Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n. 34 del 29 novembre 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
“L’immigrazione cambia, cambiamo le sue leggi” Con la partecipazione del Ministro per l’Integrazione On.Cécile Kyenge
Obiettivi dell’evento
1. Focalizzare i cambiamenti del fenomeno migratorio dal punto di vista del mercato del lavoro, della società e della demografia 2. Valutare gli strumenti adeguati per rendere efficace il meccanismo d’incontro tra domanda e offerta di lavoro al fine di favorire l’occupazione legale. 3. Ripensare ad una riforma della legislazione in tema di immigrazione, asilo e cittadinanza
Roma, 3 dicembre 2013 - Sala Convegni AIL, via Casilina 5, ore 09.30 – 13.30 |
Appuntamenti pag. 2
Seminario “L’immigrazione cambia….” pag. 2
Decreto flussi a rischio pag. 4
Regolarizzazione 70 mila al traguardo pag. 5
Immigrati, un egoismo razionale pag. 6
Storia di Laura, finita peggio del suo cane pag. 7
Profughi: nuove norme sulla protezione pag. 8
Flussi Mediterraneo: Italia verso deferimento UE pag. 9
Nuova emigrazione “Pigs can fly” pag.10
Carta blu: quali requisiti pag.11
E.C. “Five actions to benefit citizens pag.11
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Migratorie: appuntamenti
Roma, 3 dicembre 2013, ex pastificio “Pantanella”, ore 10.00
UIL – ITAL: seminario incontro con la Ministra Cécile Kyenge su riforma dell’Immigrazione
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 5 dicembre 2013, ore 10, sede IPRS
ITAL- UIL: seminario: “Up2you: seconde generazioni e incontro tra domanda ed offerta nel mondo del lavoro”
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 6 dicembre 2013, ore 10.00, via del Velabro
Comitato Direttivo del CIR
(Giuseppe Casucci)
Bruxelles, 11 dicembre 2013, sede CES ore 10.00
Riunione organizzativa internazionale “l’Europa sono anch’io”
(Giuseppe Casucci)
Bruxelles, 12 dicembre 2013, sede CES ore 09.00
First European Conference of Trade Union Services for migrants
(Giuseppe Casucci)
Roma, 16 dicembre 2013, ore 15.00, via della Mercede 9
Incontro della Ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge ed il Tavolo Nazionale Immigrazione
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Eventi
UIL – ITAL: incontro con la Ministra per l’integrazione Cécile Kyenge
Seminario: “L’immigrazione cambia, cambiamo le sue leggi”
Roma, 3 dicembre 2013 - ex pastificio Pantanella, via Casilina 5, ore 09.30
Sul fronte migratorio, soprattutto a causa della crisi economica, siamo di fronte ad un mutamento di scenario che è necessario tener di conto, se vogliamo comprendere quanto accade e dare risposte adeguate. Dopo 10 anni di crescita ininterrotta, la presenza di stranieri nel nostro Paese segna una lunga battuta d’arresto a causa della crisi economica.
L’immigrazione, lo sappiamo, è un fenomeno molto complesso ed in continuo mutamento. Per questo siamo sempre stati convinti che le risposte semplicistiche – e specialmente quelle draconiane – non siano il miglior modo per governare i cambiamenti sociali.
Il contesto
Gli stranieri rappresentano ormai il 13% dell’occupazione nazionale complessiva, con un’incidenza particolarmente elevata nel settore delle costruzioni (21,7%) e in agricoltura (15,9%). Sono 4.387.721 gli stranieri legalmente residenti sul territorio nazionale (dati 2011 Istat), pari al 7,3% della popolazione complessiva. Producono l’11 % del PIL nazionale. Sono anche contribuenti che pagano le imposte: in Italia si contano complessivamente 3,4 milioni di contribuenti nati all’estero (dati 2011) che dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di €. Gli stranieri dichiarano mediamente un reddito di 12.880 € l’anno (6.780 € in meno rispetto agli italiani) e si tratta quasi esclusivamente di redditi da lavoro dipendente. Nel 2011 i nati all’estero hanno pagato di Irpef 6,5 miliardi di €. Per quanto riguarda i soldi mandati a casa, nel 2012 il volume delle rimesse è ammontato a 6,8 miliardi di €, pari allo 0,44% del Pil.
La crisi
Dal 2008 al 2013 si è assistito in Italia ad un aumento esponenziale del tasso di disoccupazione straniera passato dall’8,1% a quasi il 18%. E contemporaneamente, pur essendo aumentati anche il numero di occupati, il tasso di occupazione straniera è però calato di 6,5 punti percentuali arrivando al 58,1% nel II trimestre 2013 (contro il 55,4% degli italiani). La forbice dei tassi di attività – tra italiani e non - si sta dunque progressivamente riducendo, anche per una maggiore propensione degli italiani alla mobilità professionale ed al peso occupazionale della crisi.
Nel primo e secondo semestre 2013, la crisi occupazionale registra una forte impennata, con circa 511 mila stranieri iscritti alle liste di disoccupazione e oltre 1,25 milioni risultanti “inattivi”. Il tasso di disoccupazione chiamiamolo “etnico” è oggi di ben 6,6 punti in più rispetto gli italiani. Sono tutti dati da poco forniti dal Ministero del Lavoro.
E la crisi sta anche modificando gli equilibri tra occupazione italiana e straniera, la prima sempre più progressivamente disposta a ricercare impieghi che da tempo sono di esclusivo appannaggio dei migranti. E’ dunque finita la fase di complementarietà tra italiani e non in materia di lavoro e ci sono segnali di un potenziale conflitto tra chi ricerca un impiego, autoctoni o stranieri che siano. Ed ancora: non sono pochi gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese per ritornare a casa o per cercare impiego in un’altra nazione: nel 2012 - secondo stime della Fondazione Moressa – l’uscita di 32 mila cittadini stranieri avrebbe privato le casse del nostro Stato di almeno 86 milioni di euro. Lo stesso anno ha visto anche l’uscita di circa 68 mila nostri giovani in cerca di un futuro all’estero.
Bye bye decreto flussi?
Vista la precaria situazione occupazionale, il Ministero del Lavoro intende consigliare al Governo di non emanare –per il secondo anno consecutivo – il decreto flussi annuale per l’ingresso di lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Ce ne sarà solo uno molto ridotto per i lavoratori stagionali, non superiore alle diecimila unità. Una scelta dolorosa e apparentemente inevitabile ma – a nostro avviso – anche un segnale simbolico negativo che appare di completa chiusura all’ingresso legale in Italia per motivi di lavoro. Era preferibile, crediamo, un dispositivo che comunque lasciasse aperta la porta a chi potesse dimostrare di avere in mano un’assunzione certa. Una sorta di meccanismo d’ingresso individuale. Perché se uno straniero oggi trova in Italia un datore di lavoro che voglia assumerlo, non avrà nessun modo legale per entrare in Italia e lavorare, tranne l’ingresso ed il lavoro clandestino. La scelta è dunque quella di chiudere le porte per aiutare gli stranieri (ed italiani) disoccupati. E sono tanti: abbiamo visto che oltre 511 mila lavoratori stranieri iscritti nelle liste dei disoccupati nei centri per l’impiego, ce ne sono altri 1,2 milioni che risultano inattivi. Cioè non cercano nemmeno lavoro, almeno non attraverso i canali regolari. Tutto questo è molto preoccupante, se consideriamo che quasi un quarto della nostra economia continua ancora ad essere sommersa. Un anno fa abbiamo ottenuto dal Governo che la durata del permesso per ricerca di occupazione fosse raddoppiata, da sei mesi ad un anno. Oggi questo tempo non basta più per trovare un nuovo impiego e molti stranieri regolari rischiano di non veder rinnovato il proprio permesso di soggiorno, il che equivale a dover andare via (assieme alla famiglia), abbandonando quanto conquistato in anni di sacrifici o – in alternativa – dover scivolare nel pozzo senza uscita della clandestinità.
Urgenti politiche attive di reimpiego dei senza lavoro
Sono dunque necessarie ed urgenti politiche attive, formazione e qualificazione ed reinserimento occupazionale per questi lavoratori. Una cosa molto difficile in tempi di crisi e che certo non si improvvisa. IL Governo farebbe dunque bene a concertare con le parti sociali misure concrete per rilanciare produzione, occupazione e sviluppo, a favore di chi ha deciso di scommettere sul futuro del nostro Paese, italiano o straniero che sia. Anche perché – su questa strada – si è fatto ben poco e non si vede minimamente l’uscita dal tunnel.
Il rebus Mare Nostrum
Non bisogna poi dimenticare l’altro versante: quello della pressione migratoria dal Mar Mediterraneo, i flussi provenienti dall’Africa sono in forte aumento, anche a causa di guerre e persecuzioni oltre che da fattori di natura economica. Come spesso succede, la rigidità delle norme diventa una favolosa occasione di guadagno per chi specula sulle sventure altrui. E con risultati disastrosi come documentato dalle molte tragedie accadute negli ultimi vent’anni. Nel 2013 (dati Ministero Interno del 15 ottobre) sono sbarcati sulle nostre coste oltre 36 mila persone, in condizioni tanto rischiose da provocare tragici naufragi come quelli avvenuti di recente con centinaia di vittime. E non è certo la prima volta: Fortresse Europe stima che siano almeno ventimila gli esseri umani morti dal 1988 nel tentativo di attraversare il Canale di Sicilia: una cifra spaventosa. Si tratta spesso di potenziali richiedenti asilo o rifugiati che non possono essere trattati alla stregua di migranti economici irregolari, per una ragione molto semplice: loro fuggono da situazioni che mettono a rischio la loro vita e spesso non possono ritornare nel loro Paese di origine. Persone che l’Europa ha l’obbligo morale – oltre che legale – di accogliere e dar loro protezione. Anche su questo l’Italia è abbastanza in ritardo perché, non solo non ha ratificato le ultime direttive in materia di asilo e protezione umanitaria, ma ha sempre dimostrato poca capacità di accoglienza e dedicato poche risorse all’integrazione dei profughi.
Cambiare le leggi sull’immigrazione ed i diritti di cittadinanza
La crisi economica ed il rallentamento dei flussi verso l’Italia è certo un segnale inquietante, ma è anche l’occasione per ripensare radicalmente la politica migratoria e del governo dei flussi. Oggi più che mai, una legge di contenimento dell’immigrazione – qual è la Bossi Fini – non ha davvero nessun senso a fronte di un quadro di abbandono dell’Italia da parte di immigrati e di molti giovani italiani. Va invece ripensata – a nostro avviso - una normativa che renda l’Italia professionalmente appetibile, per i nostri giovani innanzitutto e per l’immigrazione qualificata di cui avremo bisogno se vogliamo rilanciare lo sviluppo.
C’è un’altra preoccupazione che va considerata e che vediamo praticamente assente dal dibattito politico: il gap demografico. Secondo dati Eurostat, nel 2012, su 5,2 milioni di nuovi nati nel Vecchio Continente, solo il 9% lo hanno fatto in Italia. Il nostro Paese, dopo l’Ungheria, registra il più basso indice di fertilità in Europa. L’Italia, negli ultimi 20 anni, ha perso 5 milioni di autoctoni a causa della bassa fertilità. Un gap che è stato compensato da un afflusso di stranieri che negli anni duemila è stato in media di 400 mila ingressi l’anno. Cosa succederà se – come sta già accadendo – questo afflusso diminuirà o cesserà quasi del tutto? Che effetto potrebbe avere il crollo dell’offerta nei segmenti medio bassi del mercato del lavoro? E che effetti nella società?
Non va dimenticato che lo sviluppo di una nazione si fonda sui suoi cittadini e la diminuzione della nostra popolazione non compensa gli effetti della crisi economica, ma rappresenta solo un segnale di inarrestabile declino.
C’è un ultimo tema che ci sta molto a cuore, ultimo ma non per importanza: quello di diritti di cittadinanza: la riforma della legge 91 del 1992, ma anche la ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo per il diritto di voto amministrativo ai lungo soggiornanti. Esistono in Parlamento oltre venti proposte di legge e sulla cittadinanza è al lavoro la I Commissione della Camera. Sarà possibile dare un segnale di inclusione vera agli stranieri, riformando queste leggi? Oppure anche in questo caso rischiamo di chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati?
Aprire il dibattito nel sindacato e nella società
E’ anche questo che la UIL considera importante ed urgente aprire un confronto, soprattutto pubblicamente, sulla occasione che la crisi ci da’ di un profondo ripensamento degli attuali strumenti legislativi che si sono purtroppo rivelati del tutto incapaci a governare il cambiamento comunque in corso della società e ad assicurare meccanismi efficaci di integrazione dei nuovi cittadini, oltre che di sviluppo per tutti.
Come Uil e Ital, abbiamo deciso di confrontarci su tutto questo, promuovendo un evento ed invitando due ospiti di eccezione: la Ministra per l’integrazione On.le Cécile Kyenge, ed il prof. Antonio Golini, demografo e presidente dell’Istat. L’occasione sarà un seminario nazionale che terremo il 3 dicembre prossimo a Roma, Sala Convegni AIL, via Casilina 5
Per l’occasione verrà convocato il Coordinamento Nazionale Immigrati e la rete di quadri e dirigenti Ital da tempo impegnati nel territorio con azioni concrete e con iniziative tese a sensibilizzare, su questi temi, istituzioni, lavoratori e associazioni. Il seminario è anche aperto a chiunque voglia partecipare. Grande spazio verrà dato al confronto tra i partecipanti, a partire dai nostri quadri immigrati impegnati in categoria e nelle realtà territoriali, e gli ospiti.
A cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL
Prima pagina
Decreto flussi a rischio. Il Ministero: Disoccupazione anche tra gli immigrati”
Il rapporto interno dei tecnici del dicastero di Giovannini: "I lavoratori stranieri sono già troppi". Se fosse confermato dal governo questo orientamento, quest'anno non potrebbe entrare nessuno per via regolare
di VLADIMIRO POLCHI
ROMA,
21 novembre 2013 - L'Italia chiude le porte: stop a nuovi flussi di
immigrati regolari. I lavoratori stranieri nel nostro Paese sono già troppi e
cresce tra le loro fila l'esercito dei disoccupati. Ne sono certi i tecnici del
ministero del Lavoro, che lo mettono nero su bianco in un recente rapporto
interno. E così anche quest'anno per cercare fortuna in Italia resteranno
aperti solo i canali d'ingresso irregolare, a meno di ripensamenti politici
dell'ultima ora (il rapporto non è vincolante).
La
relazione del ministero. La relazione dell'ottobre scorso è scritta dalla
direzione generale dell'immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche
sociali e si intitola: "Il mercato del lavoro dei lavoratori stranieri in
Italia nel secondo trimestre 2013". All'interno delle 24 pagine viene
proposta "una serie di considerazioni in merito al tema dei flussi in
ingresso nel nostro Paese, derivanti sia dall'analisi dell'offerta che della
domanda di lavoro".
Con il decreto flussi si fissano annualmente le
quote di extracomunitari che possono entrare in Italia per motivi di lavoro
subordinato o autonomo. In realtà, come sanno bene gli immigrati, il decreto è
anche una chance per chi già sta sul territorio italiano: uscire dalla
clandestinità e mettersi in regola.
Mezzo
milione in cerca di lavoro. Stando
ai tecnici del ministero, "da un lato, la costante contrazione della
domanda e dall'altro il considerevole incremento delle persone in cerca di
occupazione, determina una condizione in cui l'offerta di lavoro garantita dai
lavoratori stranieri già presenti in Italia è più che sufficiente. Tale
affermazione è corroborata da alcuni dati e segnatamente dalla presenza, nel
secondo trimestre 2013, di oltre 500mila lavoratori stranieri in cerca di
lavoro".
Un quadro fosco, con poche luci: "Gli unici
segnali positivi - si legge - riguardano il segmento
dei servizi alla persona, con una domanda in
crescita anche nella fase di crisi, ma che gli attuali livelli di
disoccupazione possono sostanzialmente compensare". Ed ecco la bocciatura
di un eventuale nuovo decreto flussi: "La domanda di lavoro attesa può
essere ampliamente soddisfatta nell'ambito dei settori, dei territori, e dei
profili richiesti, compreso il settore domestico, dell'offerta di lavoro
disponibile, anche in assenza di una nuova programmazione di quote generali
tramite i decreti flussi annuali".
Regolarizzazione, 70.000 lavoratori al traguardo
Solo sei su dieci sono riusciti a portare a termine la procedura
Roma – 28 novembre 2013 –
Settantamila nuovi rapporti di lavoro alla luce del sole, grazie ai quali
altrettanti cittadini stranieri hanno conquistato il diritto a un permesso di
soggiorno per lavoro subordinato. È il bottino della regolarizzazione del 2012
secondo l’ultimo report fornito dal Ministero dell’Interno a
Stranieriinitalia.it, aggiornato al 25 novembre. Un bilancio quasi definitivo
se si considera che delle 135 mila domande presentate tra settembre e ottobre
dello scorso anno, quelle lavorate sono 122 mila, il 90%. Iniziamo dai
promossi, 70 mila pratiche concluse con la firma del contratto di soggiorno e
la richiesta del permesso da parte del lavoratore. Hanno raggiunto questo
traguardo il 58% delle domande esaminate finora, un dato che dà l’idea di come
non si possa parlare di regolarizzazione di massa: la presenza documentata in
Italia dal 2011 il pagamento di un forfait di 1000 euro, il versamento di
almeno sei mesi di tasse e contributi arretrati e gli altri paletti imposti
dalla legge si sono fatti sentire. Le domande respinte sono 19 mila, il 16% del
totale, ma solo 3 mila di queste con provvedimento definitivo. Bisogna tenere
presente che in questo calderone finiscono anche i lavoratori stranieri che non
sono riusciti a portare a termine al regolarizzazione per cause imputabili
unicamente al datore di lavoro, che ad esempio è risultato privo dei requisiti
di reddito o si è tirato indietro dopo aver presentato la domanda. In questi
casi, se sono stati versati i 1000 euro e pagati tasse e contributi
arretrati,quelli che possono dimostrare che erano in Italia nel 2011 non
rimangono clandestini. Grazie a
un decreto legge approvato dal governo lo scorso giugno, possono infatti
comunque ottenere un permesso di soggiorno annuale per attesa occupazione della
durata di un anno, che può essere convertito in un permesso per lavoro se si
viene assunti. Infine, per il 26% delle domande già esaminate, non si sa come
andranno a finire. Gli Sportelli Unici per l’Immigrazione hanno infatti fatto
partire 16 mila convocazioni di datori e lavoratori, e solo dopo che is
presenteranno all’appuntamento e verrà esaminata la documentazione si saprà se
la regolarizzazione può andare in porto oppure no. Così come sono nel limbo
altre 16 mila domande per le quali sono state chieste delle integrazioni.
Arriveranno?
Regolarizzazione 2012
Domande presentate: 134.768.
Domande lavorate: 121.515
Dettaglio domande lavorate:
- 69.991 definite con la firma del contratto di soggiorno e la richiesta del permesso di soggiorno;
- 15.894 già convocati;
- 15.841 in fase di integrazione;
- 19.348 rigettate di cui 2.777 con provvedimento definitivo;
- 441 rinunce.
Dati aggiornati al 25/11/2013. Fonte: Ministero dell'Interno
Commenti
Di Giovanna Zincone, pubblicato su La Stampa del 25 novembre 2013
Molti degli italiani che guardano
all’immigrazione con ostilità sono mossi da sentimenti egoistici, dal
timore di essere privati di qualcosa. Si tratta tuttavia di un egoismo
incapace di valutare razionalmente cosa giovi ai propri interessi, al
benessere del sistema economico italiano. Cito tre dati elementari,
riportati nel Dossier Statistico Immigrazione 2013 a cura dell’UNAR
(Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni Razziali): gli immigrati
rappresentano il 7,4% dei residenti in Italia, il 10% degli occupati, il
7,8% delle imprese. Significano quindi consumi, realtà produttive, servizi,
in particolare servizi alle famiglie. Va ricordato però a tutti noi che
gli immigrati non sono un fattore qualunque, sono persone. Possono
evolvere, stare meglio, far stare meglio il paese in cui tutti viviamo. O,
al contrario, possono precipitare in gravi difficoltà, non aiutarci a
contrastare il declino, costituire anzi un problema in più. Se adottiamo un’
attitudine egoistica nei confronti della immigrazione, facciamo almeno in
modo che si tratti di un egoismo razionale. Ci occuperemo così con
discernimento del futuro italiano in genere. Faccio qualche esempio. Siamo
un popolo di vecchi e gli immigrati stanno dando una mano a ringiovanire
la nostra popolazione: i figli di stranieri rappresentano nel 2012 quasi
il 15% dei nuovi nati. Tuttavia, l’esperienza dei paesi di antica
immigrazione insegna che le famiglie di origine immigrata, con il tempo,
si assimilano a quelle autoctone. E fare figli in Italia non conviene. Nel
nostro paese, infatti, sono proprio le famiglie numerose che corrono
maggiori rischi di povertà, e tra gli immigrati le famiglie povere sono
più del doppio di quelle italiane. Sono quindi scarse le speranze che gli
immigrati ci aiutino in futuro a essere meno senili, se non cambiamo
rotta. L’Italia usa solo l’1,1% della proprio bilancio per le famiglie e i
minori: in Europa solo Grecia e Lettonia fanno peggio. Parlamento e
Governo si sono impegnati a fare di più, vedremo. Un altro aspetto sul
quale l’immigrazione può incidere in positivo o in negativo a seconda
delle politiche adottate è il capitale umano, le competenze di cui l’Italia
può disporre. Non basta che ci siano più bambini, occorre che siano meglio
istruiti che proseguano negli studi, acquisendo da adulti gli strumenti
necessari a interagire con le complessità del presente e del prossimo
futuro.
Secondo l’
ultima classifica dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico), gli studenti del nostro paese non ottengono buoni
risultati neppure nella scuola primaria, in un punteggio che va da 0 a 500
raggiungiamo 235 punti nelle competenze linguistiche (11 in meno della media
dei paesi avanzati) e 229 in quelle numeriche (8 in meno). Sulle capacità reali
è un disastro: siamo ultimi per comprensione dei testi, penultimi sia in
matematica, sia per capacità di cavarsela con le nuove tecnologie. Non
solo non impariamo abbastanza, ma restiamo pure indietro per livelli di
istruzione raggiunti. Nel 2011 l’Italia si colloca all’ultima posizione
nella graduatoria dell’Unione Europea, per numero di giovani tra i 30 e i
34 anni che hanno una laurea o un titolo equivalente. Il nostro 20,1% è un valore inferiore
di oltre 14 punti rispetto alla media UE a 27 e ben lontano dall’obiettivo
del 40% indicato da “Europa 2020”. La Spagna, ad esempio, l’ha già
raggiunto. Come se non bastasse esportiamo capitale umano: tra coloro che
hanno lasciato l’Italia nel 2011, il 22% ha una laurea, il 24% è iscritto
all’università. Può aiutarci l’immigrazione a fare meglio? Per ora no. Nel 2011
tra i residenti di età compresa tra i 15 i 64 anni i laureati sono il 9%
degli immigrati e il 13% degli italiani. Per i paesi da cui provengono
quei laureati rappresentano una risorsa preziosa, che da noi però va
sprecata. Il 61% dei lavoratori stranieri svolge un lavoro inferiore
alla sua qualifica, La scarsa capacità di attrarre immigrati molto
istruiti, la sotto utilizzazione dei qualificati si deve al fatto che il
nostro sistema economico è a sua volta arretrato, prevede cioè una
notevole quantità di mansioni per le quali non chiediamo alti livelli
di istruzione:pensiamo all’esercito delle badanti e delle colf straniere.
Attrarre immigrati molto qualificati in Italia quindi è difficile. Se
vogliamo che arrivi un maggior numero di bravi, serve un sistema economico
più ambizioso. Ma il circolo virtuoso si può avviare anche
all’incontrario: quelle stesse desiderabili produzioni sofisticate
che attraggono i bravi lavoratori sono a loro volta attratte da bacini
dove si concentra forza lavoro molto qualificata. Quindi produrre bravi
lavoratori in Italia può aiutare a spezzare il cerchio. Già oggi alcune
Università e politecnici italiani producono e attraggono ottimi studenti.
Bisogna agire in modo che il fenomeno si espanda e si consolidi. Bisogna fare
sì che quegli studenti stranieri si fermino. È stato utile aver semplificato
i rinnovi dei permessi di soggiorno per motivi di studio, aver prolungato
di un anno il permesso per trovare lavoro a studi conclusi, è bene
incoraggiare le Università a togliere il requisito della cittadinanza per
le borse di studio, è bene aver semplificato la procedura di
riconoscimento dei titoli di studio ottenuti all’estero. Ma è tutto il
nostro sistema di istruzione che ha bisogno di profonde riforme, ce lo
hanno ricordato in tempi recenti i Ministri Giovannini e Carrozza, il
Governatore Visco. La strada da seguire è nota: cominciare ai insegnare ai
molto piccoli, quando si costruiscono le basi logiche e linguistiche,
investire sulla qualità degli insegnanti. La ricetta va adottata a
maggior ragione per gli studenti di origine immigrata.
Quelli nati in Italia se la cavano più o meno come gli italiani,
lo scarto è piccolo. Questo non significa che su di loro, come su tutti i
piccoli studenti in difficoltà a causa del contesto, non si debba
intervenire tempestivamente. Una strategia intelligente è quella già
adottata: investire nei nidi e nelle materne dove sia il disagio
economico, sia gli insuccessi e gli abbandoni scolastici sono più
frequenti, utilizzando allo scopo anche i fondi europei disponibili. Se
vogliamo contrastare lo svantaggio culturale, non basta includere però le
quattro regioni meridionali incluse nello obiettivo
convergenza dell’Unione Europea, non dobbiamo dimenticare le zone
degradate di tante città del Nord, dove risiedono pure famiglie immigrate.
Non dobbiamo trascurare questo aspetto cruciale nella ricostruzione della
massacrata Sardegna, che soffre da tempo di un svantaggio educativo. Per
gli studenti di famiglie immigrate lo svantaggio rispetto ai nazionali aumenta
se non sono nati in Italia: crescono i ritardi e gli abbandoni scolastici,
peggiorano i voti. Volendo affrontare questo problema ci si scontra però con
un’altra categoria di persone: gli
altruisti irrazionali. Lo abbiamo visto anche di recente quando in una scuola
media di Bologna si è riproposta la soluzione di una classe riservata a
studenti stranieri che non conoscono ancora abbastanza l’italiano. Le
classi di inserimento ci sono in tutta Europa e nessuno si lamenta. Anzi,
se vogliamo aiutare i ragazzi a integrarsi, possiamo cominciare a farlo
nei paesi di origine, con quelli in attesa di ricongiungimento familiare.
Dovremmo investire nell’insegnamento a distanza, con strumenti telematici.
Questo abbasserebbe i costi e consentirebbe di utilizzare su bacini di utenti
più ampi insegnanti specializzati per varie fasce di età nell’italiano
come seconda lingua. Un po’ più di altruismo razionale, meno ideologico
gioverebbe in generale al nostro paese.
Discriminazioni
Maura
Sianesi è una cittadina indignata nel vedere che a Segrate “una bambina, solo
perché straniera e rom, è considerata meno di un cane”. I fatti: venerdì 6 settembre, la
Polizia locale sgombera un mini-insediamento di due baracche nel comune alle
porte di Milano, dove vive la famiglia di Laura (il nome è appositamente
di fantasia per difenderne la privacy), 7 anni, prima elementare terminata con orgoglio
a giugno. È la seconda volta dalla fine della scuola che la sua “casa” (sì,
quando non hai nulla, anche due assi di legno e tre lamiere si chiamano “casa”)
viene distrutta, ma questa volta c’è una differenza. Racconta Maura: “Non
avevano dato alcun preavviso alle due famiglie rom che ci vivevano e che
all’arrivo delle ruspe erano assenti. Il padre di Laura era al magazzino
in cui lavora, in nero, 100 euro alla settimana per 8-10 ore al giorno. Hanno
demolito le baracche con le ruspe, senza che nessuno potesse recuperare i pochi
beni che avevano”. Alla faccia delle norme internazionali sugli sgomberi, che
prevedono di dare un giusto preavviso alle famiglie e di offrire, almeno a
donne e minori, una sistemazione alternativa temporanea.
Ma – spiega Maura – c’è una seconda parte nell’assurdità
della vicenda: “L’unico essere vivente presente allo sgombero era un cane, del
cui destino, giustamente, la polizia locale si è preoccupata portandolo in un canile. Nessuna
preoccupazione invece per la famiglia di umani e per la bambina di 7
anni!”. Alla notizia dello sgombero, Laura continuava a piangere perché,
oltre ad aver perso la sua misera casa, non trovava più il suo cagnolino.
Racconta Maura: “Ha dormito in un parco a cielo aperto, senza nulla, mentre il
suo cane era al riparo e certamente ha ricevuto il pasto. Il giorno successivo,
dopo una lunga serie di telefonate, Laura ha potuto riavere il cucciolo;
al canile, ci hanno raccontato che anche l’animale era spaventato perché
lontano dai suoi padroni”. Ma doveva ancora arrivare l’ultima beffa: insieme al
cane, è stato consegnato un bollettino da pagare all’Asl. 120 euro, il prezzo
dell’uscita dell’accalappiacani. Maura
è andata nel weekend a trovare la famiglia di Laura: “Mi ha commosso, aveva una
maglietta verde e blu che gli avevo regalato tempo fa: era l’unica che aveva
salvato dalle ruspe, poiché la indossava il giorno dello sgombero”. Invece i
quaderni, lo zaino, la foto di classe, il suo peluche preferito, tutto era
stato distrutto. La bambina ha iniziato la scuola, ma almeno la cartella ci
sarà: “Con altri volontari e insieme agli Scout e alla Comunità di Sant’Egidio,
alla fine dell’anno scolastico abbiamo chiesto a tanti bambini e ragazzi
milanesi di non buttare lo zaino, ma di regalarlo ai loro coetanei più poveri
della città”. Maura racconta come è nata la sua amicizia con Laura: “L’ho
conosciuta perché i volontari della Comunità di Sant’Egidio l’accompagnavano
nella mia parrocchia a fare la doccia una volta a settimana, per andare a
scuola pulita, e poi a giugno l’hanno iscritta all’oratorio estivo. Mi ha
sempre colpito come parla della scuola: le si illumina il viso”.
Come per Maura, l’incontro personale abbatte le barriere, aiuta a
guardare ai rom non come una categoria infida e minacciosa. Spesso si è invece
tutti bravi a urlare, a chiedere sgomberi e a confinare ai margini. Si dimentica che i rom
sono prima di tutto persone, appena 160mila, non più nomadi, la metà ragazzini,
la metà di tutti addirittura italiani. I problemi ci sono, ma si dovrebbe
ripartire da un dato: sono un popolo di bambini, il 40% è in età scolare. Per
questo sarebbe bene decidere che una questione di 80mila minorenni va
affrontata con la scolarizzazione per tutti e con un forte impegno sociale e di
monitoraggio. Insomma, con più “zaini” per tutte le Marise delle nostre città. Stefano
Pasta
Rifugiati
Il governo recepisce un’altra direttiva sui diritti di rifugiati e titolari di protezione sussidiaria. L’obiettivo e arrivare entro la fine del 2014 a una legge organica
(www.stranierinitalia.it)
Roma – 22 novembre 2013 . L’Italia prova a fare un altro passo avanti per
proteggere chi fugge da guerre e persecuzioni, adeguando la sua legislazione
alle indicazioni dell’Unione Europea. Ieri il consiglio dei ministri ha
approvato uno schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva
2011/95/UE. Riguarda “Norme sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi
o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno
status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione
riconosciuta”. “L’obiettivo – spiega il governo - è di elevare il livello
della protezione riconosciuta e di ravvicinare i due status riconducibili alla
protezione internazionale, quello di rifugiato e quello di beneficiario di
protezione sussidiaria, con particolare riguardo ai diritti connessi ai due
status”.
“La normativa nazionale contenuta nel decreto legislativo n.251/2007, sotto tale profilo, aveva in parte anticipato il legislatore comunitario. Con le nuove norme – prosegue Palazzo Chigi - si prosegue in tale direzione, con l'obiettivo di elevare gli standard di assistenza e di tutela”. I flussi nel Mediterraneo stanno cambiando, quelli dei migranti economici risultano sempre più minoritari rispetto a quelli di migliaia di persone che scappano da guerre, rivoluzioni, regimi oppressivi ecc. e che quindi, arrivati in Italia, hanno diritto a una forma di protezione. Una situazione che si scontra,però, con la disorganicità della nostra normativa in materia. Il governo vorrebbe quindi condurre in porto u Testo Unico sul Diritto di Asilo entro la fine del 2014, che dovrebbe recepire anche tutta la normativa europea in materia. Un obiettivo confermato mercoledì scorso dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi al direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati Christopher Hein. Durante l’incontro (qui un resoconto dettagliato) il Cir ha indicato tre punti dovrebbero assolutamente entrare nel Testo Unico. Come l’”accesso alla protezione e quindi alla procedura d’asilo anche dall’estero”, ad esempio attraverso le nostre rappresentanze diplomatiche, in modo da evitare che i richiedenti asilo affrontino il Mediterraneo sui barconi per raggiungere le nostre coste. Serve poi, spiega il Cir, “un Programma Nazionale di Integrazione in favore di chi ha ottenuto lo status di protezione utilizzando fondi nazionali e comunitari esistenti che dovranno essere gestiti in modo più efficace”. Infine, “un sistema unico di accoglienza di richiedenti asilo e anche per un determinato periodo di tempo per chi ha ottenuto protezione, con una “cabina di regia” unica”.
La Commissione invia un parere motivato per i ritardi nel recepimento della direttiva contro la tratta di essere umani (direttiva 2011/36/UE), per cui il nostro paese chiede un’operazione militare comune
Bruxelles, 21 novembre 2013 -
L’Italia vuole un intervento europeo nel Mediterraneo per la gestione dei
flussi migratori e il contrasto alla tratta degli esseri umani, ipotizzando
addirittura un’operazione militare sulla falsa riga della missione
anti-pirateria “Atalanta” nel corno d’Africa, ma scivola proprio sul terreno
che chiede agli altri di percorrere. Il nostro paese non fa certo una bella
figura, ma tant’è: la Commissione europea ha inviato un parere motivato alle
autorità italiane per la mancata attuazione delle norme comunitiarie in materia
di tratta degli esseri umani. E’ la decisione presa in occasione dell’adozione
del pacchetto mensile di infrazioni, una tra le tante (contro il nostro paese i
casi sono ben undici, questo mese) ma la più eclatante, che suona quasi di
‘bocciatura’ per il nostro paese. La decisione l’ha presa Cecilia Malmstrom, il
commissario europeo per gli Affari interni, la stessa – per intenderci
– che ha promesso una vasta operazione dell’agenzia Frontex (responsabile
del controllo delle frontiere esterne) da Cipro alla Spagna.
L’Ue farà la propria parte, ma l’Italia? La direttiva Ue in materia di tratta degli esseri umani “può fare una reale differenza per la vita delle vittime ed evitare altre vittime potenziali”, ricorda e ammonisce Bruxelles. La direttiva prevede azioni in diverse aree, quali le disposizioni del diritto penale, le azioni penali contro gli autori dei reati, il sostegno alle vittime e i diritti delle vittime nei procedimenti penali, la prevenzione e il controllo dell’attuazione. Peccato che l’Italia risulti tra i paesi che non hanno completato il recepimento. Il 29 maggio l’Italia aveva ricevuto una lettera di messa in mora, documento che apre la procedura d’infrazione. La situazione, in sintesi, è la seguente: “Oltre 6 mesi dopo il termine per il recepimento della dittiva e nonostante le lettere di costituzione in mora inviate il 29 maggio 2013, l’Italia ancora notificato alla Commissione le misure nazionali adottate per attuare le norme Ue”. L’Italia, oltre al danno, rischia la beffa: oltre alla gestione dei flussi migratori e al traffico di esseri umani, per cui ha chiesto solidarietà europea, potrebbe ritrovarsi deferita alla Corte di giustizia se entro due mesi non ottempera ai propri obblighi.
La decisione della Commissione europea si somma alle altre nove per cui è stato inviato un parere motivato. Tra queste, il mancato rispetto delle norme Ue per quanto riguarda i ditti dei passeggeri nel trasporto ferroviario. L’Italia, questa la contestazione, “non ha ancora istituito un organismo ufficiale e autorizzato a vigilare sulla corretta applicazione dei diritti dei passeggeri ferroviari nel suo territorio, né ha stabilito norme volte a sanzionare le violazioni della legislazione pertinente”. Mancanze che non consento ai passeggeri che si spostano in treno in Italia o dall’Italia verso altri paesi dell’UE di “non far valere i loro diritti in caso di problemi durante il viaggio”. A oggi l’Italia ha istituito un organismo provvisorio, quando il regolamento Ue avrebbe dovuto essere attuato entro il 3 dicembre 2009. Da qui la richiesta di “intervenire per assicurare la piena conformità alle norme dell’Ue”. Immancabile il richiamo di carattere ambientale, e più precisamente legato alla gestione dei rifiuti. All’Italia si danno due mesi di tempo per trasmettere a Bruxelles “informazioni dettagliate” sulle modalità di recepimento nel diritto nazionale della legislazione dell’UE in materia di stoccaggio del mercurio metallico considerato rifiuto. Qui, da parte dell’Italia, c’è “il mancato rispetto” dei termini di recepimento.
Renato Giannetti
Nuova emigrazione
A prima vista, la scena nel cortile dietro l'ostello Journeys in
King Cross a Londra, assomiglia a un raduno di backpackers in tutto il mondo.
Giovani uomini e donne provenienti da vari paesi europei stravaccati su panche
di legno, arrotolando sigarette, sorseggiando birra e birre chiacchierando.
Eppure, si capisce subito che - a parte una coppia di svedesi confusi - non si
tratta di turisti. Sono, piuttosto, immigrati alla ricerca di appartamenti e
posti di lavoro. I politici britannici e la stampa si preoccupano di rumeni e
bulgari, che presto otterranno il diritto di lavorare in Gran Bretagna. Ma una
migrazione molto più grande è in corso dai vecchi stati membri dell'Unione
Europea. Dal 2010 il numero degli iscritti alla previdenza assicurativa
rilasciata ai cittadini provenienti dall’Europa del Sud o occidentale è balzato
verso l'alto (vedi tabella). L’anno scorso più "vecchi" europei che
"nuovi" hanno lavorato in Gran Bretagna. Eppure questi nuovi
migranti stanno attirando poco ostilità. La loro esperienza dice molto circa
l'atteggiamento britannico verso l'immigrazione in generale. Fino a poco tempo,
i migranti provenienti da paesi come l'Italia erano poco numerosi e benestanti,
dice Beppe Severgnini, giornalista italiana con sede a Londra (che ha in
passato scritto per The Economist). La maggior parte arrivava con un contratto
già in tasca, per lavorare presso banche, fondi
di investimento e società di consulenza. Altri
sono venuti a studiare nelle università più celebri della Gran Bretagna. Il
censimento del 2011 ha evidenziato che, come i francesi, gli immigrati italiani
e spagnoli si sono più concentrati a Westminster e Kensington e Chelsea,
quartieri più ricchi di Londra. Molti altri vivevano a Oxford e Cambridge. Per
i nuovi arrivati è diverso. Gli europei del sud si stanno muovendo in parte a
causa delle opportunità offerte da Londra , ma soprattutto a causa di quelle
che non trovano a casa loro. Josep Maria Soler Cagigal, un ventiquattrenne
dirigente laureato a Barcellona, è tipico. Si trasferisce in Inghilterra sei
mesi fa dopo aver trascorso un anno senza riuscire a trovare un lavoro in
Spagna, dormendo un paio di giorni in un ostello. Si è poi trasferito in un
appartamento condiviso nell’East End ("Non è il migliore, per quello che
costa", egli si lamenta), poi trova lavoro, prima in un Costa Coffee e poi
a Lycamobile, dove raccoglie informazioni da altri colleghi spagnoli. Ad alcuni
immigrati qualificati va abbastanza bene. Sviluppatori web spagnoli possono
ricevere stipendi elevati; economisti italiani lavorano al Ministero del
Tesoro. Ma, come Mr. Cagigal Soler, la maggior parte dei nuovi arrivati tende ad
iniziare col lavoro mal retribuito e vive in appartamentini arrangiati nella
periferia di Londra. Come ottenere qualifiche professionali riconosciute è
costoso e trovare buoni posti di lavoro richiede tempo. Il lavoro nel settore
della ristorazione, invece, è abbondante. Ristoranti italiani, che si sono
serviti a lungo di personale dell'Est Europa, stanno ancora una volta assumendo
camerieri italiani. Coloro che non parlano bene l'inglese o sono comunque poco
preparati, finiscono nella parte peggiore del mercato del lavoro informale
della Gran Bretagna. Francesco Ponzo, un venticinquenne italiano che parla un
ottimo inglese, dice che il primo lavoro che gli è stato offerto era in un
albergo a 25 sterline ($ 40) per un turno di otto ore, circa la metà del
salario minimo legale. Daniela de Rosa dell’ <Italian Project>, una
società di consulenza, si preoccupa di evitare le agenzie che promettono di
trovare posti di lavoro per gli italiani in anticipo e poi non riescono a
fornirglieli. Stranamente, gli inglesi o non li hanno notati o non dispiace
loro questo afflusso. Questo può essere perché i nuovi arrivati non sono
visibilmente in competizione per i servizi pubblici. A differenza dei polacchi
e lituani, le donne italiane e spagnole non mandano ancora i loro bambini nelle
scuole inglesi. La maggior parte degli spagnoli trovano la sconcertante il
servizio sanitario inglese, dice Jorge Ruiz, che gestisce un blog in lingua
spagnola in Gran Bretagna. Essi tendono ad andare a casa loro per le cure
mediche o dentistiche. Anche se alcuni richiedono i benefit sociali, non è
facile ottenerli , perché il sistema di welfare britannico non è
particolarmente generoso. Una grande differenza tra questa ondata migrante e
quelle precedenti è che questa ha carattere circolare. Pochi europei del sud si
aspettano di rimanere in Gran Bretagna in modo permanente. Il costo delle
abitazioni è troppo alto, il clima è troppo tetro, la nostalgia di familiari e
amici a casa può essere contrastata solo per poco tempo.
Se l'economia della zona euro recupera, molti torneranno a casa, i loro curricula rafforzati dall’esperienza all'estero. In effetti questo tipo di migranti simili è quasi invisibile a Londra. Fino a pochi anni fa era difficile camminare dalle parti di Clapham di Venerdì sera senza inciampare in australiani ubriachi. Ora sono stati sostituiti dagli italiani. (*) PIGS in linguaggio mediatico inglese è un acronimo per portoghesi, irlandesi, greci e spagnoli.
Europa
(www.immigrazione.biz)
Vediamo come funziona la Carta Blu UE relativa agli ingressi
extra quota, e quali sono i due principali requisiti da soddisfare per poterla
ottenere - La
Carta Blu UE diventa operativa anche in Italia. Il d. lgs. 108/2012, emanato il
28 giugno scorso, ha recepito quanto scritto nella direttiva comunitaria
2009/50/UE in merito all'ingresso e al soggiorno degli stranieri muniti di un
profilo altamente qualificato.
Si tratta a tutti gli effetti di una nuova tipologia di permesso di soggiorno,
anche conosciuta come "ingresso extra quota", che
va ad aggiungersi ai canali di ingresso già previsti dal Testo Unico
dell'Immigrazione. Tuttavia laCarta Blu UE è uno
strumento riservato ad una stretta cerchia di persone: dal momento in cui ci
troviamo dinanzi a un mezzo pensato per permettere allo straniero di poter svolgere un lavoro altamente
qualificato, risulta naturale che la Carta Blu venga concessa solo ed
esclusivamente ad un limitato raggio di richiedenti.
In particolar modo, lo strumento in questione riguarda tutti gli stranieri che rispondano
ad un profilo di alta qualificazione, come possono esserlo
individui in possesso di un titolo di studio universitario (laurea triennale,
laurea magistrale ecc.). A tal proposito la norma limita il rilascio della
Carta UE a coloro i quali abbiano una qualifica professionale riconducibile ai
livelli 1, 2 e 3 della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011.
In secondo luogo, quanti fanno domanda
di ingresso extra quota devono stipulare un contratto di lavoro la cui
retribuzione minima annua sia di almeno 25mila
euro circa(per la precisione, 24.789€ relativamente all'anno 2012),
ovverosia il triplo del livello previsto per l'esenzione dalla spesa sanitaria.
Insomma, la Carta Blu UE porta con sé una ventata di buone novità per gli
stranieri che intendono soggiornare stabilmente in Italia, sebbene la sua
operatività non sia ancora entrata a pieno regime. Affinché il meccanismo possa
definirsi attuativo, occorre infatti attendere le prassi applicative che gli
Sportelli Unici per l'Immigrazione devono ancora emanare.
Bruxelles, 25/11/2013 - The joint responsibility of Member States and the EU institutions to uphold EU citizens' rights to live and work in another EU country is underlined in a policy paper just adopted by the European Commission. The Commission's paper outlines five concrete actions to help national and local authorities to:
§ Fight marriages of convenience: the Commission will help national authorities implement EU rules which allow them to fight potential abuses of the right to free movement by preparing a Handbook on addressing marriages of convenience.
§ Apply EU social security coordination rules: the Commission is working closely with the Member States to clarify the 'habitual residence test' used in the EU rules on social security coordination (Regulation 883/2004/EC) in a practical guide that will be produced by the end of 2013.
§ Address social inclusion challenges: help Member States further use theEuropean Social Fund to tackle social inclusion.
§ Promote the exchange of best practices amongst local authorities.
§ Ensure the application of EU free movement rules on the ground: the Commission will also set up by the end of 2014, in cooperation with Member States, an online training module to help staff in local authorities fully understand and apply free movement rights of EU citizens.
The Communication analyses the impact of mobile EU citizens on the welfare systems of host Member States. The factual evidence overwhelmingly suggests that most EU citizens moving to another Member State do so to work. They are more likely to be economically active than nationals and less likely to claim social benefits.
In fact, the percentage of mobile EU citizens who receive benefits is relatively low, compared to Member States' own nationals and non-EU nationals. In most Member States mobile EU citizens are net contributors to the host country's welfare system.
With over 14 million EU citizens resident in another Member State, free movement – or the ability to live, work and study anywhere in the Union – is the EU right most cherished by Europeans. EU workers have been benefitting from this right since the dawn of the European Union, with the principle enshrined in the first European Treaty of Rome in 1957.