05 febbraio 2013

Reclusi senza un perchè
il manifesto, 05-02-2013
Susanna Marietti
Ci hanno lasciati entrare. Erava-mo un bel numero, una trentina, ieri mattina dentro il Centro di Identiflcazione ed Espulsione di Ponte Galeria a Roma. Giornalisti, candidati al Parlamento quali Ilaria Cucchi e Roberto Natale, rappresentanti di associazioni che hanno aderito alla campagna LasciateCIEntrare, coordinata da Gabriella Guido e nata nell'aprile 2011 all'indomani della circolare coh cui l'ex ministro Maroni voleva impedire l'ingresso agli organi di informazione nei Centri della detenzione amministrativa per stranieri.
Ieri ci hanno lasciati entrare, ma è troppo poco. Là dentro bisogna tornarci. E bisogna tornarci una, due, cento volte. E bisogna tornarci tutti. Ci deve tornare il prossimo Parlamento, che appena insediato deve dimostrare di saper mettere la tutela dei diritti umani al centro della propria attività. LasciateCIEntrare si rivolge a tutte le forze politiche affinché prendano un impegno specifico riguardo i Cie, nella ricerca di soluzioni che vadano verso la loro chiusura e nello studio di nuove modalità di identificazione dello straniero. «We don't want to stay here», urlava aggrappato alle maglie della grata un ragazzo nigeriano circondato dai compagni. Tutti urlavano. Che mancava l'acqua, che non sapevano perché si trovavano li, che i documenti li avevano in regola. Scuotevano le inferiate lanciandoci i loro messaggi e sperando che noi potessimo fare qualcosa per loro. «Perché voi siete liberi e a noi ci trattano cosi?», ha gridato un uomo. Ma la domanda è rimasta schiacciata sulla cancellata che ci divideva. Che ne so perché? Non c'è alcun motivo. Le stanze degli uomini non ce le hanno fatte vedere. Forse perché erano cosi rumorosi e temevano problemi. O forse perché facevano davvero schifo, come loro stessi ci raccontavano tra le sbarre. «Abbiamo un bagno in otto perché l'altro non funziona e tutto è davvero lurido». «Il cibo che ci danno non lo mangerebbero neanche i cani». «Il riscaldamento spesso non funziona, dipende dalla fortuna». «Io vengo dalla prigione, ma li stavo mille volte meglio».
In carcere quanto meno ci sono delle regole. C'è una legge, l'ordinamento penitenziario, e ci sono dei regolamenti. C'è la magistratura di sorveglianza che dovrebbe vigilare sui diritti umami. Qui non c'è niente. «Sono qui da otto mesi, ho mia moglie fuori, non capisco cosa vogliano da me». Di mediatori culturali che glielo spieghino neanche l'ombra. A gestire il Centro è la cooperativa Auxilium. Il responsabile ci spiega che per ogni "ospite" prendono una retta di 41 euro giornalieri. Di questi, 34 euro sono usati per pagare gli stipendi dei lavoratori di Auxilium e solo i restanti sette per i servizi agli stranieri rinchiusi, assistenza sanitaria e cibo compresi. «La pasta è intoccabile, nemmeno i gatti che girano per il Centro se la mangiano», ci dice una donna. Nella sezione femmini- le ci lasciano i cancelli aperti. Entriamo liberamente dove vogliamo. Le stanze sono misere, disadorne, senza quasi mobili oltre alle brande, ma non sono peggio di quelle di un carcere. Il piccolo vano adiacente ha il bagno alla turca e i panni stesi al muro. «Sono qui da un mese e mezzo e ho perso già tre chili», racconta una ragazza. «Il cibo è immangiabile. Il bagno è rotto e non scarica. Uno schifo. Ho preso un'infezione e il medico mi ha dovuto dare degli ovuli». Viene da Cuba, aveva sposato,un italiano. Avrebbe dovuto avere una carta di soggiorno che pero, dice, non le hanno' mai dato. La scorsa estate ha divorziato e adesso è considerata irregolare. «Apri- temi», urla a squarciagola una donna dal fondo del cortile. Le vado incontro. Smette di urlare per parlarmi. È bella, la pelle nera e gli occhi verdi, i capelli raccolti in ordinatissime treccine. Vive in Italia da 23 anni, mi racconta. L'hanno venduta da ragazzina, è arrivata vittima della tratta. «Ma ogni donna vuole avere una casa e una famiglia», e dunque ha sposato uno spacciatore. Ha avuto due figli. «Ma visto come l'Italia aveva trattato me, entrambe le volte sono andata a partorire in America, cosi i miei figli sarebbero stati piu tutelati». Poi glieli hanno tolti. «Ma loro mi hanno cercata, mi hanno trovata, e continuiamo ancora a vederci di nascosto. Anche qua dentro mi telefonano. Stanno rinchiusi in un istituto, a Genova». Lei è finita in carcere a causa dell'attività del marito. Una volta scontata la pena per intero l'hanno portata direttamente al Cie, nonostante gli oltre due decenni trascorsi nel nostro civilissimo Paese.
Un paio di mesi fa il Parlamento uscente ha ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura. Ci abbiamo messo dieci anni, ma finalmente ce l'abbiamo fatta. Esso impone all'Italia di dotarsi entro un anno - ma il governo tecnico si è dimenticato di depositare presso l'Onu la ratifica, e i dodici mesi ancora non hanno cominciato a scorrere... - di un meccanismo di controllo indipendente di tutti i luoghi di privazione della libertà. Tutti. Inclusi quelli della detenzione amministrativa. Se in molti casi Regioni e Comuni, stanchi di aspettare una normativa nazionale, si sono dotati autonomamente di un garante dei diritti dei detenuti, nessuno oggi garantisce istituzionalmente i diritti di chi ci parlava aggrappato a quella grata senza per questo aver commesso alcun reato. Un bel segnale potrebbe dare il nuovo Parlamento che va a breve a formarci: mettere in agenda immediatamente la creazione di tale figura che la comunità internazionale ci richiede.



Digiuno di solidarietà di don Colmegna per la scarcerazione di una donna rom
Avvenire, 05-02-2013
Digiuno a oltranza di don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano, per protestare contro l'incarcerazione di Anna, rom di 27 anni con tre figli, nel 2006 denunciata per accattonaggio e finita in carcere tre settimane fa dopo che si era ricostruita una vita.
«È la dimostrazione che in cella finiscono le persone che non ci dovrebbero entrare, spesso le più deboli e indifese», è il commento del sacerdote. Anna deve scontare sei mesi nel penitenziario di Como e non sapeva di essere stata condannata: le era stato assegnato un avvocato d'ufficio, che non l'ha mai avvisata del processo e della condanna.
«Digiunerò fino a quando non verrà scarcerata. L'abbiamo aiutata a costruirsi una vita onesta e autonoma, non è possibile che si distrugga così tutto il nostro lavoro», aggiunge il sacerdote che ha presentato oggi, a Palazzo Marino, l'appello “Carcere, diritti e dignità”, promosso anche dall'associazione Antigone Lombardia, Avvocati per niente, Asgi, Camera penale di Milano e Centro Ambrosiano di solidarietà, Osservatorio carcere e territorio Milano. «Abbiamo deciso di lanciare l'appello perché ormai la situazione negli istituti di pena lombardi è insostenibile - sottolinea Corrado Mandreoli dell'Osservatorio -. Sovraffollamento, carenze igieniche, mancanza di risorse per progetti di reinserimento, sono solo alcuni dei problemi. E tutti devono farsene carico». Fino a venerdì 8 febbraio le associazioni organizzeranno eventi per sensibilizzare i cittadini milanesi.
Nell'appello i promotori chiedono la depenalizzazione dei reati minori, più pene alternative alla detenzione e la cancellazione di tre leggi: la Fini-Giovanardi sugli stupefacenti, la Bossi-Fini sull'immigrazione e la ex-Cirielli sulla recidiva. «Tutte norme che stanno riempiendo le carceri di persone che hanno commesso piccoli reati e che potrebbero più efficacemente essere seguite con altre misure», ricorda Antonella Calcaterra della Camera penale di Milano.
Nelle carceri lombarde sono rinchiusi 9.370 detenuti e 240 sono gli internati. «Siamo alla vigilia della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, ma la Lombardia vanta ancora il primato della regione con più internati», sottolinea Calcaterra che racconta il caso di un giovane di 38 anni, dal '95 rinchiuso in diversi Opg (ne ha passati ben 11). «Non viene scarcerato perché la Regione e i servizi territoriali non vogliano farsi carico della sua assistenza -spiega Antonella Calcaterra-, come lo stesso giudice di sorveglianza, nel luglio 2012, ha denunciato».



«Digiuno» per la donna rom Don Colmegna nella bufera
il Giornale Milano, 05-02-2013
Chiara Campo
Uno sciopero della fame «a oltranza». Preferisce chiamarlo «digiuno», forse perchè si addice meglio al personaggio o per distinguersi dal leader dei radicali Marco Pannella, anche se copia toni e metodo.
«Certe situazioni intollerabili vanno gridate» attacca don Virginio Colmegna. Che non è politico ma non ha mai disdegnato la prima fila nelle manifestazioni di sinistra, è stato un supporter di Giuliano Pisapia come lo è ora di Umberto Ambrosoli per la Regione. E in piena campagna elettorale, e in vista della visita domani al carcere di San Vittore del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alza l'attenzione sulla questione delle carceri affollate. E annuncia un'iniziativa shock per la liberazione di una nomade detenuta a Como. «Digiunerò finchè non sarà scarcerata» ha avvertito ieri a Palazzo Marino. La donna, una romena di 27 anni con tre figli, deve scontare una pena di 6 mesi per un episodio di accattonaggio con minore che risale al 2006. «Da allora - la difende Colmegna - ha compiuto un grande percorso, è stata seguita da volontari, ha interrotto i legami con gli altri nomadi». Nel 2010 è stata accolta alla Casa della Carità che lui dirige e ora vive in un'altra città «dove ha casa, lavoro, è stimata, i suoi figli vanno alle elementari e all'oratorio. Dopo tanti sforzi suoi e dei volontari per raggiungere questa autonomia, sono arrivati i carabinieri per portarla in carcere a Como, a scontare la pena di 6 mesi passata in giudicato». In questi casi «il carcere non serve, non dà una risposta». Per questo ha scelto il digiuno, nei giorni della visita del capo dello Stato.
Si uniscono all'appello due assessori della giunta Pisapia. «Obiettivo delle istituzioni quando viene commesso un reato è avviare un percorso di reinserimento - afferma Marco Granelli (Sicurezza) -. La magistratura di Como faccia ricorso a pene alternative». Pierfrancesco Majorino (Servizi sociali) si allinea e annuncia per sabato una giornata di mobilitazione cittadina sul tema delle carceri affollate: «Chiederemo ai milanesi di donarci libri che porteremo a San Vittore, Opera, Bollate e Beccaria». Il leghista Matteo Salvini invita invece don Colmegna «a fare un altro sciopero della fame per tutte le mamme e le nonne derubate o aggredite ogni giorno dai rom a Milano». E Riccardo De Corato (Fratelli d'Italia) lo avvisa che «quando parla di rom tende spesso a confodersi, ma se la redenzione vale per la donna allora il principio va esteso a tutti i carcerati di San Vittore, mandiamo tutti a casa se si sono pentiti?». Anche per l'assessore leghista in Provincia Stefano Bolognini «Colmegna ha tutto il diritto di prendersela con la giustizia lenta ma l'impressione è che usi due pesi e due misure. Si preoccupa dei rom e non degli italiani in carcere in attesa di giudizio».
    


"Quella mano nera è un insulto agli immigrati" Brescia, lite su campagna anti-scrocconi nei bus
Il Comune di nuovo nella bufera. Cgil e sinistra: "Odiosa iniziativa che vuole mettere ancora una volta alla gogna gli stranieri. Ritiratela". Tre anni fa la stessa azienda brevettò il guanto anti-germi sui mezzi usati da extracomunitari
la Repubblica, 02-02-2013
PAOLO BERIZZI

BRESCIA - L'hanno chiamato così: "Messaggio per appellarsi al senso civico degli utenti". Dove gli utenti, in questo caso, sarebbero i "portoghesi" che viaggiano senza biglietto. Ma per i maghi del marketing di Brescia Mobilità gli scrocconi hanno un colore specifico. Anzi: hanno le mani nere. E così, per combattere gli abusivi delle corse urbane, sulle fiancate degli autobus i responsabili del trasporto pubblico hanno pensato di appiccicare appunto una manona nera (i "portoghesi") in mezzo a degli omini bianchi (i passeggeri regolari). Alla faccia del "senso civico". Sulla mano è riportato questo invito: "8 su 100 restino a casa!", con riferimento alla percentuale di furbetti rilevata dai controllori a bordo dei mezzi pubblici (equamente divisa, per giunta, tra italiani e immigrati). È il fiore all'occhiello della nuova "campagna di comunicazione per la prevenzione all'evasione tariffaria" messa in campo da Brescia Mobilità, l'azienda dei trasporti gestita dal Comune. Una provocazione per immagini che in città sta sollevando polemiche, e che da molti è ritenuta "gravissima", "discriminatoria", "di cattivo gusto".
Un fronte comune composto da Cgil, Pd, Sel, Cobas trasporti, Associazione diritti per tutti, ne chiede l'immediato ritiro: o che almeno la campagna venga rivista. "L'idea è della giunta, che sul tema immigrati si è già distinta in passato con iniziative diciamo bizzarre
- attacca Damiano Galletti, segretario della Camera del lavoro - Con la mano nera e l'invito a rimanere a casa, questa odiosa iniziativa vuole mettere ancora una volta alla gogna gli stranieri. In un momento oltretutto di crisi diffusa, e che non ha colori".
Lo spot della "mano nera" è stato presentato mercoledì da Marco Medeghini e Luigi Meleleo, rispettivamente presidenti di Brescia Mobilità e Brescia Trasporti. Per nulla preoccupati del rischio gaffe, i due dirigenti hanno prima snocciolato i dati sui cittadini con il vizio di viaggiare gratis - che in due anni sono quasi raddoppiati (dal 5 per cento del 2010 all'8 per cento del 2012, 20mila le multe elevate l'anno scorso) - poi, anticipata l'introduzione di steward e verificatori sul metrò, hanno lanciato la campagna provocatoria. Che ha un triste precedente.
Tre anni fa Brescia Trasporti brevettò il guanto di lattice anti-germi sul bus degli immigrati (la linea 3): provvedimento poi ritirato sotto l'onda delle proteste. Nella provincia che ha, percentualmente, il più alto numero di stranieri, è lungo l'elenco di iniziative e delibere anti-immigrati di molti amministratori (soprattutto leghisti). È ancora vivo il ricordo della vicenda dei bonus bebè negati ai bambini stranieri: una vicenda per la quale il sindaco di Brescia, Adriano Paroli, è stato più volte condannato dal tribunale. Tornando indietro negli anni, altri episodi balzarono alle cronache sempre nel bresciano: il servizio di bus scolastici tolti ai bambini rom; la sospensione del servizio mensa per i figli di famiglie con debiti (la maggior parte straniere); le restrizioni per gli affitti abitativi degli immigrati e, ultima della serie, la "schedatura" pre-matrimoniale dei cittadini stranieri (dirottati negli uffici della polizia municipale al momento della richiesta delle partecipazioni).
Tutto questo accade nella provincia della scuola di Adro, la stessa contea del "Bianco Natale" varato quattro anni fa dalla giunta leghista di Coccaglio, dove i vigili andarono casa per casa a controllare gli extracomunitari per togliere la residenza a chi non era in regola. Ora tornano in auge gli autobus: e dopo i guanti bianchi di lattice, ecco la mano nera. "È un'iniziativa grave e recidiva", tuona Maurizio Murari, dei Cobas trasporti. La rete formata da Radio Onda d'Urto, Magazzino 47 e Associazione diritti per tutti promette iniziative per chiedere di stoppare o modificare la campagna di Brescia Mobilità. Lo stesso invito arriva da Alfredo Bazoli, consigliere comunale Pd candidato alla Camera. "Se non c'è malafede, come mi auguro, c'è stata come minimo una colpevole sottovalutazione del messaggio subliminale che viene veicolato. Non può e non deve passare la colpevolizzazione degli immigrati per la violazione dell'obbligo tariffario".



La Germania sta crescendo grazie ai suoi immigrati.
Lo affermano recenti studi. L’ondata migratoria dei cosiddetti ospiti-lavoratori è iniziata 60 anni fa e ora non solo sono insostituibili, ma se ne auspicano di più.
Immigrazioneoggi, 05-02-2013
7,1 milioni di persone vivono in Germania senza passaporto tedesco e 8,6 milioni presentano un cosiddetto “background migratorio”, secondo un’analisi sul mercato del lavoro condotta dall’Agenzia del lavoro tedesca. In totale, 15,7 milioni di persone con una storia di immigrazione alle spalle vivono in Germania, cioè circa il 19% della popolazione tedesca.
Due giornalisti tedeschi, Pitt von Bebenburg e Matthias Thieme, hanno esaminato l’importanza dell’immigrazione per la Germania ipotizzando uno scenario senza immigrati e pubblicando i risultati dei loro studi nel libro Germania senza stranieri. “Non ci sarebbe nessun aspetto della vita che non ne verrebbe toccato”, afferma von Bebenburg. “Avrebbe l’impatto più drammatico nelle aree altamente popolate della Germania occidentale”. Francoforte, ad esempio, perderebbe un intero quartiere. 3,4 milioni di stranieri lavorano in tutti i settori economici del mercato tedesco, a cominciare da quello gastronomico che ha la più alta percentuale di lavoratori stranieri con il suo 20%. Tuttavia, l’importanza dell’immigrazione in Germania va al di là delle statistiche sul mercato del lavoro. “L’immigrazione contribuisce anche in termini di competenze interculturali”, sostiene Ayse Demir, esponente della comunità turca in Germania. La diversità multiculturale è diventata parte della vita di tutti i giorni e l’ 1,8 milioni di matrimoni tra tedeschi e non tedeschi lo dimostra. Numeri, tra l’altro, in costante aumento.
Uno studio dell’Istituto tedesco di ricerca economica documenta che più del 20% degli immigrati sono lavoratori altamente qualificati e personale manageriale. Sempre più dottori, ingegneri e periti informatici giungono in Germania da Spagna, Portogallo e Grecia, a causa della crisi nell’eurozona. Nonostante ciò, l’esperto di immigrazione Klaus Bade, che ha guidato il Consiglio di esperti delle fondazioni tedesche sull’integrazione e la migrazione, sostiene che non mancano risentimenti e diffidenze verso alcune categorie di immigrati, come i Rom, che rischia “di distorcere la visione verso romeni e bulgari”, nonostante siano molti i lavoratori altamente qualificati che provengono da questi Paesi. Anche i musulmani costituiscono una eccezione: studi mostrano come sia cresciuto un sentimento anti-islamico giustificato con il fatto che possono essere fonte di fondamentalismo.
In generale, tuttavia, emerge un quadro positivo nella percezione dell’immigrazione in Germania: secondo l’ Istituto tedesco di ricerca economica di Colonia, sia i tedeschi che la popolazione immigrata hanno opinioni simili circa il tema dell’immigrazione. Il 60% di entrambi i gruppi concorda che più lavoratori qualificati dovrebbero giungere in Germania e il 70% di entrambi i gruppi vuole fare di più per incoraggiare l’integrazione.
(Samantha Falciatori)

Share/Save/Bookmark