N. 369
ORDINANZA 14-28 LUGLIO 1999
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge
6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), ora sostituito dalla norma, di contenuto
analogo, di cui all'art. 15 del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso
con ordinanza emessa il 5 maggio 1998 dal pretore di Roma nel
procedimento penale a carico di Alì Mohamed e altro, iscritta al n.
457 del registro ordinanze 1998, e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno
1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il giudice
relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che il pretore di Roma ha sollevato in riferimento agli
artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 27, secondo e terzo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 14 della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ora
sostituito dalla norma, di contenuto analogo, di cui all'art. 15 del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero);
che la norma censurata consente al giudice di espellere lo
straniero extracomunitario condannato a pena detentiva non superiore
a due anni, sempre che essa non debba essere sospesa;
che l'ordinanza di rimessione si fonda sul presupposto che
l'espulsione prevista dall'art. 14 della legge n. 40 del 1998
costituisca una vera e propria sanzione sostitutiva, e non una misura
amministrativa la cui applicazione sia demandata in via eccezionale
al giudice;
che, ad avviso del rimettente, deporrebbe in tal senso sia la
lettera della legge, in quanto la rubrica dell'art. 14 parla
espressamente di "sanzione sostitutiva", sia il rilievo secondo cui
una diversa interpretazione di esso andrebbe incontro a evidenti
incongruenze;
che, stando alla prospettazione del giudice a quo l'art. 14,
citato, sarebbe in contrasto con i seguenti parametri costituzionali:
l'art. 3, in quanto discriminerebbe la posizione degli stranieri
rispetto a quella dei cittadini italiani e degli altri Paesi della
Comunità europea;
l'art. 27, secondo comma, in quanto la norma prevede
obbligatoriamente l'immediata esecuzione dell'espulsione, prima
ancora che la condanna sia divenuta definitiva;
l'art. 3, sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto
l'espulsione non può essere disposta per un periodo inferiore a
cinque anni, e ciò farebbe sì che, ove l'imputato scelga di
patteggiare la pena, contando sull'effetto estintivo del reato
previsto dall'art. 445, secondo comma, del codice di procedura
penale, nel momento in cui il reato si estingue (e cioè decorsi
cinque anni dalla sentenza in caso di delitto, due in caso di
contravvenzione) la sanzione sostitutiva sarà già stata interamente
scontata: disciplina irragionevole, prosegue l'ordinanza, in quanto
svuoterebbe di significato la previsione dell'estinzione del reato in
seguito a patteggiamento e il "diritto alla non esecuzione della
pena" ex art. 444 del codice di procedura penale;
l'art. 25, secondo comma, in quanto la norma non prevede la
durata massima della sanzione sostitutiva;
gli artt. 3 e 27, terzo comma, in quanto la norma in esame, al
fine di evitare censure di illegittimità costituzionale, dovrebbe
essere interpretata come se disponesse una sanzione sostitutiva della
durata fissa di cinque anni; ma in questo modo essa statuirebbe il
medesimo trattamento sanzionatorio per situazioni diversissime, e
anzi favorirebbe coloro che hanno commesso reati più gravi;
gli artt. 25, secondo comma, e 24, secondo comma, in quanto la
norma denunciata non disciplina in alcun modo i criteri in base ai
quali il giudice dovrebbe scegliere se applicare la sanzione
sostitutiva e per quale durata;
l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto
l'espulsione non può avere tra le sue finalità il reinserimento
sociale del soggetto che ne è colpito;
che, in ordine alla rilevanza, il rimettente ha affermato di
"potere e dovere" irrogare, nel caso concreto, la sanzione
sostitutiva dell'espulsione, sì che il giudizio non potrebbe essere
definito indipendentemente dalla risoluzione della questione
incidentale di costituzionalità;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha
eccepito, in via preliminare, l'erroneità del presupposto
interpretativo da cui muove il Pretore, e cioè che l'art. 14 più
volte richiamato preveda una sanzione sostitutiva;
che nonostante l'improprietà del lemma adottato nella rubrica
(ove si parla appunto di "sanzione sostitutiva") il predetto articolo
comminerebbe, in realtà, una sanzione amministrativa, la cui
irrogazione è demandata al giudice penale, secondo uno schema non
ignoto al nostro ordinamento;
che, in subordine, la difesa del Governo ha eccepito la manifesta
inammissibilità con riferimento all'art. 27, secondo comma, per
essere la questione prospettata in maniera dubitativa;
che l'Avvocatura ha altresì eccepito l'irrilevanza, con
riferimento agli artt. 27, secondo comma, e 3 (sotto il profilo della
irragionevolezza), in quanto il pretore non era chiamato a eseguire
l'espulsione, ma soltanto ad applicarla;
che eventuali doglianze legate all'immediata esecuzione
dell'espulsione si sarebbero potute sollevare in sede di impugnazione
del provvedimento del questore esecutivo dell'ordine pretorile;
che le stesse questioni sarebbero poi irrilevanti anche sotto
altro aspetto, in quanto l'imputato - per espressa affermazione del
rimettente - era già stato espulso in via amministrativa: di
conseguenza, sussistendo un'autonoma causa di espulsione,
indipendentemente dall'esito del processo penale, diveniva
irrilevante disporla ai sensi dell'art. 14 della legge n. 40 del
1998;
che, con riferimento alle restanti questioni, la difesa erariale
ha concluso per l'infondatezza, osservando come la diversità di
posizione dello straniero, rispetto al cittadino, consenta al
legislatore ampia discrezionalità nella regolamentazione
dell'ingresso e del soggiorno;
che nonostante l'assenza di espressi parametri di riferimento per
la scelta e la graduazione dell'espulsione, il giudice sarebbe
comunque tenuto a fare applicazione dei criteri di cui agli artt.
132 e 133 del codice penale; e che l'espulsione sarebbe sanzione
"altamente educativa, perché induce il soggetto a non abbandonare la
sua patria, consentendogli il reinserimento nel contesto sociale del
suo Paese".
Considerato che le censure avanzate dal rimettente muovono da un
presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'espulsione prevista
dalla norma in discussione, pur se disposta dal giudice in
sostituzione di una pena detentiva, non si può configurare come una
sanzione criminale, ma come una misura amministrativa per i caratteri
che assume;
che depone in tal senso la lettera della norma, che qualifica
l'espulsione come "misura", non rilevando la diversa espressione
"sanzione sostitutiva" adottata nella rubrica dell'art. 14;
che anche dal punto di vista sostanziale siffatta misura solo
indirettamente riveste un contenuto afflittivo, posto che il suo
effetto tipico si risolve nell'allontanamento dal territorio dello
Stato di soggetti che vi sono entrati o vi si trattengono
abusivamente, o che hanno tenuto condotte sintomatiche di situazioni
di pericolo per la pubblica sicurezza previste come tali dalla legge;
che il momento esecutivo della misura è affidato all'autorità
amministrativa (art. 14, comma 2, della legge n. 40 del 1998), al
contrario di quanto avviene per l'esecuzione della pena, che è
promossa dal pubblico ministero (art. 655 del codice di procedura
penale);
che, inoltre, l'art. 14, comma 1, richiama le condizioni che
costituiscono il presupposto dell'espulsione amministrativa
disciplinata dall'art. 11, così rendendo evidente la sostanziale
sovrapposizione fra le due misure e la conseguente necessità di una
loro armonizzazione sistematica;
che, pertanto, le caratteristiche formali e sostanziali
dell'espulsione dello straniero devono far escludere che
quest'ultima, come concretamente regolata dall'art. 14 in esame,
possa farsi rientrare nel genus delle sanzioni penali, sebbene la
circostanza per cui l'espulsione sia disposta dal giudice investito
di un'azione penale ne metta in risalto il carattere assolutamente
peculiare rispetto ad altre ipotesi, pur presenti nel nostro
ordinamento, in cui il giudice penale è chiamato ad applicare misure
di natura amministrativa;
che, una volta chiarita la natura non penale della misura,
risultano non pertinenti i profili di illegittimità costituzionale
prospettati dal rimettente, sì che la questione va dichiarata
manifestamente infondata per erroneità del presupposto
interpretativo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, della legge 6 marzo 1998,
n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), ora sostituito dalla norma, di contenuto analogo, di cui
all'art. 15 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, con riferimento
agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 27, secondo e
terzo comma, della Costituzione, dal pretore di Roma con l'ordinanza
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 28 luglio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola
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