia Antonio Manganelli e dal capo della Protezione civile Franco Gabrielli e sarà oggetto di un convegno, la prossima settimana, che vedrà la partecipazione del ministro della Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi, e di numerose associazioni.



È in Piemonte l’«anti-Rosarno»
Avvenire, 21-09-2012
Paolo Lambruschi
Le tante scarpe da ginnastica allineate davanti al tendone al Foro Boario significano che oggi non si raccolgono le mele rosse Igp di Saluzzo. Qualcuno dei braccianti prepara la pasta sotto la tenda-cucina, c’è chi si improvvisa barbiere. Altri sono riuniti a discutere il da farsi. Indossano tutti pile e giubbotti per scaldarsi dopo le notti trascorse in sacco a pelo, perché anche se è mezzogiorno e c’è il sole, il freddo non se ne va. Nell’accampamento di fortuna sorto ai primi di settembre la situazione è tranquilla, i carabinieri controllano quotidianamente preoccupati della legalità e delle persone. I migranti sono accampati dentro quattro grandi tende portate da privati e Croce Rossa. Dormivano tutti all’addiaccio, poi le piogge di fine agosto - tempo di sagra e di fiera della meccanica agricola al Foro - hanno allagato i cartoni dove si riparavano i 150 arrivati per ultimi scatenando le proteste pacifiche dei lavoratori. Allora la Croce Rossa ha installato le tende.
Al Foro si è fermato il nuovo popolo dei braccianti stagionali, ingrossato dagli sbarchi del 2011 dalla Libia e dalla povertà scatenata dalla crisi. Gente che gira in continuazione le campagne italiane per sopravvivere, un’immigrazione interna che si muove su nuove rotte attratta dalla paga, che qui arriva a 45 euro al giorno. Tutti senza dimora perché non possono permettersi affitti, ma in regola. Arrivano in prevalenza dall’Africa subsahariana, circa la metà ha un permesso sussidiario triennale, uno su cinque per motivi umanitari, il resto per un lavoro ormai perso.
È il popolo delle arance siciliane e dei pomodori, che gira da Castelvolturno e da Rosarno e ora arriva fino al ricco Nord. Ma Saluzzo, va detto, non è Rosarno perché non c’è la mafia che sfrutta e spara a chi alza la testa. E nemmeno i caporali. Non ancora, almeno, se si interviene in fretta. Mohamed arriva al Foro su una delle 120 bici usate, riparate in inverno dalla Caritas diocesana, in prima linea da tre anni, e prestate ai braccianti con tanto di tesserino per andare e tornare dalla campagna a sudarsi soldi che in parte vanno per mangiare e il resto per aiutare la famiglia a casa. Un frutteto dista fino a dieci chilometri e c’è chi ci va a piedi. Ora sono rimasti in 100.
«Una cinquantina sono partiti perché i contratti stanno scadendo - spiega Mohamed, 25 anni, maliano da tre anni nel Belpaese - ed entro il 9 ottobre, quando finirà la raccolta delle mele e delle prugne partiremo verso Campania e Calabria».
Arrivati fin da marzo in cerca di lavoro in uno dei frutteti più ricchi d’Europa, i migranti in agosto erano più che raddoppiati rispetto al 2011. Non se lo aspettava nessuno.
«Più di 350 senza dimora sono uno tsunami in una realtà di 17 mila abitanti – commenta il direttore della Caritas diocesana don Beppe Dalmasso, – nessuno si aspettava questo aumento esponenziale. Nel 2010 arrivarono i primi dieci africani, l’anno scorso erano già diventati 180, quest’anno più del doppio. Molti sono tra quelli sbarcati a Lampedusa, altri sono stati lasciati a casa dalle fabbriche. Noi ci siamo mossi con il comune, che ha messo in campo tutte le risorse possibili. Ma il bisogno è davvero grande».
Insieme al comune di Saluzzo e ai piccoli centri limitrofi interessati dalla raccolta della frutta e alla Coldiretti è scattato un piano per accogliere 170 persone. Ne sono rimasti fuori i 150 arrivati a estate inoltrata e finiti al Foro Boario. Eppure a fine marzo il vescovo Giuseppe Guerrini aveva chiesto l’intervento non solo dei comuni, ma di tutti gli enti locali.
«La Caritas lavora per l’accoglienza e cerca di fare la sua parte per sensibilizzare – spiega il vescovo – tuttavia la nostra è un’attività sussidiaria, non possiamo sostituirci alle istituzioni».
Insieme alla comunità "Papa Giovanni" di don Benzi, la diocesi ha affittato un capannone trasformandolo in un ordinato centro di prima accoglienza maschile che offre a 50 persone – tutte regolari –  un tetto, docce, un letto e un pasto caldo la sera. E poi distribuisce a tutti alimenti e vestiti donati da parrocchie e benefattori.
«Questa è una terra solidale – ribadisce Guerrini, che spesso incontra gli ospiti – e i migranti hanno molta dignità».
Come Blaise, 53 anni, che viene dal Benin. Quest’estate ha lavorato poco. «Ho trovato un contratto con una piccola azienda, ma non ha più bisogno. Ho il permesso di soggiorno, sono in Italia da tre anni. Sono falegname, lavoravo in un laboratorio a Vercelli, poi in primavera hanno chiuso. Mi hanno parlato di Saluzzo, sono arrivato a giugno e qui ho guadagnato 1.000 euro. Metà li ho spediti a casa ai miei tre figli. Ora cerco un lavoro per il biglietto di ritorno in Benin».
Il sindaco Paolo Allemano, medico alla guida di una giunta di centrosinistra, ha dovuto incassare le accuse di razzismo. Lui che fa i turni per tenere aperte le docce comunali con assessori e dipendenti.
«Altro che Rosarno – sbotta – se vengono qui in tanti è perché c’è lavoro pagato bene. Abbiamo fatto il possibile, qui il tessuto è sano, altro che razzismo».
Per l’anno prossimo comune e Coldiretti vogliono aprire un campus con assistenza sanitaria per i braccianti stagionali in un capannone periferico dismesso. La Lega ha già sollevato obiezioni. C’è ancora tempo per realizzare un’accoglienza dignitosa. L’emergenza di Saluzzo non deve ripetersi.



Regolarizzazione, denuncia del Tavolo nazionale immigrazione: il mancato chiarimento sulla documentazione da produrre per attestare la presenza rischia di far fallire il provvedimento.
Incontro con il ministro Riccardi e i tecnici ministeriali. “Chiarire al più presto cosa si intenda per organismi pubblici ampliando il più possibile il novero dei soggetti che possono rientrare in questa categoria”.
Immigrazioneoggi, 21-09-2012
Il mancato chiarimento sulla documentazione che attesti la presenza in Italia degli immigrati “impedisce di fatto a una parte dei datori di lavoro di far emergere i rapporti di lavoro in corso”.
È la denuncia del Tavolo nazionale immigrazione dopo l’incontro che si è svolto ieri presso il Ministero dell’integrazione e a cui erano presenti i rappresentanti dei ministeri dell’Interno e del Lavoro, coinvolti nella procedura di emersione.
Alla riunione, alla quale ha partecipato anche il ministro Riccardi, i rappresentanti del Tavolo hanno esposto le preoccupazioni derivanti dall’estrema difficoltà di utilizzare il provvedimento a causa di alcune condizioni previste per accedervi. I rappresentanti dei ministeri presenti hanno confermato la posizione del Governo che, secondo le organizzazioni del Tavolo immigrazione, “impedisce di fatto a una parte dei datori di lavoro di far emergere i rapporti di lavoro in corso”.
“La richiesta della prova di presenza in Italia al 31 dicembre 2011 – secondo le organizzazioni – è a nostro parere incongrua e ingiustificata e si configura come una vessazione sia nei confronti dei lavoratori che dei datori di lavoro”.
I rappresentanti del Tavolo (Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cisl, Cgil, Comunità di S. Egidio, Fcei, Sei-Ugl, Uil) sottolineano che ’’le pubbliche amministrazioni non possono produrre documentazione, salvo in casi molto particolari, per stranieri irregolarmente presenti nel territorio. La nostra richiesta, che non ha ottenuto risposta, è di chiarire al più presto almeno cosa si intenda per organismi pubblici, ampliando il più possibile il novero dei soggetti che possono rientrare in questa categoria, non escludendo anche il ricorso a certificazioni emesse da enti privati”.
“L’attuale situazione – spiegano i rappresentanti del Tavolo – determina fra l’altro uno scenario che potrebbe dar luogo a un ampio contenzioso giurisdizionale. Il rischio che abbiamo evidenziato anche in questa occasione ai rappresentanti del Governo è che il provvedimento venga applicato in maniera restrittiva e disomogenea e che, in assenza di una circolare esplicativa, si alimenti il mercato delle prove false e l’attività di faccendieri e imbroglioni. Non ci resta dunque che sperare – concludono le associazioni – che da parte del Governo arrivi finalmente un segnale che vada nella direzione da noi indicata per rendere davvero efficace e fruibile un provvedimento così atteso”.



Forum: Tutti a Milano per “ripensare” la Cooperazione italiana allo sviluppo.
Afrikitalia.it, 20-09-2012
Claudia Oriolo e Jean Claude Mbede
Milano,20 settembre- “Muovi l’Italia, cambia il mondo” è la tematica del Forum della cooperazione internazionale, promosso dal Ministro per la Cooperazione Internazionale ed Integrazione, Prof. Andrea Riccardi, con la collaborazione del Comune di Milano e della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo presso il Ministero degli Affari Esteri che si terrà a Milano l’1 e il 2 Ottobre 2012. Il Forum ambisce a dar spazio al dialogo e al confronto sui temi prioritari della cooperazione allo sviluppo e sull’effettivo rilancio del ruolo dell’Italia nel panorama internazionale. Per due giorni consecutivi, esperti, cariche istituzionali, studenti, enti del settore sia pubblico che privato, cittadini impegnati e membri della società civile italiani, europei e del Sud del mondo discuteranno insieme idee innovative, strategie, opportunità di partnership e piani operativi concreti per stimolare e valorizzare il confronto, l’integrazione e la cooperazione.
Il Forum della Cooperazione Internazionale, spiccatamente strutturato come evento multistakeholder , è stato preceduto da una serie di consultazioni su temi considerati cruciali per la rinascita della cooperazione italiana. Numerosi gli attori che hanno partecipato a tale percorso preparatorio al Forum, tra cui rappresentanti amministrazioni centrali dello Stato, enti locali e territoriali, il mondo imprenditoriale, ONG, associazioni dei migranti e del commercio equo e solidale, sindacati, istituti di credito (Banca d’Italia, fondazioni bancarie, credito cooperativo, etc.), Università etc.
Nel corso del Forum, avranno luogo sia sessioni plenarie che momenti di lavoro dinamici e partecipati in cui sarà possibile discutere e confrontarsi sulle azioni da intraprendere per rilanciare il profilo dell’Italia nel campo della cooperazione internazionale. Al termine delle due giornate del Forum, il Ministro Riccardi presenterà una dichiarazione politica che vuole essere un manifesto d’intenti per ri legittimare la centralità della politica pubblica di cooperazione e fornire alcune linee guida per una ripresa quantitativa e qualitativa dei programmi italiani della cooperazione allo sviluppo.
Per informazioni sul programma e modalità di iscrizione, prego rivolgersi al sito del Forum: www.forumcooperazione.it
Prof. Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione Internazionale e dell’integrazione:
“Una grande operazione di rilancio”
“Abbiamo convocato il Forum per la Cooperazione Internazionale – che si terrà a Milano nei giorni 1-2 ottobre 2012 – con l’obiettivo di rimettere i temi legati alla cooperazione e all’aiuto allo sviluppo al centro del dibattito nazionale. Sarà il momento culminante di un percorso avviato da tempo con l’ambizione di coinvolgere tutti i soggetti interessati – istituzioni, enti locali, volontariato, Ong, mondo delle imprese – in una grande operazione di rilancio, culturale e operativo. Perché la cooperazione non è solo una doverosa azione di solidarietà, ma un asse portante della politica estera di un Paese e, anche, una opportunità di crescita, di sviluppo e di sicurezza.
Muovi l’Italia, cambia il mondo è lo slogan del Forum. Vogliamo rimetterci in movimento, tornare a farci compagni dei paesi del Sud del mondo, ritrovare energie nuove, dopo troppi anni di stanca. Il dialogo, il partenariato, la relazione con l’altro sono gli elementi con cui vogliamo favorire la nostra partnership con i paesi in via di sviluppo, che guardano all’Italia con interesse e rinnovata aspettativa.”
GIULIANO PISAPIA, SINDACO DI MILANO: “Grande significato in vista di Expo Milano 2015″
“Per Milano il Forum è un’occasione unica per riaffermare l’impegno della città sul fronte della cooperazione internazionale. Per la sua tradizione in materia di welfare e di innovazione Milano può e deve essere il cantiere ideale per dar vita, con le Ong e le sue imprese, a un dibattito nazionale sulle nuove forme di cooperazione internazionale che le sfide del mondo globale impongono. Un impegno che acquista ancor più significato in vista di Expo Milano 2015 dedicato a temi strategici, quali la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile, su cui vogliamo lavorare sulla base di una nuova cooperazione paritaria tra Nord e Sud del pianeta.”



Minori stranieri, i nuovi schiavi del crimine
Avvenire, 20-09-2012
Vito Salinaro
Se dal 2003 ad oggi gli articoli del Codice penale 600 (riduzione in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi), sono stati modificati con un sensibile inasprimento delle sanzioni e con l’introduzione di una serie di aggravanti, è perché in Italia, di anno in anno, aumentano le varie tipologie di "schiavitù".
E perché negli ultimi 3 anni 1.246 persone sono indagate, in stato di arresto o di libertà, per questi reati. Basterebbe questo per restare senza fiato. Ma il dato diventa agghiacciante se si tiene conto che le vittime, nella quasi totalità dei casi, sono giovani e giovanissimi, con percentuali in continua ascesa per i minorenni, non solo stranieri. Maschi e femmine, 12, 13, 14 anni, schiavi. Bambini ma anche fonti di guadagno, oggetti da usare nelle mani di potentati criminali sempre più simili a multinazionali, abilissime ad avviare bambini e adolescenti verso il lucroso giro della prostituzione, dei lavori forzati, dell’accattonaggio, nello sconfinato mondo dei mercati illegali.
Niente è approssimazione, tutto è "scientifico" nella spietata programmazione delle mafie. Proviamo a comprendere meglio con i numeri: al 6 luglio del 2012 le forze dell’ordine avevano censito poco più di 8.000 migranti entrati irregolarmente in Italia. Il numero è destinato a crescere perché l’elaborazione negli archivi centrali non ha ancora ricevuto le cifre ufficiali di molti organi periferici. Ebbene, di questi 8.000 stranieri, 155 erano minori accompagnati e ben 621 non accompagnati: nessun genitore, nessun parente ha compiuto il viaggio con loro. Bambini e ragazzi completamente soli che entrano in un Paese nuovo.
Anzi, quasi sempre in un continente nuovo. Ma per fare cosa? Ecco i gruppi più numerosi stimati dalla Polizia: 196 afgani, 188 egiziani, 148 somali. Negli ultimi anni anche la Grecia (1.665 immigrati nei primi sette mesi del 2012), si è andata confermando come una delle porte di accesso più frequentate dall’immigrazione irregolare dell’Est verso l’Occidente. Se si guarda al fenomeno globalmente, i migranti fuggono soprattutto da guerre, carestie, degrado. Spesso, quando i minori raggiungono Lampedusa, le coste siracusane, quelle dell’Agrigentino, o quelle pugliese e calabresi, vengono temporaneamente indirizzati dalle forze di polizia in centri di accoglienza, o in istituti. Ma ci restano poco. Perché prima o poi riescono è scappare. E c’è sempre chi li agevola. A quel punto si trovano per strada. Dove diventano merce appetibile per gente senza scrupoli.
Tutto previsto, tutto secondo copione. I minori isolati ed emarginati, non soltanto di provenienza straniera ma anche individuati in contesti sociali italiani particolarmente degradati, sono preziosi per le organizzazioni criminali. Che per loro hanno in serbo due strade: sfruttarli tenendoli segregati (si pensi ai 377 minori coinvolti nell’ambito dei 2.538 reati a sfondo sessuale denunciati nella prima parte dell’anno), oppure trasformarli in "soldati", promuovendoli sul campo con lo scopo di avviarli al crimine, pur senza rinunciare a fare di loro degli schiavi. Fino a luglio 2012, il Dipartimento della Pubblica sicurezza ha censito 524.657 delitti; di questi 356.658 sono attribuiti a cittadini italiani, di cui 12.385 a minori; gli altri 163.815 sono stati compiuti da cittadini stranieri, di cui ben 8.228 da under 18.
Oltre 20.500 crimini in soli 7 mesi, dunque, sono stati commessi in Italia da minorenni. 14 volte, nello stesso periodo, i minori hanno ucciso volontariamente. Quasi il 10% delle rapine (1.157 su 12.335), ha visto come attori minorenni, i quali sono stati responsabili anche di 5.555 furti (2.754 italiani e 2.801 stranieri). A giudicare dalle più importanti operazioni di polizia compiute in questo settore nel 2012 (almeno 15), la schiera di "soldati" si è andata ingrossando. A tirare le fila di quello che gli analisti della Polizia criminale definiscono "Sci" (sistema criminale integrato), sono cellule «snelle e specializzate in grado di lavorare in rete nei singoli Paesi di transito e di destinazione». Il Sistema è articolato su 3 livelli interdipendenti e complementari, con altrettanti compiti: il contrabbando delle persone, lo sfruttamento delle stesse, la riduzione in schiavitù. Il meccanismo è oliato.
Al primo livello operano le organizzazioni etniche, deputate alla pianificazione e gestione dei flussi migratori; il secondo livello è costituito dagli uomini impegnati nei territori di confine tra i Paesi interessati dal traffico, che offrono supporto logistico, preparazione dei documenti, e che corrompono funzionari chiave; del terzo livello fanno parte i "passeurs", che garantiscono materialmente il passaggio dei confini. Non è tutto. C’è un quarto livello costituito da chi trae benefici dall’asservimento e dallo sfruttamento in Italia dei migranti schiavizzati. Nella graduatoria degli schiavisti denunciati, ben 368 hanno nazionalità romena, 186 sono italiani, 98 nigeriani, 75 albanesi, 34 cinesi. Quanto alla tratta di persone, prevalgono i nigeriani (118) e i romeni (98), seguiti dagli italiani (24) e dagli albanesi (19). Sono loro i registi delle schiavitù del XXI secolo.



Innocenti: «Solo la sinergia tra le polizie di tutta l’Ue vince la tratta»
​Avvenire, 21-09-2012
Vito Salinaro
Da dirigente della Polzia di Stato prima, da studioso e collaboratore di prestigiose riviste specializzate in narco-mafie e tratte poi, Piero Innocenti si è sempre occupato di criminalità organizzata. Già questore a Teramo, a Piacenza e a Bolzano, e consulente del Capo della Polizia, più recentemente sta analizzando il fenomeno delle "moderne schiavitù".
I flussi di migranti irregolari sono in espansione ovunque. Ma se aumentano anche schiavisti e contrabbandieri di esseri umani significa che i Paesi occidentali sono sempre più vulnerabili. O no?
In realtà i Paesi occidentali hanno strumenti sempre più sofisticati per arginare l’immigrazione irregolare.
Allora qualcosa non torna.
E invece sì, purtroppo. Perché più si fanno rigorosi e complessi i sistemi di controllo e contrasto da parte dei vari stati, più le organizzazioni criminali si organizzano e si consolidano di conseguenza. Con ripercussioni che investono proprio gli eserciti di disperati.
In che senso?
Perché i costi per il trasporto dei migranti che cercano in tutti i modi di fuggire dai rispettivi Paesi diventano esorbitanti. Chi è disperato fa di tutto per scappare. Sarebbe disposto ad ogni genere di sacrifici per trovare un posto su velieri, pescherecci, gommoni, barchette, o anche per essere caricato a bordo di Tir, nascosto tra le mercanzie, come avviene per tanti migranti in arrivo dalla Grecia. A tutto vantaggio dei conti delle mafie.
Ma se i criminali sono sempre più organizzati, quali strumenti adottare per fronteggiarli più efficacemente?
L’adozione di mezzi e di tecnologie sofisticate da parte delle forze dell’ordine e l’inasprimento delle pene specifiche per questi reati – oggi è prevista la reclusione da 8 a 20 anni – sono ottimi provvedimenti ma non bastano. Questa lotta si deve affrontare accentuando la cooperazione tra le forze dell’ordine di tutti i Paesi Ue, sia sul fronte preventivo e investigativo, sia sul piano del controllo del territorio. Quando questo è avvenuto, l’Italia ha compiuto operazioni su vasta scala che hanno decapitato importanti organizzazioni criminali. Dal 2008 al settembre 2012 ne ho contate 85. Ma non è ancora tutto.
Continui.
La frontiera esterna meridionale dell’Ue è l’Italia. Che sta promuovendo accordi di partenariato con i Paesi dell’Africa settentrionale: Tunisia, Algeria, Libia, Egitto. Si stanno avviando trattative con Niger, con la Nigeria e con altri Paesi. Quando questi stati saranno in grado di aderire pienamente agli accordi, le cose miglioreranno.
Intanto spending review e tagli non aiutano le forze dell’ordine...
Polizia, carabinieri e Guardia di finanza sono, a livello mondiale, tra le forze di polizia più efficienti. Ci sono eccellenze anche nelle strutture interforze del Dipartimento della Pubblica sicurezza: mi riferisco alle direzioni centrali per i servizi antidroga, immigrazione e anticrimine. Eventuali mancanze non influiscono sui risultati.
Già. Ma i tagli sono tagli.
Certo, turnover e tagli non vanno nella direzione auspicata. Molte scuole di polizia aspettano allievi che non arriveranno. E tanti agenti stanno andando in pensione. Occorrerebbe rafforzare i presidi. Problemi ci potrebbero essere anche in relazione ad accorpamenti e riduzioni delle province che potrebbero portare alla scomparsa, in molte sedi, di questure, comandi provinciali dei carabinieri e Finanza, da rimpiazzare con commissariati distaccati e con comandi compagnie. Non proprio la stessa cosa... Tutto questo potrebbe incidere sulla sicurezza. Oggi c’è ancora un controllo sociale molto forte da parte della polizia, sia da quella statale che locale. È un patrimonio irrinunciabile. Anche in termini di fiducia.
Di fiducia?
Quando fui nominato questore di Teramo, nel 1998, era da poco entrato in vigore il testo unico sull’Immigrazione. La questura che guidavo fu, se non la prima, tra le prime a concedere un permesso speciale di protezione sociale ad alcune prostitute minorenni che ci aiutarono ad incastrare una pericolosa organizzazione mafiosa. Quelle ragazze si fidarono di noi, convinte che lo Stato fosse più forte della mafia. Hanno avuto ragione. E da allora sono libere.



«Bimbo rom? Ti lascio a piedi...» Brescia cancella lo scuolabus
l'Unità, 20-09-2012
Luigina Venturelli
Il primo giorno di scuola - sarà stata l’emozione del rientro dopo le vacanze estive, sarà stata l’improvvisazione davanti alla novità - tutti i bambini si sono diligentemente incamminati sulla carreggiata per raggiungere la scuola. In fila per non intralciare il passaggio dei camion in uscita dalla tangenziale di Brescia, i più piccoli per mano ai più grandi per non farsi investire, tutti e ottanta hanno raggiunto le aule dopo una mezz’ora di tragitto, appena in tempo per l’inizio delle lezioni.
Già ieri, però, erano solo una trentina. Gli altri sono rimasti al proprio campo nomadi, qualcuno in lacrime perché gli è stato impedito l’accesso alla scuola materna, qualcuno perchè non ha potuto o non ha voluto, a seconda dell’età, farsi nuovamente una lunga camminata in mezzo al traffico.
ISTRUZIONE NEGATA
Non si tratta di una storia di abbandono scolastico, ma della consapevole scelta di un’amministrazione comunale - quella della fu civilissima Brescia, retta da una coalizione Pdl-Lega - di negare ad un gruppo di bimbi rom e sinti il diritto all’istruzione scolastica.
La sua attuazione è stata semplice: è bastato abolire il servizio di scuolabus che da molti anni accompagna in città gli alunni residenti nei campi di via Borgosatollo e di via Orzinuovi, estrema periferia sud, praticamente a ridosso dell’imbocco dell’autostrada, con la scusa del mancato pagamento del servizio da parte delle famiglie.
Poiché i campi esistono dal 1993, e poichè il servizio finora non è mai stato pagato, il Comune pretende all’improvviso il saldo dell’intera somma dovuta di 75mila euro, prima di riattivare il servizio. «Vadano a piedi come fanno molti altri bambini della loro età» ha dichiarato il vicesindaco leghista Fabio Rolfi a chi chiedeva spiegazioni sull’accaduto.
Immemore della distanza tra i campi nomadi e le scuole, e sprezzante del pericolo che i bambini corrono ogni giorno sul ciglio di una strada a scorrimento veloce e senza marciapiede. Non dovesse bastare questa decisione a negare l’accesso scolastico agli alunni rom e sinti di asili, elementari e medie, ci si è messa anche quella dell’assessore pidiellino alla Cultura Andrea Arcai, che ha intimato alle maestre delle materne di non far entrare in aula i figli delle famiglie in arretrato con il pagamento del servizio mensa.
Per l’amministrazione, insomma, sono essenziali i 6 euro al giorno dei bimbi rom (una tariffa, peraltro, aumentata del 30% nell’ultimo anno), nonostante pochi mesi fa abbia regalato con estrema leggerezza 500mila euro agli organizzatori della passata mostra su Matisse il cui numero di visitatori è stato dolosamente gonfiato (la procura di Brescia ha aperto un’inchiesta). «I più piccoli sono stati rimandati a casa con la motivazione che la scuola materna non è una scuola dell’obbligo» spiega Maria Maiorana di Opera Nomadi, che insieme ad altri volontari negli ultimi giorni stava allestendo un pranzo di fortuna nei giardinetti delle scuole.
A pochi mesi dalle lezioni amministrative, il dubbio che si tratti di un pretesto di propaganda politica sorge spontaneo. Nel migliore dei casi. Perchè, a pensare male, viene in mente il regolamento comunale dei due campi nomadi in questione, che prevede l’espulsione delle famiglie che non rispettano l’obbligo di mandare i figli a scuola.
PROPAGANDA E DISCRIMINAZIONE
Contro questa follia politica - che rischia di mettere in discussione la scolarizzazione come fondamento d’integrazione - si stanno mobilitando la Cgil, l’Arci, l’Opera Nomadi e la Fondazione Piccini. «Vogliamo un tavolo di discussione con l’amministrazione» chiede il segretario della Camera del Lavoro, Damiano Galletti. «Chi ci sta andando di mezzo sono i bambini.
La scelta di non garantire il trasporto scolastico ai minori di via Borgosatollo e via Orzinuovi non può rispondere solo a logiche economiche, ma deve tenere conto della complessità della situazione. Non c’è nulla di più ingiusto che trattare in modo uguale situazioni differenti».



L'INCUBO AMERICANO DEI LATINOS
Processati a 6 anni senza legali
Avvenire, 21-09-2012
Lucia Capuzzi
«My name is Juan David González». Con una punta di orgoglio, Juan David si alza in piedi e scandisce nome e cognome in inglese di fronte al giudice. Proprio come la sera prima gli aveva insegnato l’operatrice sociale. Poi si risiede, scomparendo dietro la sbarra. Alla fine, un assistente deve mettere un supporto sulla sedia per permettergli di arrivare al banco.
Lo stesso stratagemma che il personale del tribunale di Harlingen, in Texas, aveva dovuto utilizzare qualche settimana prima per l’udienza di Liliana Muñoz. Anche lei non raggiungeva il tavolo. Normale dato che aveva appena compiuto 6 anni. Come Juan David del resto. Entrambi sono baby migranti entrati in modo irregolare negli Usa. Entrambi sono partiti soli – rispettivamente da Messico e Salvador – per raggiungere i genitori, emigrati anni prima: questi ultimi avevano pagato un “coyote” (trafficante di uomini) perché li scortasse. Entrambi, però, sono stati fermati dagli agenti doganali mentre cercavano di attraversare il Río Bravo e sono finiti sotto processo. In aula si sono trovati di nuovo soli: accanto a loro non c’era un avvocato a tutelarli. La legge statunitense non prevede l’assistenza legale gratuita per i casi di immigrazione. Dato che né Juan David né Liliana avevano i soldi necessari per pagare un difensore, hanno dovuto affrontare il dibattimento da soli.
Terrorizzati, impacciati, confusi, i due bambini si sono sforzati di rispondere alle domande del giudice, con l’unico aiuto di un’interprete. Entrambi – con ogni probabilità – saranno rimpatriati, dato che i nuovi arrivati non rientrano nella “sanatoria” concessa ora dal presidente Barack Obama. Eppure, forse, avrebbero potuto chiedere una qualche forma di asilo temporaneo. Il gruppo no profit Vera Institute of Justice ha calcolato che il 40 per cento delle volte i minori avrebbero la possibilità di restare legalmente.
Nessuno lo saprà mai. Solo un avvocato avrebbe potuto accertarlo e suggerire la strategia. Ma quest’ultimo non c’era, perché due bambini di sei anni non avevano i soldi per l’onorario. Un paradosso per la “patria dei diritti civili”. Dove, però, storie come quelle di Liliana e Juan stanno diventando drammaticamente frequenti. Tanto da far gridare allo scandalo dai gruppi di attivisti. Da gennaio a luglio, in appena sei mesi, ben 11mila baby migranti non accompagnati sono stati arrestati e sottoposti a processo. Il doppio rispetto all’anno precedente. Molti avevano meno di 14 anni, alcuni appena cinque o sei. Un fenomeno in parte nuovo.
Fino allo scorso autunno, in genere a emigrare senza i genitori da Messico e America centrale erano minori sopra i 14 anni. «Questi ultimi sono sempre stati numerosi: almeno 4 migranti su dieci», spiega ad Avvenire Leticia Gutierréz, responsabile della Pastorale migranti della Conferenza episcopale messicana. Da ottobre 2011, però, il numero è cresciuto esponenzialmente: fino a luglio erano quasi 22mila i minori soli fermati al confine, il 48 per cento in più rispetto al 2010. Secondo il Pew Hispanic Center di Washington, il flusso di minori da Guatemala, Honduras e Salvador è praticamente raddoppiato. Per la prima volta, anche bimbi piccoli o piccolissimi hanno cominciato a partire, inseguendo il sogno americano. Che, in genere, si trasforma in un incubo.
A mandarli – pagando tra i 2mila e i 5mila dollari richiesti dai “coyotes” – sono i genitori, ansiosi di allontanarli dalla violenza che devasta l’intera regione. Negli ultimi sei anni, l’offensiva anti-narcos scatenata dal presidente Felipe Calderón in Messico ha prodotto una guerra di assurda ferocia. Che si estesa anche nei Paesi confinanti. Nel solo Messico si parla di 80mila vittime dal 2006 ma si tratta di una stima per difetto. I dati non sono trasparenti e varie Ong parlano di 120mila. I trafficanti, per sfuggire alla pressione, hanno spostato le basi in Guetemala, Salvador, Honduras. Trasformandoli nelle nazioni più violente del mondo. Il primato spetta all’Honduras con 86 omicidi ogni 100mila abitanti. In Guatemala sono 41, in Salvador 65. Da questi inferni volevano fuggire Liliana e Juan David. E lì, probabilmente, verranno ricacciati.



Bambini reclutati, non resta che scappare
Avvenire, 21-09-2012
Lucia Capuzzi
«Il narco». Miguel risponde con tono tagliente quando qualcuno gli domanda che cosa voglia fare da grande. A 11 anni, il ragazzino ha le idee fin troppo chiare: vuole diventare un «uomo vero, di successo». Non ha paura di scandalizzare. Del resto, a Ciudad Juárez, nel Nord del Messico, non né il primo né l’unico quasi-adolescente che sogna di fare il trafficante. Per diventare multimilionario in pochi anni, come promettono loro i boss. Una scelta strategica ben precisa che dal Messico si è estesa all’intera regione, dal Salvador all’Honduras.
La guerra anti-narco scatenata dal governo nel 2006 ha prodotto un’autentica carneficina: 80mila vittime, approssimate per difetto. Tanti sono civili innocenti. Altri sono criminali: la maggior parte ha meno di 30 anni. Omicidio dopo omicidio, man mano che la guerra va avanti, si assottiglia il “bacino di reclutamento” per i trafficanti. Per rimpiazzare i caduti, i boss hanno avviato arruolamenti in massa di adolescenti. Questi presentano anche un altro vantaggio: in base alla legge del 2006, rischiano pene minime: fino a 6 anni di carcere per omicidio per chi ha meno di 16 anni.
La campagna di reclutamento indetta dai cartelli – cioè i grandi gruppi criminali – messicani non si limita ai confini nazionali. Dove, secondo la Rete per i diritti dell’infanzia (Redim), i baby-sicari sono oltre 30mila e hanno un’età media di 13 anni. I signori della droga hanno lanciato esche nei Paesi confinanti – in particolare il “triangolo rosso”: Guatemala, Salvador e Honduras –, in cui da anni hanno esteso i loro tentacoli, spinti dalla pressione delle autorità nazionali. I più attivi sono Los Zetas, diffusi in tutta la regione. Da quando, a primavera, è esplosa una faida interna che sta dissanguando l’organizzazione, la banda ha incrementato le azioni di reclutamento di “nuova manodopera”.
Difficile avere dati per l’America centrale. Di certo – informano fonti umanitarie – sono aumentate le denunce di genitori disperati. Uomini armati – raccontano – si presentano all’uscita di scuola e offrono ai figli biglietti da cento dollari per svolgere dei “lavoretti”. Niente di compromettente all’inizio: fare la spia, portare dei pacchetti. Poi si passa alle vere missioni, con tanto di campi di addestramento in Messico. Poi si arriva agli omicidi: i baby killer prendono uno “stipendio” di 90 euro a settimana. Una fortuna per la maggior parte della popolazione locale, che vive con meno di 2 dollari al giorno. Chi non accetta per denaro, viene costretto con le minacce o addirittura rapito. Per i cartelli, i bimbi-sicari sono “carne da cannone”: vivono appena qualche anno, prima di venire assassinati, mutilati, torturati. Dei 1.400 morti ammazzati in Messico, nel solo mese di agosto, buona parte erano adolescenti.
Questo spiega la “grande fuga” di minori dal Centramerica. Le famiglie sperano di allonanarli dalle reti criminali mandandoli negli Usa. Gli operatori confermano che la maggior parte dei ragazzini arrivati nei rifugi dicono di voler espatriare per timore di essere arruolati. Spesso, però, nemmeno andandosene riescono a sfuggire ai narcos: nel viaggio verso gli Usa, i migranti devono attraversare il Messico. Lì li aspettano le gang: ogni anno sequestrano almeno 20mila centroamericani. Molti vengono rilasciati dopo il pagamento del riscatto. I ragazzini vengono assoldati. ​


 

Share/Save/Bookmark