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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XI n.14 del 18 aprile 2013

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Magro bilancio della regolarizzazione: centomila pratiche in attesa. Una domanda su tre bocciata

Bilancio procedura di emersione: esaminate un quarto delle domande: una su tre rigettate

A distanza di 6 mesi dalla regolarizzazione, i dati forniti dal Viminale appaiono poco entusiasmanti:

Su 134.747 domande, ne sono state lavorate 82.190, così suddivise:

Ø     23.255 definite con la firma del contratto di soggiorno e la richiesta di permesso:

Ø     Altri 10.817 già convocati;

Ø     9.746 in fase di richiesta di integrazione documentale;

Ø     13.417 rigettate;

Ø     183 rinunce;

Ø     24.772 calendarizzate per la convocazione in questura.

La Uil ha fatto notare che su 37 mila domande concluse, ben un terzo sono state rigettate. Da un’analisi dei dati del Viminale si è appurato inoltre che il 90% dei rigetti è dovuto all’impossibilità per il migrante irregolare di esibire la prova documentale di essere stato presente in Italia prima del 31 dicembre 2011.

 

 

SOMMARIO

 

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Regolarizzazione: magro bilancio pag. 2

 

Lavoro domestico: un positivo passo in avanti pag. 4

 

Referendum e immigrazione pag. 5

 

Cittadinanza pag. 7

 

Commissione Europea: sì a Convenzione 189 pag. 7

Giurisprudenza: immigrati e assegni familiari pag. 8

Linguaggio: “immigrati clandestini” pag. 9

Notizie in breve: pag.11

 

Foreign Press: pag.12

 

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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 


Roma, 17 aprile 2013, ore 11, Largo Chigi 19

Incontro con Ministro Andrea Riccardi per verifica sulla procedura di regolarizzazione dei lavoratori stranieri (D.L. n.109 del 16 luglio 2012).

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)

Milano,19 aprile 2013, ore 10 sede UIL

Incontro UIL- Ital sul tema della riforma della legge sulla cittadinanza

(Giuseppe Casucci, Alberto Sera)

Roma, 08 maggio 2013, sede CIR, ore 14.30

Assemblea dei soci CIR

(Giuseppe Casucci)

Monastir (Tunisia), 10 - 11 maggio 2013

UGTT: Conferenza Internazionale sulle migrazioni

(Giuseppe Casucci)



Il punto sulla procedura di emersione 2012

Esaminate un quarto delle domande. 23 mila approvate e 13 mila rigettate (una su tre). Centomila pratiche ancora in attesa.

In una riunione al Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione si è fatto un magro bilancio della procedura di “ravvedimento operoso”, che ancora una volta ha sottolineato i forti limiti della burocrazia nel far fronte al complesso fenomeno migratorio.


Roma 18 aprile 2013. Si è svolta ieri, presso il Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, una riunione di analisi e bilancio dell’andamento della procedura di emersione dei lavoratori stranieri irregolari. Presenti all’incontro il Prefetto Mario Morcone per il Ministero ospitante la riunione, Natale Forlani direttore per l’immigrazione del Ministero del Lavoro, ed il Prefetto Angelo malandrino Direttore Centrale Politiche Immigrazione ed Asilo del Ministero dell’Interno. Hanno partecipato all’incontro anche numerosi altri funzionari dei vari Dicasteri, tra cui il Mariangela Sconziano del Ministero degli esteri. A rappresentare il tavolo Immigrazione ed Asilo, c’erano esponenti di Cgil, Cisl e Uil, ANCI, Comunità di S. Egidio, Chiese Evangeliche, Acli, Caritas e SEI – UGL ed Impresa Etica. A nome della Uil è intervenuto Giuseppe Casucci, Coord. del Dipartimento Nazionale Politiche Migratorie. Com’è noto, la regolarizzazione (tecnicamente chiamata “ravvedimento operoso”), è stata avviata nel luglio del 2012, attraverso il decreto legislativo n. 109, dispositivo con il quale è stata ratificata la direttiva 2009/52/CE che dispone “sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”. Attraverso la “finestra di emersione” – tra il 15 settembre ed il 15 ottobre scorsi – le imprese o le famiglie che avevano alle proprie dipendenze lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità, potevano richiedere la regolarizzazione dello stesso dipendente, con la concessione – a fine procedura - di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Tra le difficoltà che hanno caratterizzato la regolarizzazione ricordiamo: gli alti costi da pagare (mille euro all’INPS, più sei mesi di contributi arretrati, più le tasse), la prova documentale di essere stati presenti in Italia fin da prima del 31 dicembre 2011, l’alto reddito da dimostrare per chi faceva la richiesta e il rischio di espulsione per l’immigrato, nel caso la procedura non si fosse conclusa positivamente. A distanza di sei mesi dalla regolarizzazione i dati di bilancio forniti dal Viminale (alla data del 9 aprile 2013) appaiono non certo entusiasmanti:

Su 134.747 domande presentate, ne sono state lavorate 82.190, così suddivise:

Ø     23.255 definite con la firma del contratto di soggiorno e la richiesta di permesso:

Ø     Altri 10.817 già convocati;

Ø     9.746 in fase di richiesta di integrazione documentale;

Ø     13.417 rigettate;

Ø     183 rinunce;

Ø     24.772 valutate positivamente dalla DTL e calendarizzate per la convocazione in questura.

Nel corso dell’incontro, la Uil ha fatto notare che su 37 mila domande concluse, ben un terzo sono state rigettate. Da un’analisi dei dati dello stesso Viminale si è appurato inoltre che il 90% dei rigetti è dovuto all’impossibilità per il migrante irregolare di esibire la prova documentale di essere stato presente in Italia prima del 31 dicembre 2011. Dunque non irregolarità documentali o assenza del posto di lavoro, ma solo una norma restrittiva imposta nella procedura. Vanno poi considerati gli alti costi della regolarizzazione per molti settori di lavoro, che hanno spostato un eccesso di domande sul settore del lavoro domestico (il meno caro). Inoltre: i lacci e laccioli con cui la procedura è stata cosparsa, sono purtroppo serviti a rendere meno efficace l’emersione e più convenienti gli affari dei molti trafficanti di permessi. Quadro confermato dal Direttore Natale Forlani che ha dipinto a tinte fosche la situazione migratoria in Italia: centinaia di migliaia di stranieri senza lavoro, aumento della irregolarità, aumento della inattività, moltissimi che se possono abbandonano l’Italia e grandi affari per gli speculatori della regolarizzazione. “Nel 2000 – ha detto Forlani – la domanda di lavoro straniero era comunque superiore all’offerta e questo permetteva – malgrado i difetti del meccanismo del decreto flussi o delle regolarizzazione – l’emersione di posti di lavoro veri. Oggi il lavoro non c’è e queste regolarizzazioni fanno emergere molto poco. Servono invece agli affari lucrativi dei ben organizzati professionisti dei permessi”. A dimostrazione dell’analisi, il Direttore per l’Immigrazione conferma che dall’esame delle domande approvate ed un loro monitoraggio ex-post risulta che i contratti di lavoro emersi durano in genere solo poche settimane. Un fenomeno, secondo Forlani, che riguarda anche lo strumento dei decreti flussi, diventato ormai uno strumento inutile al fine dell’incontro tra offerta di lavoro etnico e domanda che non c’è. Ma un espediente molto lucrativo purtroppo per chi utilizza queste scadenze invece per una sorta di riffa dei permessi a prezzi esorbitanti. “La crisi colpisce duramente anche gli stranieri”, ha concluso il dirigente del Ministero del Lavoro, per questo non bisogna pensare a nuovi decreti flussi, ma a tutelare gli immigrati che vivono già in Italia. Forlani ha citato i fatti di Modena e la decisione del sindacato di chiedere la riduzione delle quote per il decreto flussi stagionali. “Una scelta che abbiamo subito approvato, in quanto si trattava di posti di lavoro inesistenti ed il rischio era solo il traffico dei permessi a prezzi altissimi”. Da una testimonianza della rappresentante di Sant’Egidio abbiamo avuto conferma di come il numero di richieste per ritorno volontario assistito si sia decuplicato negli ultimi dodici mesi, con persone disposte ad andarsene anche solo con il pagamento del costo di viaggio. Nel suo intervento, Casucci ha concordato sulla necessità di un’analisi più profonda della situazione migratoria e della sua evoluzione in Italia. “Quello che sembra certo, è stato il commento dell’esponente UIL, è che sia finita la fase in cui c’era un mercato del lavoro attivo per gli immigrati (regolare o sommerso), anche a fronte di una situazione di scarsa crescita. Oggi anche quel lavoro viene a mancare: da qui l’incapacità del decreto flussi (o della regolarizzazione) a far emergere permessi di lavoro vero”. “Se è vero quanto affermato da Forlani però – ha aggiunto l’esponente UIL – condire la sanatoria di tante strettoie è solo servito a far alzare i prezzi del mercato dei permessi. Ora va trovata una via d’uscita per chi viene escluso senza colpa”. Nel corso della riunione ci si è posti dunque il problema di salvaguardare quegli stranieri la cui procedura di emersione è fallita, senza una loro responsabilità. In questo senso si è chiesta una maggiore tolleranza da parte delle strutture di controllo e la concessione di permessi per ricerca di lavoro. Si è anche ribadito da parte sindacale, la necessità di politiche attive occupazionali per chi è già in Italia e perde il lavoro, mentre si è convenuto sulla inutilità (e forse dannosità) dell’uso a pioggia del decreto flussi, tranne per le quote obbligatorie (studio/lavoro, mobilità europea, discendenti di italiani, tirocini e formazione, ecc.). Uno strumento che andrà comunque sostanzialmente rivisto per il futuro. Nel corso dell’incontro è stato ribadito da parte dei Ministeri interessati che c’è la massima disponibilità ad aiutare nella concessione del permesso per emersione, tranne nei casi di violazione della legge.

In effetti, in molti casi di rigetto avrebbero suggerito a questure e prefetture la concessione ad personam di permessi per ricerca di occupazione. Il tavolo immigrazione ha richiesto un monitoraggio attento dell’andamento della procedura, maggiori informazioni e un tavolo di confronto permanente per risolvere i casi individuali più difficili.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


UILTuCS Rinnovo del contratto nazionale del lavoro domestico

 

 

Un positivo passo in avanti per due milioni di addetti, all’80% donne e straniere

Recupero dell’erosione salariale prodotta dall’inflazione, e migliori condizioni in materia di condizioni di lavoro e diritti di maternità


(a cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL) Roma, 12 aprile 2013 - L’ultimo rinnovo contrattuale risaliva al 16 febbraio 2007 ed era ormai scaduto da oltre due anni. La crisi economica e l’estrema difficoltà in cui versano le famiglie italiane, nonché una notevole rigidità da parte delle due controparti più rappresentative del settore (Fidaldo e Domina), aveva reso la trattativa con il sindacato estremamente difficoltosa. Filcams –Cgil, Fisascat – Cisl, Uiltucs UIL e Federcolf hanno dovuto sudare notevolmente per ricondurre a ragione le parti datoriali. Un ragionamento in primo luogo: a gennaio di quest’anno l’Italia ha ratificato la Convenzione ILO sul lavoro domestico, n. 189, sulla base della quale non vi può essere disparità di trattamento tra i lavoratori del settore e quelli degli altri comparti lavorativi. Ora La legge italiana permette differenze di trattamento dei lavoratori domestici in alcuni importanti temi di tutela:

      salute e sicurezza sul lavoro;

      divieto di licenziamento in caso di maternità fino al compimento di 1 anno di vita del bambino.

      Prolungamento del congedo di maternità oltre i 5 mesi garantiti per legge.

Da qui la necessità di sanare queste differenze prima che l’adeguamento delle norme di legge o le sentenze di qualche tribunale obblighino di fatto all’eliminazione di queste obiettive discriminazioni.

A rendere più difficile la tutela di queste lavoratrici e più pesante la trattativa, va considerato che il settore del lavoro domestico soffre di un alto grado di frammentazione e informalità. In Italia stessa, si stima che almeno il 40% della categoria operi a livello di economia sommersa. Nel 2009, una regolarizzazione limitata a colf e badanti, ha portato ad una emersione di quasi 400 000 persone. Nel 2012 una seconda regolarizzazione ha visto la presenza del lavoro domestico in quasi il 90% delle domande.

La stessa natura del rapporto di lavoro (tra lavoratori e famiglie) con le attività svolte all'interno della casa di famiglia – inoltre - rende difficile l’attività di ispezione e rende complicato al sindacato svolgere la funzione di tutela dei propri iscritti e dei lavoratori in generale.

“In genere – è il commento di Ivana Veronese, Segr. Nazionale Uiltucs – queste lavoratrici si rivolgono al sindacato quando sono state licenziate o quando il rapporto con il datore di lavoro incontra gravi difficoltà”

E’ questa una difficoltà di rappresentanza che incontrano i sindacati, e in qualche caso anche le associazioni dei datori di lavoro.

“Per questo motivo – commenta Veronese - è vitale un’azione di informazione capillare sui diritti di questi lavoratori, anche attraverso collaborazioni con associazioni e comunità straniere”.

Ritornando al rinnovo contrattuale, le parti datoriali si sono di fatto opposte alla parificazione di trattamento sulla maternità, ma hanno accettato il compromesso del prolungamento dei termini di preavviso in caso di licenziamento. Infatti, si legge nel verbale di accordo: “Sulla tutela delle lavoratrici madri, le organizzazioni sindacali, pur auspicando in tempi brevi un recepimento per via legislativa dei contenuti della Convenzione Internazionale ILO n.189 sul lavoro domestico dignitoso, colgono la disponibilità delle controparti a un prolungamento dei tempi di preavviso per le lavoratrici madri, che pur a condizioni specifiche, determina un miglioramento delle tutele”.

La parte economica ha consentito almeno il recupero dell’erosione retributiva prodotta dall’inflazione.

Sui risultati raggiungi dalla bozza di accordo abbiamo chiesto una riflessione ad Ivana Veronese, Segr. Nazionale Uiltucs.

“E stata una trattativa durissima – ha commentato - con controparti addirittura intenzionate a peggiorare le condizioni già raggiunte nell’altro rinnovo contrattuale”.

A che ti riferisci?

Veronese: “Esiste una Commissione al Ministero del Lavoro che si riunisce ogni anno per adeguare le retribuzioni minime annuali, recuperando l’80% dell’inflazione. Le controparti volevano abolire questa commissione. Alla fine comunque abbiamo ottenuto, non siolo il mantenimento della commissione, ma anche un pieno recupero del 20% salariale mancante, salvaguardando le retribuzioni dall’erosione inflattiva”.

Sul lavoro domestico l’Italia è l’unico Paese in Europa che ha ratificato la Convenzione ILO 189, sul tema delle lavoratrici – madri si poteva fare di più per eliminare le differenze con le lavoratrici degli altri settori?

Veronese: “Su questo aspetto ci siamo scontrati in tutti gli incontri che abbiamo avuto con Domina e Fidaldo. Gli abbiamo anche fatto notare che se il problema non verrà risolto contrattualmente (ad esempio il divieto di licenziamento fino all’età di un anno del bambino, limite che esiste in tutti i settori), sarà poi la legge sulla maternità ad obbligare le parti sociali ad adeguarsi. Ma era in pratica un dialogo tra sordi”.

Che avete portato a casa?

Veronese: “l’accordo interviene sul tempo di preavviso in caso di licenziamento, preavviso che viene raddoppiato nel caso in cui <il datore di lavoro intimi il licenziamento prima del trentunesimo giorno successivo al termine del congedo di maternità>. Significa, ad esempio, che in questi casi le neomamme con almeno cinque anni di esperienza e occupate per almeno venticinque ore settimanali avranno diritto a un preavviso di due mesi, o a un’indennità pari alla retribuzione di quel periodo. C’è poi maggiore attenzione per le persone non autosufficienti”.

Quando entrerà in vigore il contratto?

Veronese: “nel verbale  firmato ieri le parti si sono impegnate a redigere l'ipotesi del testo definitivo entro il 31 maggio, per poterla poi sottoporre alle consultazioni nei territori nel mese di giugno, e giungere alla firma definitiva a fine giugno 2013”.

Il commento di Uiltucs, Filcams e Fisascat al raggiungimento dell’accordo è stato: “Pur in una stagione difficile il rinnovo di un contratto nazionale che coinvolge oltre 2 milioni di lavoratrici e lavoratori è un segnale importante di responsabilità delle Parti Sociali, che ci auguriamo venga colto dal futuro Governo con l'obiettivo di valorizzare sempre più questa professione, così nascosta ma sempre più importante in una stagione di progressiva riduzione del welfare pubblico”.

Leggi il testo del verbale di accordo


Referendum


L'immigrazione non si riforma a colpi di referendum

Di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


L’immigrazione è un tema molto complesso, che concerne 5 milioni di esseri umani provenienti da quasi 200 Paesi differenti, con lingue, culture, costumi, religioni ed aspirazioni articolate e che si presenta alla “governance” di qualsiasi Esecutivo come un insieme complesso e difficile da gestire, in quanto ricco di mille sfaccettature.

Dovrebbero saperlo bene i Governi ed i partiti che si sono succeduti sulla scena negli ultimi venti anni: le loro proposte e le loro normative si sono rivelate vane, quando non dannose alla trasformazione equilibrata di una società sempre più multietnica e culturale. Un fracasso soprattutto sul fronte del governo dei flussi d’ingresso che si proponevano di controllare e che hanno di invece degradato a flussi in entrata in gran parte irregolari, con pesanti effetti in termine di dumping lavorativo e sociale. L’immigrazione, malgrado ciò, non è stata solo questo. E’ stata soprattutto una nuova chance di futuro per un’Italia in forte declino demografico, economico e valoriale. Una nuova ventata di ossigeno a un Paese in difficoltà, nonché un contributo sostanzioso traballante prodotto interno lordo nostrano. Per questo motivo ho accolto con qualche riserva la notizia che il 10 aprile scorso, su iniziativa dei “Radicali italiani”, sono stati depositati - assieme ad altri quattro – due quesiti referendari in materia di immigrazione. E questo, non certo perché in materia di legge Bossi – Fini le cose non vadano cambiate: anzi! Le ragioni di perplessità sono di metodo e di merito, pur nell’ambito di un atteggiamento da parte mia positivo verso iniziative capaci di dare una scossa all’immobilismo della politica italiana in una materia che, se non riformata, rischia di trasformarsi in una bomba a tempo.

Ma andiamo per ordine.

Il primo quesito riguarda l’abolizione, nell’ambito del Testo Unico sull’immigrazione, di parte del comma 5 dell’articolo 14, che riguarda la durata del trattenimento nei CIE degli stranieri presenti nel nostro Paese in forma irregolare. Tale norma del Testo Unico (che prevedeva inizialmente un trattenimento non superiore ai 30 giorni) è stata poi modificata dal cosiddetto pacchetto sicurezza che aveva portato a due mesi il tempo possibile di trattenimento degli immigrati irregolari nei Centri di identificazione ed espulsione. Con l’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri, attraverso il decreto – legge 23 giugno 2101, n. 89, la durata del trattenimento (in caso di impossibilità di identificazione od espulsione) è prorogabile fino a sei mesi, aumentabili di altri dodici: con il limite massimo di 18 mesi.

Il secondo quesito riguarda l’abolizione degli articoli 4 bis e 5 bis del Testo Unico sull’immigrazione, il primo riguardante l’accordo di integrazione (diventato obbligatorio da marzo 2012) per i nuovi rilasci di permesso di soggiorno; il secondo articolo concernente il “contratto di soggiorno per lavoro subordinato”. Questa formulazione lega strettamente la presenza in Italia di un lavoratore straniero di Paese terzo all’esistenza di un contratto di lavoro subordinato, la garanzia del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio e il suo impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro dello straniero, a lavoro terminato, nel Paese di provenienza. Un primo giudizio a caldo è che certamente i temi sollevati dai Radicali Italiani sono pertinenti e che fanno centro su alcuni aspetti della normativa sull’immigrazione che andrebbero profondamente riformati. Trattenere nei CIE, in condizioni di detenzione di fatto, esseri umani che non hanno commesso alcun delitto (tranne quello di immigrazione clandestina), solo per non essere in possesso di un permesso di soggiorno è certamente intollerabile. Per quanto riguarda il contratto di integrazione, l’idea è certamente utile (apprendimento dell’italiano e delle norme di base di educazione civica) se applicata però con valenza positiva (premiare in più preparati). Al contrario la norma è stata immaginata ed applicata dal governo di centro destra con carattere chiaramente punitivo nei confronti degli immigrati non diligenti (o impari o te ne vai!): uno dei tanti provvedimenti (assieme alle ronde, alle tasse sui permessi, al controllo sui money transfer, ai CIE) progettati con l’idea di rendere difficile, al limite dell’intollerabile, la presenza degli nel Belpaese. Per quanto riguarda il contratto di soggiorno, lo stretto legame tra presenza in Italia e lavoro non solo non è servita a rendere fluido il meccanismo di matching tra domanda ed offerta di occupazione ma, al contrario, ha di fatto squilibrato il mercato della domanda ed offerta, producendo tali strettoie da rendere molto più conveniente l’ingresso irregolare e condizioni di tale soggezione al datore, da provocare gravi casi di dumping lavorativo e sociale, aggravatisi poi ulteriormente con la crisi economica, con eccessi vicini a forme di para –schiavismo. E’ una impostazione che considera la condizione di straniero immutabile per decenni, a meno che uno non riesca ad ottenere la carta di soggiorno o la cittadinanza italiana. In teoria anche dopo vent’anni, un migrante che vive e lavora in Italia, se perde l’Impiego e non ne trova uno nuovo nei tempi previsti dalla legge (ora un anno) corre sempre il rischio dei CIE e dell’espulsione. Una normativa barbarica ed intollerabile. Ben venga, dunque, la cancellazione di queste norme. Detto questo, però, uno deve fare un ragionamento di metodo e di merito e valutarne l’effettiva efficacia e produttività di quanto proposto.

Vediamo il primo quesito: il trattenimento nei CIE. L’allungamento a 18 mesi della detenzione nei Centri è la conseguenza dell’applicazione di una direttiva europea (la 2008/115/CE). Cancellare questa norma con un referendum non so nemmeno se sarà considerato ammissibile dalla Corte Costituzionale. In realtà è la correttezza dell’applicazione della direttiva che andrebbe verificata. Infatti, il provvedimento di trattenimento nei CIE, secondo la direttiva 115, si deve utilizzare solo quando non sono “efficacemente applicabili altre misure meno coercitive” (ad esempio il ritorno volontario assistito). Esso, inoltre, deve avere una durata “quanto più breve possibile”. E’ dunque l’applicazione della direttiva che è avvenuta in maniera distorta da parte dell’Italia. Basterebbe applicare alla lettera il dettato europeo e forse la permanenza nei centri (tra l’altro costosissima) avverrebbe molto più saltuariamente e per periodi più brevi. Faccio anche notare che l’obbligo di chiedere al migrante irregolare l’opzione della non espulsione e del ritorno volontario, contrasta platealmente con il reato di immigrazione clandestina che disponeva l’immediata espulsione dell’irregolare (come del resto sancito già da molte sentenze). Sarebbe molto più produttivo a mio parere allora, chiedere un’applicazione rigorosa della direttiva sui rimpatri, invece che lavarsi le mani rinchiudendo chi non ha il permesso in strutture fatiscenti e lesive dell’umana dignità. Ed insieme, andrebbe anche chiesta l’abolizione di quell’obbrobrio giuridico costituito dal “reato di ingresso e soggiorno illegale” che criminalizza non il comportamento di un immigrato, ma il suo stesso status. Per quanto riguarda il secondo quesito (contratto di integrazione e contratto di soggiorno). Al primo può essere data una valenza del tutto positiva (facilitazioni nel soggiorno per chi si dimostra maggiormente impegnato nell’apprendimento della nostra lingua e soprattutto nel rispetto delle nostre leggi). In effetti imparare l’italiano e le nostre norme civiche è fondamentale per lo straniero che progetti il proprio futuro nel nostro Paese. Quella che va cambiata è la valenza ricattatoria e punitiva della norma com’è ora formulata. Per il contratto di soggiorno, non c’è dubbio che esso vada cambiato, ma non è sufficiente cancellarlo per legge. Assieme alla sua eliminazione va necessariamente riformulata l’intera normativa relativa all’ingresso e soggiorno per motivi di lavoro (prima si utilizzava lo sponsor). Oggi, con la crisi economica è il pratico fallimento dello strumento del decreto flussi – rivelatosi quasi completamente inefficace – l’intero meccanismo di incontro tra domanda ed offerta di lavoro va rivisto, considerando l’assenza cronica attuale di posti di lavoro e la necessità di attrarre non solo manodopera dequalificata. C’è poi il problema del merito: l’uso dello strumento del referendum (tanto caro ai radicali) potrebbe rivelarsi inefficace e – al limite – controproducente. In materia di ingresso di stranieri, siete sicuri che la gente firmerebbe l’abolizione dell’obbligo ad avere un lavoro per risiedere nel Bel Paese? O di imparare l’italiano o di far circolare liberamente decine di migliaia di irregolari? Non c’è dubbio che si tratta di temi su cui è facile (per una certa propaganda) fare appello alla pancia piuttosto che alla testa della gente. Quello di cui c’è bisogno, a mio parere, è di un profondo ripensamento della tematica migratoria in Italia, considerando la crisi economica, il fatto che molti stranieri se ne stanno andando, ma anche le previsioni a medio termine, che debbono tener conto del persistente nostro gap demografico e della necessità di un apporto migratorio più qualificato, capace di produrre maggior spinta alla crescita economica. In pratica necessitiamo di una profonda riforma della normativa sull’immigrazione, e prima ancora necessitiamo di un’analisi più puntuale su cosa stia veramente accadendo in materia di immigrazione e di cambiamento multi etnico della nostra società. Il mio modesto giudizio è che si tratti di una materia che non è emendabile a colpi di referendum. Nondimeno riconosco alle proposte dei Radicali il valore dell’impatto e di rimescolamento delle carte che esse possono avere nel dibattito politico e sociale. In questo senso credo sia giusto essere aperti al confronto e ad una possibile sintesi positiva.


 

Cittadinanza


L’Italia sono anch’io: il Comitato chiede un incontro alla presidente della Camera Laura Boldrini
Urgenti le riforme proposte dal Comitato sui diritti di cittadinanza.


Roma, 10 aprile 2013 - Il Comitato promotore della campagna nazionale per i diritti di cittadinanza L’Italia sono anch’io ha chiesto un incontro alla presidente della Camera, Laura Boldrini, sulle proposte di legge di iniziativa popolare depositate in Parlamento e che riguardano il diritto di cittadinanza e il diritto di voto amministrativo ai residenti di origine straniera. “Il Comitato – si legge nella lettera inviata dal presidente Graziano Delrio e pubblicata dal sito dell’Anci – ha raccolto, nella scorsa legislatura, più di 200 mila firme per due leggi di iniziativa popolare che riguardano la riforma della legge sulla cittadinanza e il riconoscimento del diritto di voto amministrativo alle persone di origine straniera, residenti nel nostro Paese. Numerosi enti territoriali hanno inoltre sostenuto la campagna per il riconoscimento dovuto a italiani di fatto, ma non di diritto. Abbiamo molto apprezzato le sue parole nel discorso di insediamento sui diritti, in particolare – sottolinea Delrio – sui diritti degli ultimi, dei rifugiati, dei migranti, e il sentimento di vicinanza a tutti i cittadini in difficoltà che traspare dalle sue azioni. Sono state di stimolo e di conforto per noi le Sue affermazioni, in diverse occasioni pubbliche, e in particolare Le siamo grati per aver sottolineato con forza la necessità di andare presto verso una riforma della legge sulla cittadinanza che introduca lo ius soli”. Il Comitato è composto da Acli, Arci, Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Città del Dialogo, Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza (Cnca), Comitato 1 Marzo, Comunità di Sant’Egidio, Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Federazione Chiese evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes, Legambiente, Libera, Lunaria, Il Razzismo è una Brutta Storia, Rete G2 - Seconde generazioni, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco, Uil, Uisp e dall’editore Carlo Feltrinelli.
(Red.)


 

Commissione europea


Condizioni di lavoro: La CE esorta gli Stati membri a ratificare la Convenzione ILO sui lavoratori domestici


La Commissione europea ha presentato la proposta per una “decisione del Consiglio” che autorizzi gli Stati membri a ratificare la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 2011, concernente il lavoro dignitoso per i lavoratori domestici (Convenzione n ° 189). I paesi che ratificano la Convenzione OIL concordano di garantire condizioni eque e dignitose per i lavoratori domestici, tutelandone i diritti fondamentali connessi al lavoro, prevenzione degli abusi e della violenza, e che istituisce misure di salvaguardia per i giovani lavoratori domestici. "Migliorare le condizioni di lavoro nei servizi alla persona è un obiettivo importante per la Commissione" ha dichiarato László Andor, commissario per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, aggiungendo "Esorto gli Stati membri a ratificare la Convenzione al più presto possibile, il che contribuirà anche ad attuare la strategia della UE contro la tratta di esseri umani ".La proposta della Commissione di decisione del Consiglio è necessaria perché gli Stati membri non possono autonomamente ratificare convenzioni senza previa autorizzazione da parte del Consiglio in relazione a quelle parti della Convenzione che rientrano nella competenza dell'UE. L'Unione europea non può ratificare tutte le convenzioni OIL, perché solo gli Stati possono ne sono competenti. Stati che ratificano la Convenzione sono tenuti a prendere misure per garantire condizioni di lavoro eque e dignitose e per prevenire abusi, violenze e lavoro minorile nel lavoro domestico. Essi devono garantire la parità di trattamento tra i lavoratori domestici e di altri lavoratori in materia di compensazione e benefici, per esempio nel caso di maternità. La Convenzione introduce anche l'obbligo di informare i lavoratori dei termini e dettagli del loro rapporto di lavoro. Altre clausole assicurano che i lavoratori domestici siano protetti contro la discriminazione, gli siano offerte condizioni di vita decenti, e un facile accesso ai meccanismi di reclamo. Infine, la Convenzione stabilisce le norme in materia di reclutamento di stranieri. Legislazione UE disciplina già alcuni aspetti trattati dalla Convenzione ILO. Le disposizioni della Convenzione condividono lo stesso approccio di questa normativa e sono sostanzialmente coerenti. Su molte questioni, il diritto dell'UE è più protettivo rispetto alla Convenzione. La Convenzione, tuttavia, è più precisa della legge europea sulla copertura legislativa dei lavoratori domestici ed in altri aspetti particolari del lavoro domestico.

Background

L'UE promuove, in tutte le sue politiche, la ratifica e l'effettiva applicazione delle convenzioni dell'OIL sulle norme fondamentali del lavoro e di altre convenzioni che sono state classificate dall'OIL come aggiornate. Nel suo “pacchetto per l'occupazione” del 2012, la Commissione ha sottolineato il ruolo di attuazione della Convenzione sui lavoratori domestici per migliorare le condizioni di lavoro nel settore dei servizi alla persona. Nel giugno 2012, nel quadro della strategia dell'UE per l'eradicazione della tratta di esseri umani, la Commissione ha esortato gli Stati membri a ratificare tutti gli strumenti internazionali, gli accordi e gli obblighi di legge che contribuiranno a contrastare la tratta di esseri umani in modo più efficace, coordinato e coerente, in particolare la Convenzione sui lavoratori domestici. Inoltre, i sindacati e le organizzazioni non governative hanno promosso una campagna internazionale per promuovere la ratifica della Convenzione di lavoratori domestici. Diversi Stati membri hanno indicato la loro intenzione di ratificare rapidamente la Convenzione sui lavoratori domestici. E 'quindi necessario che eventuali ostacoli giuridici per la ratifica da parte degli Stati membri siano rimossi a livello dell'UE. L’Italia è stato il primo Paese europeo a ratificare la Convenzione n. 189 in gennaio del 2013. Per quanto riguarda le altre tre convenzioni adottate nel corso dell'ultimo decennio, parte della quali ricadono sotto la competenza dell'Unione europea, il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri a ratificarle, nell'interesse dell'Unione, in relazione alle parti di competenza UE. Il 20 novembre 2012 la Commissione ha adottato una proposta simile, di decisione del Consiglio, per quanto riguarda la Convenzione sulle sostanze chimiche (N ° 170).

Allegati:

EC Proposal 2013 03 21 for Council Decision to authorise MS to ratify Domestic Workers Convention FR.pdf

EC Proposal 2013 03 21 for Council Decision to authorise MS to ratify Domestic Workers Convention DE.pdf

Proposal_Convention_Domestic_Workers_EN.pdf


Giurisprudenza


 

Immigrati e assegni famigliari. Tribunale Tortona: stessi diritti degli italiani

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Articolo di Claudia Moretti, http://immigrazione.aduc.it

 

Che bello poter commentare un'ordinanza quale questa del Tribunale di Tortona che, in pochi mesi ha risolto un caso di discriminazione, applicando norme europee e definendo così un giudizio nelle forme processuali del rito sommario di cognizione. Bello, sia per le decisioni assunte nel merito (che riaffermano i principi di parità di diritti sociali per i cittadini stranieri regolarmente residenti rispetto agli italiani e la supremazia del diritto europeo sul diritto nazionale), sia perché, per tempi – pochi mesi – e per i costi – il ricorrente ha vinto una non irrisoria rifusione delle spese legali - non sembra neppure di parlare di giustizia italiana.
Il caso* è quello del sig. G., cittadino extracomunitario regolarmente residente e in possesso del permesso CE di lungo periodo, titolare di tutti i requisiti di reddito e di prole per poter ottenere il beneficio di cui all'art. 65, l. 448/1998**, ossia il cosiddetto assegno al nucleo familiare. Il ricorrente si era visto respingere dall'INPS la propria domanda solo perché non è cittadino italiano.
Applicato il rito sommario di cognizione (rito veloce, snello) appositamente previsto per le azioni contro la discriminazione (artt. 28 D.lgs 150/2011 e 44 D.lgs 286/98) il Giudice ha così replicato alle varie eccezioni -di rito e di merito- dell'Ente di previdenza:
- il diritto alle prestazioni essenziali a tutela del nucleo familiare è incomprimibile e giammai può affievolirsi ad interesse legittimo;
- non è sufficiente ad escludere il comportamento discriminatorio il fatto che non vi sia stata un'azione (un atto volto a negare il diritto) ma solo una mera omissione quale il mancato pagamento da parte dell'INPS;
- ai fini dell'accoglimento dell'azione antidiscriminatoria non rileva se l'Amministrazione abbia o meno agito con dolo o colpa, ma conta il fatto obiettivo della negazione dell'assegno (contrariamente se si chiedesse anche il risarcimento dei danni);
- ciò significa che anche in caso esista una circolare ministeriale che guidi le Amministrazioni coinvolte in esegesi discriminatorie della normativa, non per questo il comportamento delle stesse si salva;
- se anche le Amministrazioni non hanno potere normativo e se la norma di cui all'art. 65 legge citata appare formulata per i soli cittadini italiani residenti, la si deve disapplicare per contrasto con la Carta di Nizza e con la direttiva 2003/109/CE art. 11 comma 1 che prevede la parità dei diritti sociali per gli extracomunitari lungosoggiornanti;
- in particolare quest'ultima direttiva consente agli stati membri di disciplinare diversamente rispetto a detta uguaglianza, cosa che l'Italia non ha fatto, legiferando dopo l'emanazione della direttiva stessa e non prevedendo alcuna deroga.
Insomma, una pronuncia degna di un giudice e di un processo europeo. Ci auguriamo che sia di esempio ai cittadini che si sentono vittima di discriminazione ma che spesso non agiscono perché temono il giudizio dei tribunali. E ai giudici stessi, perché applichino con altrettanto rigore i principi del nostro stare in Europa.

* Provvedimento tratto dall'Archivio Briguglio
** Art. 65 comma 1 legge 448/1998“Con effetto dal 1o gennaio 1999, in favore dei nuclei familiari composti da cittadini italiani residenti, con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, che risultino in possesso di risorse economiche non superiori al valore dell'indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 36 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con cinque componenti, è concesso un assegno sulla base di quanto indicato al comma 3. Per nuclei familiari con diversa composizione detto requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto decreto legislativo n. 109 del 1998, tenendo anche conto delle maggiorazioni ivi previste.”

 

Discriminazioni

 


"Vuoi lavorare? Devi toglierti il velo"

Sono le condizioni dettate a Sara Mahmoud, 21enne milanese e musulmana, da un'azienda che cercava personale per fare volantinaggio. Depositato in tribunale un ricorso antidiscriminazione


Roma – 12 aprile 2013 – “Ciao, Sara. Mi piacerebbe farti lavorare perché sei molto carina, ma sei disponibile a toglierti il chador?”. “Ciao Jessica, porto il velo per motivi religiosi e non sono disposta a toglierlo. Eventualmente potrei abbinarlo alla divisa”. “Ciao Sara, immaginavo. Purtroppo i clienti non saranno mai cosi flessibili. Grazie comunque”.  “Dovendo fare semplicemente volantinaggio, non riesco a capire a cosa devono essere flessibili i clienti”. Poi basta.

È lo scambio di mail Sara Mahmoud, ventunenne milanese figlia di immigrati egiziani, studentessa di Beni Culturali, e una società che cura eventi Fiera alla quale si era rivolta per fare volantinaggio, inviando curriculum e foto. Quel lavoro però è sfumato, come testimonia il dialogo via web, perché la ragazza, musulmana, ha i capelli coperti dallo  hijab.

Non è la prima volta che le succede, ma stavolta ha deciso di far valere la legge, che non ammette questo tipo di discriminazioni. Stamattina gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri, da anni attivisti antirazzisti attraverso la onlus Avvocati per Niente, presenteranno un ricorso al tribunale civile di Lodi.

Sara e i suoi legali chiederanno ai giudici di “accertare e dichiarare il carattere discriminatorio dei comportamenti” della società che le ha chiuso la porta in faccia perché indossa il velo. “Anche la Corte europea – commenta su Repubblica l’avvocato Guariso - ha sempre sancito che le limitazioni che incidono sulla libertà religiosa possono essere introdotte solo a tutela di diritti personali altrettanto importanti, come la sicurezza o l´incolumità personale  non certo per inseguire un presunto gradimento della clientela”.


 

Linguaggio e cultura

 


"Immigrati clandestini"

Parole che generano controversie mediatiche

by T.N. | LOS ANGELES, the Economist, 4 aprile 2013


Nel suo libro del 1991 "Los Angeles: Capitale del Terzo Mondo” David Rieff scrive delle tremolanti sensibilità razziali dei bianchi ricchi della città:

“Era così sensibile il liberale Angelenos sulla possibilità di apparire xenofobo, che quasi sempre usava il termine "lavoratore senza documenti", piuttosto che "clandestino", il che ha reso la violazione della legge sull'immigrazione un banale problema di scartoffie piuttosto che, nel bene o nel male , una violazione delle leggi degli Stati Uniti.

Un paio di decenni più tardi I gusti linguistici del West side di Los Angeles hanno conquistato fasce di media americani. Una grande vittoria è arrivata questa settimana quando l'Associated Press ha deciso di abbandonare il termine "immigrato illegale" dalla suo linguaggio giornalistico.

I giornalisti di AP dovranno invece fare riferimento a persone che "vivono nel paese illegalmente" o che "sono entrate nel paese senza permesso". ("Senza documenti" è anche stato respinto, per motivi di imprecisione.)

A causa della riduzione del personale nelle redazioni americane, le storie di AP vengono riportate ampiamente sui giornali, e molti adottano lo stile di AP nel riprodurre le proprie storie. "Il domino inizierà a cadere" su altre pubblicazioni, ha detto un attivista. Aspettatevi che le "persone che vivono illegalmente nel paese" a vengano presto all’edicola a voi più vicina.

La guida stilistica dell’Economist non contiene tali direttive. Nel corso degli anni abbiamo utilizzato la definizione "immigrato illegale", anche se a volte abbiamo semplicemente parlato di "clandestini", una parola che molti trovano offensivamente riduttiva (un mio collega ha esplorato la distinzione più in dettaglio un paio di anni fa). La frase "immigrato illegale" ha la virtù della concisione, la chiarezza e la familiarità, anche se non necessariamente la precisione: non distingue tra chi ha attraversato illegalmente la frontiera, un overstayer o un lavoratore che ha violato i termini del suo regime di visto, ecc

Ma la vera obiezione all’uso di "immigrato illegale" non è lontana all'obiezione del termine "illegali": che riduce gli esseri umani ad avatar della illegalità. La parola "illegale", secondo il direttore esecutivo della AP, dovrebbe essere utilizzata per descrivere solo le azioni, non le persone. Questo è più o meno quello che gli attivisti che - spingono a questo cambiamento - hanno sostenuto da sempre, come questo breve articolo cerca di spiegare. Descrivere qualcuno come "uno che vive nel paese illegalmente", può costare quale parola in più alla frase del giornalista, ma lascia spazio all'umanità ed al carattere di quella persona. La discussione su ciò che gli attivisti chiamano "I-word" contempla un dibattito molto più esteso: su come costruire ad esempio un percorso di cittadinanza (o almeno percorso di legalizzazione). Norme che bollano la maggior parte degli immigrati irregolari in America come "illegali", verranno considerate d’ora in poi non solo scortesi ma anche non corrette. La tempistica non è casuale: è espressione del crescente peso politico dei latinos americani, alle urne, come altrove. Dopo la decisione di AP questa settimana, il partecipante ad un gruppo di discussione web degli scienziati politici Latini si è riferito “a una campagna nazionale multisettoriale, online e offline per finire il lavoro".

Il premio più grande, tuttavia, attende. Non più tardi dello scorso ottobre Margaret Sullivan, redattore pubblico del New York Times, ha detto che la messa al bando del termine "immigrati clandestini" non servirebbe bene i lettori. Ora il giornale sembra ammorbidire la sua posizione. La definizione "senza documenti", che il giornale aveva prima bollato come eufemistica, può essere ora consentita, e altri termini saranno "incoraggiati", dice la signora Sullivan (che non ha alcun ruolo decisionale su questioni di stile). I guru dello stile sono tenuti ad emanare il verdetto a breve.

Questa linea di pensiero non è per tutti i gusti. Dopo la dichiarazione di AP, William Gheen, presidente di un gruppo di pressione anti-immigrazione (Americani per l'immigrazione legale), ha dichiarato che il gruppo avrebbe adottato il termine "invasori illegali" in risposta a ciò che egli chiama "correttezza politica sugli steroidi". Ma, come con il dibattito sulla riforma dell'immigrazione, questo sulla terminologia sembra muoversi lontano da artisti del calibro di Mr Gheen. Questa mattina il Los Angeles Times, che in tempi più oscuri si è riferito una volta ai lavoratori messicani locali come "peones ignoranti", ha detto di stare riesaminando la sua politica sul termine "immigrato illegale". La lunga marcia dei liberali di Santa Monica è quasi al suo termine.



 

 

 

 

 

 

Notizie in breve


ImmigrazioneOggi

news in 50 lingue

A Mantova Cgil e Cisl chiedono di fermare le quote di ingresso stagionali per tutelare i disoccupati italiani.
Secondo i due maggiori sindacati il lavoro stagionale in agricoltura presenta molte forme di abusi e sfruttamento.

 

Commissione Ue: “l’integrazione dei rom un investimento sociale prioritario per l’Europa”.
Per i commissari occorrono impegni di lungo termine, risorse adeguate e l’azione coordinata a livello locale, nazionale e comunitario.

 

Ragusa: il vecchio Cie si trasforma in un Centro polifunzionale per l’inserimento lavorativo degli immigrati.
Giovedì prossimo l’inizio dei lavori alla presenza del Prefetto.

 

La Commissione per le migrazioni del Consiglio d’Europa da oggi in Marocco per discutere “le opportunità delle migrazioni sud-nord”.
La Commissione adotterà due report su “Frontex” e sulla “Gestione delle migrazioni mista”.

 

Negli USA il boom di richieste per lavoratori stranieri specializzati.
In una settimana esaurite le quote a disposizione delle aziende: tornati ai ritmi precedenti alla crisi economica.

 

Ue: lanciato un nuovo progetto per combattere il razzismo e la xenofobia in Europa.
Fumetti e workshop per promuovere l’integrazione e l’uguaglianza degli immigrati nei Paesi europei.

 

 

 

Foreign Press


Facebook’s Mark Zuckerberg: Immigration and the knowledge economy

By Mark Zuckerberg, (*)

Published by http://www.washingtonpost.com/


Earlier this year I started teaching a class on entrepreneurship at an after-school program in my community. The middle-school students put together business plans, made their products and even got an opportunity to sell them. One day I asked my students what they thought about going to college. One of my top aspiring entrepreneurs told me he wasn’t sure that he’d be able to go to college because he’s undocumented. His family is from Mexico, and they moved here when he was a baby. Many students in my community are in the same situation; they moved to the United States so early in their lives that they have no memories of living anywhere else. These students are smart and hardworking, and they should be part of our future. This is, after all, the American story. My great-grandparents came through Ellis Island. My grandfathers were a mailman and a police officer. My parents are doctors. I started a company. None of this could have happened without a welcoming immigration policy, a great education system and the world’s leading scientific community that created the Internet. Today’s students should have the same opportunities — but our current system blocks them. We have a strange immigration policy for a nation of immigrants. And it’s a policy unfit for today’s world.

The economy of the last century was primarily based on natural resources, industrial machines and manual labor. Many of these resources were zero-sum and controlled by companies. If someone else had an oil field, then you did not. There were only so many oil fields, and only so much wealth could be created from them. Today’s economy is very different. It is based primarily on knowledge and ideas — resources that are renewable and available to everyone. Unlike oil fields, someone else knowing something doesn’t prevent you from knowing it, too. In fact, the more people who know something, the better educated and trained we all are, the more productive we become, and the better off everyone in our nation can be. This can change everything. In a knowledge economy, the most important resources are the talented people we educate and attract to our country. A knowledge economy can scale further, create better jobs and provide a higher quality of living for everyone in our nation. To lead the world in this new economy, we need the most talented and hardest-working people. We need to train and attract the best. We need those middle-school students to be tomorrow’s leaders. Given all this, why do we kick out the more than 40 percent of math and science graduate students who are not U.S. citizens after educating them? Why do we offer so few H-1B visas for talented specialists that the supply runs out within days of becoming available each year, even though we know each of these jobs will create two or three more American jobs in return? Why don’t we let entrepreneurs move here when they have what it takes to start companies that will create even more jobs? We need a new approach, including:

●Comprehensive immigration reform that begins with effective border security, allows a path to citizenship and lets us attract the most talented and hardest-working people, no matter where they were born.

●Higher standards and accountability in schools, support for good teachers and a much greater focus on learning about science, technology, engineering and math.

●Investment in breakthrough discoveries in scientific research and assurance that the benefits of the inventions belong to the public and not just to the few. Changes like these won’t happen on their own.

That’s why I am proud to announce FWD.us, a new organization founded by leaders of our nation’s technology community to focus on these issues and advocate a bipartisan policy agenda to build the knowledge economy the United States needs to ensure more jobs, innovation and investment. These leaders, who reflect the breadth and depth of Silicon Valley’s entrepreneurial culture, include Reid Hoffman, Eric Schmidt, Marissa Mayer, Drew Houston, Ron Conway, Chamath Palihapitiya, Joe Green, Jim Breyer, Matt Cohler, John Doerr, Paul Graham, Mary Meeker, Max Levchin, Aditya Agarwal and Ruchi Sanghvi. As leaders of an industry that has benefited from this economic shift, we believe that we have a responsibility to work together to ensure that all members of our society gain from the rewards of the modern knowledge economy. We will work with members of Congress from both parties, the administration and state and local officials. We will use online and offline advocacy tools to build support for policy changes, and we will strongly support those willing to take the tough stands necessary to promote these policies in Washington. Across America, creative, hardworking people in coffee shops, dorm rooms and garages are creating the next era of growth. Let’s embrace our future as a knowledge economy and help them — and all of us — reach our full potential.

(*) Mark Zuckerberg is founder and chief executive of Facebook and co-founder ofFwd.us.


 


http://www.africanouvelles.com/index.php

SENEGAL: Pour faire liberer Karim Wade - Le PDS envisage de marcher le 23 avril

JEUDI, 18 AVRIL 2013 08:52

Délibération pour la libération!

Le dossier Karim Wade avance à grands pas. Après sa deuxième nuit passée à la gendarmerie, suite à son garde à vue, il était devant le juge, mercredi 17 avril 2013. Le parti de son père, le PDS, prévoit une marche nationale le 23 avril prochain pour réclamer sa libération.


Les libéraux du parti démocratique sénégalais (pds) ont pris la décision, à l'issue de leur réunion du Comité directeur, suite à l'arrestation du fils de l'ex président de la République, Karim Wade dans le cadre des traques des biens mal acquis, d'organiser une marche de protestation le 23 avril prochain. Cette manifestation est destinée à faire libérer leur camarade.

Le coordonnateur du Pds, Oumar Sarr, a fait cas dans sa déclaration à la presse, de l'acharnement du régime de Macky Sall à l'encontre des responsables et militants du Pds.

«Nous avons tous vu comment le régime de Macky Sall a injustement et arbitrairement procédé, pendant 8 mois, avec certains responsables de notre parti. Ce sont des va et vient à la gendarmerie et à la Police des dignitaires du Pds. En dépit de la procédure assez longue, et en dépit des accusations de prédation portant sur 4000 milliards, rien n'est prouvé, c'est un dossier vide et transmis au parquet spécial qui a fait une mise en demeure à notre. Les investigations menées par le Procureur Spécial auprès de la Crei ont été vaines car des preuves suffisantes ont été apportées par le camarade de parti, Karim Wade», a déclaré le coordonnateur du Pds, qui a parlé «des 3000 pages des pièces démontant les accusations sont déposées le 15 avril par Karim Wade».

Avant même que la cérémonie ne démarre, les reporters de la Rfm, accusés de partialité dans leur relation des faits suite à l'interpellation de Karim Wade, auraient encaissé les brimades des militants de l'ancien régime qui leur ont proféré toute sorte d'insultes. Il y a eu des bagarres.

Les journalistes voulaient boycotter la couverture de la réunion du comité directeur. Finalement, après les médiations des responsables du pds qui auraient reconnu la «grave erreur» de leurs militants, sont revenus à de meilleurs sentiments.