Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n.2 del 10 gennaio 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
La crisi economica azzera i flussi migratori? “Gli immigrati abbandonano l’Italia colpita dalla recessione”. La stampa internazionale, dopo lo scandalo dei richiedenti asilo nordafricani, torna a parlare dell’immigrazione in Italia, questa volta – come titolava il Financial Times del 6 gennaio – con un’inchiesta sui cinesi che stanno lasciando Roma alla ricerca di “pascoli più verdi”, quali il Canada o la stessa Cina in pieno sviluppo economico. Per il demografo Golini “il basso tasso di nascite e l’invecchiamento della popolazione italiana pongono una grave ipoteca sull’economia”, e sono alla base della presente recessione economica.
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SOMMARIO
Appuntamenti pag. 2
Immigrati in fuga per la crisi? pag. 2
Cittadinanza e voto: la CEI rilancia pag. 3
Rivolta nei Cie: “fu legittima difesa” pag. 4
Unar a caccia di idee: bando agli iscritti rete Near pag. 6
Notizie in breve pag. 6
Scheda su lavoro domestico pag. 7
Esteri: Usa, spese record per controllo immigrati pag. 8
Immigrants abandoning recession – hit Italy pag. 8
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 10 gennaio 2013, ore 11. Largo Chigi
Unar: riunione cabina di regia
(Giuseppe Casucci)
Torino, 15 gennaio 2013, ore 10.00
Convegno UIL – Ital su immigrazione
(Guglialmo Loy)
Roma 16 gennaio 2013, ore 09.30, Villa Aldobrandini
ILO/CIR - Conferenza: “RE-LAB: start up your business”
(Giuseppe Casucci)
(Giuseppe Casucci)
Società
La crisi economica e la forte recessione fanno sempre più paura agli immigrati, che fuggono così verso nuovi paesi dove le prospettive di lavoro e di crescita sono migliori
Roma, 7 gennaio 2013 – Questa è la conclusione di un’analisi condotta dal Financial Times, che sta dedicando un’ampio spazio di servizi sul nostro paese prendendo spunto dalla recente alleanza siglata tra Silvio Berlusconi e la Lega Nord di Maroni. Il quotidiano londinese sottolinea l’inversione dei flussi migratori che interessa principalmente la comunità cinese, nonostante che il fenomeno si sta manifestando a macchia d’olio anche tra altre comunità e gruppi stranieri. “No business, no work”, scrive il Financial Times. Allora perché non fare ritorno in Cina, che ormai offre standard di vita qualitativamente buoni per moltissimi cittadini? sostiene il giornale inglese pubblicando dichiarazioni di immigrati provenienti dalla Cina. Una delle mete più ambite sempre secondo il quotidiano inglese, è il Canada visto ora più che mai dai flussi migratori come una sorta di “terra promessa”. Il fenomeno sta cominciando ad interessare anche le comunità latino americane, vista la spinta verso una direzione di crescita e di ripresa che sta riguardando molti paesi del continente sud americano. Qualche italiano contrario all’immigrazione potrebbe tirare un sospiro di sollievo, ma si sbaglia, fa notare il quotidiano inglese, in quanto il paese è sempre più vecchio e gli stranieri, quasi esclusivamente giovani, sono una boccata d’ossigeno e una buona fetta dell’economia nazionale anche se la disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto dei livelli molto preoccupanti. Da qui all’occasione per dare l’ennesima stoccata all’odiato Berlusconi il passo è stato breve. Il quotidiano britannico attacca il Cavaliere, accusando l’ex premier italiano di continuare ad appoggiare coloro che credono che gli immigrati rubano il lavoro agli italiani nel disperato tentativo di guadagnarsi i loro voti. Ma ora la questione non è se appoggiare o meno il fenomeno immigrazione: il vero obiettivo dei politici in Italia, sostiene il Financial Times, deve essere quello di portare il paese fuori dalla crisi economica dettata da una forte recessione.
Leggi l’articolo sul Financial Times: Immigrants abandoning recession-hit Italy
Cittadinanza
Roma, 8 gennaio 2013 – Più del 70% degli italiani e'
favorevole alla cittadinanza per i figli degli immigrati e al diritto di voto
amministrativo. Ma in Parlamento giacciono ben 23 proposte, a scapito della
rapidità nella modifica della Legge del 1992, così che 650.000 figli di
immigrati nati in Italia non possono essere riconosciuti come italiani. Lo
ricordano i vescovi italiani, che in vista della Giornata mondiale del migrante
che si celebra domenica prossima, invitano anche a ''rilanciare tutte le misure
alternative alla detenzione'', contro il ''sovraffollamento'' delle carceri e
ricordano le nude cifre della condizione di migranti in Italia. Da parte sua il
direttore del ''Centro Astalli'' per i rifugiati, padre Giovanni Lamanna, ha
esplicitamente lamentato su twitter l'assenza dei problemi di rifugiati e
immigrati dal dibattito e dai programmi preelettorali. Eloquenti le cifre. ''Lo
sfruttamento lavorativo degli immigrati - ha ricordato il direttore generale
della fondazione della Cei, Migrantes, Giancarlo Perego - si evince dalle buste
paga: quelle degli uomini sono il 30% più leggere e per le donne addirittura il
40%, di quelle dei lavoratori italiani''. Nelle carceri della Penisola,
denuncia ancora il prelato, ci sono 15.000 immigrati senza permesso di
soggiorno, mentre tra le 35.000 prostitute e' altissimo il numero di immigrate;
infine ''oltre mille discriminazioni documentate sui media, agli sportelli o
nel sistema scolastico - afferma il direttore di Migrantes - sono contro
immigrati''. La Chiesa italiana sa che ''l'immigrazione non e' un problema
semplice: evoca passioni e dibattiti di sicurezza nazionale, economica, legali,
sociali; ma - sottolinea il presidente di Migrantes, Paolo Schiavon - coinvolge
anche la dignità fondamentale e la vita della persona''. ''La maggior parte
degli anziani italiani che muoiono in casa, dice mons. Schiavon ''lo fanno tra
le braccia non solo dei familiari, ma anche di una badante, spesso
extracomunitaria'', tante dall'America Latina. Forse anche per questo e' ormai
matura, a giudizio dei vescovi, la consapevolezza non solo culturale ma anche
sociale e politica, del fatto che gli immigrati sono una ''risorsa''. E questo,
anche se la crisi economica incide anche sulla immigrazione: ''come e' noto
mancano al numero ufficiale 800mila immigrati: dove sono? Nell'irregolarità? In
altri paesi?'', ha detto mons. Perego, sottolineando che nell'ultimo anno gli
immigrati in Germania sono aumentati di mezzo milione, e che tra loro ci sono
46mila italiani. Secondo i calcoli di Migrantes, inoltre, rispetto ai 25.000
del 2011, oggi sono solo 10.000 gli stranieri impiegati in impieghi di
assistenza nelle famiglie italiane. La Chiesa ricorda poi mons. Bruno
Schettino, scomparso lo scorso settembre, che usava trascorrere il suo
compleanno, il 5 gennaio, con gli immigrati del centro di Castelvolturno, dove
questo 5 gennaio sono andati invece i suoi familiari. ''Mons.Schettino - ha
detto il portavoce della Cei Domenico Pompili - e' la figura sintetica della
prossimita' della Chiesa verso gli immigrati''. Prossimità che alcuni ricordano
anche quando lasciano l'Italia: a Londra, ha raccontato mons. Schiavon, nella
missione cattolica italiana ci sono 56 africani che hanno vissuto nel nostro Paese.
Flussi
Finora solo 4 mila domande. Sarà possibile inviarle fino al 30 giugno. Malandrino (Interno): “Si potranno soddisfare tutte le richieste”
Roma –
7 gennaio 2013 - Avanti, c’è posto. Le quote per le conversioni dei permessi di
soggiorno messe in palio dall’ultimo
decreto flussi non
sono ancora esaurite. Che non ci fosse nessuna corsa ad accaparrarsele era già chiaro pochi giorni dopo il 7 dicembre, quando
si è aperta la presentazione online delle domande. A un mese di distanza dal
“via”, gli ultimi dati diffusi dal Viminale confermano che poco è cambiato: a
fronte di poco meno di dodicimila quote previste complessivamente per le
conversioni, finora sono state inviate circa quattromila domande.
Le richieste riguardano soprattutto la conversione di permessi stagionali in permessi per lavoro subordinato (1780 domande, con per 4 mila quote disponibili) e di permessi per studio in permessi per lavoro subordinato (1234 domande per 6 mila quote disponibili). Presentando la domanda adesso (qui i dettagli), si hanno quindi ottime chance e, visto l’andazzo, converrà comunque provarci fino al 30 giugno, ultima data utile per l’invio. I dati aggiornati sono stati pubblicati oggi dal Sole 24 Ore. Il direttore per le Politiche dell'immigrazione e dell'asilo del ministero dell’Interno, Angelo Malandrino, commenta sul quotidiano: “Le quote programmate sono sufficienti a soddisfare la domanda potenziale e l’arco di tempo concesso per presentare l’istanza consente di evitare qualsiasi tipo di rincorsa”. EP
Giurisprudenza
(www.stranieriinitalia.it) Tre immigrati trattenuti nel centro d’espulsione di Crotone erano imputati per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Il giudice non li punisce: erano lì illegittimamente e in condizioni al “limite della decenza” , quindi reagirono a "offese ingiuste".
Roma – 8 gennaio 2012 - Dal 9 al 15 ottobre
scorso tre cittadini stranieri, un tunisino, un algerino e un marocchino,
furono i protagonisti di una rivolta nel centro di identificazione ed
espulsione di Isola capo Rizzuto, Crotone. Tra le altre cose, salirono sul
tetto e lanciarono sulla Polizia suppellettili, rubinetti e grate. Lo fecero,
però, per “legittima difesa” e quindi non risponderanno dei reati di danneggiamento
e di resistenza a pubblico ufficiale. Ad assolverli, il 12 dicembre scorso, è
stato il Tribunale di Crotone, con il giudice Edoardo D'Ambrosio
che ha sposato la linea dei difensori, gli avvocati Natale De Meco, Eugenio
Naccarato e Giuseppe Malena. E non ha accolto la richiesta del pm Francesco
Carluccio, che voleva una condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione. Secondo
D'Ambrosio, quella rivolta era una “difesa proporzionata all'offesa”.
Innanzitutto perché i provvedimenti di trattenimento “erano privi di
motivazione, e dunque illegittimi alla luce dell'articolo 15 della direttiva n.
115 del 2008, così come interpretato dalla Corte di Giustizia europea”.
Omettevano infatti “del tutto l'indicazione delle ragioni specifiche in forza
delle quali non era stato possibile adottare una misura coercitiva meno
afflittiva del trattenimento presso il Cie”. C’erano poi da considerare le
condizioni di vita nel centro, con “materassi luridi, privi di lenzuola e con
coperte altrettanto sporche, lavabi e “bagni alla turca” luridi, asciugamani
sporchi, pasti in quantità insufficienti e consumati senza sedie né tavoli”.
Strutture ”al limite della decenza”, cioè, ha spiegato il giudice, “non
convenienti alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E,
si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente
soggiornanti sul territorio nazionale. Lo standard qualitativo delle condizioni
di alloggio non deve essere rapportato a chi magari è abituato a condizioni
abitative precarie, ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di
razza”. Gli imputati sono stati quindi vittima di “offese ingiuste”, alle quali
hanno opposto una “legittima difesa”. Senza alcuna sproporzione, anzi: “il
confronto tra i beni giuridici in conflitto – si legge nella sentenza - è
pacificamente a favore dei beni difesi (dignità umana e libertà personale),
rispetto a quelli, offesi, del prestigio, efficienza e patrimonio materiale
della pubblica amministrazione”.
Sanità
http://www.stranieriinitalia.it/
Dal pediatra per i figli dei clandestini alla tessera sanitaria per chi attende il primo permesso o la regolarizzazione. Ecco l’accordo tra Stato e Regioni che estende a tutta l’Italia le buone prassi per l'accesso al Ssn. In nome della Costituzione
Roma
– 8 gennaio 2013 – Nessuno escluso. In nome dell’articolo 32 della
Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti”. Si muovono in questa direzione le “Indicazioni per
la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla
popolazione straniera” sulle
quali governo, regioni e province autonome hanno raggiunto un accordo il 20
dicembre. In una sessantina di pagine si fanno corrispondere ai tanti volti
dell’immigrazione (adulti, anziani o bambini, lavoratori, studenti o
disoccupati, regolari o clandestini, extraue o comunitari...) altrettante
regole per l’accesso alle cure. Dicono finalmente con chiarezza chi ha diritto
a che cosa, uno strumento utile ai cittadini stranieri quanto agli operatori
sanitari. Un accordo, per una volta, al rialzo. Perché, tecnicamente, non dice
nulla di nuovo, basandosi solo su leggi esistenti e su buone prassi già in
vigore in diverse Regioni. La novità importante sta nell’averle scelte e messe
insieme, in modo che siano applicate uniformemente in tutto il territorio
nazionale, soprattutto dove finora erano tutt’altro che scontate. Ecco allora l’iscrizione
obbligatoria dei minori al Servizio sanitario nazionale indipendentemente dalla
regolarità del soggiorno, un punto che garantisce anche ai figli dei
clandestini di essere seguiti da un pediatra. Oppure l’iscrizione obbligatoria
al Ssn anche per chi attende il primo rilascio del permesso di soggiorno o per
il lavoratore per cui è stata presentata una domanda di regolarizzazione. L’accordo
sancisce, tra le altre cose, che gli anziani arrivati in Italia con un
ricongiungimento familiare possono iscriversi volontariamente al Ssn versando
un contributo, e non sono quindi obbligati a stipulare privatamente
un’assicurazione sanitaria. Un principio che, tanto per dire, in Lombardia è
stato affermato solo dopo la sentenza di un tribunale. Altri chiarimenti
riguardano l’assistenza sanitaria agli immigrati irregolari, ai quali vanno
comunque garantite le cure urgenti ed essenziali. Una categoria relativamente
vasta, nel quale ora rientrano espressamente anche i trapianti, compreso quello
di midollo osseo, per i quali gli stranieri sono equiparati ai cittadini
italiani anche se non hanno un permesso di soggiorno. Si ribadisce anche
(e conviene farlo spesso) che “l’accesso alle strutture sanitarie da parte
dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non deve comportare
alcun tipo di segnalazione all’Autorità”. Per lo stesso motivo, non serve il
permesso di soggiorno per le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento fatte
negli ospedali da mamme e papà stranieri. E si fa anche finalmente chiarezza
sull’accesso al servizio sanitario da parte dei cittadini comunitari.
Assicurando ad esempio cure gratuite anche a quelli che non avrebbero
diritto a soggiornare in Italia, non sono assistiti dal Paese d’Origine e
dichiarano di essere indigenti. Nessuno escluso, appunto, come vuole la
Costituzione.
Elvio Pasca
Scritto da Redazione02
Un nuovo logo e uno slogan contro tutte le discriminazioni per l’Unar. L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri si rivolge con un bando ai membri iscritti alla Rete Near per rinnovare il suo simbolo e personalizzare i suoi gadget. Largo quindi a idee innovative, creative e originali che riescano a veicolare al meglio la mission dell’Unar: la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni razziali. I partecipanti potranno presentare proposte nell’ambito di due differenti Contest volti a individuare il nuovo logo istituzionale dell’Unar (scadenza: 11 gennaio) e il nuovo slogan per i gadget Unar (scadenza: 20 gennaio). I progetti migliori saranno scelti da una giuria di esperti e funzionari dell’Unar e verranno premiati nel corso di una cerimonia pubblica che si terrà nell’ambito della “Settimana d’azione contro il razzismo”, in programma dal 18 al 24 marzo 2013. I primi classificati di ciascuna sezione riceveranno un premio pari a mille euro. Il logo deve contenere la dicitura “UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali” per esteso. Deve essere utilizzabile come strumento ufficiale di comunicazione: biglietti, manifesti, pubblicazioni, locandine, volantini, pieghevoli, stampa, internet e materiale promozionale. Lo slogan deve essere una breve frase che richiami in modo efficace e diretto la prevenzione, il contrasto e la rimozione delle discriminazioni. Esso deve essere accompagnato da una proposta grafica adatta alla stampa sui gadget come t-shirt, sacche, piccoli oggetti che richiami il più possibile il contenuto della frase.
La partecipazione è gratuita. È possibile iscriversi attraverso il sito www.retenear.it.
Per maggiori informazioni clicca qui.
Notizie in breve |
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“Gli immigrati lasciano l’Italia per la crisi
economica”, inchiesta del Financial Time.
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I vescovi del Triveneto chiedono per gli immigrati
“una cittadinanza che promuova l’integrazione”.
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Calcio contro il razzismo: appello per dedicare la
partita Inter-Bologna di Coppa Italia alla memoria di Arpad Weisz.
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Musica: Future Music Contest, l’iniziativa per
musicisti esordienti italiani e “nuovi italiani”.
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Scheda: lavoro domestico
Comunicato stampa | 9 gennaio 2013
Il lavoro domestico in cifre (2010) |
Ø 52,6 milioni nel mondo Ø 83% di donne Ø 29,9% escluso dalla legislazione nazionale del lavoro Ø 45% non ha diritto al riposo settimanale o al congedo annuale pagato Ø oltre un terzo delle donne lavoratrici domestiche non hanno protezione della maternità |
GINEVRA (ILO News), 9 gennaio 2013 - In tutto il mondo, sono almeno 52 milioni le persone — maggiormente donne — impiegate nel lavoro domestico: è quanto afferma uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Il lavoro domestico rappresenta il 7,5% dell’occupazione femminile dipendente nel mondo, con una percentuale molto più alta in alcune regioni come l’Asia e il Pacifico, l’America Latina e i Caraibi. Tra la metà degli anni 1990 e il 2010, i lavoratori domestici sono aumentati di oltre 19 milioni nel mondo, di cui molti sono migranti. È probabile che le cifre contenute nel rapporto sottostimini il numero reale dei lavoratori domestici che potrebbe essere superiore di diverse decine di milioni. Inoltre, le cifre non tengono conto del lavoro domestico dei minori al di sotto dei 15 anni, dato non incluso nei rilevamenti utilizzati per il rapporto. Nel 2008, secondo le stime dell’ILO il loro numero si aggirava intorno ai 7,4 milioni.
Nonostante le dimensioni del settore, sono numerosi i lavoratori domestici che non godono di buone condizioni lavorative né di una protezione giuridica sufficiente. Secondo Sandra Polaski, Direttore Generale Aggiunto dell’ILO: « I lavoratori domestici hanno spesso un orario di lavoro più lungo degli altri lavoratori. In diversi paesi, non godono dello stesso diritto al riposo settimanale. Oltre alla mancanza di diritti, l’estrema dipendenza dei lavoratori domestici nei confronti del datore di lavoro, insieme all’isolamento e alla mancanza di protezione che caratterizzano questa professione, sono tutti fattori che contribuiscono a rendere i lavoratori più vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi ».
Il rapporto Domestic workers across the world: global and regional
statistics and the extent of legal protection (« Lavoratori domestici nel
mondo: statistiche globali e regionali, e estensione della protezione
sociale ») fa seguito all’adozione, nel giugno 2011, della nuova Convenzione
dell’ILO sul lavoro domestico con la sua Raccomandazione.
Queste nuove norme internazionali mirano a garantire condizioni lavorative e
retribuzioni dignitose per i lavoratori domestici in tutto il mondo. La Convenzione
è stata ratificata finora da tre paesi. Tre altri paesi — fra cui
l’Italia — hanno espletato le procedure nazionali per la ratifica, mentre
altri hanno avviato il processo di ratifica. I risultati della ricerca
serviranno come punto di riferimento per misurare i progressi in materia di
estensione della protezione giuridica dei lavoratori domestici.
Solo il 10% dei lavoratori domestici è coperto dalla legislazione generale del
lavoro alla pari degli altri lavoratori. Oltre un quarto di loro è del tutto
escluso dalla legislazione nazionale del lavoro.
Ripartizione regionale |
Ø Asia e Pacifico: 21,4 milioni Ø America latina e Caraibi: 19,6 milioni Ø Africa: 5,2 milioni Ø Paesi industrializzati: 3,6 milioni Ø Medio Oriente: 2,21 milioni |
Oltre la metà
dei lavoratori domestici non ha alcun limite alla durata dell’orario di lavoro
settimanale secondo la legislazione nazionale, e circa il 45% non ha diritto a
periodi di riposo settimanale. Poco più della metà dei lavoratori domestici ha
diritto a uno stipendio minimo equivalente a quello degli altri lavoratori. La
mancanza di protezione giuridica aumenta la vulnerabilità dei lavoratori
domestici che spesso sono sottopagati rispetto a lavoratori con un’occupazione
e orari di lavoro simili.
Lo status giuridico precario dei lavoratori domestici migranti e la scarsa
conoscenza della lingua e della legislazione li rendono particolarmente
vulnerabili ad abusi quali la violenza fisica e sessuale, gli abusi
psicologici, il non pagamento dello stipendio, la servitù per debito e
condizioni di vita e di lavoro inadeguate. I lavoratori domestici che vivono
presso il proprio datore di lavoro sono particolarmente vulnerabili allo
sfruttamento. Spesso ricevono un salario fisso settimanale o mensile che non tiene
conto delle ore di lavoro effettuate. Praticamente, ciò significa che il
lavoratore domestico è sempre disponibile quando serve. « Le grandi
differenze di stipendio e di condizioni lavorative tra lavoratori domestici e
altre professioni nello stesso paese, evidenziano la necessità che governi,
datori di lavoro e lavoratori si adoperino a livello nazionale per migliorare
la vita lavorativa di queste persone », ha concluso Polaski.
Convenzione 189 |
I lavoratori domestici che si prendono cura delle famiglie e delle case devono avere gli stessi diritti fondamentali degli altri lavoratori. Questi diritti includono: Ø Durata di lavoro ragionevole Ø Riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive Ø Limitazione dei pagamenti in natura Ø Informazioni chiare sui termini e le condizioni di assunzione Ø Rispetto dei principi e diritti fondamentali nel lavoro, in particolare la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva. |
Esteri
Battaglia tra Obama e repubblicani su regolarizzazione
New York, 9 gennaio 2013 - L'amministrazione Obama ha speso quasi 18 miliardi di dollari nel 2012 per le agenzie che si occupano di immigrazione, una cifra molto più alta di quella impiegata dalle altre maggiori agenzie federali, secondo un rapporto pubblicato dal Migration Policy Institute, un centro di ricerca indipendente di Washington, di cui parla il New York Times. Il controllo dell'immigrazione, basato sulle ampie risorse destinate al controllo delle frontiere, e alla detenzione e al rimpatrio degli immigrati clandestini, è diventato "la priorità del governo federale", secondo il rapporto. Le due agenzie federali che si occupano di immigrazione, sotto il dipartimento della Sicurezza nazionale, hanno portato in tribunale più casi di tutte le agenzie del dipartimento della Giustizia messe insieme, comprese Fbi, Dea (Drug Enforcement Administration) e Atf (Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives). Le spese complessive di queste agenzie sono state all'incirca di 14 miliardi di dollari. Il rapporto, lungo 182 pagine, sembra andare incontro a Barack Obama, nella sua lunga battaglia contro i repubblicani sull'immigrazione. Il presidente vuole regolarizzare un vasto numero di immigrati illegali, ma durante il primo mandato non è stato in grado di far approvare il Dream Act; solo con un ordine esecutivo ha aggirato in parte l'ostacolo, concedendo un permesso di soggiorno e lavoro ai giovani che hanno studiato negli Stati Uniti e non hanno precedenti penali. I repubblicani, per dare l'assenso a provvedimenti che regolarizzino milioni di immigrati, vogliono il rafforzamento delle leggi e dei controlli. E i dati sembrano già accontentarli, visto che nel 2012, per esempio, è stato registrato il record di rimpatri in un anno, con 410.000 clandestini espulsi dagli Stati Uniti.
Immigrants abandoning recession
– hit Italy
By Guy Dinmore in Rome
January 6, 2013 - Rome’s
Chinatown the Blue Skies travel agency is selling more one-way tickets back to
China than returns. The manager of the Mei Dan beauty parlour says Canada is
the new dream, while the Golden Home property agency reports falling prices as
immigrants sell up and leave. “Many, many Chinese are going back home,” says
Sonia Fen, a restaurant owner and television celebrity who has lived in Italy
for 21 years. “No business and no work. It is a terrible situation.” As
quietly as they began to arrive in large numbers a decade ago, the Chinese
community is silently slipping away, the many “for sale” signs posted on
shuttered stores around Rome’s Piazza Vittorio bearing testament to their
exodus. While for a minority Canada is the new destination, China’s still rapidly
growing economy is also beckoning. The trend is not limited to the Chinese, and
is apparent across the various immigrant groups throughout Italy – a grim
consequence of its longest postwar recession,
and a warning of how hard it will be for the country to start growing again.
Italy has awful demographics and needs immigrants, notes Antonio Golini,
professor of sustainable development at Rome’s Luiss university. A low birth
rate and a population that is pushing back the boundaries of longevity mean
that Italians are getting older and fewer, putting an unsustainable burden on
the welfare budget. Results of the October 2011 census released last month
reveal a 0.5 per cent decline in the number of Italians over the previous
decade. The only age band that is increasing is of that from 70 to 80. Without
an increase in resident immigrants, from 1.33m to 4.03m, Italy’s population
– a total of 59.4m people in 2011 – would have fallen. “Economies
don’t grow without an increasing population, especially those of working age,”
warns Professor Golini. According to the Ismu research institute, which
analyses data from the official statistics bureau, 2011 was a watershed year of
“zero growth” among immigrants. Data for the first half of 2012, based on
residency registrations and cancellations, point to a possible decline. Experts
also note the unreliability of data available. Many foreigners leave Italy
without cancelling their household registration, meaning they appear officially
as still in the country even after departure. Gian Carlo Blangiardo, an Ismu
demographer, says there might be as many as 800,000 such “ghosts”. Immigration,
as usual, is emerging as an important campaign theme with Italy going to the polls in late February.
Former prime minister Silvio Berlusconi is pursuing a populist tack as his
centre-right party desperately tries to woo back disaffected supporters, many
of which accuse immigrants of “stealing” jobs from Italians. Mr Berlusconi has
warned that victory for the leftwing Democrats would lead to a “proliferation
of gay marriages and an opening of our borders to illegal immigrants”. Mario
Monti, who was appointed as prime minister in 2011 and is now campaigning for
election as leader of a centrist alliance, promises to address the problem of
Italian women having too few babies. But his 25-page “Agenda Monti” is thin on
social issues, making no reference to immigration policies. In contrast, the
Democrats – who have a strong lead in polls – are taking the risk
of campaigning with a promise to give citizenship to children of immigrants
born in Italy. Romanus Nwaereka, a Nigerian trade union activist in Rome,
confirmed that his community is dwindling as people move their families out of
Italy, mostly to London and the US. The economic crisis is the main factor. But
he also blames deep-seated racism, an issue given scant attention in Italy
except in dramatic circumstances. Last week Kevin Prince Boateng, a Ghanaian
who plays for the AC Milan football team, stormed off the pitch with his
team-mates in anger at constant “monkey” taunts by opposing fans during a
friendly game. Mr Boateng is now considering quitting Italy. Mr Nwaereka says:
“Racist attacks are on the rise. The black community feels it more. It is a
cancer in the blood of Italians. I am sorry to say it.” He is also critical of
the government’s immigration policies under Mr Monti which blocked new arrivals
last year because of the economic crisis, while offering an “indemnity”
programme to illegals in Italy to regularise their status. The window of six
weeks was too short, Mr Nwaereka says, and the costs too high – in effect
€2,000 each. Ms Fen is aware that many Italians will not be unhappy to see the
back of the Chinese community that is often associated – unfairly she
says – with organised crime and the black economy. “They will only miss
us once we are gone,” she says.